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17/11/11

Gabriele D'Annunzio e il cuore messo a nudo. Il Notturno.



Gabriele D’Annunzio e il  cuore messo a nudo
Il Notturno
di Fabrizio Falconi

  
1.  D’Annunzio e le prose memoriali.
C’è da sempre una dicotomia nella valutazione critica dell’opera di Gabriele D’Annunzio come figura cardine della letteratura italiana di inizio Novecento. E’ quella che riguarda la differenza, il contrasto di toni e di sostanza tra il lirismo decadente dei cinque libri delle Laudi – che ne decretarono l’affermazione e la fortuna di poeta – scritte tra il 1903 e il 1912, e la riflessione solitaria e pensosa, l’introversione oscura, meditativa e dolente contenuta nelle cosiddette ‘prose memoriali’, delle quali il Notturno è il caso più emblematico.

Se infatti il ‘rimprovero’ che è sempre stato mosso al D’Annunzio vate, al D’Annunzio lirico, per gran parte del Novecento post bellico, fu quello di una mancanza di essenzialità, e di un compiacimento stantìo di una lingua artificiosamente  elaborata, ai limiti del barocco, tesa unicamente alla costruzione di un mito personale tutto risolto al raggiungimento di un orizzonte da  Ubermensch  nietzschiano,  una parte della critica ha sempre puntato il dito sul rovescio della medaglia della personalità artistica di D’Annunzio, emergente quando il delirio personalistico e avventuriero dell’anima che visse come diecimila si spegneva per cause contingenti, e casuali, che costringevano il grande pescarese a intro-vertersi, a guardarsi dentro, a dare spazio sincero alle molte zone d’ombra e di solitudine di una psicologia ipertrofica e non equilibrata.