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03/12/21

Libro del Giorno: "Crossroads" di Jonathan Franzen

 


Appena terminata l'ultima pagina, con un finale così sospeso che non trova altra giustificazione che nel  fatto dell'essere Crossroads, la prima parte di una trilogia, un fiume narrativo che continuerà nei prossimi due romanzi, ci si scopre ammirati e sollevati: Franzen è tornato. E' tornato, cioè, dopo il gran brutto inciampo di Purity, quello che conoscevamo e che aveva incantato con Correzioni, e con Libertà

Ed è tornato ancora meglio, al punto che Crossroads, il suo sesto romanzo può forse essere considerato il suo migliore. 

Pubblicato due mesi fa in America, Crossroads è una saga familiare ambientata negli anni '70 e incentrata sulla famiglia Hildebrandt nella piccola città immaginaria di New Prospect, nell'Illinois.  Come detto, il romanzo è il primo volume di una trilogia progettata intitolata A Key to All Mythologies, che Franzen intende come l'abbraccio di tre generazioni e che ripercorre la vita interiore della nostra cultura fino ai giorni nostri". 

Crossroads segue le vicende di Russ e Marion Hildebrandt, il cui matrimonio è vicino al collasso, e i loro quattro figli, Clem, Becky, Perry e Judson

Ogni capitolo è raccontato dal punto di vista di uno degli Hildebrandt, e la maggior parte è ambientata nella fittizia New Prospect Township della periferia di Chicago. 

La prima sezione, intitolata Avvento, si svolge nell'inverno del 1971. Russ, ministro associato della First Reformed Church, flirta con una giovane vedova, Frances Cottrell, odiando il carismatico Rick Ambrose. Russ è stato infatti costretto a lasciare Crossroads, il popolare gruppo giovanile che ha fondato nella sua Chiesa, a favore dello stile di leadership più popolare – e meno liturgico – di Rick. 

I due figli di Russ, Perry e Becky si sono recentemente uniti a Crossroads, con molti problemi: . Perry ha deciso di smettere di spacciare erba e diventare una persona migliore. Becky, una popolare cheerleader, diffida di Perry, anche se è vicina a suo fratello maggiore, Clem. Si è anche scontrata con i suoi genitori per un'eredità di 13.000 dollari da sua zia Shirley. 

Nel frattempo, Marion sta frequentando di nascosto sessioni di terapia, in cui racconta episodi traumatici del suo passato, tra cui una relazione con un uomo sposato di nome Bradley e un crollo psichiatrico. Questi episodi sono avvenuti a Los Angeles poco prima che incontrasse Russ, e lei li ha nascosti alla sua famiglia, nonostante la sua preoccupazione per la stabilità mentale di Perry.

La seconda sezione, Pasqua, inizia nella primavera del 1972. Crossroads compie il suo viaggio di servizio annuale in Arizona , dove Russ ha legami con la comunità Navajo che risalgono al suo servizio alternativo in Arizona come obiettore di coscienza durante la seconda guerra mondiale.

Da qui si dipaneranno una serie di conseguenze impreviste e anche drammatiche. 

Il libro termina nel marzo 1974, quando Clem torna a New Prospect per riunirsi con Becky

Franzen ha iniziato a scrivere Crossroads all'inizio del 2018, e ha finito di scriverlo durante i primi quattro mesi della pandemia di COVID-19 nel 2020, dichiarando che durante la stesura di Crossroads ha deciso di abbracciare pienamente il suo ruolo di "romanziere di caratteri e di psicologia", limitandosi cioè "una rigorosa narrativa realista", e in questo senso il progetto differisce dai suoi romanzi precedenti. 

Il progetto nasce dalla concezione di Franzen di un singolo personaggio, ispirato da una nuova conoscenza che – come Russ in Crossroads – aveva un background mennonita

Il romanzo è anche molto autobiografico: da adolescente, Franzen apparteneva a un gruppo di giovani della chiesa chiamato Fellowship, che è l'oggetto del suo saggio "The Joy Breaks Through" contenuto in "Zona disagio" e che ricorda Crossroads. 

Tuttavia, in Crossroads , Franzen ha affrontato la religione principalmente come "un'esperienza emotiva": Non era mia intenzione cosciente, ma penso di aver prodotto un libro che essenzialmente non contiene teologia... Penso che le domande per me siano: sono una brava persona? Cosa posso fare per essere una persona migliore? Non credo che le persone, in generale, dicano: "Voglio essere buono secondo uno standard esterno". Penso che stiano lottando con esso in un modo più personale e specifico. 

Alla domanda sul motivo per cui ha scelto di ambientare Crossroads nei primi anni '70, Franzen ha sottolineato lo stretto legame tra religione e movimenti progressisti negli Stati Uniti in quel momento - un tempo, cioè, prima che il cristianesimo fosse decisamente associato alla politica di destra. Era anche interessato alle conseguenze dei diritti civili e dei movimenti contro la guerra e al fatto che "si iniziarono a vedere i primi giovani che erano in realtà più conservatori dei loro genitori". 

Franzen ha anche affermato di aver trovato interessante scrivere sul passato, piuttosto che sul presente, durante gli anni dell'amministrazione Trump, a cui sentiva di "non riuscire a dare un senso in tempo reale". 

Le mie impressioni di lettura del romanzo, sono confortate dal supplemento letterario del Times, secondo il quale Crossroads è largamente esente dai vizi da cui è stato dedito il lavoro precedente di Franzen: l'attualità consapevole; la raffinatezza dell'esibizione; la pesantezza formale. Conserva molte delle sue virtù familiari: la robusta caratterizzazione; l'escalation della commedia; la padronanza virtuosistica del ritmo narrativo. 

I critici hanno particolarmente elogiato il personaggio di Marion, che è stato definito "uno dei gloriosi personaggi della recente narrativa americana". 

 Quel che è certo è che Crossroads tocca in profondità con le descrizioni di vite che sono (anche) le nostre e tempi che sono (stati) anche i nostri, con un artifizio da Lanterna Magica che li rende ancora più reali del vero. 

Fabrizio Falconi 

Jonathan Franzen

Crossroads 

Traduzione di Silvia Pareschi 

Einaudi Supercoralli 2021 

Pagine: 600 p.,  Euro 22

03/10/21

Franzen sul nuovo romanzo Crossroads: "I Vangeli sono un documento politico radicale che la sinistra americana ha completamente dimenticato"


Ci sono dei passaggi nella bella intervista a Jonathan Franzen pubblicata sul Corriere della Sera il 25 settembre scorso e realizzata da Cristina Taglietti a proposito del suo nuovo romanzo Crossroads (Einaudi) tra poco disponibile anche in Italia, nei quali ho trovato, espresso con molta chiarezza, uno dei temi (o dei fenomeni) fondamentali della società contemporanea (o post-contemporanea), che molti intellettuali, anche italiani, hanno finora ignorato. 

Franzen spiega la genesi del suo lungo romanzo a partire dallo spunto iniziale: All’origine del romanzo - dice - c’è un gruppo giovanile cristiano, mondo che conoscevo bene. Io stesso ho frequentato la chiesa per 12 anni e come Perry, il figlio di mezzo degli Hildebrandt, conoscevo ogni angolo della chiesa, ogni porta segreta, ogni passaggio, tutti i ministri. Per me è importante partire da ciò che conosco bene, da un luogo in cui mi sento a casa.

Aggiunge poi Franzen: 

Può sembrare sciocco, ma per me essere un romanziere non significa scrivere ciò che voglio, ma ciò che so scrivere. Non uso mai il materiale che potrei usare, ma quello che possiedo. Sono un grande fan di Dostoevskij, di Flannery O’Connor, amo l’arte religiosa, la scultura gotica italiana, l’architettura delle chiese romaniche. Per me tutto ciò è commovente anche se non sono credente. Anche questo è un mondo in cui mi sento a casa, non mi interessa tanto mettere al centro le grandi domande dell’esistenza. Diciamo che mi sento come un falegname che costruisce mobili e tutto ciò che ha a disposizione sono i pezzi di legno avanzati dal progetto precedente.

A Cristina Taglietti, che lo intervista, Franzen conferma che Crossroads, il nome del gruppo giovanile che dà il titolo al romanzo, ricorda molto Comunità, il gruppo che lo scrittore ha frequentato da ragazzo e di cui parla in «Zona disagio». 

Sì, ne sono stato membro attivo per sei anni. A dire il vero ci andavo più per socializzare, come credo la maggior parte dei ragazzi, ma è stata un’esperienza intensa. Molti dei dettagli del romanzo vengono da lì.

Nel passaggio successivo, Franzen spiega cosa lo ha particolarmente interessato della questione, del fenomeno religioso, di come abbia influito assai diversamente, nel passato e nel presente, nella vita politica occidentale. Negli anni '70 infatti, all'epoca in cui Crossroads si riferisce, la religione e la politica progressista erano assolutamente compatibili. 

In seguito le cose sono radicalmente cambiate.

Che cosa si è dimenticato nel tempo? chiede l'intervistatrice.

Che allora la religione e la politica progressista erano assolutamente compatibili. Uno dei piaceri di scrivere Crossroads è stato tornare alla Bibbia. Sono andato in chiesa per 12 anni, ho frequentato il catechismo, le funzioni religiose e, anche se non la rileggo da quarant’anni, mi sono reso conto di conoscerla bene. Io non credo ai miracoli, alla trascendenza, ma ci sono storie molto potenti dentro la Bibbia. L’intertestualità, per usare un parolone, mi interessa sempre e scrivere un libro nuovo in qualche modo legato a uno così antico mi piaceva. Negli anni Settanta, nella mia chiesa e soprattutto nei gruppi giovanili, c’era molta attenzione a ciò che Gesù aveva detto, ci si chiedeva che cosa avrebbe pensato della guerra in Vietnam, della segregazione razziale. I Vangeli sono un documento politico molto radicale che rivela il paradosso del cristianesimo: per tutta la storia umana si è creduto che bisogna cercare di essere ricchi e potenti, il Vangelo dice che essere poveri e deboli è il modo di trovare Dio. Oggi questa componente si è quasi completamente persa nella sinistra americana (anche in quella italiana o europea, nota mia). Il primo atto è stato la legalizzazione dell’aborto che ha attivato gli elementi religiosi più conservatori: i cristiani evangelici sono diventati una potente forza politica, hanno sostenuto Reagan e ogni presidente conservatore fin dalla metà degli anni Settanta. E oggi sono così aggressivi che la cristianità si identifica con le loro posizioni aberranti: l’omofobia, l’adorazione per la ricchezza, l’ingerenza in ogni decisione personale delle donne. A Santa Cruz, in California, dove vivo, se dici a un liberal che vai in chiesa si ritrae terrorizzato, meglio dire che adori Satana nel seminterrato.

Parole molto chiare e forti, che dovrebbero far molto riflettere, anche dalle nostre parti.

QUI l'intervista integrale a Jonathan Franzen del Corriere della Sera realizzata da Cristina Taglietti

26/12/20

Tre romanzi attesissimi per l'anno che arriva - Franzen, Toibin, Spufford




L'anno che arriva, il 2021, tra i molti titoli in arrivo, porterà anche tre romanzi molto molto attesi.

Il primo, è il nuovo di Jonathan Franzen, dal titolo chilometrico: Crossroads: A Novel: A Key to all Mythologies. 

"Per alcuni", scrive il critico Allan Massie, "Franzen è il più grande romanziere americano dell'epoca, ed è certamente uno che aspira a esserlo. Per altri, il suo lavoro è rovinato dall'autoindulgenza e dalla pretenziosità. Non sono mai giunto a un'opinione stabile su di lui. Forse questo nuovo libro mi aiuterà a prendere una decisione. Forse. È più probabile, temo, che troverò questo romanzo come i suoi predecessori: alcune parti eccellenti, altre tutt'altro. Tuttavia non può essere ignorato".

Il secondo, attesissimo romanzo porta la firma del grande Colm Toibin che ha già scritto un grande romanzo su Henry James (The Master) un romanziere la cui vita più intensa è stata vissuta nella sua immaginazione. Lo stesso si potrebbe dire di Thomas Mann, il soggetto del nuovo romanzo di Toibin intitolato The Magician, anche se l'emigrazione dalla Germania nazista significa che la sua vita esteriore forse fu più turbata di quella di Henry James. Mann è stato uno dei più grandi romanzieri europei del XX secolo e scrivere un romanzo su un grande romanziere è audace: l'autore  vincerà questa sfida? La sfida di "una vita vissuta molto nella sua testa, una vita convenzionalmente alta borghese, la sua superficie appena disturbata dalla sua omosessualità repressa."

Il terzo romanzo è dell'inglese Francis Spufford, fin qui autore di saggi, memoir e antologie e di un romanzo, intitolato On Golden Hill, ambientato principalmente nella New York coloniale, già  selezionato per il Walter Scott Historical Novel Prize ed elogiatissimo dalla critica.

Il nuovo romanzo di Spufford si intitola Light Perpetual è descritto come la storia delle "vite immaginate di cinque persone uccise nel London Blitz", ovvero dei bombardamenti dei nazisti a Londra avvenuti tra il 1940 e il 1941. Non è ancora chiaro se questo significhi che si tratta di una ricostruzione delle vite che avevano vissuto o di una proiezione delle vite che avrebbero potuto avere se fossero sopravvissuti ai bombardamenti. 

notizie tratte da The Scotsman

16/04/16

"Purity" di Jonathan Franzen (RECENSIONE).




Premetto: il nuovo Franzen mi ha deluso consistentemente. 

E qui spiego perché.  Non si tratta di discutere dello straripante talento di Franzen, della sua abilità e complessità stilistica, che gli hanno dato fortuna e celebrità (con tutto quel che ne consegue al punto che oggi è difficile parlare di lui, perché come ogni fenomeno troppo popolare, ci si distingue aprioristicamente in partiti a favore e contro).  Da questo punto di vista credo che Franzen superata la soglia dei 55,  non debba dimostrare nient'altro.

E il suo romanzo è come sempre un meccanismo di altissima precisione, perfettamente oliato, dove tutto funziona o sembra funzionare a dovere. 

Nell'arco di 642 pagine - Franzen ha dichiarato recentemente di non riuscire a scrivere romanzi brevi, che il lungo è il suo formato naturale - Purity mette in scena di tutto: almeno quattro personaggi protagonisti (la prima, la ragazza chiamata Purity o Pip, in esplicito omaggio dickensiano), una ventina di personaggi secondari, trame e sottotrame che si rincorrono, racconti in prima persona, diari, messaggi, mail, flashbacks a profusione, ganci  per lasciare il lettore in sospeso alla fine di ogni capitolo, sei parti, ciascuna funzionante come una novella autonoma, colpi di scena efficacissimi, come quello di pag. 265, che scoperchia il romanzo. 

La storia è stata descritta ampiamente sui giornali, sugli inserti, sui siti: si comincia con la giovane Purity, ragazza neolaureata che vive in una sorta di casa-comune, in povertà, con i debiti accumulati per studiare che non sa come pagare.  Della madre sappiamo che ama smisuratamente sua figlia ma per qualche motivo misterioso le nasconde l'identità del padre - e anche del resto della sua famiglia. Anche lei vive ai margini, con un lavoro di commessa, psicologicamente fragilissima. 

La caratteristica di Purity, come già accadeva in Correzioni e in Libertà, è quella di lasciare ad un certo punto quello che si presume essere il protagonista, e andarsene apparentemente altrove (non è così ovviamente).  Ecco dunque che a metà del libro, a pag. 352- ma era successo già precedentemente nella parte La repubblica del cattivo gusto - Purity viene abbandonata al suo destino, dopo che ne abbiamo seguito le tracce prima a Denver, come stagista per il quotidiano locale indipendente locali, e poi in Bolivia, adepta del Sunlight Project, una sorta di Wikileaks creata dallo spregiudicato Andreas Wolf (una sorta di via di mezzo tra Julian Assange e Snowden). 

Nella seconda parte del romanzo Pip scompare. E tutta l'attenzione di concentra su Wolf (di cui abbiamo già conosciuto le radici, nella parte ambientata nella DDR dove abbiamo scoperto che è anche un assassino, anche se apparentemente per amore della giovane Anngret) e su Tom Aberant (due cognomi molto espliciti, il primo il Lupo, il secondo un Aber(r)ant), il direttore del Denver Indipendent, che ha conosciuto Wolf anni prima in Germania, e di cui custodisce l'inconfessabile segreto. 

E' proprio questa la parte debole del romanzo.  Franzen è superficiale, indugia con cinismo su Wolf e sulla sua lucidissima follia, e su Tom e le sue vergognose ipocrisie, tra la ex moglie psicotica, Anabel,  e la nuova compagna, la giornalista in carriera Leila. Gira sostanzialmente a vuoto, con l'obiettivo fin troppo dichiarato di dimostrare che la purezza non esiste, i segreti fanno parte della identità costituiva di tutti, il web è un mondo sporco forse anche più del mondo che pretende di ripulire, le amicizie non esistono, tutti tradiscono tutti. 

Il Gioco è esplicito, l'architetto del pregevole meccanismo (Franzen) è sempre al centro, esibendo le qualità della narrazione e compiacendosi di esse, mentre manca del tutto l'ironia (che in Libertà era felicemente dispensata) che rende pietoso il racconto, e possibile l'empatia del lettore. 

Alla fine della lettura si ha un senso di vuoto: la storia non ci ha dato niente, c'è l'impressione che Franzen sia rimasto vittima del suo stesso meccanismo e che la preoccupazione di dire qualcosa (molto di quello che già si sa sulla solitudine, sul mondo di internet, sulle anime sempre più connesse e sempre più disorientate) abbia prodotto il risultato di non dire nulla (o almeno nulla di nuovo). 

Gli amanti di Franzen ritrovano tutte le sue ossessioni (la mancanza e il dolore familiare, l'ornitologia, il sesso); in compenso i personaggi maschili sono terrificanti e il romanzo in molte pagine esprime una concezione totalmente maschilista del presente (le donne sono quasi tutte geishe devote in adorazione del maschio scopatore, o psicolabili irrecuperabili). 

Insomma alla fine l'unica cosa che si ammira veramente è la struttura narrativa insieme alla brillantezza dei dialoghi, alla acutezza e alla genialità delle sentenze.  Ma Purity è un romanzo che si avvicina di più a Donna Tart (e alla sua superficialità ben commerciale) piuttosto che ai grandi maestri del Romanzo Americano ai quali Franzen esplicitamente tenta e dice di ispirarsi (primo fra tutti l'inarrivabile Saul Bellow che in Purity viene continuamente evocato con uno dei suoi romanzi più grandi, Le avventure di Augie March): in effetti la differenza tra un Bellow e un Franzen è tutta qui. Bellow ha scritto una ventina di romanzi, tutti allo stesso livello di eccellenza e senza che il suo io (pure piuttosto consistente) divenisse mai l'esplicito referente della tecnica narrativa; Franzen, giunto alla terza prova della maturità scivola nell'ovvio e commette la presunzione di salire sulla ribalta più di quanto la sua nuova storia riesca mai a fare. 


Fabrizio Falconi (C) - 2016 riproduzione riservata



26/10/15

'Le correzioni' di Jonathan Franzen (Recensione).



E' sempre difficile recensire un libro che ha avuto così grande successo. Come è capitato a Le Correzioni (The Corrections, 2002), con il quale Jonathan Franzen ha vinto il National Book Award e che gli ha assicurato la notorietà internazionale. 

Il romanzo è stato pubblicato in Italia da Einaudi nell'ottima traduzione di Silvia Pareschi (ma con una copertina incredibilmente fuorviante: l'infanzia in questo libro non ha alcuna rilevanza, gli unici personaggi bambini, i figli di Gary, non entrano mai a pieno titolo nella narrazione).

Si tratta di un romanzo compiuto e felice, sebbene di contenuto molto duro e lucido.  Franzen affronta il preferito tema della famiglia (tornerà anche nel romanzo seguente, Libertà) e della sua apparente disgregazione e inaspettata sopravvivenza. 

La famiglia di Franzen è composta da due anziani genitori, la materna e fragile Enid e il roccioso Alfred, alle prese con l'avanzamento letale del Parkinson e con il disfacimento fisico e psichico. 

I tre figli della coppia sono - nell'ordine in cui il romanzo ce li presenta, in parti apparentemente distinte - Chip, insegnante licenziato e sceneggiatore fallito, il più irregolare dei tre, sempre attratto dalle donne e da una improbabile affermazione personale; Gary, il più regolare, sposato con la bella Caroline e padre di tre figli;  e Denise l'unica femmina, provetta cuoca e dilaniata dal una sessualità confusa (divisa tra l'attrazione per gli uomini e per le donne). 

Come sempre in Franzen, l'architettura del romanzo è prodigiosa.  In parti solo formalmente separate, si intrecciano le storie reciproche dei figli e dei genitori, con continui flash back e flash forward che danno al racconto una incontenibile forza fluida. 

Franzen ha il pregio di non assumersi mai il ruolo di giudice morale di quanto racconta.  Le sue considerazioni di narratore sono lievi, ironiche e non entrano mai nel merito dei destini individuali. 

L'orizzonte è confuso. Quel che resta della famiglia americana (e occidentale) è un grumo di sentimenti contrastanti: odio feroce, irrequietezza e forza del vincolo, che prevale o sembra prevalere su ogni istanza individuale dei protagonisti. 

Con la pazienza di un entomologo, Franzen dispone il catalogo delle personalità - e delle ferite che stanno alla base di queste - e risale al vizio ante-litteram del matrimonio generante (quello tra Enid e Alfred) fondato su un gigantesco equivoco: Enid ama il corpo di Alfred e vorrebbe essere riamata per quello che è; ma Alfred è un ostinato, che continua a ripetere il suo no alla vita, fino all'ultimo istante.

Questo no di Alfred pesa come un macigno anche sulle cronistorie dei figli, sui loro destini irrisolti. Anche e specie in quello di Gary, che sembra quello meglio sistemato e che invece è il più frustrato di tutti (e il più insopportabile nella sua presunzione di sapere sempre cosa è meglio e di poter dare ordini agli altri). 

Franzen racconta questi personaggi con enorme com-passione. Indugia a volte troppo, si esercita qui e là nell'auto-compiacimento di chi sa di disporre di tutti i mezzi narrativi. Ma in fondo non bara mai. E' cosciente e responsabile, lascia i personaggi agire, li osserva li perdona e li ama, come avveniva nella lezione del più grande dei narratori, Tolstoj. 

Il grande piacere della lettura - pur nel livello quasi straziante delle disperazioni personali - è forse dovuto proprio a questo. E non decade mai, fino al punto finale (che spetta, come sempre, alla morte). 

Fabrizio Falconi 
(C) - 2015 riproduzione riservata.


26/09/15

"Libertà" di Jonathan Franzen, il grande romanzo americano (Recensione).



Ho nutrito per anni un pregiudizio nei confronti di Jonathan Franzen.

Troppo successo, troppo rumore, troppo fenomeno. In genere diffido a priori.  Ci sono arrivato quindi dopo parecchio tempo e a partire da questo Libertà, il suo quarto romanzo, pubblicato nel 2011, a dieci anni di distanza da Le Correzioni, che nel 2001 avevano dato a Franzen il National Book Award e la notorietà internazionale. 

Ma già dopo poche pagine, ho dovuto ricredermi. 

Libertà è un grande romanzo. 

Anzi, devo dire, dopo molti molti anni, ho ritrovato l'impressione di leggere un Grande Romanzo Americano (Great American Novel), l'ambizione più o meno segreta di ogni romanziere nordamericano, che prima o poi incappa nella velleità di scrivere un ampio romanzo capace di racchiudere e sostenere lo spirito contemporaneo americano. 

In effetti forse è da Le avventure di Augie March, di Saul Bellow (1953), che non riscontravo da lettore un esito così ben riuscito. 

Soltanto che quello è un romanzo di formazione classico, mentre questo è un romanzo intessuto sulla storia di un matrimonio. 

Patty e Walter Berglund sono «i giovani pionieri di Ramsey Hill», nella cittadina di St. Paul, Minnesota. Vivono in una casa vittoriana che hanno acquistato per pochi soldi e impiegato dieci anni per ristruttura. Hanno due figli ventenni, Jessica e Joey; sono moderni e liberali, democratici e ecologisti.

Agli occhi dei vicini di casa, Patty e Walter sono una coppia solida.  Come molte coppie, invece nascondono vuoti e frustrazioni

La costruzione del romanzo è perfetta; perfetta la sua struttura.  Nelle prime 250 pagine - un capolavoro di equilibrio - Franzen affida la biografia di Patty alla stessa voce della protagonista.  Così apprendiamo i dubbi e le ferite di questa donna come tante, forte e debole allo stesso momento, del suo matrimonio sbagliato, delle circostanze fuorvianti che ve l'hanno condotta, la passione segreta per il miglior amico del marito - la rockstar pragmatica e impenitente Richard Katz - cui viene data libera espressione nel momento più delicato della vicenda. 

Nelle parti successive -  dedicate a Joey (il figlio viziato e intraprendente della coppia, il suo strambo matrimonio con la vicina di casa Connie, la passione per la bella e viziata Jenna) e a Walter (la sua dedizione alla causa ecologista per la salvaguardia di un piccolo uccello migratore, la sua passione per Lalitha, una giovane assistente indiana innamorata di lui) la vicenda si compone con le diverse voci e i diversi tempi di un quartetto d'archi ben assemblato. Ciascuna voce passa la voce alla successiva. E le trame non si confondono, ma formano un tessuto dal disegno lucido e preciso. 

Vargas LLosa diceva recentemente che due sono essenzialmente i presupposti per scrivere un grande romanzo: la scelta della voce narrante (chi è che parla al lettore) e la scelta dei tempi, del tempo dell'azione. 

Franzen vince entrambe le sfide: sceglie una voce polifonica, ovvero composta di diverse voci, assoggettate al progetto comune; sceglie un presente e un 'a ritroso' che dialogano per tutto il corposo romanzo, lasciando ganci aperti alla fine delle parti, suscitando il coinvolgimento sempre diretto del lettore. 

La felicità del racconto è strutturalmente legata al fine che si persegue: quello di una lunga meditazione sul matrimonio, sulla relazione sentimentale, e sulla libertà individuale.  

Tutti i personaggi di Libertà sono alle prese con la ricerca affannosa di una libertà individuale, e devono fare i conti  con gli impedimenti e gli intralci che si sono autoimposti con i loro errori. 

L'imponderabile scivola nelle vite già fortemente compromesse dalla catena delle ferite/risposte, dalle incapacità individuali, dalla confusione di una apparente e sostanziale mancanza di senso generale. 

L'ipocrisia, il dolore, la trasandatezza, l'insano masochismo, la voglia di sfidare i propri limiti, l'intemperanza, l'impazienza. la paura, la sofferenza, la gioia improvvisa, la sproporzione tra i demeriti e i meriti, la passione vissuta come via di fuga: questi sono i veri protagonisti di Libertà

Specchio antropologico e simbolico della civiltà americana, arrivata ad un punto dove ogni desiderio individuale sembrerebbe esaudito o a portata di mano, tranne quello della felicità personale, che passa per forza di cose attraverso la consapevolezza (un conto eternamente rinviato, fino all'inevitabile). 

La scrittura di Franzen è limpida e circolare, come nella più classica delle lezioni tolstojane. i dialoghi sono sempre all'altezza, le trovate mai fini a se stesse. Il dolore è autentico, il disorientamento anche.  

Nelle vite di Patty e Walter è lecito sbirciare, entrare, lasciarsi perfino trascinare. Essendo difficile alla fine restare alla pura distanza dell'oggettivo punto di vista del lettore, visto che tutto questo ci riguarda da vicino, più di quanto forse vorremmo. 

Jonathan Franzen, Libertà, Einaudi 2014 Super ET pp. 656 € 14,00 Traduzione di Silvia Pareschi

Fabrizio Falconi (C) - riproduzione riservata


22/09/15

Il matrimonio di Jonathan Franzen: vita e ispirazione.




tratto da Repubblica online, 30 ottobre 2012.

Jonathan Franzen, Farther Away, 2012.

Vorrei dedicarmi al concetto di diventare la persona giusta per scrivere il libro che volete scrivere. 

Riconosco che parlando del mio lavoro,e raccontando la storia del mio passaggio dal fallimento al successo, corro il rischio di sembrare immodesto o innamorato di me stesso. Non è poi così strano o deprecabile che un scrittore vada fiero della sua opera migliore e passi molto tempo a esaminare la sua vita. Ma deve anche parlarne? 

In passato avrei risposto di no, e il fatto che ora risponda di sì potrebbe anche rivelare qualcosa di negativo sul mio carattere. 

Ma intendo comunque parlare delle Correzioni, e descrivere alcune delle lotte che ho affrontato per diventarne l' autore

Faccio notare in anticipo che buona parte di quelle lotte hanno riguardato - come credo accadrà sempre agli scrittori profondamente impegnati nel problema del romanzo- il superamento della vergogna, del senso di colpa e della depressione

Faccio anche notare che il semplice fatto di parlarne rinnoverà la mia vergogna

La prima cosa che dovetti fare all' inizio degli anni Novanta fu uscire dal mio matrimonio

Infrangere la promessa e il legame emotivo non è facile quasi per nessuno, e nel mio caso era ulteriormente complicato dal fatto di aver sposato una scrittrice. Mi rendevo vagamente conto che eravamo troppo giovani e inesperti per votarci a una monogamia perpetua, ma le mie ambizioni letterarie e il mio idealismo romantico ebbero la meglio.

Ci sposammo nell' autunno del 1982, quando avevo appena compiuto ventitré anni, e cominciammo a lavorare insieme, in squadra, per produrre capolavori letterari. Avevamo progettato di lavorare fianco a fianco per tutta la vita.

 Non ritenevamo necessario avere un progetto di riserva, perché mia moglie era una newyorkese sofisticata e piena di talento che sembrava destinata al successo, probabilmente molto prima di me,e io sapevo che sarei sempre riuscito a cavarmela.

E così ci mettemmo entrambi a scrivere romanzi, e restammo entrambi sorpresi e delusi quando mia moglie non riuscì a vendere il suo. 

Quando io vendetti il mio, nell' autunno del 1987, mi sentii emozionato ma anche molto, molto in colpa.