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20/01/14

Dieci grandi anime. 5. Jiddu Krishnamurti (4-fine)




Dieci grandi anime. 5. Jiddu  Krishnamurti (4 - fine)

Lo ammise esplicitamente in un lungo colloquio con Mary Lutiens e Mary Zimbalist, avvenuto nel 1974 a Brockwood Park, in cui parlò retrospettivamente di sé - in terza persona -  e di quello che era accaduto a quel semplice ragazzo indiano, cui era toccato un destino così particolare:
      Il ragazzo fu trovato, il condizionamento non fece presa – né la Teosofia, né l’adulazione, né il Maestro del Mondo, le proprietà, le enormi somme di denaro – niente di questo lo toccò. Perché ? Chi lo ha protetto ?
     Tutto questo è sacro. E’ veramente straordinario il perché questo ragazzo  non sia stato corrotto.   Hanno fatto di tutto per soggiogarmi.  Stiamo provando a toccare un mistero ? Nel momento in cui lo comprendi non è più un mistero. Ma la sacralità non è un mistero. Noi stiamo cercando di rimuovere il mistero che conduce alla fonte.  (8)
     E’ una delle rare volte nelle quali, sentendosi forse alla fine della vita, Krishamurti ammise di considerarsi una sorta di eletto. Qualcuno che era stato scelto per una missione, quella che lui avrebbe considerato una via di perfezionamento.
     Negli ultimi anni prese a definire con questo termine – l’Altro – l’entità da cui si sentiva abitato. Abitato fino alla fine. Al punto che cominciò, quando entrò nella fase finale della malattia che lo avrebbe portato alla morte, che quell’Altro volesse abitare un corpo malato, perché non lo lasciava andare, lui che aveva sempre pensato di potere un giorno ‘scivolare’ nella morte molto più facilmente che nella vita.
     Della personificazione di questo Altro – cioè di quella stessa energia che causava il dolore del processo - parlò chiaramente quando nell’ottobre del 1985, quattro mesi prima di morire, così rispose a Mary Zimbalist, che gli chiedeva se si sarebbero rivisti ancora: “ Non morirò all’improvviso, “ rispose Krishnamurti, “ è tutto deciso da qualcun altro (non qualcos’altro NdA). Non posso parlarne. Non mi è consentito, capisci ? E’ molto più serio.  Ci sono cose che tu non sai. Enormi, e io non posso dirtele.”  (9)
     E’ impossibile rendere conto qui della complessità dell’opera di Krishnamurti, del suo lascito filosofico e spirituale, che ancora oggi,  25 anni dopo la sua morte, appare vivo nel mondo. Insieme al mistero riguardante l’origine di questa conoscenza così profonda, e al mistero più generale della figura di Krishamurti, della sua esistenza, e della reale portata delle sue esperienze.
     Una idea di questa complessità si può ricavare dalla lettura del Taccuino,   che Krishnamurti cominciò a scrivere nel giugno del 1961  - per sette mesi -  come diario quotidiano delle sue percezioni e dei suoi stati di coscienza. Si tratta di un manoscritto straordinario, anche dal punto di vista della modo in cui fu redatto: 323 pagine scritte a matita, senza una sola cancellatura. (10)
      Il diario che inizia e finisce senza una motivazione o una data precisa, è un testo poco legato alle questioni quotidiano, e denso di riferimenti – apparentemente puramente descrittivi – al mondo della natura, e al mondo interiore, che per Krishnamurti sono entrambi veri mondi spirituali.
     Nel Taccuino, il 29 luglio del 1961, Krishnamurti scrisse un piccolo decalogo che forse rappresenta pienamente la summa del suo pensiero di conoscenza interiore, oltre che una guida pratica, e non puramente utopistica ( non lontana, per altro,  dagli insegnamenti evangelici), per avvicinarsi alla pienezza di quella immensità che egli sentì prossima durante tutta la vita, e obiettivo di crescita per ogni essere umano.
      Per essere maturi, scriveva Krishnamurti, è assolutamente necessario che vi siano:
1.   completa semplicità che si accompagni a umiltà, non nelle cose o per quel che riguarda il suo possesso, ma nella qualità dell’essere;
2.      passione, con una intensità che non è puramente fisica;
3.      bellezza, non solo sensibilità alla realtà esteriore, ma l’esser sensibili a quella bellezza che è aldilà  al di sopra di pensiero e sentimento;
4. amore; la sua totalità, non quell’amore che conosce gelosia, attaccamento, dipendenza; non l’amore che viene diviso in carnale e divino. L’intera immensità dell’amore.
5.   e la mente capace di cercare, di penetrare senza motivo, senza scopo, nelle sue stesse sconfinate profondità; la mente che non ha barriere, ed è libera di vagare fuori del tempo-spazio.    (11)

Questa maturità, ricercata e descritta in modo così semplice ed eloquente da Krishnamurti è quella che consente di percepire a partire dalla contemplazione di un semplice fiore (un fiore sul lato della strada, una cosa chiara, luminosa, aperta al cielo: il sole, la pioggia, il buio della notte, i venti, il tuono, la terra hanno preso parte alla creazione di quel fiore. Ma il fiore non è nessuna di queste cose. E’ l’essenza di tutti i fiori)  (12)  l’essenza di tutta la vita, fuori dal tempo e dallo spazio. 

      Allora anche nella misura di un fiore c’è stata la benedizione, scrive Krishnamurti, insieme a una grande pace.  

(4. - fine) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.

       
8.     M. Lutyens, La vita e la morte, op. cit. pag. 174.
9.     M. Lutyens, La vita e la morte, op. cit. pag. 219.
10.     Il Taccuino di Krishnamurti è pubblicato, come le altre opere da Ubaldini Editore, Roma, 1980.
11.       J. Krishnamurti, Taccuino, op. cit. pag. 31.
12.      J. Krishnamurti, Taccuino, op. cit. pag. 54.

19/01/14

Dieci grandi anime. 5. Jiddu Krishnamurti (3./)




Dieci grandi anime. 5. Jiddu  Krishnamurti (3./)

Iniziò così quella seconda, lunga fase nella vita del maestro, che lo portò a viaggiare per il mondo fino all`età di novant`anni, e a diventare un punto di riferimento per scrittori come Aldous Huxley, scienziati come David Bohm, o migliaia di persone comuni appartenente a paesi e razze diverse, così attratti dalla figura e dalle parole di un pensatore davvero fuori dal comune e da ogni schema.
      Una seconda fase nella quale Krishnamurti portò avanti con coerenza, fino all’ultimo, ciò che pensava della vita: il rifiuto di ogni ideologia, di ogni autorità spirituale o psicologica – comprendendo anche se stesso  in questo contesto – la liberazione dalla paura – dalla paura della morte in primis -  dai condizionamenti del pensiero, dall’autorità, dalla sottomissione ai vincoli imposti.
     Il cammino spirituale di Krishnamurti è fatto, prima di tutto, di consapevolezza. E’ solo la consapevolezza che rende liberi nel cammino verso la Verità.  Ma nessuna consapevolezza è possibile dentro al frastuono del mondo, nessuna consapevolezza è possibile se non ci si libera dei legacci e delle false illusioni del pensiero.
      La comprensione, scrive nel suo primo libro, pubblicato nel 1953, Education and the Significance of Life,  viene solo attraverso l’autoconoscenza, che è la consapevolezza del proprio intero processo psicologico.  L’istruzione è nella comprensione di sé, poiché è in ciascuno di noi che è raccolta la totalità dell’esistenza.
      E nell’Uomo alla svolta, aggiunge: la libertà è essenziale per l’amore; non la libertà della rivolta, non la libertà di fare quel che ci pare e piace, neanche l’indugiare segretamente o apertamente nelle proprie bramosie, ma piuttosto la libertà derivante dalla comprensione dell’intera struttura della natura e del centro. Allora la libertà è amore. (5)
      E’ grazie ad affermazioni come queste, fatte nel corso di lunghe conferenze, fatte senza nessun foglio scritto, seduto su di una semplice sedia, con il suo tono di voce avvolgente, la pronuncia lenta, gli occhi spesso socchiusi, che Krishnamurti diventò, poco a poco, celebre.  Riconosciuto, ammirato, inseguito anche – inevitabilmente – dal mondo della celebrità e dello spettacolo. 
      Quando l’amica italiana Vanda Scaravelli -  era figlia di Alberto Passigli, aristocratico proprietario terriero, e personaggio molto in vista nella società fiorentina e moglie del marchese Luigi Scaravelli, professore di filosofia all’Università di Roma – lo portò in Italia, registi cinematografici (Fellini, Pontecorvo), scrittori (Moravia, Carlo Levi), musicisti (Segovia, Casals) fecero a gara per incontrarlo.  Ma Krishnamurti non cambiò mai il suo semplice sistema di vita, apparentemente completamente alieno dai bisogni e dai desideri umani.   Continuò a passare gran parte delle sue giornate in meditazione, o studiando o scrivendo, o incontrando persone che volevano conoscerlo.   Continuò, allo stesso modo, quel doloroso processo, che a tratti si impadroniva di lui e lo portava in uno stato di estasi e di distacco dal mondo, del  quale la stessa Scaravelli (6) fu più volte testimone, e che così descrive nei suoi appunti:
       Dopo colazione stavamo conversando. In casa non c’era nessuno. Tutt’a un tratto K. svenne. Ciò che accadde a questo punto non si può descrivere, poiché non ci sono parole per darne minimamente un’idea: ma è anche qualcosa di troppo serio, troppo straordinario, troppo importante per essere lasciato nel buio, sepolto nel silenzio o tralasciato. Nel viso di K. ci fu una trasformazione.  I suoi occhi divennero più grandi, vasti e profondi, ed ebbero uno sguardo sovrumano, che andava al di là di ogni spazio possibile. Fu come se ci fosse una presenza, un potere appartenente ad un’altra dimensione. C’era una inspiegabile sensazione di vuoto e di pienezza al tempo stesso. (7)

       I contorni di questo ‘dove’, di questa ‘altra dimensione’ furono lasciati dallo stesso Krishnamurti sempre incerti. Non accettò mai di rispondere in modo preciso a ciò che avveniva durante quegli stati di coscienza che duravano anche giorni interi.  Ma sempre, nei suoi discorsi, emerse chiaramente che si sentiva ‘abitato’ o ‘protetto’ da una volontà e da un verità superiore.   Anche se ‘Dio’ è una parola che Krishnamurti  usò con incredibile parsimonia, proprio perché considerava quello che gli uomini descrivono come ‘Dio’ una ulteriore prigione mentale, un pre-giudizio, uno schema di cui liberarsi, se si vuole arrivare davvero al centro autentico della verità. 

(3./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.

      
5.     M. Lutyens, La vita e la morte… op. cit. pag. 144.
6.     Vanda Scaravelli, scomparsa nel 1999 è stata a sua volta insegnante di Yoga e di meditazione profonda, fino all’età di 80 anni, con all’attivo numerosi saggi.
7.     M. Lutyens, La vita e la morte… op. cit. 128.

17/01/14

Dieci grandi anime. 5. Jiddu Krishnamurti (1)





 Dieci grandi anime. 5. Jiddu  Krishnamurti (1./)
     

Jiddu Krishnamurti, il maestro spirituale – oggi riconosciuto come uno dei più grandi del secolo scorso – non si stancò mai nelle migliaia di incontri e conferenze, tenute in giro per il mondo, e nelle scuole da lui fondate, in Svizzera, in Inghilterra – a Brockwood Park,dove oggi esiste la fondazione internazionale che porta il suo nome  (e una scuola internazionale per giovani dai 14 ai 24 anni)  – in California o in India, di ribadire che la religione, come è generalmente intesa – e quindi anche lo stesso pensiero della esistenza o non esistenza di Dio -  non è altro che una forma di costrizione, un inganno del pensiero, un limite della realtà che noi stessi accettiamo e che deforma ogni nostra percezione.
     Chi deve portare ordine nel mondo della realtà ? afferma Krishnamurti, in risposta a una delle persone che venivano quotidianamente ad interrogarlo (1),  L’uomo ha detto “Lo porterà Dio. Credi in Dio e avrai ordine. Ama Dio e avrai ordine. “ Ma quest’ordine diventa meccanico a causa del nostro desiderio di sicurezza, desiderio di sopravvivere, di trovare il modo più facile per vivere.  
     Come sa chi conosce la densa opera filosofica e spirituale di Krishnamurti, il senso del suo insegnamento fu proprio giocato sul rifiuto di quelle concezioni errate da parte degli uomini, frutto delle distorsioni causate dalla paura, dalla sofferenza, dalla paura della morte.    Il pensiero umano è come soggiogato da queste influenze negative che condizionano la conoscenza di se stessi.  Ed è, anzi, proprio il pensiero umano, il suo movimento incessante, frenetico, instancabile, il principale nemico di ogni vera conoscenza.
      Il pensiero è meccanico, e fa parte della realtà.  In campo psicologico il pensiero ha creato il ‘me’  e nell’elenco delle costrizioni, degli artifici del ‘me’, creati del pensiero, Krishnamurti inserisce anche Dio: me, mio, casa mia, la mia proprietà, mia moglie, mio marito, i miei bambini, il mio paese, il mio Dio.
      La sfida contenuta nel pensiero e nella vita stessa di Krishnamurti è invece in un totale rovesciamento di questa prospettiva. La verità è quando il pensiero si ferma. E’ quando non c’è più differenza tra osservante ed osservato.  Quando si capisce  che tutto il movimento della vita è uno, indiviso e quando si è consapevoli di questo. Soltanto allora, dice Krishamurti, la mente ringiovanisce e possiede una immensa energia. E  si può intravedere la bellezza e la verità.  
      Un pensiero di questo tipo, si obietterà, è lontano da un tradizionale senso religioso. Ma soltanto ad un esame molto superficiale la grande opera lasciata in eredità da Krishnamurti, composta da molti libri, meditazioni, taccuini e trascrizioni di un numero enorme di conferenze e incontri, potrà essere liquidata come lontana da una prospettiva religiosa.
      In effetti, se appena si è disposti ad addentrarsi nell’opera e nella vita del maestro indiano, ci si accorge che tutta la sua esistenza, in fin dei conti, non fu dedicata ad altro che a questo: alla conoscenza – non razionale, non positivista – della verità celata dietro l’apparenza e l’illusione della realtà, e in definitiva all’accostarsi al mistero unico del trascendente.  Trascendente a proposito del quale però Krishnamurti – con profonda coerenza –  continuò a rifiutare qualsiasi definizione.  Dio è qualcosa di cui non si può parlare, disse in un incontro a Ojai, in California,  che non può essere tradotto in parole, perché deve rimanere per sempre il non conosciuto.
      E questo, detto da un uomo a cui accadde nella vita di essere scambiato per un Dio – cosa che non capita certamente spesso – non è poco. 
      Sì, perché la vicenda umana di Krishnamurti è davvero singolare e molto interessante, al pari dell’opera che ci ha lasciato.  

      Nato l’11 maggio del 1895 a Madanapalle, un piccolo paese di collina tra Madras e Bangalore, ottavo di dieci figli, da un funzionario indiano dell’Erario sotto l’amministrazione britannica, e da sua moglie, Sanjeevamma. Una famiglia bramina, di lingua telegu, strettamente vegetariana. (2)  Suo padre, pur essendo un bramino ortodosso apparteneva alla Società Teosofica  -  fondata a New York da Helena Blavatsky sul presupposto che tutte le religioni abbiano un’unica origine – dal 1882,  e la madre era una devota di Sri Krishna. Per questo al piccolo Jiddu fu dato il nome di Krishna. 

(1./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 


1.     La citazione qui riportata è tratta da J. Krishnamurti, Verità e realtà, Ubaldini Editore, Roma, 1977,  pag. 100.   Tutte le opere di Krishnamurti sono tradotte e pubblicate in Italia dall’editore Ubaldini.
2.     Tutte le notizie biografiche contenute in questo capitolo sono tratte da quella che è considerata la biografia più esauriente scritta su K. : Mary Lutyens, La Vita e la Morte di Krishnamurti, Ubaldini, 1990, Roma.  Mary Lutiens fu amica di Krishamurti sin dagli anni dell’adolescenza e fu scelta dallo stesso maestro come sua biografa.