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06/01/21

La statua di Lord Byron a Villa Borghese e una decapitazione a Piazza del Popolo

 

La statua di Lord Byron a Villa Borghese

7. La statua di Lord Byron a Villa Borghese e i fantasmi

 

Figlio di un padre che non conobbe mai e di una madre che lo asfissiò, ossessionandolo sia fisicamente che psicologicamente, George Gordon Noel Byron, più conosciuto come Lord Byron, nato a Londra nel 1788, divenne come è noto il più celebre poeta dei suoi tempi. Non solo: la sua vita faticò molto a dividersi dalla sua arte: Byron anzi fu in un certo senso il vero, perfetto dandy.  Chiacchieratissimo da vivo per i suoi scandali e per le continue eccentricità (come quando si fece rinchiudere nella Cella del Tasso, a Ferrara o come quando attraversò a nuoto lo stretto dei Dardanelli), Byron morì nel 1825 in Grecia, a Missolungi, in seguito a una febbre reumatica contratta a Cefalonia, che degenerò in meningite delirante. E proprio come accade per le rockstars di oggi, la sua morte divenne un evento, lasciando inconsolabili fans a lamentarne la dipartita.

Poco tempo dopo la morte, alcuni amici si misero insieme raccogliendo la somma di mille sterline per commissionare una statua dello scrittore. Tra i vari scultori pretendenti fu scelto il danese Bertel Thorvaldsen, il quale si trovava in quel periodo in Italia.

La scelta non fu casuale: lo scultore aveva già ritratto Byron vivo nel brevissimo e intenso soggiorno romano del poeta a Roma, nel suo studio di piazza Barberini, per incarico di John Cam Hobhouse, che del poeta era compagno di viaggio e studio. Con tanto di lodi sull’artista da parte dello stesso Byron, il quale l’aveva definito nei suoi diari «Il migliore dopo Canova, al quale anzi alcuni lo preferiscono».

Il busto, dopo varie peregrinazioni, era finito a Londra nella sede della casa editrice di John Murray, e fu dunque utilizzato come modello per la nuova e più grande opera.

La statua fu iniziata dallo scultore nel 1829 ma Thorvaldsen impiegò molto tempo per completarla poiché, proprio a causa della fama scandalosa che avvolgeva ancora la figura di Byron, fu rifiutata da tutte le istituzioni che avrebbero dovuto ospitarla: il British Museum, la Cattedrale di Saint Paul, l’Abbazia di Westminster e la National Gallery, trovando finalmente la sua collocazione nel 1834 nella biblioteca del Trinity College di Cambridge. Thorvaldsen contraddisse, non si sa quanto consciamente, la volontà di Byron, che in vita, proprio avendo a cuore la promozione della sua immagine, aveva chiesto agli artisti che lo effigiavano (erano numerosissimi: il merchandising intorno a Byron aveva prodotto ritratti, bassorilievi su medaglioni di marmo e perfino anelli con la sua immagine) di ritrarlo non come un poeta, e cioè con il libro e la penna in mano, ma come un “uomo d’azione”. Thorvaldsen, invece, raffigurò Byron proprio nella posa classica dei poeti, seduto su di uno scranno di marmo, con un libro aperto nella mano sinistra, la penna nella destra, poggiata sul mento.

La statua comunque, dopo le difficoltà iniziali, ebbe grande successo e vi fu una produzione numerosa di copie, nel corso degli anni, una in ogni città dove Byron aveva soggiornato: una fu realizzata anche a Roma, inaugurata nel 1959, e si può ammirare nel cuore di Villa Borghese, in via della Pineta.

Sul piedistallo della copia romana, sono incisi brani tratti dal poema di Byron, Childe  Harold Pilgrimage, dedicati all’Italia:

 

 

of the world, the home

                       Of all Art yields, and Nature can decree,

         Even in thy Fair Italy!

                       Thou art the garden desert, what is like to thee?

                       Thy very weeds are beautiful, thy waste

                       More rich than other climes’ fertility;

                       Thy wreck a glory, and thy ruin graced

                       With an immaculate charm which cannot be defac’d

 

Sullo scranno di marmo poi, dalla parte sinistra sono raffigurati alcuni simboli esoterici: un teschio, un gufo e due lettere greche, l’alfa e l’omega.

Il perché di questa simbologia si spiega con l’enorme fascinazione di Byron per il mistero, che a Roma, in quei ventidue giorni trascorsi nella capitale, aveva trovato terreno assai fertile.

A Roma Byron arrivò nella primavera del 1817, interrompendo un gaio soggiorno veneziano, proprio per realizzare il sogno di vedere da vicino quella città che lo aveva sempre – da lontano – ammaliato. Un medico infatti prescrisse al poeta di allontanarsi dall’umidità veneziana, per guarire da un “mal di petto”. Byron  non se lo fece ripetere e colse l’occasione per realizzare il suo sogno, attraversando l’Italia con il suo corteo al seguito, una carrozza con i sedili reclinabili e una quantità enorme di bagagli.

Giunto nella capitale, andò abitare nella centralissima piazza di Spagna, al numero 66. E non aspettò nemmeno un minuto per cominciare a esplorare la città in sella al suo cavallo. L’impressione che ne ricavò fu immediata e stordente: «Sono incantato da Roma come lo sarei da una cappelliera di pizzi», scrisse al suo editore John Murray, «e di Roma non vi dirò nulla: è indescrivibile. La guida qui vale più di ogni altro libro. Ho passato tutta la giornata a cavallo» (3).

Le sue peregrinazioni lo portarono al Colosseo, al Pantheon, a San Pietro, sul Palatino e perfino fuori Roma, a Frascati, Albano e Ariccia.

Byron sentì le rovine e i monumenti come muti testimoni di una tragedia immane, popolati di presenze ancora vive. Nel Pellegrinaggio di Aroldo rievoca – come in una visione – l’episodio del gladiatore agonizzante nell’arena:

 

Stavo tra le mura del Colosseo,

In mezzo ai grandi resti della potente Roma.

Gli alberi che crescevano lungo gli archi spezzati

Oscillavano oscuramente nell’azzurro cupo della notte,

E le stelle splendevano tra gli squarci delle rovine;

Un cane da guardia latrava oltre il Tevere;

E più vicino, dal palazzo dei Cesari, veniva

Il lungo lamento del gufo e, a tratti,

Il canto inquieto di lontane sentinelle

Sorgeva e si smorzava sul vento leggero[U2] .

 

Un brano talmente straziante che Stendhal, anche lui in quei giorni di passaggio a Roma, riprende nelle sue Passeggiate Romane, animandolo in una notte di suggestiva luce lunare. (4)

E nell’arco di quei ventidue intensissimi giorni, il dandy pallido e fascinoso ebbe modo anche di scoprire il lato tragico contemporaneo di Roma. In un’altra lettera del 30 maggio di quell’anno, sempre indirizzata a Murray, Byron descrive minuziosamente l’esecuzione capitale cui gli accadde di assistere: riguardava tre ladri (erano, come risulta dal puntiglioso diario di Mastro Titta, il boia: Giovan Francesco Trani, Felice Rocchi e Felice De Simoni) decapitati nella piazza del Popolo con l’accusa di “omicidi e grassazioni”.  Byron racconta il macabro spettacolo: i preti con la maschera, i carnefici mezzi nudi, i criminali bendati, il Cristo nero e il suo stendardo, il patibolo, le truppe, la lenta processione, il rapido rumore secco e il pesante cadere della lama, lo schizzare del sangue e l’apparizione spettrale delle teste esposte. Tutto questo, scrive Byron, «è nel suo insieme più impressionante del volgare rozzo e sudicio new drop e dell’agonia da cani inflitta alle vittime delle sentenze». (5)

Forse fu proprio l’aver assistito a questo spettacolo cruento uno dei motivi che spinsero Byron ad interrompere presto il suo soggiorno a Roma: dopo ventidue giorni e notti di ruderi e cavalcate, di frequentazioni dell’alta società romana e di soste al Caffè Greco, il poeta decise di far ritorno al Nord, portandosi dietro i fantasmi di Roma che ritornarono a farsi vivi nei suoi poemi.

 Tratto da: Fabrizio Falconi, Roma Segreta e Misteriosa, Newton Compton, Roma, 2015

1. Il primo a parlare di una corrispondenza tra il profilo della Villa Strohl Fern e l’Isola dei morti di Boecklin fu Gianni Rodari in Quel pasticciaccio di Villa Strohl-Fern. La bistrattata isola di verde sopra Piazzale Flaminio, «Paese Sera», 23 settembre 1975.

2. A. Trombadori, Villa Strohl Fern, «Strenna dei Romanisti», 21 aprile 1982.

3. Vedi  G. Scaraffia, Quella Roma di Lord Byron, «Il Messaggero», 27 luglio 2015.

4. Vedi  C. Rendina, Le notti di luna di Byron sospeso sui misteri di Roma, «la Repubblica», 24 luglio 2007.

5. Vedi  C. Rendina, ibidem.

 

 

31/07/15

Lord Byron a Roma - 22 giorni di fuoco ! (Una bellissima mostra).





C'è una interessantissima mostra, per chi resta in città, al Keats-Shelley Memorial House di Piazza di Spagna - ha aperto il 26 giugno scorso e durerà fino al 6 novembre prossimo -  il delizioso museo Romano in Piazza di Spagna.

La mostra si intitola Lord Byron in the hand of Mary Shelley ed è dedicata alla figura di Lord Byron, forse il più famoso artista della sua epoca. 

Figlio di un padre che non conobbe mai e di una madre che lo asfissiò, ossessionandolo sia fisicamente che psicologicamente, George Gordon Noel Byron, più conosciuto come Lord Byron, nato a Londra nel 1788, divenne come è noto il più celebre poeta dei suoi tempi.  Non solo: la sua vita faticò molto a dividersi dalla sua arte: Byron anzi fu in un certo senso il vero, perfetto dandy.  Chiacchieratissimo in vita per i suoi scandali e per le sue continue eccentricità (come quando si fece rinchiudere nella Cella del Tasso, a Ferrara o come quando attraversò a nuoto lo stretto dei Dardanelli), Byron morì nel 1825 in Grecia, a Missolungi, in seguito a una febbre reumatica contratta a Cefalonia, che degenerò in meningite delirante.  E proprio come accade per le rockstars di oggi, la sua morte divenne un evento, lasciando inconsolabili fans a lamentarne la dipartita.

Nella mostra romana si ripercorrono le tappe della vita di Byron con l'esposizione di importanti reperti come i manoscritti del canto VI di Don Juan e di Manfred, tra le opere più famose del poeta; l'anello di Byron e il suo celebre ritratto in abiti albanesi del pittore Thomas Phillips. 

A Roma Byron arrivò nella primavera del 1817, interrompendo un gaio soggiorno veneziano, proprio per realizzare il sogno di vedere da vicino quella città che lo aveva sempre – da lontano – ammaliato. Un medico infatti prescrisse al poeta di allontanarsi dall’umidità veneziana, per guarire da un mal di petto. Byron  non se lo fece ripetere e colse l’occasione per realizzare il suo sogno, attraversando l’Italia con il suo corteo al seguito, una carrozza con i sedili reclinabili e una quantità enorme di bagagli.
Giunto nella capitale, andò abitare nella centralissima Piazza di Spagna, al numero 66, a pochissima distanza dalla casa-museo odierno dedicata a Keats e Shelley. E non aspettò nemmeno un minuto per cominciare ad esplorare la città in sella al suo cavallo. L’impressione che ne ricavò fu immediata e stordente: Sono incantato da Roma come lo sarei da una cappelliera di pizzi, scrisse al suo editore John Murray, e di Roma non vi dirò nulla: è indescrivibile. La guida qui vale più di ogni altro libro. Ho passato tutta la giornata a cavallo… 



Fabrizio Falconi - ©riproduzione riservata. 

12/09/12

Trovata una rarissima copia di "Frankenstein" con una dedica autografa di Mary Shelley a Lord Byron.



Una copia dell'edizione originale del romanzo "Frankenstein" di Mary Shelley che appartenne a Lord Byron (1788-1824), il maggior poeta romantico inglese, e' stata scoperta per caso nella biblioteca della famiglia dell'economista e politico britannico Lord Jay, dove era rimasta per mezzo secolo.

Sfogliando il volume, il nipote di Lord Jay si e' imbattuto nella dedica "To Lord Byron from the author", ovvero "A Lord Byron dall'autore". 

La firma autografa della Shelley e' stata auteticata dallo staff della Bodleian Library di Oxford. 

Questa rara edizione ritrovata del 1818 sara' esposta per una settimana a Londra a partire dal 26 settembre  e poi sara' messa all'asta con una stima di 400.000 sterline.

La storia della genesi di "Frankenstein" e' strettamente legata a Lord Byron. 

Il romanzo sarebbe nato una notte tempestosa del 1816 sul lago di Ginevra allorche' Byron e Shelley si divertivano a scrivere racconti di fantasmi. L'influenza di Byron e' incontestabile nell'opera di Mary Shelley. 

L'edizione del 1818 fu tirata in 500 esemplari, sei dei quali affidati alla scrittrice per il suo uso personale.


fonte adnkronos