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14/09/22

Ecco "The Princess", il documentario prodotto da HBO sulla vita di Lady Diana Spencer

 La famosa foto di Diana sul trampolino del Sokar (ex Jonikal) nell'estate del 1997, a Porto Sole, in Sardegna, una settimana prima della sua morte.

Ho visto in queste ore "The Princess", il documentario diretto da Ed Perkins, e prodotto da Lighthouse in collaborazione con HBO, dedicato alla vicenda e alla vita di Lady Diana Spencer.
Si tratta di un lavoro di grande qualità, soprattutto per la sua originalità: non c'è infatti voce narrante, non c'è un "racconto" (o peggio ancora una "narrazione", termine ormai insentibile) di una vicenda ormai, nelle sue grandi linee, nota a tutti.
C'è invece un documentario affidato soltanto a uno stringato montaggio con una impressionante quantità di materiale d'epoca, a partire dalla diciannovenne Diana, quando nell'anno 1980, incappa nel principe di Galles, futuro re d'Inghilterra, e ne diviene la sposa.
Naturale che il documentario, uscito con imprevedibile "tempismo", visto proprio in questi giorni, susciti interesse, riguardo alle famose e in parte famigerate questioni riguardanti la royal family inglese.
Quel che ne viene fuori è un ritratto "definitivo" di una giovanissima donna che - piuttosto inconsapevolmente e ingenuamente - pensò di trovare il suo posto - sposa, madre - in un ambiente tutto sommato ostile, che non era il suo.
Quando accadde quello che era inevitabile accadesse, la Principessa si ostinò a non "scomparire", come si augurava la monarchia inglese. Manifestò una personalità forte, orgogliosa, che fece di tutto per rivendicare il diritto a esistere, a parlare, e anche ad amare, fuori dal recinto dove si trovò a vivere per lunghi anni vicino a un uomo che non l'amava, né aveva mai pensato che fosse necessario farlo.
Pagò dunque questa ostinazione in prima persona con una morte assurda e violenta. E forse, nei giorni in cui Carlo III sta per ricevere la corona di Re, è bene parlarne o ricordare questa donna che voleva essere "normale", che voleva essere "se stessa", ma che scelse la via più proibitiva per esserlo.

05/07/22

"The Staircase" - Una bellissima serie con super cast su Sky Tv e NowTv, che racconta una storia vera


The Staircase è (almeno) due cose diverse, di cui una, la serie televisiva attualmente in onda su Skytv-Nowtv realizzata nel 2022 con un super-cast che comprende Colin Firth, Toni Colette e Juliette Binoche.

Entrambi però hanno lo stesso oggetto: Il processo a Michael Peterson, giornalista e scrittore americano, accusato dell'omicidio della moglie, Kathleen Peterson, ritrovata morta ai piedi della scala interna di casa sua nel 2001.
Per un curioso gioco di specchi, il documentario francese - e i suoi autori, compresa la montatrice - sono finiti, come protagonisti, nella serie televisiva del 2022.
Ai documentaristi francesi infatti, Peterson consegnò la sua vicenda e la sua vita, quando fu accusato della morte della moglie e cominciò il processo. E il documentario francese - convintamente innocentista - finì per rendere nota a tutti l'intricata vicenda di Peterson e dei suoi 5 figli, della sua famiglia allargata, appassionando il pubblico di mezzo mondo.
Il perché è presto spiegato: "The Staircase" ha in tutti e due i casi al centro della vicenda, il tema della "giustizia giusta" (o ingiusta), e - ancora di più - il tema della verità giudiziale e di quella reale (e di ogni versione che noi definiamo verità e cosa serve per questa).
La serie 2022 è di livello molto alto: Colin Firth riesce ad essere un protagonista credibile; la sua recitazione - da Oscar- è fantastica, tutta in sottrazione e colora di mille ambiguità il personaggio che interpreta, un manipolatore che si è allontanato talmente tanto da se stesso da non sapere nemmeno più chi è; Toni Colette è l'infelice moglie assassinata - o morta "per accidente"; Juliette Binoche è l'ingenua montatrice che sposa visceralmente la causa del'innocenza di Mike Peterson, affrontandone le conseguenze.
Nell'arco di 8 puntate da un'ora ciascuno si pensa, si riflette e ci si diverte anche, alle prese con un legal del tutto insolito e con l'ironia di Firth che tiene banco con la sua recitazione alla Mastroianni, sempre in levare.
Grande produzione HBO, qualità assicurata. Ne vale la pena.

Fabrizio Falconi - 2022

22/03/22

The White Lotus, la bellissima e feroce nuova serie HBO che racconta cosa è diventato l'occidente

 


The White Lotus è una ferocissima, splendida serie (2021), una delle migliori dell'anno, che non smentisce la qualità del marchio HBO, ormai una garanzia assoluta. 

L'ha scritta il geniaccio Mike White immaginando e descrivendo una settimana in un prestigioso resort hawaiano chiamato appunto "The White Lotus". Protagonista è il concierge Armond (uno stupefacente Murray Bartlett) che deve vedersela con clienti ricchi sfondati e pazzoidi (una coppia in luna di miele, una famiglia disfunzionale, una attempata signora depressa venuta a disperdere le ceneri della madre). 

Siamo dalle parti dei Coen (e di Fargo, in particolare), in quanto a toni e atmosfere: domina il grottesco, la satira tagliente, ma si vira decisamente sul dolente e sul drammatico mano a mano che ci si avvicina alla fine. 

Scene sessualmente esplicite, ma non insistite o volgari, e la capacità talentuosa di far evolvere un'ambientazione o "scenario" già visto (il resort di lusso, i ricchi che si comportano male, l'isola esotica) in qualcosa di veramente e del tutto originale. 

E' una descrizione feroce di quello che è diventato l'Occidente e in tempi come questi viene da pensare quanto sia facile per la propaganda di Putin (ma del resto anche per quella araba/musulmana) puntare il dito su un Occidente alla deriva, in preda alla depravazione dei costumi, al consumo abissale di droghe e alcol, alla dipendenza da farmaci e tecnologia, alla mancanza assoluta di un qualsiasi punto di riferimento alto (non diciamo "morale") superstite, in grado di riempire quel vuoto di senso miserevole in cui è precipitata la vita. 

Eppure, grazie proprio ad opere come questa di Mike White, l'Occidente dimostra una capacità reattiva, autoconsapevole e autocritica durissima (come già accadeva in Don't Look up): il fatto che in Occidente si possano immaginare storie come queste, descriverle, farle vedere a un pubblico, è esattamente la differenza che ancora esiste - e non è poco - tra l'Occidente (o quel che resta di esso) e i regimi di Putin o panislamici fondamentalisti, che si illudono di fermare il tempo solo con la censura e la dura repressione dei comportamenti e delle libertà.

Fabrizio Falconi - 2022 

29/01/22

Come rifare 50 anni dopo, "Scene di un matrimonio" di Bergman e come farlo meravigliosamente bene


Si pensava che fosse impossibile e impensabile imbarcarsi in un remake da un'opera mitologica come "Scene da un matrimonio" che Ingmar Bergman realizzò per la televisione qualcosa come 50 anni fa, nel 1973, archetipo e prototipo delle "serie" televisive, che nasceranno soltanto 30 anni più tardi.

Invece l'israeliano Hagai Levi non solo ci ha provato, ma ha realizzato un miracolo.

D'altronde Levi è il più brillante scrittore e creatore della sua generazione, basti pensare che ha inventato il "format" di In Treatment, (nell'originale israeliano Be Tipul), poi esportato e rifatto negli USA e in decine di altri paesi.

Prodotto dalla Hbo, la più raffinata delle reti, Hagai Levi ha riscritto interamente il copione bergmaniano, operando alcune coraggiose modifiche: tagliando la puntata n.2 di Bergman (quella che aveva il meraviglioso titolo "L'arte di nascondere la polvere sotto il tappeto") - e quindi qui sono 5 non 6 - e invertendo i ruoli dei protagonisti:  nella serie 2021 non è il marito a tradire e a andarsene, ma la moglie. E di conseguenza, tutto avviene a parti invertite.

La sostanza però non cambia. Ma tutto viene "aggiornato" secondo lo zeitgeist, lo spirito del tempo, di oggi.

Ed è una serie dolorosissima, come l'originale, ma necessaria.

5 puntate meravigliose, contenute nel claustrofobico legame tra Jonathan (Oscar Isaac) e Mira (Jessica Chastain), che non riescono ad essere all'altezza dell'amore che li lega, del sentimento che sentono l'un l'altro, che sabotano - come spesso succede - questo rapporto e anche le loro vite individuali, alla ricerca di aria, di libertà, di spazio, di crescita evolutiva, di emancipazione, salvo ritrovarsi poi all'apparente punto di partenza, sconsolatamente orfani di qualcosa che hanno perduto e che non può ormai più essere rimesso in piedi - se non sotto forma di affetto o scarna sessualità estemporanea.

Quest'opera riesce insomma ad essere degna dell'originale bergmaniano (anche se ovviamente, nelle mani del maestro, tutto ciò si trasformava in una delle sue ricerche da entomologo sulla natura e sulle ombre dell'animo umano).

Tutto ciò grazie a due attori veramente straordinari, Jessica Chastain e Oscar Isaac che si mettono in gioco completamente, esponendo con se stessi, la nudità completa dei loro personaggi, indagati instancabilmente da primi o primissimi piani.

I due meritavano e hanno vinto innumerevoli, meritatissimi premi.

Il segreto della loro alchimia sul set, sembra nasca dal fatto che si conoscono da tantissimo tempo, essendo ex compagni di corso nella mitica Julliard School che ha sfornato innumerevoli talenti negli ultimi anni.

Ogni piega, ogni dolore, ogni lacrima, ogni sorriso, ogni violento litigio, ogni compassione o riappacificazione è dunque qui mostrata con naturalezza, con estrema verità.

Una serie che è una delle più belle e sostanziose sorprese di questi ultimi due difficilissimi anni, per tutti.

Fabrizio Falconi - 2022

05/03/20

Perché la serialità tv italiana è così sterile e asfittica?



E' piuttosto inspiegabile - e indice di un paese a corto di ispirazione o di iniziativa - il fatto che in Italia - con il bendiddio rappresentato da 3000 anni di retaggi storici e civiltà patrie - si producano  soltanto serie tv e film sulle gomorre, ndranghete, suburre, oppure rassicuranti polpettoni biopic o don mattei, o al massimo della creatività, gli infiniti papi sorrentiniani.  

Ora non si pretende certo, in questo clima, un riaffacciarsi di produttori come quelli che hanno fatto grande il cinema e la serialità italiana in passato, che erano sperimentatori geniali, non si pretendono certo gli Otto e Mezzo, i Blow up, i Gattopardi, e nemmeno di certo le Anna Karenina di Bolchi o le Mani Sporche di Sartre-Petri, che andavano in onda sulla RAI nazionale, ma qualcosa di minimamente creativo che riguardi le nostre meravigliose storie - La Storia di Elsa Morante? Gli Indifferenti di Moravia? Il nostro ventennio fascista? Gli anni di piombo? Il sequestro Moro? Oppure, che so, se vogliamo essere sicuri di vendere una serie all'estero: una grande serie sulla moda italiana? Una serie tv sulla vita avventurosa di Caravaggio? Un film sulla epoca d'oro di Cinecittà a Roma? Un film sullo sbarco ad Anzio vissuto dagli italiani che vivevano su quella costa? Un bel filmetto sul furto della Gioconda? Una serie storica sulla Sindone? Una serie sulla epopea di Enzo Ferrari? Un divertente serial-commedia ambientato nei retroscena di un grande ristorante di alta cucina italiana?  

Forse è troppo chiederlo? Il fatto è che si guardano le cose prodotte e sfornate ogni mese dalla BBC e dagli altri canali britannici - non parliamo di Netflix, HBO o Amazonvideo - e cascano le mani.


Fabrizio Falconi
- marzo 2020

09/09/16

"The Night of" - Una splendida mini-serie HBO.



In Italia arriverà solo dal prossimo 25 novembre, trasmessa da Sky Atlantic.  Ma già da ora vi dico di appuntarvi questo appuntamento e non mancare The Night of, che davvero è una delle più belle serie di sempre. 

Per l'esattezza si tratta di una miniserie televisiva statunitense in otto puntate prodotto dalla HBO (un marchio di garanzia) e trasmessa dalla stessa emittente in America, dal 10 luglio 2016, basata sulla serie britannica Criminal Justice della BBC.

Il progetto iniziale è una idea dell'attore James Gandolfini che avrebbe dovuto esserne protagonista, con Richard Price come sceneggiatore e Steven Zaillian come regista

La morte prematura e improvvisa di James Gandolfini, avvenuta in un albergo romano il 13 giugno del 2013, ha indotto i responsabili della HBO ad abbandonare il progetto.

Che è stato ripreso qualche anno più tardi scegliendo come protagonista, al posto di Gandolfini, Robert De Niro, che ha poi rinunciato per sopravvenuti impegni, e alla fine John Turturro. 

The Night of è un classico drama in otto puntata, un giallo in piena regola, che avvince sin dal pilot iniziale.

E' la storia di un ragazzo pakistano - di buona famiglia, studente universitario - che in una notte, dopo aver preso di nascosto il taxi del padre per recarsi ad una festa di compagni di scuola, conosce una ragazza (che sale sul suo taxi credendolo in servizio) e dopo aver dormito a casa sua, si sveglia e la trova morta, uccisa da 22 coltellate.

Il ragazzo preso dal panico, scappa portandosi via il coltello con il quale lui e la ragazza hanno giocato al gioco della mano dopo essersi drogati insieme. 

Subito fermato, il ragazzo viene arrestato con l'accusa di aver ucciso la donna. 



La notte dell'agguato, un avvocato difensore d'ufficio - John Turturro - si interessa di lui dichiarandosi pronto a difenderlo. 

Da qui si dipana una lucida vicenda che vede da una parte l'odissea in carcere del ragazzo pakistano, e dall'altra, quella dell'avvocato John Stone (Turturro) alle prese con il caso, che gli viene dapprima scippato da un'avvocatessa specializzata nella difesa dei diritti umanitari e gli torna poi indietro in una serie di colpi di scena.

Solo all'ultima puntata si capirà cosa è successo quella notte nella casa della ragazza.

La serie ha ottenuto recensioni entusiastiche oltreoceano e anche in casa nostra.  In effetti la serie è un prodotto di altissima qualità dal punto di vista tecnico come spiega in questo articolo Il Post, oltre a proporre una interpretazione da Oscar di Turturro nei panni di uno dei più bei looser che si siano visti recentemente, l'avvocato squattrinato e umano, ipocrondriaco eternamente alle prese con un bruttissimo eczema. 

E' anche un ottimo poliziesco, un prodotto classico e allo stesso tempo innovativo. Un racconto che - per i suoi particolari e per la rilevanza complessiva della storia - non si dimentica facilmente.

Fabrizio Falconi 



06/05/14

Disputa sul tradimento. Un bell'articolo di Federica Manzon su La Lettura del Corriere della Sera.



Le relazioni pericolose (Dangerous Liaisons) diretto da Stephen Frears nel 1988

Il tradimento è uno sfogo maschile opportuno, addirittura essenziale a preservare la famiglia. Così pensa Martin Hart, il protagonista di True Detective, l’ultima serie tv culto della Hbo. Martin tradisce la moglie con ammirevole costanza, con donne più giovani, donne che lo legano al divano con le manette, che gli fanno ogni genere di proposta al telefono: «Il lavoro ti assorbe tanto» dice, «bisogna decomprimere, prima di tornare a casa. Alla fine lo fai per il bene di tua moglie e dei tuoi figli». Il tradimento, dunque, è eminentemente prerogativa degli uomini? Certo, pensa il maschio eterosessuale della profonda Louisiana. Certo, dicono i critici di Dominique Strauss-Kahn, sulla cui condotta fedifraga l’ex moglie Anne Sinclair aveva solo qualche sospetto. Certo, dicono le femmine intervistate da Daniel Bergner nel suo ultimo libro Che cosa vogliono le donne (Einaudi Stile libero). 

Naturalmente, mentono. L’esperimento che le ha smentite è semplice: alle volontarie vengono fatte ascoltare delle audio-cassette pornografiche con protagonisti amanti di lunga data, sconosciuti, donne. Tutte dichiarano di preferire il rapporto tradizionale, peccato che gli impulsi nervosi inviati agli strumenti evidenzino il contrario. Le donne sono attratte dalla relazione traditrice, lo sono rapidamente e più liberamente di quanto osino dichiarare. Mettendo mano ai più seri studi scientifici, Bergner scardina ogni falso mito: dalle scimmie alle manager newyorkesi, le donne desiderano il tradimento, lo ricercano, lo praticano, senza che questo debba per forza minare le basi della vita di coppia, senza che questo le renda delle pessime madri. 

Ma se il tradimento, anche quello senza sospiri e senza romanticismi, è diventato unisex, identici sono rimasti i suoi riti. Ancora nel cuore della notte ci giriamo sul fianco per rispondere a un sms. Al mattino, ci precipitiamo a cancellare i messaggi di Facebook. Guardiamo l’iPhone vibrare nella tasca della giacca: scusa ero in una riunione importante. E sempre ci addormentiamo immaginando le sue gambe nude e i suoi occhi che sorridevano troppo, e daremmo qualsiasi cosa per un’ora di irragionevole spensieratezza: Elsa Morante che al telefono acconsente alle richieste di Luchino Visconti, mentre accanto a lei Moravia dorme. È questo il tradimento che rende così immorali? Oppure immorale è il desiderio segreto degli amanti che il marito o la moglie muoiano, perché abbandonarli significherebbe procurare loro un’infelicità e non vogliamo, neppure se la vita insieme ci tormenta e basterebbe appena un po’ di coraggio. O piuttosto immorale è la pretesa d’eternità che ogni promessa d’amore si porta dietro? Quel «per sempre» che giura su un futuro impossibile e suona sinistro tra le paure della nostra infanzia — le gemelle di Shining, il pagliaccio di IT.


16/04/12

Enlightened - La serie televisiva. Spunti per l'oggi.



E' molto interessante Enlightened, la serie televisiva statunitense trasmessa dal 2011 sul canale HBO, e co-ideata ed interpretata da Laura Dern, la grande attrice americana, figlia d'arte (suo padre è Bruce Dern) divenuta 'attrice feticcio' di David Lynch.

La prima stagione, andata in onda dal 10 ottobre 2011, è composta da dieci episodi. HBO ha poi rinnovato la serie per una seconda stagione, anch'essa di dieci episodi.

L'idea di questa serie è molto originale: seguiamo infatti la storia e le peripezie di Amy Jellicoe, una dirigente aziendale di una multinazionale attiva nel settore della cosmetica che, dopo una crisi di nervi causatale dal crollo della propria vita professionale e privata, ottiene il risveglio spirituale grazie ad un percorso di riabilitazione nelle Hawaii e decide così di riprendere in mano la propria vita.

Laura Dern è impareggiabile nel rendere la velleità perfino naif della protagonista di 'cambiare il mondo', una volta tornata alla sua solita vita: cambiare un luogo di lavoro - e colleghi di lavoro - infernali.  Cambiare la madre, persa in un deliquio anaffettivo e catatonico. Cambiare il marito, dipendente dalle droghe e completamente sballato. Cambiare gli amici.
Renderli partecipi di una nuova consapevolezza maturata: cosa è veramente importante nella vita.

Naturalmente questa velleità - convincere gli altri che si è compreso il vero senso della vita, e che la vita che vivono gli altri è piena di cose false, vacue, inutili e dannose - si scontrerà contro un poderoso muro di gomma:   Amy sbaglia tutto, ovviamente, sbaglia nel modo stesso in cui pretende di convincere e di rendere consapevoli gli altri.

Ma gli altri sono impietosi.  E' davvero troppo irresistibile rovesciare in faccia a chi pretende di cambiarti la vita il tuo disprezzo, bollando questa persona  semplicemente come una pazza supponente, una pazza fuori del mondo, che non sa o non vuole rendersi conto di come va la vita. 


E' perciò molto interessante Enlightened, per le dinamiche che descrive, e che ci riguardano tutti. 

Una volta raggiunta la consapevolezza che la vita che si vive fa schifo, cosa si può fare di concreto per cambiarla ? E una volta che siamo disposti a cambiarla, come possiamo per rendere consapevoli gli altri ?

Amy è una ingenua. Ma è anche, indubbiamente, una persona di buona volontà.

I suoi metodi sono sbagliati ma non c'è dubbio che il suo fine sia autenticamente giusto. Ma .. come fare ?  E particolarmente toccanti sono le pagine del suo discorso interiore che viene recitato, in ogni puntata, dalla voce di Amy fuori campo.

Da vedere.

19/12/11

Mildred Pierce - l'ambizione che diventa inferno.



Mildred Pierce è un romanzo scritto da James M.Cain - lo stesso del Postino suona sempre due volte - nel 1941.

La miniserie televisiva HBO (andata in onda su Sky) che ho visto di recente, è molto interessante e anche piuttosto innovativa rispetto al famoso film che dal romanzo trasse nel 1945 Michael Curtiz con Joan Crawford protagonista. 


La storia del libro è nota. E' ambientata a Los Angeles negli anni '30, in piena Grande depressione. 

Mildred Pierce è una donna che divorzia dal marito disoccupato e inefficiente e lotta per mantenere se stessa e le sue due figlie. L’eccessivo attaccamento nei confronti della figlia maggiore Veda la spinge a una scalata verso il successo, che da cameriera la vede diventare proprietaria di ristoranti; ma anche a scelte sbagliate sul piano professionale e privato che condurranno a conseguenze molto disastrose.

La serie televisiva è molto interessante ed è anche ovvio immaginare il motivo per cui la HBO abbia deciso di produrla proprio oggi: i tempi si assomigliano, in America come nel resto del mondo occidentale.

La crisi distrugge ogni certezza e spinge - o spingerebbe - le persone a dare il meglio per cercare di venirne fuori.

Mildred è un tipo tosto. Reagisce con forza che appare sovrumana perfino alla morte della figlia piccola, che si ammala a 6 anni.

Ricomincia sempre daccapo. Non rinuncia, non si piange addosso.  Si prende e pretende il meglio, spinge sul tasto della propria incrollabile ambizione personale. Non si rassegna. Non solo non vuole soccombere, ma vuole anche invece affermarsi.      Dimostrare a tutti ciò che vale.

Il problema, però, è che Mildred, anche Mildred, deve fare i conti con il proprio fattore umano.

In termini psico-analitici si potrebbe dire, con la propria ombra.    L'ambizione, che per Mildred è uno straordinario mezzo di emancipazione sociale, è anche la sua condanna, il suo personale inferno.

Ciò che Mildred non percepisce, non vuole capire, non vuol sentire, è che l'ambizione la guida, e non è lei a guidare la sua personale ambizione.

In questo Mildred è una specie di Bovary del Novecento: perennemente in-soddisfatta di quel che ha (il marito, la posizione sociale, il lavoro), cerca quel che non ha, anche se non è alla sua altezza. O forse proprio per questo.

A differenza della creatura flaubertiana però, Mildred sa dare concretezza e continuità ai suoi sogni di grandezza.   Non sono semplici chimere.  Per buona parte della sua storia, Mildred sembra capace di poter controllare l'esaudimento dei propri desideri.

E però, la vita - in questo caso l'ombra che la vita di Mildred contiene - presenta il suo conto.

Sotto forma di una figlia diabolica che ritorce contro la madre quegli stessi sogni di grandezza, uccidendone allo sbocciare ogni evidenza, rovinandone ogni godimento, contro-figurando ogni possibile soddisfazione emotiva, nel peggiore dei modi.

E' una buona lezione, Mildred Pierce - nella splendida interpretazione di Kate Winslet, oramai una delle migliori attrici del panorama contemporaneo.

E' una buona lezione, anche se arriva da una prospettiva puritana, tipicamente americana.

Ci spinge a chiederci, anche a noi, in giorni che appaiono sotto molti aspetti non lontani dalla realtà che vive Mildred nella sua piccola epopea di Glensville,  cosa sia veramente necessario, e cosa non lo sia.

Cosa serva realmente alla nostra vita - emanciparci socialmente, dimostrare a tutti chi siamo, far soldi - e cosa non lo sia.

Cosa resti in mano alla fine di tutto, quando l'età del corpo sfiorisce, insieme alle illusioni di cui ci piace costellare il nostro transito terrestre.