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27/11/16

"La comparsa" di Abraham Yehoshua (Recensione).



Noga è una musicista particolare. Interprete di uno strumento raro, l'arpa. Pur essendo nata in Israele, dopo il divorzio è andata a vivere in Olanda, dove suona nella locale orchestra di Arnhem. 

Dopo molti anni di distacco, deve tornare al suo paese, richiamatavi da una decisione che deve prendere l'anziana madre: lasciare o meno il vecchio appartamento di Gerusalemme, ormai circondato da invadenti ortodossi e trasferirsi a Tel Aviv, la città dove vive il suo figlio maggiore, Honi, con la sua famiglia. 

Le clausole contrattuali del vecchio appartamento prevedono però che esso non possa essere lasciato disabitato nemmeno per brevi periodi, nemmeno per i tre mesi del periodo di prova in una casa di riposo a Tel Aviv, che Honi ha chiesto alla madre di sperimentare. 

Noga dovrà dunque impegnarsi a stare nell'appartamento materno nell'attesa che maturi la decisione. 

Durante queste lunghe settimane Noga ritrova il suo passato, accetta un piccolo lavoro di comparsa - procuratole dal fratello - per sostenersi nelle spese, finisce per rincontrare il marito Uriah, che non ha mai smesso di amarla e che non ha mai accettato la vera causa per cui Noga l'ha lasciato: quella di non volere un figlio, e anzi di aver abortito il loro figlio senza dir nulla al compagno. 

L'inquietudine di Noga si snoda attraverso lunghe passeggiate nella vecchia Gerusalemme, negli incontri con i personaggi che si trovano come lei a sopravvivere accettando il lavoro di comparsa, nella trasferta nel deserto dove finisce per ricoprire il ruolo di figurante in un allestimento della Carmen.

Passate le tre settimane, e maturata la decisione della madre, Noga fa ritorno, con una dose supplementare di amarezza, in Olanda, dove si trova a fare i conti con la preparazione del nuovo concerto e di un tour organizzato nel lontano Giappone. In questa trasferta si aprirà forse una luce inaspettata, che rimetterà tutto in gioco. 

Yehoshua, in questo ultimo romanzo del 2015, si conferma un maestro della narrazione, qui tutta giocata nella terza persona al tempo presente; e maestro della descrizione dell'animo femminile, del suo territorio umbratile e inaccessibile. 

Un romanzo moderno, perfettamente leggibile.  Dalla scrittura piana e avvolgente, dal quale ci si separa a malincuore. 

Fabrizio Falconi







22/09/16

Il libro del giorno: "Ritorno dall'india" di Abraham Yehoshua.



Il dottor Benjamin Rubin, trentenne, vorrebbe fare il chirurgo, ma il primario dell'ospedale nel quale lavora (Hishin) lo preferirebbe internista.   Un'occasione per fare qualche passo in avanti gli arriva quando Hishin propone a Rubin di accompagnare il direttore sanitario Lazar e sua moglie Dori in un viaggio in India per andare a riprendere e portare a casa la loro figlia (Inat) malata. 

Alla fine del viaggio Benjamin scopre di essere innamorato di Dori, molto più grande di età, di lui. Avrà con lei tre fugaci rapporti, finirà per sposare una donna non amata (Michaela) e per avere una figlia da lei (Shiva), ma non riuscirà a rinunciare al suo amore, se non quando Lazar muore sotto i ferri dell'ospedale e Dori decide di troncare ogni rapporto e a Benjamin non resterà altro che rassegnarsi al suo ruolo di ragazzo-padre, visto che Michaela è tornata in India. 

Quattro parti (o movimenti) sontuose (innamoramento - matrimonio - morte - amore) dividono il voluminoso romanzo tradotto scandalosamente male da due traduttori diversi.  Yehoshua è un maestro della narrazione. Racconta, e il lettore non può sfuggire al perfetto meccanismo narrativo. La vita di Benjamin e di tutti gli altri personaggi di questo magnifico romanzo è la vita com'è: non sensata, sconnessa, inspiegabile, misteriosa, incongruente, come è la vita.

Non ci sono più regole sociali o convenzioni: si può essere padre senza provare nulla per la propria figlia e marito senza provare nulla per la propria moglie. Ci si può innamorare senza sapere perché della donna più sbagliata e sacrificare ad essa tutto.

Tutto vero, tutto reale, mai artificioso. Yehoshua conduce senza scorciatoie al punto atteso e vagheggiato dove l'anima è del tutto nuda.  
Un calo di intensità nell'ultima parte (amore), quasi che lo stesso Y. si smarrisca, sapendo di dover prendere congedo dai suoi personaggi.



05/07/16

Il libro del giorno: "Che tu sia per me il coltello" di David Grossman.





Un uomo, Yari, che vive a Gerusalemme, intravede un giorno in una scuola una donna che si stringe nelle braccia: basta questo gesto per convincere l'uomo ad intraprendere con lei una fitta, disperata corrispondenza che ha come patto quello della distanza fisica.

Un tentativo destinato a sfociare in un incontro per tentare di aprire le proprie vite. 

Strano libro, avvolgente e respingente. Grossman mette in scena, senza curarsi dell'eccessivo realismo, personaggi esagerati, ossessivi, adotta escamotages furbeschi e perfino ricattatori nei confronti del lettore.   La lettura diventa così a volte faticosa, a volte magnetica; si è sempre in bilico tra l'ammirazione per il talento letterario e la diffidenza per l'operazione a tratti molto cerebrale. 

Un libro freddo, che pure attira in una specie di gorgo dove niente sembra quel che è, dove l'erotismo si fonde all'esibizionismo dei sentimenti e alla disperazione dell'anima.

In fondo molto di quello che sperimentiamo nel quotidiano. E pur nella sua imperfezione, è un libro che resta.