Visualizzazione post con etichetta ingeborg bachmann. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ingeborg bachmann. Mostra tutti i post

29/04/22

Libro del Giorno: "Troviamo le Parole" - Lettere (1948-1973) di Paul Celan e Ingeborg Bachmann

 



Viene finalmente stampato anche in Italia il carteggio (superstite) tra due dei più grandi protagonisti della scena letteraria europea del Novecento, Paul Celan e Ingeborg Bachmann, in un volume che ne ricostruisce la vicenda epistolare. Due spiriti difficili, provati da vite faticose e infelici, che hanno esplorato vette poetiche di difficile accesso, allo stesso penalizzati nella loro vita relazionale da un eccesso di sovrastrutture, di un pensiero contorto, avvitato, negli spazi abitati (anche) dall'ansia e dall'angoscia. 

Nella Vienna del dopoguerra si incontrano Paul Celan e Ingeborg Bachmann, lei diciottenne con un padre fervente nazista, lui ebreo fuggito dalla Romania e scampato ai campi di concentramento

A partire dal ’47 fino al suicidio di Paul nel ’70, le loro vite sono legate da un doppio filo sentimentale e poetico, e queste lettere testimoniano la lunga storia di amori e dissapori, di condivisione e di silenzio, che li ha legati per diciannove anni, sempre alla ricerca delle parole che li facessero incontrare. 

Alle loro voci si uniscono quelle dei carteggi di Paul con Max Frisch, compagno della Bachmann, e di Ingeborg con Gisèle Lestrange, moglie di Celan.

E' la parte forse più interessante di questo libro, penalizzato - almeno nella edizione e nella cura italiana - dalla mancanza di un efficace apparato contestuale, che spieghi al lettore ciò che accade - mentre le singole lettere vengono scritte - alle vite dei due protagonisti, 

Paul Celan non tenne conto di un avvertimento che Ingeborg (Bachmann) gli scrive a un certo punto, in una lettera, e cioè che loro due non potevano, non avrebbero mai potuto vivere insieme a qualcun altro (e d'altronde anche Ingeborg ci provò a lungo, con risultati egualmente disastrosi, con Max Frisch). 

Così è del tutto tragico l'epilogo di tutte e due queste vite: Celan provò una prima volta ad uccidere la moglie, Gisèle Lestrange, il 24 novembre del 1965. Fu sottoposto a ricovero coatto in diverse cliniche psichiatriche fino all'11 giugno 1966. Ci riprovò una seconda volta, il 30 gennaio 1967, senza riuscirci e tentando il suicidio. Di nuovo fu ricoverato in una clinica psichiatrica fino al 17 ottobre 1967. 

Finalmente Gisèle nell'aprile seguente, chiese la separazione, constatando l'impossibilità di vivere insieme. Il 20 aprile 1970 Celan si suicidò nelle acque della Senna, dopo aver riempito le tasche di sassi. 

Ingeborg Bachmann dall'autunno 1965 e fino al 1967 fu ricoverata in diverse cliniche, in seguito alla separazione da Max Frisch. Il 17 ottobre 1973 Ingeborg Bachmann morì in una clinica romana a seguito delle ustioni riportate nel suo appartamento di Via Giulia (si era addormentata al letto con una sigaretta accesa, stordita dalla enorme quantità di farmaci che assumeva).

E' nelle lettere finali tra Paul e Max Frisch, e soprattutto in quelle tra la Bachmann e Gisèle, che il contesto si fa più chiaro, e i due riescono forse come non erano riusciti a far prima, tra di loro, a dare parole concrete ai loro sentimenti, alle paure, al timore, al senso di colpa, ma soprattutto alla consapevolezza.

In questo non sembra un caso che mentre il tono tra i due maschi Paul e Max resti tutto sommato più freddo, distaccato - e vi si percepisca l'implicita rivalità nei confronti di Ingeborg - tra le due donne invece, l'accoglienza sia più vera, naturale, pietosa e anche sublime. Anche qui, le donne sembrano capaci di superare i contrasti, di perdonare, di comprendere, di accogliere. Molto meglio degli uomini. Anche se tutti, sembravano parlare lo stesso linguaggio, quello della poesia.


Paul Celan con la moglie Gisèle Celan-Lestrange


Ingeborg Bachmann

 

Ingeborg Bachmann e Paul Celan 

16/04/22

Ingeborg Bachmann e Roma, un destino tragico

 


Sto leggendo in questi giorni l'epistolario tra Paul Celan e Ingeborg Bachmann, meritoriamente pubblicato dall'editore Nottetempo, di cui parlerò più avanti, e mi torna alla mente il tragico destino della grande scrittrice austriaca, innamorata del nostro paese e di Roma, in particolare, dove finì i suoi giorni nel modo più tragico. 

Dopo diversi soggiorni, in gioventù e nell'età matura, la Bachmann era tornata nel 1965 a Roma, a trentanove anni. Era una autrice ormai affermata, anche se il suo stile raffinatissimo, le sue poesie rarefatte e i racconti e i romanzi densi e magici, non potevano essere destinati a un grande pubblico. 

In quel periodo poi, la scrittrice soffriva per la dipendenza da pillole e alcol e scriveva assai poco. 

Nel 1967 aveva lasciato il suo editore, la Piper Verlag in segno di protesta per aver incaricato l'ex leader dell'HJ (la gioventù nazista) Hans Baumann di tradurre il Requiem di Anna Achmatowa, sebbene la Bachmann avesse caldamente raccomandato l'amico Paul Celan, passando alla Suhrkamp Verlag. 

Nella sua ultima lettera a Bachmann del 30 luglio 1967, Celan la ringraziava per aver preso parte all'"Affare Achmatowa". 

Quattro anni dopo, nel 1971 la Bachmann pubblicò Malina, il romanzo considerato il primo volume di una prevista trilogia intitolata Tipi di morte

L'ultimo lavoro di Bachmann è oggi considerato un "paradigma della scrittura femminile". 

Ancora due anni dopo, la fine improvvisa di uno spirito geniale e tormentato: nella notte tra il 25 e il 26 settembre 1973, Ingeborg Bachmann subì gravi ferite nel suo appartamento romano, in Via Giulia, a causa di un incendio appiccato da una sigaretta accesa mentre si stava addormentando. 

Oggi  si sa che la sua dipendenza dalle pillole fu considerata una delle ragioni dell'incendio. 

Alfred Grisel, un amico intimo, riferì di una visita a Bachmann a Roma all'inizio di agosto 1973: “Sono rimasto profondamente scioccato dall'entità della sua dipendenza dalle pillole. Dovevano esserci circa 100 pezzi al giorno, il cestino traboccava di scatole vuote. Aveva un aspetto brutto, era pallida come la cera. E su tutto il corpo coperto di macchie. Mi chiedevo cosa potesse essere. Poi, quando ho visto la Gauloise che stava fumando scivolare dalla sua mano e bruciarsi sul braccio, l'ho capito: ustioni causate dalla caduta delle sigarette. Le tante pillole avevano reso il suo corpo insensibile al dolore.”

Dopo il grave incidente, la Bachmann fu portato all'ospedale Sant'Eugenio. La sua forte dipendenza dai sedativi (barbiturici), di cui i medici curanti inizialmente non erano a conoscenza, innescarono convulsioni simili a crisi epilettiche. 

Il 17 ottobre 1973 morì di sintomi di astinenza fatali all'età di 47 anni. 

Fu sepolta il 25 ottobre 1973 nel cimitero di Klagenfurt-Annabichl. 

Le indagini su un possibile sospetto di omicidio furono chiuse dalle autorità italiane il 15 luglio 1974. 

In un necrologio in Der Spiegel, Heinrich Böll descrisse la scrittrice come una dei pochi "intellettuali brillanti" che "non hanno perso la sensualità né trascurato l'astrazione nella loro poesia". 

Il suo patrimonio di 6.000 pagine si trova nella Biblioteca nazionale austriaca dal 1979 e può essere visualizzato nell'archivio della letteratura . Dal 2018 esiste anche un patrimonio parziale di quasi 1000 pagine con scritti e lettere dei suoi giorni da studente. 

Nel febbraio 2021 è stata decisa la vendita della casa dei genitori di Ingeborg Bachmann in Henselstraße 26 a Klagenfurt, alla fondazione privata carinziana.

I beni privati ​​di Bachmann, che Heinz Bachmann, fratello di Ingeborg Bachmann, riportò qui dall'appartamento romano dopo la sua morte, sono ancora conservati nella casa. 

Si prevede di aprire la casa al pubblico sotto la direzione del Klagenfurt Musil Museum.

Fabrizio Falconi - 2022

26/03/19

Esce "Ci diciamo l'oscuro", la storia d'amore tra Paul Celan e Ingeborg Bachmann .



L'ha scritto Helmut Bottiger il primo libro che racconta la tormentatissima storia d'amore tra due giganti della poesia del Novecento, Paul Celan e Ingeborg Bachmann ed ora esce in Italia per l'editore Neri Pozza. 

I due poeti, l'una austriaca, l'altro rumeno di nascita (il suo nome era un anagramma di quello vero: "Ancel"), si erano conosciuti a Vienna nel 1948.  La Bachmann aveva 22 anni e studiava filosofia (si laureò con una tesi su Heidegger), lui aveva una storia tragica già alle spalle: sfuggito per miracolo all'Olocausto, Celan, a 22 anni, nel 1942 non era stato presente quando i suoi genitori, ebrei, furono deportati e poi uccisi.  Anche Paul fu internato in un campo di lavoro nazista, ma - non si sa esattamente come - riuscì a fuggire e a raggiungere Bucarest da dove, nel '47 se ne andò per raggiungere a piedi Vienna, nauseato dall'antisemitismo che sentiva regnare nel suo paese tra i nuovi invasori bolscevichi. 

Anche la Bachmann, più giovane di 6 anni, aveva dovuto fare i conti con la tragedia: suo padre era stato membro del partito nazista, dopo che da ragazzina, nel '38, aveva visto Klagenfurt, la città dove era nata e cresciuta, invasa dalle truppe di Hitler. 

A Vienna, nel '48 era iniziata tra i due una storia d'amore: Celan, poverissimo, esule, aveva incantato la giovane viennese con i suoi versi, le aveva riempito la stanza di papaveri, insieme avevano trascorso sei settimane bellissime, poi lui era partito, senza un soldo, per Parigi, la città dalla quale lui, ormai apolide, si sentiva inesorabilmente attratto. 

Ingeborg lo raggiunse un paio d'anni più tardi, nel '50, e la loro storia proseguì, nella difficoltà un continuo lasciarsi, riprendersi, tentare di diventare amici. 

Per entrambi la scelta della poesia era radicale: una ragione di vita. E quando due anni più tardi, nel '52, Ingeborg presentò Celan alla riunione a Niendorf del prestigioso Gruppo '47 che aveva rivoluzionato la letteratura tedesca e lanciato i più grandi intellettuali e poeti dell'epoca, l'esibizione di Celan fu un fiasco: il carattere del poeta era pieno di contrasti, tetro e allegro, insofferente e conciliante, taciturno e a volte logorroico, in più il suo modo di leggere le poesie era quasi una meditazione, con pause lunghissime e un intenso pathos, che poco piaceva agli intellettuali tedeschi dell'epoca. 

Deluso, Celan, tornò a Parigi.  Anche se il rapporto con la Bachmann, fatto di anima e di versi, proseguì: lui le dedicò anche la raccolta "Papavero e memoria" in cui si rievocavano gli incanti dei giorni del '48.  

Anche a distanza i due non smisero di scriversi, di cercarsi, di interagire. 

E quando Celan, divorato dai suoi demoni, mise fine ai suoi attacchi di follia gettandosi nelle acque della Senna (1970), per la Bachmann il dolore fu insostenibile. Solo 3 anni più tardi anche Ingeborg morì tragicamente a Roma, nel suo letto, a causa di una sigaretta che aveva tra le dita e che incendiò il letto nel quale dormiva.   

Negli ultimi tempi fumava cento Gitane senza filtro al giorno e assumeva forti sonniferi da cui era diventata dipendente.

L'amore li aveva uniti forse troppo brevemente, e  non li aveva salvati.

Fabrizio Falconi


Helmut Bottiger
Ci diciamo l'oscuro 
traduz. Alessandra Luise 
Neri Pozza 2018 
pagine 273 


17/09/13

"Roma significa il mondo" di Ingeborg Bachmann (inedito).




Roma significa il Mondo.


A Roma ho visto che il Tevere non è bello, ma trascurato nelle banchine, da dove spuntano rive a cui non c'è chi metta mano.  Nessuno usa le navi da carico brunite dalla ruggine, nemmeno le barche.  ..  A Roma ho visto nel ghetto che non bisogna lodare il giorno prima della sera.  Ma nel giorno dell'espiazione a ciascuno sarà perdonato in anticipo per un anno..

Ho visto a Campo de' Fiori che Giordano Bruno continua ad essere bruciato. Ogni sabato, quando smantellano le bancarelle intorno a lui restano solo le fioraie, quando la puzza di pesce, cloro e frutta marcita va disperdendosi sulla piazza, gli uomini raccolgono sotto i suoi occhi i rifiuti che sono rimasti dopo che di tutto è stato fatto mercato, e danno fuoco al mucchio.

Sul Campidoglio l'alloro e nel foro l'erbaccia proditoria, e quando l'erba sulle colonne chiuse con assi e sulle mura spezzate piombava nel crepuscolo, ho udito il rumore della città, ingannevolmente lontano, e soave lo scivolare delle automobili.

Ho visto, dove le strade di Roma finiscono, insinuarsi in città il cielo trionfante che non si chinava sotto nessun portone e si estendeva sopra i sette colli, azzurro dopo le scorrerie sulle coste della Sicilia e pieno dei frutti delle Isole del Mar Tirreno, illeso dopo gli assalti nei briganti d'Abruzzo e nero di grappoli di rondini, sopra gli Appennini.

A Roma ho visto che tutto ha un nome e che bisogna conoscere i nomi.

Alla stazione Termini ho visto che a Roma i commiati sono presi più alla leggera che altrove. Perché quelli che partono lasciano a quelli che restano lo scontrino della nostalgia.


Ingeborg Bachmann - inedito, dal Messaggero del 17 settembre 2013, anticipazione del libro Quel che ho visto e udito a Roma, di Ingeborg Bachmann pubblicato da Quodlibet. 

Ingeborg Bachmann
Quel che ho visto e udito a Roma
Presentazione di Giorgio Agamben
Con una nota di Jörg-Dieter Kogel
Traduzioni di Kristina Pietra e Anita Raja

Vai alla nuova edizione economica nella collana "Bis"

Le corrispondenze da Roma di Ingeborg Bachmann per la radio di Brema (1954-'55), qui pubblicate insieme agli articoli da lei scritti nello stesso periodo per alcuni giornali tedeschi, sono un ritrovamento recente e testimoniano sia di un aspetto sconosciuto di questa ormai celebratissima scrittrice, sia di uno spaccato dell’Italia postbellica visto da una angolatura di eccezione. La Bachmann conosceva perfettamente l’italiano e si orientava con sicurezza nella politica e nella cultura locali. Dietro lo pseudonimo Ruth Keller, ella riferisce sugli argomenti più scottanti del periodo: su misteriosi eventi criminosi negli ambienti altolocati romani (il caso Montesi), su presunti tentativi di eversione da parte dei comunisti italiani, sulle catastrofi naturali che colgono di sorpresa i già provati popoli della Campania, sulle inquietanti manovre della mafia, sull'’ascesa alla ribalta della Lollobrigida e sulla ratifica dei “trattati di Parigi”. Un’occasione per ripercorrere la vita italiana degli anni ’50, meno distante da quella odierna di quanto si pensi, e per comprendere meglio l’attività di una scrittrice che ancora non ha finito di svelare tutti i suoi segreti. Assieme alle “Cronache”, pubblichiamo una breve prosa coeva, che dà il titolo all’intero volume, e che parla a sua volta di Roma. Associamo al grado meno letterario e più “fattuale” della scrittura bachmanniana una prosa intrisa di ispirazione conforme allo stile più noto e più felice della scrittrice. Si apre così lo spazio totale entro cui si muove l’occhio della Bachmann e da cui affiora il suo ritratto di Roma, e molti dei motivi che popolano le altre sue opere letterarie.