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13/09/22

Cos'è la strana creatura scolpita da Bernini che appare nella Fontana dei Fiumi a Piazza Navona? Lo si scopre tra le pagine di "Porpora e Nero"

 



Che cos'è quella stranissima creatura che si erge dalle acque proprio al centro della meravigliosa Fontana dei Fiumi realizzata dal genio di Gian Lorenzo Bernini a Piazza Navona ? 

Le forme del tutto inconsuete hanno procurato molti grattacapi agli studiosi della storia dell'arte che soltanto in tempi recenti sono riusciti ad individuare l'animale misterioso al quale si ispirò Bernini, la cui vicende è strettamente legata al nome e al sapere sconfinato di un grande personaggio che visse a Roma negli stessi anni di Bernini (morirono anche a pochi giorni di distanza): il gesuita Athanasius Kircher, nato in Germania, vissuto a Roma, grande erudito, consigliere di principi e papi, collezionista compulsivo di rarità preziose proveniente da ogni angolo di mondo che allora veniva scoperto. 

Ne fu un esempio l’armadillo – il cui nome nella lingua degli indigeni Guaranì era Tatu un animale che nessun europeo aveva mai visto fino a quando un missionario gesuita al seguito dei conquistadores spagnoli pensò bene di spedirne un esemplare a Kircher. Il gesuita lo imbalsamò e lo appese al soffito, proprio all’entrata del suo Museo del Mondo: i visitatori ne restarono così impressionati, che perfino Gian Lorenzo Bernini prese ispirazione da quella strana creatura per immaginare e realizzare il drago che oggi si può ammirare tra le diverse sculture ornanti la Fontana dei Fiumi di Piazza Navona, e che per molto tempo fu scambiato per un coccodrillo.

L'armadillo-drago fa la sua comparsa ed è uno degli anelli-chiave per risolvere il mistero contenuto nel romanzo "Porpora e Nero" di Fabrizio Falconi, frutto di molti anni di appassionante ricerche. 

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22/03/17

La chiesa di Santa Maria della Vittoria e lo scandaloso Ermafrodito.




La chiesa di Santa Maria della Vittoria, all’angolo tra via xx Settembre e piazza San Bernardo, costruita da Carlo Maderno nel 1608, su committenza del cardinale Scipione Borghese, è una delle più famose di Roma (conserva, fra l’altro, i trofei, cioè le bandiere e le insegne sottratte ai turchi nella battaglia di Praga del 1757), soprattutto per la splendida cappella Cornaro, opera di Gian Lorenzo Bernini, che ospita una delle più insigni opere della scultura di tutti i secoli, di straordinaria modernità, L’Estasi di santa Teresa.

La scultura del Bernini ha da sempre colpito l’immaginazione dei visitatori proprio per quella componente erotica che il grande artista riuscì a infondere nell’atto mistico per eccellenza della santa, ovvero l’estasi.


Per uno strano scherzo del caso, proprio le fondamenta di questa chiesa restituirono, nel corso dei secoli, una delle opere più conturbanti della scultura classica: il celebre Ermafrodito, capolavoro dell’arte ellenistica.

Il ritrovamento dell’opera avvenne dunque proprio in via xx Settembre e proprio quando si decise di dare vita alla nuova chiesa.

In un territorio che era quasi completamente campagna, i frati carmelitani scalzi possedevano una vigna con un romitorio, e decisero di costruire una chiesa da dedicare a san Paolo. I lavori, cominciati nel 1608, si protrassero a lungo. 

Nel 1619, come riferiscono le cronache dell’epoca, «nel piantarsi una spalliera nell’orto del convento», i costruttori videro con sorpresa emergere dalla terra smossa il candore di una statua classica, che si rivelò, una volta estratta, una splendida scultura di ermafrodito dormiente, subito identificata come la copia romana di un capolavoro ellenistico realizzato dal Policle nel ii secolo a.C., di cui parla Plinio nella sua HistoriaNaturalis.

La bellissima scultura mostrava un corpo “ambiguo” semiaddormentato, riverso, che nell’atto di girarsi nel sonno, mostrava i caratteri di entrambi i sessi.

Un soggetto che era assai diffuso nella Roma e, soprattutto, nella Grecia classica, ma lo era molto meno nell’epoca della Roma cattolica del Seicento. Il rinvenimento, infatti, imbarazzò non poco i frati, i quali decisero di donare l’opera al cardinale Scipione Borghese, famelico collezionista e nipote del papa, Paolo v.

Così orgoglioso del suo nuovo trofeo, il cardinale diede ordine di trasportare  la statua nella sua villa, a porta Pinciana, e ne dispose il restauro affidandolo al suo scultore prediletto, Gian Lorenzo Bernini, il quale, dopo averla lungamente studiata, decise di valorizzarla, adagiando il corpo dell’ermafrodito su di un morbido materasso marmoreo e di un soffice cuscino, riprodotti con incredibile virtuosismo.

Per suggellare poi l’opera a vantaggio dei suoi committenti, Bernini, creò una specie di letto di legno – su cui poggiava il materasso e l’intera scultura – imprimendovi sopra lo stemma araldico dei Borghese e l’iscrizione: «duplex cor uno in pectore / saepeinvenies / Cave insidias», (troverai spesso due cuori nello stesso petto: guardati dagli inganni). Ma la scultura non rimase  per sempre nella sala approntata dal cardinale Borghese: nel 1807, pressato dai debiti e costretto dai giochi di potere, il principe Camillo Borghese II fu costretto a vendere l’intera collezione – compreso l’Ermafrodito– al cognato Napoleone Bonaparte.



La scultura prese così la strada della Francia, e oggi costituisce uno dei pezzi più apprezzati della collezione d’arte antica del Museo del Louvre, a Parigi, mentre l’opera che si può vedere al palazzo Massimo alle terme è semplicemente una copia.

Anche se lontana, la storia dell’ermafrodito romano continua comunque a incantare, soprattutto per il suo richiamo mitico: Ermafrodito, infatti, secondo la mitologia, era il figlio di Hermes (Mercurio) e di Afrodite (Venere). La ninfa Salmace  (di cui canta Ovidio nelle Metamorfosi) si innamorò di lui, senza essere ricambiata. Nella fontana sacra alla ninfa, vicino ad Alicarnasso, Salmacide si avvinghiò così forte al corpo dell’amato (che stava nuotando) da fondersi con lui. I due divennero quindi un essere solo – metà uomo e metà donna – indivisibile per l’eternità.


Una storia che ancora oggi affascina e incanta.

Forse anche per esorcizzare il ritrovamento scandaloso, la chiesa di Santa Maria della Vittoria, fu invece intitolata alla Madonna: la vittoria di Praga – riportata dalle armate cattoliche di Ferdinando ii d’Asburgo su quelle protestanti (1620) al termine della guerra dei Sei anni – era stata infatti attribuita al ritrovamento inaspettato di un’immagine della Vergine, che fu però distrutta da un incendio scoppiato la notte del 29 giugno 1833.


L’attuale icona, conservata sull’altare maggiore, è una copia, fatta rifare a spese del principe Torlonia, che impreziosì anche l’altare di ornamenti e rari marmi. 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. Tratto da Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di RomaNewton Compton Editore

12/10/16

L'Estasi di Santa Teresa nella chiesa di Santa Maria della Vittoria, un capolavoro immortale.



Qualche giorno fa sono tornato a visitare la chiesa di Santa Maria della Vittoria in via XX settembre, una delle più magnifiche della capitale.  E sono rimasto come sempre colpito dal tipo di turismo di massa selvaggio che ormai si consuma a Roma, come in molte altre città. 

Uno stuolo di turisti - forse americani - tutti con cappellino da baseball e asta per lo smartphone, sono entrati in Chiesa, incuranti dei tesori che vi si conservano e sono andati diretti davanti all'Estasi di Santa Teresa (o Transverberazione di Santa Teresa d'Avila come sarebbe più giusto chiamarla) scolpita da Gian Lorenzo Bernini che evidentemente le loro guide ritengono uno dei must   da vedere in quelle che presumo visite-lampo nella capitale.  Così, giusto il tempo per uno scatto al gruppo scultoreo, in fila uno per uno,e poi tutti fuori dalla Chiesa, in pochi secondi. 

E' un peccato. Ma questo è lo stato dell'arte attualmente. E dispiace che si dedichino a quest'opera meravigliosa soltanto pochi secondi (spesso neanche osservati con il proprio occhio, ma solo con lo schermo di uno smartphone). 

La Transverberazione, nella Cappella Cornaro, è forse il più grande capolavoro del Bernini. 

I lavori gli furono affidati dal cardinale Federico Cornaro nel 1647 e nella realizzazione della intera cappella il Bernini si superò, colpito nell'orgoglio dalla tiepida accoglienza che il Cardinale aveva riservato ad altre sue opere. 

Bernini realizzò una specie di macchina teatrale, creando una nicchia nel transetto che, attraverso i vetri gialli utilizzati, fornisce un vero e proprio spot di luce (come si direbbe a teatro), diretto sul gruppo scultoreo, in linea con il dardo spiccato dall'angelo verso il cuore della Santa e con quelli di luce, in stucco che scendono dall'alto dorati. 

Il vero capolavoro però è la scultura del corpo della Santa, avvolto nelle vesti che sembrano agitate e sollevate da venti tempestosi. Il volto di Teresa è sconvolto dalla visione, gli occhi sono rivoltati verso l'alto, tutto il corpo è sconvolto da un sentimento quasi erotico di condivisione passionale, in perfetta ottemperanza di quanto la Santa scrisse nella sua autobiografia: 

Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura.  Vidi nella sua mano una  lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore tanto da penetrare dentro di me.  Il dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata.  (Santa Teresa d'Avila, Autobiografia, XXIX, 13)


Bernini, nel pieno della maturità, aveva allora quarant'anni e la sua fede si era rafforzata attraverso la pratica degli esercizi spirituali di Sant'Ignazio, eseguiti sotto la guida dei padri Gesuiti, che allora frequentava. 

Non sono mancate interpretazioni esoteriche, non nuove fra l'altro nell'arte del Bernini, che leggono questa opera come segno di iniziazione verso stati di coscienza superiori, con l'angelo spirito di luce che guida verso il contatto ultraterreno. 

La potenza di quest'opera è comunque intatta. Basta soltanto tornare a visitarla nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria, magari, se possibile, scansando le frotte dei distratti turisti. 


Fabrizio Falconi