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05/06/16

La poesia della Domenica - "Sensazione" di Arthur Rimbaud.





Sensazione


Me ne andrò, nelle sere blu d'estate,
lungo i sentieri, punto dalle spighe,
sull'erbe brevi; la freschezza ai piedi
ne sentirò, sognando, e la mia fronte
nuda dal vento lascerò bagnare !

Non avrò più parole, né pensieri.
Ma su nell'anima infinito amore
mi salirà; lontano, assai lontano,
come un nomade andrò, per la Natura,
- felice, come al fianco di una donna.


SENSATION

Par les soirs bleus d'été, j'irai dans les sentiers,
Picoté par les blés, fouler l'herbe menue:
Rêveur, j'en sentirai la fraîcheur à mes pieds.
Je laisserai le vent baigner ma tête nue.

Je ne parlerai pas, je ne penserai rien:
Mais l'amour infini me montera dans l'âme,
Et j'irai loin, bien loin, comme un bohémien,
Par la Nature, - heureux comme avec une femme.

(Mars 1870)

Traduzione di Giovanna Bemporad.

Arthur Rimbaud (1854-1891)

08/06/15

Ulisse e la Madre. (Odissea XI - 186)






“Ma tuo padre
resta nei campi, alla città non scende;
e non ha per giacere, letti o splendidi
tappeti o coltri, ma in inverno dorme
dove gli schiavi in casa presso il fuoco,
nella cenere, e vesti umili ha indosso.
Quando viene l’estate o il ricco autunno,
per lui bassi giacigli di ammucchiate
foglie si fanno ovunque, sul declivio
del fertile vigneto: e qui egli giace
dolente e accresce in cuore la sua pena
sognando il tuo ritorno, e una vecchiezza
dura lo investe. Anch’io così mi spensi,
compiendo il fato, e non la saettante
che dritta mira, coi suoi miti dardi
mi colse e uccise nelle stanze, e morbo
non mi assalì che per lo più la vita
con tabe odiosa scioglie dalle membra;
ma il rimpianto di te, nobile Ulisse,
del tuo senno e del tuo tenero affetto,
mi ha tolto il bene della dolce vita”.

Disse; io tentai, con l’animo in tumulto,
l’ombra abbracciare della madre morta.
Tre volte mi slanciai, spinto dall’ansia
di abbracciarla, e tre volte dalle braccia
mi volò via, simile ad ombra o sogno;
sempre più mi cresceva in cuore acuto
strazio, e rivolsi a lei parole alate:

“Madre, perché non resti, se io mi struggo
di abbracciarti, così che entrambi al collo
gettandoci le braccia, anche nell’Ade,
gustiamo l’acre voluttà del pianto ?
O forse a me questo fantasma l’alta
Persefone ha mandato, perché io debba
piangere e lamentarmi anche più forte ?”

Dissi; e subito in cambio, mi rispose
l’augusta madre:

“Ahi, figlio mio, su tutti
gli uomini sventurato, non la figlia
di Giove, non Persefone ti inganna:
questa è la legge dei mortali, quando
qualcuno muore; ché le carni e le ossa
più non reggono i tendini congiunte,
ma tutto sfugge l’impetuosa furia
del fuoco ardente, appena esce la vita
dalle ossa bianche; e vagola per l’aria
l’anima, e fugge a volo come un sogno.
Ma tu tendi al più presto a ritornare
verso la luce, e tutto serba in mente
per ridirlo, più tardi, alla tua sposa."


Omero, Odissea, Libro XI – 186-223
Traduzione di Giovanna Bemporad da ‘Esercizi’, Garzanti,1980.

07/01/13

E' morta Giovanna Bemporad - Un ricordo personale.





Ho conosciuto Giovanna Bemporad nell'estate del 1983.  

Ero un ventitreenne che aveva appena esordito con un libro di racconti - Prima di Andare - e su suggerimento dell'editore - nella persona di Maria Cristina Becattelli - inviai una copia del volume ad alcuni scrittori (come si faceva un tempo). 

Giovanna Bemporad mi rispose quasi subito. Una lunga lettera, compilata con una scrittura obliqua regolare, in una lingua perfetta, esatta, non distante, prodiga di suggerimenti (e anche di elogi). 

Le telefonai al numero che mi aveva lasciato e lei - una voce esile, minuta, dai riflessi apparentemente rallentati - mi invitò a casa sua. Abitava in Via dell'Umanesimo, all'Eur, in un bell'appartamento (suo marito era il senatore Giulio Romano Orlando, non avevano figli). 

Suonai al campanello, la voce esile mi disse di salire. Al pianerottolo il portone dell'appartamento era socchiuso. Dall'interno, la voce mi disse di accomodarmi nel salone.   Entrai, lei non c'era.  La aspettai per qualche minuto. Quando comparve - erano le sei di sera, l'orario in cui, lo scoprii solo più tardi, abitualmente cominciava la sua giornata - rimasi colpito dall'aspetto: magrissima, con folti capelli neri (sembravano quasi una parrucca), pallida, la pelle del volto liscia come quella di una bambola.  Profumata (di talco?), leggermente incipriata, vestita con abiti maschili - pantaloni scuri, un gilet di raso, camicia bianca e la giacca di velluto.  

Fu un incontro speciale. Che - posso dirlo ora che non c'è più - mi cambiò la vita. 

Era la prima volta che mi si palesava di fronte l'essenza vera di un poeta. Di un poeta vero, di un vero poeta.  

Parlammo a lungo, lei era molto interessata a quel che aveva da dire e da scrivere un giovane come me. Era affascinata dal fatto che fossi figlio di operai, e che avessi scoperto il piacere di scrivere a dieci anni quando i miei mi regalarono per la Befana, una macchina per scrivere Olympia Carrera. 

Cominciò quel giorno una lunga amicizia.  Telefonate lunghissime - Giovanna era una affabulatrice, ma nello stesso tempo si interessava ad ogni questione dell'attualità o dei problemi, delle vicissitudini personali dell'interlocutore -  letture dei suoi Esercizi (praticamente il suo unico libro di poesia, che scrisse e riscrisse molte volte),  riletture ad alta voce, in pubblico, degli amati classici che traduceva - Eneide, Odissea, ma anche Novalis, Mallarmé, Valery, Rilke.   

Lei viveva di notte. Ritmi circadiani completamente invertiti.  Si coricava alle otto del mattino.  Fu lei a portarmi in giro in quella Roma, dove di notte incontravi tutti, all'inizio degli anni '80.  E le sue storie erano piene di meravigliosi aneddoti:  l'amicizia giovanile - fraterna - con Pasolini, Ungaretti che era stato il suo testimone di nozze, Eliot a Roma...  

Trascorrere il tempo con lei voleva dire, per uno come me, sognare: entrare in un mondo che consideravo precluso e che invece in qualche modo era accessibile, il mondo dei poeti, osservarlo di soppiatto, cercare di carpirne i misteri. 

Quando pubblicai L'Ombra del Ritorno, qualche anno più tardi, mi incoraggiò molto. Mi aiutò non poco nel rivedere i testi, minuziosamente, fino alla fine. 

Per lei la poesia era soprattutto questo: riflessione, meditazione, approfondimento, sempre e sempre. Una lenta discesa negli strati più profondi dell'essere umano. 

Stamattina, aprendo i giornali, ho appreso che Giovanna, a 83 anni ci ha lasciato. 

Da tempo, si era isolata da tutti. Ma lei, in fondo, come scrive oggi il Corriere della Sera, era sideralmente distante dal cosiddetto 'mondo letterario' :non aveva mai veramente frequentato nessuno, se non quelli che considerava amici poeti.   Nessun salotto, nessun bel mondo, nessuna televisione, nessun premio letterario, nessuna congrega (o consorteria o corporazione) di scrittori .

Lei era semplicemente la sua anima.  

E da oggi, io mi sento più orfano. 


Ciao, Giovanna.

Fabrizio Falconi