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18/06/19

Libro del Giorno: "Silenzi" di Emily Dickinson


Arrivata in Italia soltanto con la prima edizione critica del 1955, l'opera di Emily Dickinson ha conosciuto un crescente successo cui ha certamente contribuito il lavoro di divulgazione e di traduzione di Barbara Lanati, innanzitutto con questo fortunato libro, uscito per la prima volta nel 1990 che raccoglie una meditata selezione dell'opera della grande poetessa di Amherst. 

Con l'interesse per l'opera è parimenti cresciuto in Italia quello per il personaggio Emily, per la sua vicenda biografica interessantissima nella sua particolarità unica.  Una vita vissuta in autoreclusione, in perenne ombra, al riparo della stanza al secondo piano della Mansion in perfetto stile New England dove la Dickinson visse praticamente i 56 anni della sua vita, con la misera eccezione di qualche rarissimo viaggio nelle città vicine.  

Come è noto, la Dickinson visse una vita di totale anonimato - in tutta la sua esistenza non pubblicò che sette poesie, in alcune riviste letterarie dell'epoca - anche se per la eccentricità della sua scelta di vita, per il riserbo assoluto con cui visse, per la maniacalità con cui per molto tempo evitò perfino di farsi vedere dagli ospiti nella sua stessa casa - sembra che per quindici anni non uscì mai dalla sua stanza, se non una sola volta per partecipare ai funerali di uno dei suoi nipoti morto prematuramente - per la fitta e corposissima corrispondenza che curò - più di duemila lettere - con interlocutori diversi, anche uomini con cui tessé amori platonici, per la sua straordinaria conoscenza della poesia classica, era già soprannominata dai vicini Il Mito

Barbara Lanati nella bella prefazione al volume ricostruisce in parte questa vicenda biografica, scandagliando le pieghe misteriose di una poesia metafisica e crepuscolare: estasi e passione, dolore e morte nutrono i versi della Dickinson che a dispetto della sua immagine di vergine riservata, chiusa e timida del Massachussets, vittima dell'autorità morale paterna e del vittorianesimo imperante, seppe esprimere una scrittura inquieta e inquietante, "astratta e insieme raffinatamente sensuale sgorgata da una vita fatta di reclusione, silenzio, attesa."

Eremita moderna fuori dalla religiosità dogmatica o confessionale, la Dickinson continua a interrogarci con i suoi meravigliosi, enigmatici, affascinanti versi immortali. 


Silenzi
cura e traduzione di Barbara Lanati 
Feltrinelli, 2014 
Pagine: 240 Prezzo: 9,50€ 
ISBN: 9788807900853 

28/11/18

Esce in Libreria "Io sono Maria Callas" - una bellissima graphic novel di Vanna Vinci.



La storia di un'icona, la tragedia di una donna, il mistero di un'identita': questo e''Io sono Maria Callas', graphic novel di Vanna Vincirecentemente pubblicato da Feltrinelli Comics

Dopo Frida Kahlo, Vinci si concentra su un'altra icona femminile: "Non sapevo molto di lei, ma mi colpi' un'intervista a Carlo Maria Giulini - racconta l'autrice all'ANSA - Diceva di conoscere Maria Callas come cantante, ma si chiedeva se lei stessa sapesse chi era nella solitudine di casa sua"

Da qui e' partita una ricerca non tanto nel canto sovrumano, quanto nella vita del personaggio, per sondarne il carattere e il ruolo di donna: "Parliamo senz'altro di moltissimi anni fa, ma la sua storia resta esemplare: ci troviamo di fronte a una persona con volonta' e talento incredibili ma priva di struttura interna, che ha sempre dubitato di se stessa, che si e' appoggiata a una madre terrificante, a un marito che era padre-impresario-segretario e quest'uomo terribile che e' stato Onassis"

Le fragilita' di Callas sono sempre al centro del racconto, a partire dall'insicurezza per il suo aspetto fisico che la porto' a sottoporsi a interventi rischiosi per dimagrire

Le fasi, i traumi ma anche le vittorie sono narrate con uno schema preso direttamente dalla tragedia greca, con episodi divisi dagli stasimi, dove un coro di personaggi intervengono e commentano gli episodi. "Nella sua storia c'erano tutti gli elementi della tragedia greca: lei dichiarava di essere fatalista. Inoltre le voci dissonanti e talvolta fuori luogo del coro, come Sarah Bernhardt o David Bowie, danno l'impressione di un personaggio cangiante e imprendibile".

In particolare, la sovrapposizione con Medea tiene insieme lo spunto drammatico e il discorso femminile, specie nel capitolo che utilizzando l'estetica della pittura vascolare greca racconta la degenerazione della sua vita sentimentale: "Non ci saranno state bastonate, ma si parla di una violenza comunque: e' una donna che si e' relegata a essere accompagnatrice di lusso, la storia stessa di Medea, perché per colpa del suo uomo ha perso il potere. Raccontare il suo rapporto con Onassis era molto difficile: ho iniziato dalle parole di Euripide, che pareva aver capito gia' tutto, e mi sono riletta alcuni testi fondanti del femminismo, tra cui 'Il secondo sesso' e 'Sputiamo su Hegel' per trattare al meglio quel passaggio"

Dal punto di vista iconografico, Vinci parte da immagini celebri della Callas per creare grandi pagine che fondono i linguaggi del fumetto e del libro illustrato: "Imparare a disegnare la faccia non e' stato facile: il suo viso, bellissimo, ha molte stranezze nelle proporzioni. D'altra parte il potere di questo personaggio si vede non solo nelle immagini fashion, ma gia' nelle foto sgranate delle rappresentazioni alla Scala. Piu' ancora che nel libro su Frida l'interno delle tavole e' come esploso, come se a un certo punto fosse venuta fuori dal foglio".




30/11/15

Karl Ove Knausgård, "La morte del padre" (RECENSIONE).




Mi ero piuttosto incuriosito riguardo al fenomeno Karl Ove Knausgård.

Lo scrittore, nato a Oslo nel 1968, ha studiato letteratura all’Università di Bergen e vive a Malmö, in Svezia. 

Per il suo primo romanzo Ute av verden (1991) è stato insignito del Norwegian Critics Prize for Literature, primo caso di assegnazione del premio a un debuttante. 

Il secondo romanzo, En tid for alt, ha vinto molti premi ed è stato giudicato tra i migliori 25 romanzi norvegesi di tutti i tempi. 

Ma dopo questi due primi romanzi, il caso è diventato con quello che in molti hanno definito il suo capolavoro, una vera sfida narrativa: sei volumi intitolati La mia battaglia, più di 3500 pagine autobiografiche, di cui La morte del padre (2014), tradotto in Italia da Feltrinelli - come gli altri - è il primo volume della serie. 

Sono invece rimasto molto deluso dalla lettura. 

Nel corso di più di 500 pagine, Knausgård, racconta sostanzialmente la propria vita. Priva di eventi memorabili, priva di circostanze straordinarie.  Una vita assolutamente comune, ordinaria ma - è questo che conta - raccontata in modo assolutamente ordinario e mai veramente letterario. 

Diviso in due parti piuttosto nette, nella prima, La morte del padre racconta della adolescenza dello stesso autore: una famiglia come tante, nella fredda e quieta Norvegia, i primi ricordi - di quando aveva otto anni (la parte migliore del libro) - le prime sbronze da sedicenne, i sotterfugi, i silenzi del padre, i primi amori immaginati o vissuti, le schitarrate rock, i gusti degli adolescenti che sono comuni in tutto il mondo.    

Nella seconda, entra in scena la morte del padre - molto più avanti dunque temporalmente nella vita di Karl Ove che adesso è sposato e ha due figli, e fa già lo scrittore - che è morto alcolizzato in casa della madre (la nonna di Karl Ove), il ritorno alle origini dello scrittore e di suo fratello Yngve, la scoperta di una deriva e di un degrado totale che ha portato il padre a morire in una casa piena di rifiuti, di escrementi, di sigarette e di bottiglie vuote; lo sforzo dei due fratelli per rimettere in sesto la casa, preparare i funerali, affrontare il dolore silenzioso e traumatico della nonna, divenuta quasi afasica. 

In tutto questo, Karl Ove si mette - o si vorrebbe - mettere a nudo, raccontando tutto di sé, dei suoi moti interiori, delle sue debolezze strutturali e caratteriali - il pianto che affiora decine di volte, prima e dopo la morte del padre - dei suoi piccoli e grandi tormenti, dei suoi silenzi - pochi - dei suoi interrogativi irrisolti. 

Il lettore viene trascinato quindi in una specie di flusso ininterrotto di elementi poco significativi, quasi risucchiato dentro una narrazione minuziosa fino all'eccesso insostenibile, che racconta ogni movimento, ogni dettaglio inutile, ogni particolare trascurabile. 

E' perfino dichiarato dall'autore, nel corso del suo lunghissimo monologo, che il modello è la Recherche proustiana. Ma è un modello molto rischioso per Kanusgard, che non può non perdere la scommessa su tutta la linea. 

La narrazione non decolla mai, non è mai vera letteratura, ma solo accumulo di inutili informazioni. La lentezza inane del racconto smonta ogni ipotesi lirica, ogni sostanza vera, lasciando la continua sensazione di una operazione furba, e nulla più. 

Knausgard non ha molto altro da offrire che questo racconto onanistico, che non arriva mai al punto, e che non aggiunge nulla a quel che c'era prima (del racconto), se non questo compiacimento masochistico, vittimistico. 

Dovendo sintetizzare, mi sovvengono queste parole di Benedetto Croce, che mi pare si adattino perfettamente alla narrazione dell'autore norvegese: 

Il senso comune, quando non pretende di diventare scienza ha sovente ragione. Per esempio ieri una signora mi diceva a proposito di un volumetto di novelle: "Che cosa importano codeste storie, di cui posso raccogliere larga messe sol che presti un momento l'orecchio a una conversazione qualsiasi ? Che m'importano codeste descrizioni di cose o di parti di cose che veggo dappertutto, sol che volga l'occhio intorno ? La vita volgare la conosco anche io. Gran bisogno di leggere un libro per conoscerla ancora una volta !"
E la signora aveva ragione. Non che l'arte non sia libera di rappresentare quel che voglia... Ma l'artista ha il dovere di rappresentare ciò che franca la spesa di rappresentare, ciò che interessa.  Accade il medesimo della verità scientifica. Se io conto a una a una tutte le fave che sono in un sacco, dico forse una bugia o un errore ? No: anche quel numero è una verità. Ma spendo bene il mio tempo ? Chi avrebbe il coraggio di rispondere di sì? (Benedetto Croce, Dal libro dei pensieri, Adelphi, 2002, pag.20). 

Ecco: Knausgard conta molto bene le sue fave. Ma non ho speso bene il mio tempo a sentirle contare.

Fabrizio Falconi