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05/05/22

Quella volta che Bruce Chatwin fece ridere Jorge Luis Borges

 


E' la foto che documenta un incontro raro, tra due delle personalità più notevoli del Novecento letterario Bruce Chatwin e il grande Jorge Luis Borges. 

Nell'ottobre 1983 infatti, Chatwin fu intervistato per un talk show televisivo della BBC da Frank Delaney, e insieme a Bruce, c'erano anche Borges e Mario Vargas Llosa. 

Di quella storica registrazione, resta anche il ricordo di un curioso aneddoto.

Nello studio, nel momento in cui arrivò Borges, Chatwin disse di lui all'intervistatore:  'È un genio. non puoi andare da nessuna parte senza portarti dietro Borges. È come prendere lo spazzolino da denti"

Borges, sentendo questo, rispose divertito: "Che poco igienico!" -

C'era del resto un sicuro, grande timore reverenziale. Borges aveva 84 anni, mentre Chatwin, ancora giovanissimo, soltanto trentatré. 

05/04/22

Qual è il ruolo effettivamente avuto da Giuda Iscariota nella Passione e nella Morte di Gesù Cristo?


Da circa duemila anni teologi e filosofi disquisiscono su quale sia stato il ruolo effettivo avuto da Giuda l'apostolo Iscariota, nell'epilogo della Passione e nella morte di Gesù.

Il suo tradimento fu "opera del diavolo" come per secoli fu sostenuto oppure anche Giuda, dotato di libero arbitrio, scelse liberamente? Oppure il tradimento di Giuda fu "voluto" da Dio e Dio scelse Giuda dandogli questo ruolo, come a Maria conferì il ruolo di generare Gesù? Giuda tradì per troppo amore, perché amava troppo Cristo e lo aveva a tal punto idealizzato, aspettandosi che capeggiasse a fil di spada la rivolta contro gli invasori romani e quando non lo fece, decise di abbandonarlo (come sostiene una vulgata assai duratura che arriva fino a Jesus Christ Superstar)? Giuda non fu piuttosto "necessario" alla Passione e quindi non fece altro che "obbedire" a quanto gli fu chiesto da Cristo stesso, come raccontano i Vangeli gnostici (e in particolare Il Vangelo di Giuda)? In questo caso, sarebbe ben immeritato il ruolo riservato al "povero" Giuda da Dante nella Commedia.
Nel 1944 Jorge Luis Borges andò ancora oltre, nel racconto "Tre versioni di Giuda", nel quale espone le tesi di un fantasioso teologo, Nils Runenberg che adddirittura ipotizza una incarnazione di Dio proprio in Giuda (contemporanea a quella di Gesù? Alternativa? Non si comprende bene).
E' ovvio che il mistero di Giuda non verrà mai risolto. Il suo tradimento fu "così necessario?" Gesù Cristo non sarebbe stato comunque, in un modo o nell'altro, catturato e comunque eliminato fisicamente? Resta il suo ruolo sacrificale nell'economia della Passione: anche Giuda infatti muore, si suicida, e la sua morte favorisce (o accelera) in qualche modo quella di Gesù.
Gesù e Giuda sono legati, il bacio nell'Orto di Getsemani è il simbolo di ogni debolezza, di ogni dubbio, di ogni ambiguità umana. E' l'inadeguatezza dell'uomo dentro il piano di prospettiva divina, che solo la morte di un "dio fattosi uomo" può rovesciare.

Fabrizio Falconi - 2022

05/09/21

Poesia della Domenica - "E' l'amore (o Il Minacciato)" di Jorge Luis Borges



 È l’amore (o Il minacciato)

Dovrò nascondermi o fuggire.
Crescono le mura del suo carcere, come in un sogno atroce.
La bella maschera è ormai cambiata,
ma come sempre è l’unica.
A che mi serviranno i miei talismani:
l’esercizio delle lettere, la vaga erudizione,
l’apprendimento delle parole che utilizzò l’aspro Nord
per cantare i suoi mari e le sue spade,
la serena amicizia,
le gallerie della Biblioteca,
le cose comuni,
le consuetudini,
l’amore giovane di mia madre,
l’ombra militare dei miei morti,
la notte intemporale,
il sapore del sogno?
Stare con te o non stare con te è la misura del mio tempo.
Già la brocca si rompe sulla fonte,
già l’uomo s’alza al canto dell’uccello,
già si sono scuriti quelli che guardano dalla finestra,
ma l’ombra non ha portato la pace.

È, lo so, l’amore:
l’ansia e il sollievo di sentire la tua voce,
l’attesa e il ricordo,
l’orrore di vivere successivamente.
È l’amore con tutte le sue mitologie,
con tutte le sue piccole magie inutili.
C’è un angolo dove non oso passare.
Già mi accerchiano gli eserciti, le orde.
(Questa stanza è irreale, lei non l’ha vista).
Il nome di una donna mi denunzia.
Mi fa male una donna in tutto il corpo.


Jorge Luis Borges 

29/01/17

Poesia della Domenica - "Assenza" di Jorge Luis Borges.




Assenza

Dovrò di nuovo erigere la vasta vita,
specchio di te ancora:
dovrò ricostruirla ogni mattina.
Ora che non ci sei,
quanti luoghi son diventati vani
e senza senso, uguali
a lampade di giorno.
Sere che ti hanno accolto come nicchie,
musiche dove trovavo te ad attendermi,
parole di quel tempo,
dovrò distruggervi con questa mani.
In quale baratro potrò celare l’anima
perché non veda la tua assenza,
fulgida come un sole orribile
che non tramonta mai, spietata, eterna?
La tua assenza mi sta attorno
come la corda al collo,
come il mare a chi affoga.

Jorge Luis Borges

(Traduzione di Tommaso Scarano)

da Fervore di Buenos Aires, Adelphi, Milano, 2010

*

Ausencia

Habré de levantar la vasta vida
que aún ahora es tu espejo:
cada mañana habré de reconstruirla.
Desde que te alejaste,
cuántos lugares se han tornado vanos
y sin sentido, iguales
a luces en el día.
Tardes que fueron nicho de tu imagen,
músicas en que siempre me aguardabas,
palabras de aquel tiempo,
yo tendré que quebrarlas con mis manos.
En qué hondonada esconderé mi alma
para que no vea tu ausencia
que como un sol terrible, sin ocaso,
brilla definitiva y despiadada?
Tu ausencia me rodea
como la cuerda a la garganta,
el mar al que se hunde.

Jorge Luis Borges

da “Fervor de Buenos Aires”, Serrantes, Buenos Aires, 1923

27/06/15

Il verso misterioso di Dante su Ugolino. Un meraviglioso piccolo saggio di Borges.



Riporto qui uno dei meravigliosi nove saggi danteschi di Jorge Luis Borges, pubblicati in Italia da Adelphi, dal titolo: Il falso problema di Ugolino.


Non ho letto (nessuno ha letto) tutti i commenti alla Commedia, ma ho l’impressione che, nel caso del famoso verso 75 del penultimo canto dell’Inferno, abbiano creato un problema che nasce da una confusione tra arte e realtà

In quel verso Ugolino da Pisa, dopo aver raccontato la morte dei figli nel Carcere della Fame, dice che la fame poté più che il dolore («Poscia, più che ‘l dolor, poté ‘l digiuno»). 

Da questo rimprovero devo escludere i commentatori antichi, per i quali il verso non è problematico, visto che tutti interpretano che non il dolore ma la fame poté uccidere Ugolino

Allo stesso modo intende Geoffrey Chaucer nel grossolano riassunto dell’episodio intercalato nel ciclo di Canterbury. 

Riconsideriamo la scena. Nel fondo glaciale del nono cerchio, Ugolino rode infinitamente la nuca di Ruggieri degli Ubaldini e si pulisce la bocca sanguinaria con i capelli del reprobo. Solleva la bocca, non il viso, dal feroce pasto e narra che Ruggieri lo ha tradito e incarcerato insieme ai figli. 

Attraverso l’angusta finestra della cella ha visto crescere e decrescere molte lune, fino alla notte in cui ha sognato che Ruggieri, con famelici mastini, cacciava sul fianco d’una montagna un lupo e i suoi lupacchiotti. 

All’alba sente i colpi del martello che spranga la porta della torre. Passano un giorno e una notte, in silenzio. Ugolino, spinto dal dolore, si morde le mani; i figli credono che lo faccia per fame e gli offrono la loro carne, che lui stesso ha generato. Tra il quinto e il sesto giorno li vede morire, ad uno ad uno. Poi diventa cieco e parla con i suoi morti e piange e li tasta nell’ombra; poi la fame poté più che il dolore. 

Ho detto quale significato danno a questo passo i primi commentatori. Così spiega Rambaldi da Imola nel XIV secolo: « come dicesse che la fame sconfisse colui che tanto dolore non aveva potuto vincere e uccidere»

Tra i moderni condividono tale opinione Francesco Torraca, Guido Vitali e Tommaso Casini. Il primo vede nelle parole di Ugolino stupore e rimorso; l’ultimo aggiunge: « moderni interpreti hanno invece fantasticato che Ugolino finisse cibandosi della carne dei figliuoli, che è contrario alla ragione della natura e della storia», e considera inutile la controversia.

Benedetto Croce la pensa come lui e sostiene che delle due interpretazioni la più coerente e verosimile è quella tradizionale. Bianchi, molto ragionevolmente, glossa: «Altri intendono che Ugolino mangiò la carne dei suoi figli, interpretazione improbabile ma che non è lecito scartare». 

Luigi Pietrobono (sul cui parere tornerò) dice che il verso è volutamente misterioso. Prima di intervenire, a mia volta, nell’ « inutile controversia», voglio soffermarmi un istante sull’offerta unanime dei figli. Questi pregano il padre di riprendere quelle carni da lui stesso generate: …tu ne vestisti queste misere carni, e tu le spoglia. Immagino che siffatte parole debbano causare un disagio sempre maggiore in chi le ammira. 

De Sanctis (Storia della letteratura italiana, IX) riflette sull’imprevista congiunzione di immagini eterogenee; D’Ovidio riconosce che « quest’espressione gagliarda e concettosa di un impeto filiale quasi incatena ogni libertà di critica». 

Quanto a me, penso che quella scena costituisca una delle rare falsità presenti nella Commedia. La giudico meno degna di quest’opera che della penna di Malvezzi o della venerazione di Gracián. 

Dante, mi dico, non poté non avvertirne la falsità, peraltro aggravata dal modo corale in cui i quattro bambini offrono, tutti assieme, il famelico convito. 

Qualcuno insinuerà che siamo di fronte a una menzogna di Ugolino, concepita per giustificare (per suggerire) il crimine commesso. 

 Il problema storico se Ugolino della Gherardesca abbia esercitato nei primi giorni di febbraio del 1289 il cannibalismo è, evidentemente, insolubile. Il problema estetico o letterario è di tutt’altra natura. Lo si può enunciare così: Dante ha voluto che pensassimo che Ugolino (l’Ugolino del suo Inferno, non quello storico) abbia mangiato la carne dei suoi figli? Arrischierei questa risposta: Dante ha voluto non che lo pensassimo, ma che lo sospettassimo (1).

L’incertezza è parte del suo disegno

Ugolino rode il cranio dell’arcivescovo; Ugolino sogna cani dalle zanne aguzze che dilaniano i fianchi del lupo («… e con l’agute scane / mi parea lor veder fender li fianchi»). Ugolino, spinto dal dolore, si morde la mani; Ugolino sente che i figli gli offrono inverosimilmente la loro carne; Ugolino, pronunciato l’ambiguo verso, torna a rodere il cranio dell’arcivescovo. Tali atti suggeriscono o simboleggiano il fatto atroce

Assolvono a una duplice funzione: li crediamo parte del racconto e sono profezie. Robert Luis Stevenson (Ethical Studies, 110) osserva che i personaggi di un libro sono filze di parole; a questo, per quanto blasfemo possa sembrarci, si riducono Achille e Peer Gynt, Robinson Crusoe e don Chisciotte. A questo anche i potenti che ressero la terra: una serie di parole è Alessandro e un’altra Attila. Di Ugolino dobbiamo dire che è una trama verbale, che consiste di una trentina di terzine.

Dobbiamo includere in quella trama l’idea di cannibalismo? Dobbiamo sospettarla, ripeto, con incertezza e timore. Negare o affermare il mostruoso delitto di Ugolino è meno tremendo che intravederlo

L’asserzione « un libro è le parole che lo compongono » rischia di sembrare un assioma banale. Eppure, siamo tutti propensi a credere che vi sia una forma separabile dal contenuto e che dieci minuti di dialogo con Henry James ci rivelerebbero il «vero » tema del Giro di vite. Penso che non sia così; penso che di Ugolino Dante non abbia mai saputo molto più di quanto non dicano le sue terzine

Schopenhauer ha dichiarato che il primo volume della sua opera capitale consiste di un solo pensiero e che non aveva trovato un modo più breve per trasmetterlo. 

Dante, al contrario, direbbe che quanto ha immaginato di Ugolino sta tutto nelle controverse terzine. 

Nel tempo reale, nella storia, ogni volta che un uomo si trova di fronte a più alternative opta per una di esse ed elimina e perde le altre; non è così nell’ambiguo tempo dell’arte, che assomiglia a quello della speranza o a quello dell’oblio. 

Amleto, in quel particolare tempo, è assennato ed è pazzo (2).

Nella tenebra della sua Torre della Fame, Ugolino divora e non divora gli amati cadaveri, e questa oscillante imprecisione, questa incertezza è la strana materia di cui è fatto. Così, con due possibili agonie, lo ha sognato Dante e così lo sogneranno le generazioni future.


J.L. Borges, tratto da Nove saggi danteschi (Adelphi, 2001)

 __________________________ 

 (1) Luigi Pietrobono osserva (Inferno, p. 47) « che il digiuno non afferma la colpa di Ugolino, ma la lascia indovinare senza scapito dell’arte o del rigore storico. Basta che la giudichiamo possibile». (2) A titolo di curiosità vanno ricordate due ambiguità famose. La prima, « la sangrienta luna » di Quevedo, che è al tempo stesso quella dei campi di battaglia e quella della bandiera ottomana; la seconda, la «mortal moon» del sonetto 107 di Shakespeare, che è la luna del cielo e la Regina Vergine.

02/06/15

Elogio dell'Ombra - di Jorge Luis Borges.






Elogio dell’ombra

La vecchiaia (è questo il nome che gli altri le danno)
può essere il tempo della nostra felicità.
l’animale è morto o è quasi morto.
nimangono l’uomo e la sua anima.
Vivo tra forme luminose e vaghe
che non sono ancora le tenebre.
Buenos Aires,
che prima si lacerava in suburbi
verso la pianura incessante,
è diventata di nuovo la Recoleta, il Retiro,
le sfocate case dell’Once
e le precarie e vecchie case
che chiamiamo ancora il Sur.
Nella mia vita sono sempre state troppe le cose;
Democrito di Abdera si strappò gli occhi per pensare;
il tempo è stato il mio Democrito.
Questa penombra è lenta e non fa male;
scorre per un mite pendio
e assomiglia all’eternità.
I miei amici non hanno volto,
le donne sono quel che erano molti anni fa,
gli incroci delle strade potrebbero essere altri,
non ci sono lettere sulle pagine dei libri.
Tutto questo dovrebbe intimorirmi,
ma è una dolcezza, un ritomo.
Delle generazioni di testi che ci sono sulla terra
ne avrò letti solo alcuni,
quelli che continuo a leggere nella memoria,
a leggere e a trasformare.
Dal Sud, dall’Est, dall’Ovest, dal Nord,
convergono i cammini che mi hanno portato
nel mio segreto centro.
Quei cammini furono echi e passi,
donne, uomini, agonie, resurrezioni,
giorni e notti,
dormiveglia e sogni,
ogni infimo istante dello ieri
e di tutti gli ieri del mondo,
la ferma spada del danese e la luna del persiano,
gli atti dei morti, il condiviso amore, le parole,
Emerson e la neve e tante cose.
Adesso posso dimenticarle. Arrivo al mio centro,
alla mia algebra, alla mia chiave,
al mio specchio.
Presto saprò chi sono.

Tratto da: Jorge Luis Borges, Poesie (1923-1976), traduzione di Livio Bacchi Wilcock, Bur.

28/03/14

La fine del mondo secondo Borges.




Amava scherzare (ma neanche troppo) con il concetto del tempo. 

Credeva, con l'amato filosofo Berkeley e con gran parte della fisica moderna, che il tempo fosse solamente una convenzione umana. 

Jorge Luis Borges, in un saggio intitolato Nuova confutazione del Tempo, si dedicò a rivisitare il concetto di tempo nella filosofia classica, da Platone a Schopenhauer, e a dimostrare come, quando parliamo tanto di fine del mondo parliamo di una cosa molto bizzarra e molto relativa. 

Perchè la fine del mondo è legata al tempo e il tempo è una illusione

Borges cita Isaac Newton, che nei suoi Principia (III, 42) dice: Ogni particella di spazio è eterna, ogni indivisibile momento di durata è dappertutto

Poi cita Schopenhauer: La forma dell'apparizione della volontà è solo il presente, né il passato né il futuro; questi ultimi non esistono se non per il concetto e per l'incatenamento della coscienza, sottoposta al principio di ragione. Nessuno ha vissuto nel passato, nessuno vivrà nel futuro. Il tempo è come un cerchio che giri infinitamente.

Concetto che si ritrova nella filosofia orientale a quella occidentale. 

Nella Via della Purezza è scritto: L'uomo di un momento passato ha vissuto, ma non vive nè vivrà; l'uomo di un momento futuro vivrà, ma non ha vissuto nè vive. l'uomo del momento presente vive ma non ha vissuto nè vivrà.

Nel De E Apud Delphos, Plutarco scrive: L'uomo di ieri è morto in quello di oggi, quello di oggi muore in quello di domani. 

Negare la successione temporale, conclude Borges, negare l'io, negare l'universo astronomico sono disperazioni apparenti, ma anche consolazioni segrete

Il tempo, scrive Borges, è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume. E' una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre. E' un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco.



Fabrizio Falconi