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06/08/20

Cosa è l'amore di una madre. (da Romain Gary)


Soltanto quando raggiunsi la quarantina cominciai a capirlo. Non è bene essere tanto amati, così giovani, così presto.

Ci vengono delle cattive abitudini. Si crede che ci sia dovuto. Si crede che un amore simile esista anche altrove e che si possa ritrovare. Ci si fa affidamento. Si guarda, si spera, si aspetta. 

Con l'amore materno la vita ci fa all'alba una promessa che non manterrà mai. 

In seguito si è costretti a mangiare gli avanzi, fino alla fine. Ogni volta che una donna ci prende tra le braccia e ci stringe al cuore, si tratta solo di condoglianze. Si ritorna sempre a guaire sulla tomba della propria madre come un cane abbandonato.  

Mai più, mai più, mai più.  Braccia adorabili si chiudono intorno al nostro collo e labbra dolcissime ci parlano d'amore, ma noi sappiamo già tutto. Noi siamo stati alla sorgente troppo presto e abbiamo bevuto tutto. 

Quando ci riprende la sete, si ha un bel cercare da ogni parte: non ci sono più pozzi, ma solo miraggi. Abbiamo fatto, alla prima luce dell'alba, uno studio approfondito dell'amore e ci siamo documentati troppo bene.

Dovunque andremo, porteremo con noi il veleno dei confronti; e passiamo il tempo aspettando ciò che abbiamo già avuto. 

Non dico che dobbiamo impedire alle madri di voler bene ai loro piccoli. Dico semplicemente che sarebbe bene avessero qualcun altro, oltre i figli, a cui voler bene. Se mia madre avesse avuto un amante non avrei passato la vita a morir di sete dietro ogni fontana. Disgraziatamente per me, io so distinguere i veri diamanti. 

Romain Gary, da La promessa dell'alba 


10/05/20

Poesia della Domenica: "Il vestito bianco" (A mia madre) di Fabrizio Falconi




Il vestito bianco



Nella baraonda azzurra, nel caos
nel tossico disordine di voci, nell'apparente
rincorrersi dei sensi e delle direzioni
lungo il mare, il versante spezzato
piega la schiena, non fa valicare
e squaderna il vuoto
quantistico, pieno di colmi e di possibilità.
In questa galleria appesa
c'è un vestito bianco ricamato sul davanti
come un fiore pallido nella notte appena
cominciata, illuminato dai fari
tu l'hai tagliato
forse
con le mani, con il fiato che avevi
ventenne accanto all'uomo irruente
l'uomo ammalato di vita
che ti aveva insegnato lo spazio della creazione.
Io, dopo molti e molti anni
vedevo lo stesso abito,
forse era soltanto una delle
molte possibilità
nelle quali il tempo
s'era ripiegato:
forse c'eri tu davanti
alla grande finestra azzurra
inclinata sull'abisso
della notte, io camminavo avanti e indietro
tu mi guardavi.



7 dicembre 2014


Tratta da: Fabrizio Falconi, Nessun Pensiero Conosce l'Amore, Interno Poesia, 2018

08/05/16

Poesia della Domenica: "La Madre" di Ada Negri.



Vedova, lavorò senza riposo
per la bambina sua, per quel suo bene
unico, da lo sguardo luminoso;

per essa sopportò tutte le pene,
per darle il pan si logorò la vita,
per darle il sangue si vuotò le vene. -

La bimba crebbe, come una fiorita
di rose a maggio, come una sultana,
da la materna idolatria blandita;

e così piacque a un uom quella sovrana
beltà, che al suo desio la volle avvinta,
e sposa e amante la portò lontana!...

... Batte or la pioggia dal rovaio spinta
ai vetri de la stanza solitaria
ove la madre sta, tacita, vinta:

schiude essa i labbri, quasi in cerca d'aria;
ma pensa: "La diletta ora è felice... ".
E, bianca al par di statua funeraria,

quella sparita forma benedice.



Ada Negri

09/03/12

Che cosa ci lascia una madre - di Massimo Gramellini.


Questa lettera, e la risposta che segue - di Massimo Gramellini - comparve nella rubrica 'Cuori allo Specchio', del settimanale de La Stampa 'Lo Specchio', molti anni fa. 

L'ho finalmente ritrovata, e voglio riportarla qui per voi, amici. 

Questa lettera è un po' atipica in quanto non parla di amori persi, di tradimenti o di quant'altro può accadere nella vita di un individuo nel momento in cui si trova a relazionare col sesso opposto.  Questa lettera parla di un rapporto particolare, di un rapporto finito prematuramente in una stanza di un ospedale, parla di mia madre.     Ho 39 anni, sono sposato(felicemente) e avevo una mamma stupenda di soli 20 anni più vecchia di me. Una neoplasia mammaria me l'ha portata via e da allora la mia vita è diventata un  film in bianco e nero.     Da lei ho imparato ad amare i Rolling Stones (un po' meno i Beatles), Lucio Battisti e il mio prossimo.  Mia madre mi ha insegnato a stare bene in mezzo alla gente, a portare rispetto per i più deboli e a imparare a non soffrire per la sordità e la cecità del mondo nei confronti di noi romantici.  Ho lavorato tutta la vita in fabbrica, ho amato profondamente mio padre, ho curato mio nonno e già malata terminale di cancro ho assistito comunque mia nonna per due mesi, prima che lei spirasse.   Dopo  il decesso di mia nonna si è chinata su di lei e le ha sussurrato nell'orecchio: "grazie di tutto." Tre mesi dopo è mancata anche lei. Era un mattino di sole e mi ha detto all'orecchio con un filo di voce: " non mollare mai, sei in gamba, ed è stato un onore per me averti come figlio."  Mentre Le sto scrivendo sto piangendo, ma ho il cuore spezzato e non riesco a riprendermi.   E' troppo dura da mandare giù. Voglio rivolgermi a Lei in questo momento di estremo dolore in modo che la sua saggezza e la sua preparazione riescano in parte a colmare questo enorme vuoto.   
Gabriele

Non sono né saggio né preparato, Gabriele. però sono orfano anch'io. Dall'età di nove anni. E lettere come la sua hanno ancora il potere di turbarmi, persino in un'epoca che ha trasformato le emozioni in un genere televisivo, in una marmellata indistinta e insapore che ci ha reso tutti inappetenti. 

Dieci anni fa, e ne avevo già 30, non parlavo volentieri di mia madre con nessuno, nemmeno con me stesso.  E dieci anni prima, a 20, negavo inconsciamente che fosse morta, nascondendone le foto in un cassetto. Se ora riesco addirittura a scriverne in un giornale è perché ho accettato il mio dolore e ho perdonato tutti.    Lei per essersene andata così presto e Dio per essersela presa:  a 43 anni, dopo una vita che non fu purtroppo diversa da quella di Sua mamma. 

La mia era orfana di padre e durante la guerra, all'età in cui oggi le adolescenti raccontano a Cuori allo Specchio i primi raffreddori sentimentali, lavorava in fabbrica sotto le bombe per aiutare mia nonna a mantenere quattro fratellini più piccoli.
Era bionda, sbadata, emotiva, buffa come me.  Era altruista e disponibile con tutti, un termosifone sempre acceso a temperatura costante, come io vorrei essere e non sono.
Se fosse sopravvissuta al tumore che la portò via durante le vacanze di Natale, proprio come Sua madre, io oggi sarei probabilmente un avvocato (era la sua previsione: "con quella parlantina!") perché il giornalista era un mestiere troppo aleatorio per un'apprensiva come lei e forse non ce l'avrei fatta a darle un simile dolore.

La invidio, Gabriele, per non aver pronunciato nella Sua lettera, la più ovvia delle recriminazioni: come mai una donna così buona se n'è andata così giovane ?
Certo non ha lasciato nel nido un pulcino spaurito, ma un adulto al quale aveva fatto in tempo ad insegnare ad amare il prossimo, Battisti e i Rolling Stones: l'essenziale insomma.  

Però morire a 59 anni, quando si ha il cuore grande di Sua madre, resta un'ingiustizia inconcepibile. 
Ci salva solo la consapevolezza che questa vita abbia un senso e che il suo senso sia: allenarsi.
Col sorriso sulle labbra, se si può. Ma la vera goduria non può che essere altrove. Lo chiami paradiso o come le pare. Noi siamo qui per prepararci.  Ma non ci troviamo tutti allo stesso livello. Alcuni sono più avanti col programma e gli serve meno tempo per prendere il "tagliando" e spiccare il volo.   Chi è già angelo da giovane non ha bisogno di diventare anziano.  Non sempre, almeno, perché altrimenti si dovrebbe concludere che solo i cattivi invecchiano e non è vero. 

Meglio metterla così: ognuno ha un suo progetto da compiere in questa vita, e le nostre madri hanno esaurito il loro più rapidamente di altri. Perché era più breve, o perché erano più brave.  

Rimaniamo noi figli, con un carico di ricordi che nel Suo caso, per fortuna, è superiore ai rimpianti.  

Mi è stato detto che l'ultimo gesto che mia madre compì, la notte in cui perse definitivamente conoscenza, fu di venire nella mia stanza a rimboccarmi le coperte. 

La Sua le ha sussurrato all'orecchio quelle parole meravigliose. 
Ricordiamocele così, nell'atto di amarci e benedirci per l'ultima volta.
E cerchiamo di esserne degni, Gabriele.  Senza retorica. E senza paura.

Massimo Gramellini