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21/12/16

Un posto bellissimo e misterioso: le rovine di Cuma e l'antica grotta della Profetessa.


Le rovine di Cuma, in Campania, con l’antica grotta della Profetessa.

La città di Cuma – le cui rovine si ammirano oggi nel territorio di Pozzuoli, nella zona dei Campi Flegrei, non lontano da Napoli – fu una delle prime in assoluto fondate dai coloni greci nell’ottavo secolo avanti Cristo, proprio negli stessi anni in cui più a nord nasceva in una sorta di disputa fratricida, la leggenda di Roma sul colle Palatino.

I coloni della Magna Grecia che per la prima volta arrivarono fin qui, scelsero il nome di Cuma -  Κύμη (Kýmē) – proprio perché questo terreno roccioso, in realtà di lava solidificata nel corso dei secoli, ricordava un’onda.

Il rialzo della roccia apparve a questi avventurosi colonizzatori il luogo ideale per costruire una città fortificata, dotata di acropoli che, in breve tempo giunse ad espandere il suo territorio a buona parte dell’attuale Campania. Un regno indipendente che durò poco, prima dell’invasione subita da parte dei Campani prima, e dei Romani poi, che concessero però alla nobile città il rango di civita sine suffragio, che garantiva cioè tutti i diritti di cittadinanza romana, con l’esclusione del voto.

I resti che si ammirano oggi di Cuma, si riferiscono però quasi interamente all’epoca di Augusto, durante la quale furono restaurati gli edifici più antichi. Ciò che fu invece salvaguardato, per il rispetto che il luogo incuteva era la Grotta, che una persistente leggenda, durata per secoli, indicava come la dimora del più celebre oracolo del mondo, la Sibilla Cumana, la sacerdotessa in grado di predire il futuro.

Chi era dunque Sibilla ? E perché questo luogo continua ad esercitare lo stesso fascino misterioso descritto da Virgilio, che della Sibilla fa un personaggio centrale, la traghettatrice che conduce Enea nel regno dell’Oltretomba (lo stesso ruolo che svolgerà Virgilio medesimo nella Comoedia dantesca) ?
Virgilio, nell’Eneide, nel sesto libro, fornisce questa immagine della Grotta della Sibilla: profonda grotta, immane di larga apertura/di roccia, da un nero lago difesa, e dai boschi tenebrosi.

Una Grotta, specifica ancor meglio Virgilio, abitata da vapori sulfurei,  in cui la profetessa appare come una virgo violentemente posseduta dal dio Apollo, che dolorosamente deve scacciare dal proprio petto, in un passaggio simbolico che richiama tutte quelle figure di sacerdotesse dell’antichità, il cui culto fu probabilmente importato dall’Oriente e passando attraverso la Pizia di Delfi, finì per essere assorbito dalla cultura della Magna Grecia prima, e romana poi.
L’habitat descritto da Virgilio, riguardante la Sibilla, era quello che già si tramandava oralmente e radicato dunque nella tradizione. Per intraprendere il viaggio negli inferi il visitatore – in questo caso Enea – doveva procurarsi un ramo d’oro (secondo diverse versioni doveva trattarsi di vischio) e condursi all’entrata del Lago di Averno, formatosi nell’antichità nel cavo di un vulcano e ricolmo di acque sulfuree le quali erano anche all’origine del suo nome, perché si riteneva scacciassero gli uccelli (l’etimologia di ‘Averno’, nel senso di ‘Inferno’ sembra derivi, oltre che dal colore scurissimo delle sue acque e dalla fitta vegetazione intorno, dal greco, Aornon, cioè ‘senza uccelli’).



Questo luogo, dunque, il Lago di Averno, che ancora oggi è possibile ammirare per fortuna libero dalle esalazioni che sono scomparse o attenuate, eppure pesantemente minacciato dallo sproporzionato sviluppo edilizio della zona, era la porta degli inferi, e la Grotta, quell’antro dove era possibile portarsi al cospetto della Sibilla.