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12/03/24

Un incontro con il grande Manuel Puig, a Rio de Janeiro, poco prima della morte

 



Ho incontrato il grande Manuel Puig l'anno prima che morisse (per le conseguenze di un banale intervento di routine, a Cuernavaca, in Messico, dove si trovava, nel luglio 1990, a soli 58 anni), a Rio de Janeiro, dove mi trovavo per un reportage per RadioRai. 

Lo chiamai al telefono che mi aveva dato l'ufficio stampa della casa editrice italiana. In quel periodo viveva a Rio de Janeiro, poco distante dall'elegante, bellissimo quartiere di Leblon. Fu estremamente gentile e si rese disponibile per un incontro intervista in un caffè del centro. 

Arrivò completamente vestito di lino bianco, abbronzato e molto magro. Conversammo per un po' dei suoi libri, e delle sue esperienze in giro per il mondo, in particolare in Italia, paese nel quale la sua vita e la sua carriera avevano avuto una svolta. 

Nato nella città argentina di General Villegas nel 1932, Puig  era cresciuto in un ambiente di provincia, mostrando sin dall’adolescenza un vivo interesse per il mondo del cinema, nel quale cominciò a lavorare sia negli Stati Uniti, che in Europa; in particolare, in Italia frequentò il Centro sperimentale di cinematografia.

Il suo primo romanzo, Il tradimento di Rita Hayworth (La traición de Rita Hayworth, 1968),  meravigliosa divagazione sui miti hollywoodiani, gli assicurò subito una certa fama. 

Cinema e ambienti piccolo-borghese, costituiscono anche il motivo centrale di Una frase, un rigo appena (Boquitas pintadas, 1969), uno dei suoi capolavori, elaborato con frammenti di lettere, ritagli di giornali, atti amministrativi ecc., un vero e proprio sfoggio di tecnica e creatività.

Il discorso politico, l’esilio che lo scrittore visse per sfuggire alla dittatura argentina, gli elementi del romanzo poliziesco e la tematica omosessuale caratterizzano i romanzi successivi già coronati dal successo internazionale dello scrittore: The Buenos Aires affair (1973) e soprattutto Il bacio della donna ragno (El beso de la mujer araña, 1976), che dopo la riduzione cinematografica di Hector Babenco, gli valse la fama internazionale. 

L'intervista fu pubblicata sul Manifesto del 29 luglio 1996 e la riporto qui sotto integralmente, come contributo alla conoscenza tra uno dei più originali e notevoli talenti del Novecento letterario. 











13/03/14

Rio de Janeiro, l'oltre-mondo in terra.





C'è un po' di oltre-mondo in Rio de Janeiro.

Quando sono arrivato lì, anni fa, ho sentito una dissonanza (dal resto del mondo), che era come la scrittura di Clarice Lispector, lussureggiante e chiusa, misteriosa e sincopata, generosa, palpitante. 

Quando ho attraversato Leblon - in un caffé incontrai per una intervista Manuel Puig - sentivo il canto disperato di Maria Creuza, del suo amore oltre-mondano poetato da Vinicius de Moraes.  

Nel grande ingresso del Teatro Municipal, ogni ballerino era un mondo, ed ogni mondo era un colore diverso. 

Ogni frutto mangiato lì aveva un sapore oltre-terreno: niente aveva sapori conosciuti, niente aveva profumi conosciuti. 

A Copacabana, il grande spazio immenso era allo stesso tempo recluso dai Morros.  Così come tutto quell'azzurro era chiuso da nuvole cariche di pioggia che sparivano misteriosamente in pochi minuti, dopo aver inondato tutto. 

Sui tornanti tortuosi per raggiungere il Corcovado, il tassista giocava con la nebbia e ci fermava sempre sul tempo del precipizio. 

Tutto era precipizio, come Cristo sui pinnacoli tentato dal diavolo.

Tornati da Angra dos Reis, attraversando la foresta aggressiva fino al mare, i villaggi dei pescatori già supportati dal cemento, le centrali nucleari invise a Fernando Ribeiro e alla sua truppa di volenterosi,  fui nuovamente inghiottito da Rio. 

E di nuovo fu come passare in un'altra dimensione.

Forse lo è stato.  Sorseggiavo ancora la pinha, direttamente dalla mia cannuccia arcobaleno, con i piedi sporchi di sabbia e le chitarre di due pigri disperati, quando ero ormai a casa, quella che ancora chiamavo casa, e che non esisteva nell'oltremondo dove ero stato.

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata 

02/09/11

Intervista a Manuel Puig - di F.Falconi.



Questa mia intervista al grande Manuel Puig (General Villegas, 28 dicembre 1932 - Cuernavaca 22 luglio 1990) è stata realizzata a Rio de Janeiro nell'aprile del 1989. 

Abita nell’elegante quartiere di Leblon, fuori dalla spaventosa ridda di traffico, rumore e miseria della Rio de Janeiro popolare, Manuel Puig, lo scrittore argentino esiliato dal suo paese nel 1973 come conseguenza del sequestro di “Fattaccio a Buenos Aires”, un suo romanzo poco gradito ai generali.
Da allora Manuel Puig ha “abitato il mondo”, trascorrendo lunghi periodi in diversi paesi. Un suo romanzo, “Il bacio della Donna ragno”, portato sullo schermo in una fortunata riduzione, gli ha dato notorietà internazionale, consacrandolo una delle punte di diamante della letteratura sudamericana. Il suo ultimo libro, “Scende la notte tropicale”, edito in Italia da Mondadori,  (e ripubblicato recentemente da Sellerio ndr) è stato stampato in tutto il mondo e salutato con favore dalla critica internazionale.

Manuel Puig, il suo ultimo romanzo ha per protagonista due sorelle ultraottantenni di origine argentina che abitano a Rio de Janeiro e che si trovano coinvolte nelle vicende vissute e raccontate dalla loro vicina di casa quarantenne. Come è nato lo spunto del libro ? Perché ha scelto il tema della vecchiaia ?
- Osservando la mia famiglia. I miei genitori sono diventati vecchissimi e la loro vecchiaia ha per me qualcosa di “epico”.Si tratta di persone che come molte della loro generazione, hanno radicata una mentalità precisa, fatta di sacrificio, di lotta, di piccolo risparmio, di duro lavoro.  Sono per lo più emigranti che hanno molto faticato nella vita e che oggi devono adattarsi alla brutale realtà del continente sudamericano. L’iperinflazione ha tolto ogni significato alla parola risparmio. I loro nipoti parlano espressamente di sesso e droga, il loro mondo era troppo diverso da questo.  Io ho portato i miei genitori qui in Brasile con me e loro sono riusciti ad entrare in contatto col popolo brasiliano e questo è molto positivo. Per questi vecchi il bisogno più urgente è quello di dare affetto, non tanto di riceverne. Così per loro la cosa più importante è trovare l’oggetto di questo affetto.  E questa è proprio la storia del romanzo.

Quindi per le due sorelle, Nadia e Lucy l’oggetto d’amore è proprio Silvia, la vicina di casa.
- Certo. Ma io pensavo a Silvia come alla vera protagonista del romanzo. Poi mi sono accorto che per tutti quelli che l’hanno letto, le protagoniste sono diventate Nadia e Lucy. Capita sempre qualcosa di strano dopo aver finito un libro. C’è un triangolo tra l’autore, i personaggi e il lettore, e non sempre le cose vanno come l’autore ha previsto. Io poi cerco sempre di non “chiudere” i miei personaggi. Mi piace accennare agli spazi oscuri intorno ad ogni personaggio.

In “Scende la notte tropicale” ritornano le due città importanti della sua vita, Buenos Aires e Rio de Janeiro.
- Sì, sono due città diversissime, opposte. Buenos Aires è lavoro, risparmio, pensare al domani. E poi anche il clima, c’è qualcosa di molto europeo… A Rio de Janeiro invece è tutta natura, sole, godersi il momento. A me ha fatto molto bene venire qui.

Ma le è rimasta nostalgia per l’Argentina ?
- Io ho nostalgia per tutti i posti dove ho vissuto, una strana forma di nostalgia, legata anche all’epoca: così ho nostalgia per la Buenos Aires degli anni ’50, per la Roma dei ’60, per la New York del 1964, per la Londra del ’58. Ho nostalgia di questi posti perché non esistono più.  Negli ultimi venti anni tutto è cambiato. Così la Roma di oggi non è certamente quella che io percorrevo sui filobus degli anni ’60. Per quanto riguarda l’Argentina poi, i tempi sono davvero inquietanti. Sembra proprio che la storia certe volte non insegni niente. Quando tornò Peròn nel 1973 potevano esistere ancora dubbi, incertezze. Ma oggi questo ritorno del peronismo è davvero inaccettabile. Menem è uno che parla bene di Stroessner, il dittatore che ha dato al Paraguay 40 anni di oppressione e miseria.

Torniamo ai libri. Il successo della “donna ragno” è andato oltre ogni previsione. Le pesa ?
- No davvero. Anzi, sono grato al film che ne è stato tratto perché mi ha dato molta notorietà. Certo è chiaro che il film era qualcosa di completamente diverso rispetto al libro, ma credo che sia dignitoso, sono soddisfatto di come è stato realizzato, anche se il Molina di William Hurt non era il ‘mio’ Molina ma per fortuna il libro rimane: chi vuole sapere il mio punto di vista su Molina, può leggere il libro. Adesso negli Stati Uniti vogliono realizzare un musical dal romanzo e credo che si farà.

A proposito di cinema, mi sembra che oltre ad essere oggetto di un interesse letterario, stia diventando per lei quasi una seconda attività.
- Beh non è proprio così, anche se effettivamente collaboro spesso alla realizzazione di film. Mi piace collaborare nel cinema, anche se in questo caso si è veramente comprimari: il film è soltanto del regista. Chi scrive è solo colui che viene all’inizio, e questo è il brutto. Io invidio il musicista, che arriva alla fine del film..

Che cosa risponde a chi l’accusa di essere un semplice “registratore” della realtà ? Mi sembra che questa sia la principale accusa che la critica muove nei confronti del suo stile letterario..
- Credo sia un’accusa ridicola. Io uso il linguaggio quotidiano come un codice. Il materiale che raccolgo nell’esperienza quotidiana viene sempre rielaborato. Le voci sono soltanto un codice di linguaggio che viene sviluppato in senso letterario.

Lei trascorse un lungo periodo di tempo nel nostro paese. Nei suoi futuri progetti c’è anche l’Italia ?
- Lo spero davvero. Purtroppo sono ora nella fase nella quale si discute molto di futuri progetti. E’ una fase che non mi piace questa delle chiacchiere.  Alla fine, di dieci progetti se ne realizza uno, se va bene. Una cosa a cui tengo molto è un film con Milena Canonero, la costumista premio Oscar per “Amadeus”, che esordisce nella regia e ha anche chiesto la mia collaborazione.  Ma anche in Italia ci sono progetti interessanti: c’è un film con Davide Rampello, poi so che Mattolini, che ha già fatto a Milano “Mistero del mazzo di rose”, vuole realizzare il musical che ho scritto su Gardel, il grande cantante argentino degli anni ’30. Sono sempre molto legato al vostro paese. D’altronde, qualcosa di italiano c’è anche nel mio sangue. Mio padre era figlio di immigrati spagnoli, ma i genitori di mia madre erano di Piacenza.

Fabrizio Falconi, “Due Epici vecchi nella notte tropicale”, intervista a Manuel Puig, Paese Sera 3 giugno 1989.