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19/12/13

(Dieci grandi anime) - 4. Antonia Pozzi (3./)





(Dieci grandi anime) - Antonia Pozzi (3./)  



Scrive nella occasione di quel viaggio una poesia, intitolata Viaggio al Nord, che termina con queste parole :
    
    Ripudia
    questo sangue il suo sole e le stagioni
    infuriando
    così  sotterra, nella magica notte.  (5)

    Sente, il suo cuore non può non sentire, quello che si prepara. L’odore del sangue che già si sparge sotto il sole.  Anche i suoi migliori amici, come Paolo Treves – che è fuggito a Londra da dove conduce una rubrica per Radio Londra – sono in pericolo, o sono già morti, come Gianni Manzi, compagno d’università molto amato che si è tolto la vita due anni prima, nel 1935.
    Non gli sono di conforto – se non temporaneo – l’amicizia, la fraternità con altri amici poeti, come Vittorio Sereni, le lunghe discussioni sull’arte, quando si accompagnano a casa la sera.  Oppure come  altri coetanei come Luciano Anceschi, Remo Cantoni, Enzo Paci, Maria Corti.
    Divengono più frequenti, alla fine della sua breve vita, le visite alla nonna, Maria Cavagna, e quelle a Pasturo, l’unico posto dove davvero sembra ritrovare un po’ di pace.
    Probabilmente matura lentamente in lei un desiderio di sparire quietamente, e che del resto abita in lei già da tempo.   In una poesia del 1930,  scritta a diciott’anni,  descrive il raccoglimento interiore di una visita in chiesa, e scrive: 
   
    O lasciate che io sia
    una cosa di nessuno
    per queste vecchie strade
    in cui la sera affonda.

    Non domandatemi se prego
    e chi prego
    e perché prego.

    io entro soltanto
    per avere un po’ di tregua
    e una panca e il silenzio
    in cui parlino le cose sorelle –
     poi ch’io sono una cosa –
     una cosa di nessuno
     che va per le vecchie vie del suo mondo –
     gli occhi
     due coppe alzate
     verso l’ultima luce.  (6)

     Quell’ultima luce è in definitiva la luce beata delle montagne, che Antonia conosce bene, che esplora con gli occhi e con l’obiettivo della sua macchina fotografica. Il suo divenire continuo, il suo mutare, il suo non trovare appigli , è il simbolo di una ricerca che non può che incarnarsi nello spirito vitale che la abita e che non trova un abbraccio sicuro, un luogo stabile nel quale trovare pace, se non nell’immagine paziente di una luce ulteriore, irraggiungibile in questa vita.
    
     Abbandonati in braccio al buio
     monti
     m’insegnate l’attesa:
     all’alba – chiese
     diverranno i miei boschi.
     arderò – cero sui fiori d’autunno
     tramortita nel sole.   (7)

     E’ una delle ultime poesie, senza indicazioni di data precisa, nelle quali si individua il sogno di un’altra vita, che possiede lo spirito di Antonia:  l’attesa di quei monti, di quei boschi che diventano chiese.



(3./ segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.