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02/03/11

Umberto Galimberti e Marco Guzzi - Il più inquietante degli ospiti: il Nichilismo - parte 2.



ecco dunque il secondo capitolo del Dialogo tra Marco Guzzi e Umberto Galimberti.

A partire da QUI potete poi ricostruire tutti gli altri capitoli del confronto, dall'uno - che abbiamo pubblicato ieri - fino al capitolo n.12, conclusivo.

Buon ascolto.

11/02/09

La morte negata.


Non c’è epoca nella storia dell’uomo che sia stata più lontana dall’idea di morte, che questa che stiamo vivendo.


Per secoli e millenni l’uomo ha con-vissuto con la morte. La morte è stata una sorella fedele, la morte ha fatto parte a tutti gli effetti della vita. Vita e morte si sono mischiati continuamente, nelle guerre, nelle epidemie, nel piccolo mondo di ruvide certezze delle comunità contadine.

La morte, il lutto, il sacrificio, la carne erano parte – a tutti gli effetti – della vita di ogni giorno.

Oggi la morte è scomparsa.

I funerali vengono celebrati frettolosamente, il lutto è scomparso. Parlare di morte, o di lutti, in società, è considerato di cattivo gusto.

La morte è esorcizzata, tenuta lontano, sull’onda di un’euforia pagana, che rende sempre più adrenalinici e sempre più disperati.

Ma è una esperienza tipicamente umana, che più una cosa si allontana forzatamente dal nostro orizzonte psicologico, più la si esorcizza, e più essa ritorna, più potente e simbolica, più minacciosa.

Quindi, anche se siamo nell’epoca della storia umana in cui siamo più lontani dall’idea di morte, siamo certamente nell’epoca in cui la morte fa più paura.

E la ragione è proprio questa.

Conosciamo sempre meno la morte, ed essa ci fa sempre più paura.

La morte continua a dominare i nostri pensieri – è normale, e il pensiero della morte che non riusciamo più ad elaborare, ritorna sotto forma di incubi, depressione, disagio, disturbo, nevrosi.

Sì, perché l’uomo non riesce a vivere sotto il peso schiacciante della morte. Come infatti ci ricordano gli antichi Greci – ha scritto recentemente U. Galimberti - l’uomo per vivere ha bisogno di una costruzione di senso, in vista della morte, che è l’implosione di ogni senso.

Questa visione tragica del greco, che non nutriva speranze ultraterrene, venne oltrepassata dal Cristianesimo che ha iscritto l’uomo in un orizzonte di senso che ha il suo riferimento nell’immortalità dell’anima e quindi, come ci ricorda Paolo di Tarso, nella vittoria sulla morte.

Oggi questa speranza e questa costruzione di senso del cristianesimo sembra – dal comune sentire, ce ne accorgiamo specialmente in un paese ‘cattolico’ come l’Italia – spappolata.

Domina una rimozione collettiva del problema della morte, in vista della nostra incapacità di dare alla morte un senso, e quindi di accettarla nelle nostre vite.

Così, mi sorprendo moltissimo della meraviglia di quanti scoprono con ipocrita scandalo che la sera della morte di Eluana, la puntata del ‘grande fratello’ con le beghe da cortile dei palestrati e il loro futile e insensato vociare, abbia ottenuto il record di ascolti.

Se la proposta è:
- da una parte la morte come OGGI la viviamo e la sentiamo
- e dall’altra il dis-impegno, la disinvoltura, il dis-interesse, la deriva di un ostinato NON-domandarsi nulla,
CHI – secondo voi - potrà mai prevalere ?
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