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11/05/21

La Ruota degli Esposti medievale, all'Ospedale Santo Spirito di Roma

 



E' una di quelle meglio conservate nel corso dei secoli e una delle più antiche: è la "Ruota degli esposti" ancora esistente all'Ospedale Santo Spirito di Roma. Conservata nella sua edicola originaria (con la cornice in marmo) a fianco di una classica "buca" per le offerte agli orfani, anch'essa in marmo, su una delle pareti esterne del grande ospedale romano, ancora oggi funzionante. 

Fu realizzata nel Medioevo (all'epoca di Innocenzo III, circa 1198), e si tratta di quel classico dispositivo grazie al quale le madri, per i più diversi motivi (poco abbienti, prostitute, madri di figli illegittimi) potevano lasciare i neonati dei quali volevano disfarsi. Il bambino, dopo essere stato introdotto all'interno dell'istituto grazie alla ruota girevole, veniva subito avvolto in un drappo azzurro e consegnato alla Priora della Balia. 

Sul piede sinistro del bambino venivano apposti i segni di una doppia croce e da quel momento esso diventava “Figlio della Casa” o “Figlio della Famiglia”, per cui non poteva più essere definito da nessuno “figlio di ignoti”.





06/11/19

La Basilica dei Santi Quattro Coronati e le misteriose iscrizioni dei giochi nel Chiostro.



La Basilica dei Santi Quattro Coronati e le misteriose iscrizioni dei giochi nel Chiostro.

La magnifica Basilica dei Santi Quattro Coronati, vero gioiello incastonato in una fortezza medievale domina il colle del Celio dall’altura cui si accede attraverso la via omonima, in posizione del tutto defilata rispetto al classico itinerario turistico-archeologico che comprende i più importanti monumenti del centro di Roma.

Eppure pochi altri luoghi come questo meritano una visita, magari soltanto per ammirare i notissimi affreschi (risalenti al 1246) nell’Oratorio di San Silvestro, che descrivono le Storie di San Silvestro e di Costantino Imperatore, compresa la porzione con la Donazione di Costantino, che raffigura la concessione del potere temporale alla Chiesa da parte dell’imperatore Romano, sulla base di un documento attribuito a Costantino, che l’umanista Lorenzo Valla nel 1440 dimostrò inequivocabilmente essere un falso.


Ma molti altri sono i motivi di interesse di questo edificio, costruito originariamente nel IV secolo d.C. e intitolato a quattro martiri cristiani, quattro scalpellini che si rifiutarono di realizzare idoli pagani, non ultimo quello di ospitare una antichissima comunità di suore agostiniane, che ogni giorno, da sempre, recitano i vespri nella chiesa al dolce suono di una chitarra orizzontale. 

Altra attrazione particolarissima è poi il Chiostro, iniziato nel XIII secolo e rifatto nel Cinquecento, cui si accede dalla navata sinistra della Chiesa, di grandissima eleganza con la sua fila regolare di doppie colonne e la galleria. Come capita in diversi Chiostri antichi di Roma, anche qui i portici sono costellati di lapidi, iscrizioni, resti marmorei di diversa provenienza.


Tra le curiosità ci sono anche due figure che hanno attratto la curiosità degli studiosi, rappresentando un rompicapo.

La prima si trova all’ingresso del Chiostro, su un muretto, ed è un insieme di quindici linee parallele all’interno delle quali sono incise cifre romane in ordine sparso.  E’ stato ipotizzato che si tratti di una sorta di abaco, o di calcolatore ante litteram, oppure che al contrario l’iscrizione raffigurasse una sorta di gioco, probabilmente legato al tiro dei dadi. 


L’altra figura si trova invece su di una parete, in posizione quasi simmetrica rispetto alla prima, dall’altro lato del Chiostro, e in questo caso si tratta di tre quadrati concentrici, collegati tra di loro da linee centrali che terminano nel quadrato centrale.  Il riferimento al quale si è pensato è quello del gioco del filetto, che è molto antico e si praticava già nell’antica Grecia e in Egitto.  Ma alcuni studiosi fanno riferimento invece alla cosiddetta triplice cinta esoterica, che è stata ritrovata in diversi edifici in Europa, in Asia, fino in Estremo Oriente: i tre quadrati sarebbero i tre diversi livelli di conoscenza, legati al cammino spirituale che coinvolge le tre diverse essenze umane: fisica, mentale e spirituale e la triplice cinta con la sua evidente simbologia iniziatica finì perfino per essere adottata dall’Ordine dei Templari.



Fabrizio Falconi, tratto da Misteri e Segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton Editori, 

01/08/18

Riemergono due scheletri sotto Piazza San Marco! Probabilmente risalgono al Medio Evo.



Due scheletri umani, forse risalenti a piu' di mille anni fa, sono stati scoperti a Venezia durante alcuni lavori nella Basilica di San Marco per la messa in sicurezza dell'ingresso dall'acqua alta

Sono i resti di un uomo e di una donna, sepolti assieme. Sono venuti alla luce pochi giorni fa - riferisce 'Il Gazzettino' - ed i lavori si sono fermati per l'intervento della Soprintendenza, che al momento non si e' pronunciata sulla scoperta. 

Le ossa sono ora allo studio da parte degli archeologi. 

I resti sarebbero in buono stato di conservazione; le salme erano una sopra l'altra, divise da uno strato di terreno, che - in base alle prime analisi - potrebbe risalire al Medioevo

Sono state individuate dagli operai che hanno iniziato i lavori sotto alcuni metri di terra, davanti alla parete sud della Basilica e alla Porta della Carta di Palazzo Ducale. 

Il riferimento medievale sembra comunque il più probabile, anche in virtù delle analisi del terreno effettuate dagli specialisti

Impossibile azzardare ipotesi sull'identità degli scheletri, potrebbero essere stati sepolti ancora prima dell'edificazione della Basilica nell'828, così come non è da escludere che si possa trattare di due vittime della grande pestilenza delRitrovati due scheletri nei cantieri a San Marco del 1348, che decimò la popolazione veneziana nel Basso Medioevo.

Si tratta comunque solo di speculazioni, in attesa di notizie ufficiali.
Fonte Ansa e Venezia Today 

06/03/18

Il Mistero dei Buchi nel Colosseo.




Tra le molte leggende che hanno accompagnato la vita del Colosseo - se ancora oggi procura una così grande impressione ai turisti che vengono a vederlo, figurarsi cosa dovesse sembrare questo monumento in epoca medievale, già diversi secoli dopo il crollo dell'Impero Romano - alcune, assai curiose, hanno riguardato i famosi buchi, quelle fessure che costellano tutta la superficie visibile dell'Anfiteatro, nella sua parte più antica. 

Tra queste una delle più curiose e persistenti fu quella secondo cui i buchi erano stati fatti dai lanzichenecchi che li riempirono di polvere da sparo con l'idea di far saltare in aria il monumento. 

La stessa leggenda riferiva che il tentativo fosse andato a monte, ribadendo e rinforzando l'alone di immortalità che da sempre avvolgeva il Colosseo.  

Molto più prosaicamente, in tempi più recenti, si è giunti alla conclusione che queste fessure altro non sono che le tracce lasciate dalle cosiddette grappe, che i romani usavano - nel loro genio architettonico - per rinforzare le strutture del travertino, e collegare i diversi blocchi. 

Questo ferro - una quantità imponente che secondo alcuni raggiungeva il peso complessivo di 300 tonnellate - fu gradualmente asportato durante il Medioevo, rendendo certamente il monumento più fragile. Anche se, proprio in virtù della grandezza degli antichi costruttori, il Colosseo è riuscito a rimanere sempre in piedi, nonostante questo. 

Questi buchi, comunque, si sono poi dilatati con il tempo, e certamente anticamente non erano visibili, perché tutta la superficie del gigantesco monumento era rivestita da enormi lastre di travertino, anche queste spogliate senza ritegno nel corso dei secoli e usate per edificare dimore di nobili e principi romani. 

Fabrizio Falconi
2018 - riproduzione riservata



22/09/17

In vendita online i meravigliosi borghi italiani dimenticati, si parte da 200mila euro.



Borgo dei Vegnuti, Fivizzano, Massa Carrara


Dopo l'approvazione all'unanimita' da parte della Camera, la legge salva-borghi e' ora in Senato. In attesa di scoprire se il finanziamento da 100 milioni di euro per salvare i piccoli gioielli italiani dallo spopolamento sara' effettivamente erogato, sul web sono decine gli interi paesini in vendita. 

Dall'Umbria alla Toscana, fino ad arrivare alla Campania, tutto il territorio italiano e' costellato di piccoli agglomerati di case, spesso di origine medievale: alcuni di questi sono stati trasformati in resort o agriturismi, altri versano in condizioni di abbandono

La varieta' di quelli in vendita, spiegano dal portale Immobiliare.it, e' molto vasta e lo dimostrano i prezzi, che vanno da un minimo di circa 200mila euro a un massimo di quasi 6 milioni. Senza pero' considerare che in alcuni casi il costo rimane un mistero e viene rivelato solo a chi realmente interessato

 Partendo dal piu' economico, si tratta di un piccolo borgo nei pressi di Rocca d'Evandro, in provincia di Caserta: per 230mila euro e' possibile acquistare un complesso di cinque appartamenti, alcuni dei quali abitati, dotato anche di stalle e cantine e di un terreno da 20mila metri quadrati

Serve circa il doppio per comprare un borgo umbro in provincia di Terni, nei pressi di Monteleone d'Orvieto. Come si legge nell'annuncio, l'origine di questo agglomerato a poca distanza dal castello di Fabbro risale all'epoca quattrocentesca, mentre la chiesetta al suo interno e' stata edificata nel '700. 

Gli oltre 50 vani sono distribuiti all'interno di spesse mura in pietra e la proprieta' vanta anche una grotta molto ampia, bellissimi soffitti a cassettoni, una sala biliardo e cinque ettari di terreno. Per un prezzo poco al di sotto dei 2 milioni di euro si trovano in vendita tre borghi toscani distribuiti tra la provincia di Firenze e quella di Siena

Nel comune di San Gimignano per 1,8 milioni e' in vendita un borgo composto da tre strutture gia' attrezzate per la ricezione turistica; a San Casciano Val di Pesa, nelle colline fiorentine, e' in vendita per poco piu' di 1,9 milioni un agglomerato di varie unita' da ristrutturare risalenti al 1200. 

È invece della fine dell'800 la villa padronale del borgo in zona Fiesole, in provincia di Firenze: per acquistare l'intero borgo servono quasi 2 milioni di euro. 

A Fivizzano, in provincia di Massa Carrara, e' in vendita Borgo dei Vegnuti per circa 3 milioni di euro: si tratta di un centro medievale costruito in pietra e adibito a struttura ricettiva. Si arriva a superare la cifra di 5 milioni per un borgo nella campagna di Pescaglia, in provincia di Lucca, dove si contano due palazzine gotiche, una villa del '500, una cappella privata, una vasca e una sorgente di acqua oligominerale e povera di sodio, come si legge nell'annuncio

Rimane un mistero il costo del borgo in vendita nei pressi di Cinigiano, in provincia di Grosseto: un progetto di ristrutturazione in corso ha unito sapientemente elementi di modernita' all'inconfondibile stile toscano. Qui i piu' fortunati possono comprare l'intero complesso, ma e' possibile anche pensare all'acquisto di singole abitazioni.


18/01/17

Colosseo: da uno scavo riemerge il cranio di un cavallo di età medievale !






I resti della testa di un cavallo di epoca medievale sono stati ritrovati al Colosseo

L'annuncio e' stato dato dal soprintendente ai Beni archeologici di Roma, Francesco Prosperetti, incontrando i giornalisti all'esterno dell'Anfiteatri Flavio. 

"Proprio oggi nel corso di un cantiere per la pulizia delle aree circostanti i gradini del basamento del Colosseo - ha detto -, da uno scavo in superficie e' stato scoperto il cranio di un cavallo di epoca medievale. Una testimonianza, se ce ne fosse bisogno, che la piazza del Colosseo e' un luogo tutto da indagare dal punto di vista archeologico".

Secondo quanto si apprende dai tecnici della Soprintendenza i resti risalirebbero all'epoca medievale, "tra il XII e il XIII secolo, come ha confermato l'archeozoologo ad una prima analisi visiva dei reperti". 

Ulteriori accertamenti saranno effettuati successivamente, contemporaneamente al proseguimento degli scavi sul basamento del Colosseo

Non e' comunque la prima volta che resti di animali vengono rinvenuti nell'area dell'Anfiteatro Flavio. Molti sono esposti in una mostra all'interno proprio del monumento. 

20/09/16

Le meraviglie della Via Francigena - Inaugurato l'ultimo (splendido) tratto verso Roma !




Storia e natura nell'ultima tappa della Via Francigena da Formello a Roma


Tra le bellezze di cui l'Italia è disseminata, ci sono i percorsi nati con l'Antica Roma, con le vie consolari che si sono consolidate durante il Medioevo, soprattutto attraverso i cammini dei pellegrini. 

Riscoperta negli ultimi anni, la via Francigena è presto diventata uno degli itinerari di maggior interesse turistico in Europa: l'antica via, che nel Medioevo univa Canterbury a Roma, e' oggi attraversata da pellegrini provenienti da ogni dove

L'ultimo tratto, di circa 30 chilometri, attraversa l'area archeologica di Veio, resa fruibile dall'apertura di un ponte sul fosso Cremera circa un anno fa, la Tomba dei Leoni Ruggenti, la riserva naturale dell'Insugherata e storici luoghi di culto come la Cappella della Visione di S. Ignazio e la Chiesa S. Lazzaro dei Lebbrosi, anticamente ultimo luogo di sosta dei pellegrini diretti a San Pietro. 

"Vogliamo ritrovare quei valori che i pellegrini cercavano: l'interiorità, la fede ma anche la natura, i monumenti storici, la vita delle persone dei borghi che si attraversano", ha detto Monsignor Pasquale Iacobone, responsabile del dipartimento Arte e Fede del Pontificio Consiglio della Cultura, durante il cammino organizzato in due giornate dall'Associazione Priorità Cultura

Lungo il percorso, ha aggiunto Francesco Rutelli, presidente dell'associazione, "sono state scoperte delle tombe etrusche risalenti al 700 a.C., i piu' antichi affreschi della riva Nord del Mediterraneo di quell'epoca: questo nuovo itinerario - ha proseguito - permette di percorrere la Francigena ammirando queste bellezze e non piu' camminando tra i camion come avveniva poco tempo fa e di entrare nel parco dell'Insugherata, una zona di straordinaria qualita' ambientale". Le due varianti del parco di Veio e dell'Insugherata "permetteranno a decine di migliaia di persone di arrivare a Roma percorrendo la via Francigena come avviene in Spagna con il cammino di Santiago di Compostela - ha detto poi Rutelli - che rappresenta, oltre che un'esperienza di fede, personale e collettiva, un'opportunita' di riscoperta, di valorizzazione del territorio, un fatto culturale ed economico perche' molte attivita' possono prosperare grazie a questi nuovi flussi turistici", ha detto poi Rutelli. 

Tre anni fa a Palazzo Chigi, nel centro storico di Formello, e' stato aperto un ostello dedicato ai pellegrini che da pochi giorni ha raggiunto il numero di mille ospiti nell'anno giubilare 2016, testimonianza dell'impatto economico che il percorso spirituale e turistico ha avuto sul territorio

"I numeri sono spettacolari - ha confermato il sindaco Sergio Celestino - abbiamo appena festeggiato il millesimo ospite proveniente dall'Emilia Romagna, hanno aperto quattro nuovi ristoranti e a dicembre apriremo il Museo dell'agro veientano". 

L'ultima tappa della via Francigena conduce nel parco di Monte Mario, per ammirare Roma: il traguardo. Non a caso era detto "mons gaudii", monte della gioia. A conclusione del cammino, durante il quale personalita' della cultura, come il professor Scarascia Mugnozzi dell'universita' della Tuscia e il direttore di Roma Natura Maurizio Gubiotti, sono stati protagonisti di narrazioni storiche, archeologiche e ambientali, i pellegrini saranno accolti dal Cardinale Gianfranco Ravasi nell'antica chiesa di Santa Maria in Camposanto, nel cuore della Citta' Eterna.


03/07/16

Torna a Rossano il "Codex Purpureus Rossanensis", uno straordinario manoscritto Patrimonio mondiale dell'Umanità.



E' ufficiale il ritorno a Rossano nel nuovo Museo del Codex, un’area interamente riservata alla migliore visione e conoscenza del prezioso codice bizantino e strutturata in modo da offrire ai visitatori ogni strumento di consultazione dell’antico manoscritto e delle sue straordinarie miniature. 

Gli spazi dedicati al Rossanensis sono inseriti all’interno del Museo Diocesano e del Codex, anch’esso interamente rinnovato al fine di proporre una visione privilegiata degli ulteriori antichi tesori di arte sacra che lo spazio museale conserva.

Il Codex Purpureus Rossanensis, riconosciuto nel 2015 dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità, è stato affidato nel 2012 all’Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e librario del Ministero dei Beni Culturali, affinché venissero eseguite approfondite analisi biologiche, chimiche, fisiche, tecnologiche e tutte le necessarie cure per il suo restauro e la sua conservazione. 

Il restauro del codice e le operazioni di conservazione del Rossanensis sono state precedute da una serie di indagini ed analisi volte ad indicare l’effettivo stato di conservazione del manoscritto. 

Il lavoro degli studiosi ha fornito, altresì, significative risposte sulla storia e sull’esecuzione del volume, oltre a dettare importanti indicazioni generali sulla fattura e lettura dei codici di analoga provenienza e periodo storico. Nei tre anni di studio e indagini sul Codex si è giunti ad una “rilettura” importante del codice stesso. 

Il Codice è uno straordinario manoscritto la cui colorazione porpora delle carte membranacee (pergamene) conferisce al volume valore di estrema sacralità.

Si tratta di un oggetto prezioso, manifestazione di potere, opulenza e prestigio del possessore e della committenza e non poteva che appartenere ad una classe socio-economica assai elevata. 

Il Codex Rossanensis, opera bizantina del VI secolo dopo Cristo in pergamena color porpora manoscritta e miniata, è estremamente importante sia dal punto di vista religioso sia dal punto di vista della manifattura tali da rendere il substrato scrittorio simile a pochissimi altri esemplari finora esistenti, fra i quali la Genesi di Vienna (Öst. Nat. Bibl., Vind. Theol. Gr 31) e i Vangeli di Sinope (Parigi, BN, Suppl. gr. 1286). 

Il Codex Rossanensis consiste di 188 fogli di pergamena di dimensioni 31 cm x 26 cm numerati recto verso e scritte in caratteri in oro e argento. 

Molte delle pagine sono impreziosite da miniature che illustrano alcune fasi della vita di Gesù. 

Il prezioso manoscritto fu portato alla conoscenza scientifica alla fine dell’800 dagli studiosi di Leipzig, O. von Gebhardt e A. Harnak. 

Esiste una documentazione fotografica dei primi del Novecento, conservata presso l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, ICCD, dello storico Arthur Haseloff che documenta su lastra fotografica di vetro le pagine e in particolare le miniature, evidenziandone lo stato di conservazione; nel 1907 lo storico dell’arte Antonio Muñoz ne cura una serie di cromolitografie e negli anni Venti del secolo scorso è stato restaurato da Nestore Leoni, che ha consolidato e stirato le pergamene utilizzando gelatina a caldo. L’opera è conservata, dal 1952, presso il Museo Diocesano di Arte Sacra di Rossano Calabro (CS). 

Il Codex Purpureus Rossanensis, contiene 13 miniature sulla vita di Cristo, una miniatura dei quattro Evangelisti, parte della Lettera di Eusebio a Carpiano racchiusa in una decorazione aurea, la miniatura di Marco evangelista con la Sofia ed è scritto a caratteri onciali in oro e argento e, occasionalmente, con inchiostri neri. 

Per la sua consistenza, pur se mancante di molte pagine, il Rossanensis è il più prezioso fra i codici onciali (scritti in caratteri greci maiuscoli) dell’antichità. Ma soprattutto è l’unico codice rilegato, i codici analoghi sono ormai solo fogli sciolti. 

Esso contiene l’intero Vangelo di Matteo, parte del Vangelo di Marco, mentre sono interamente perduti i Vangeli di Luca e Giovanni.


21/02/16

E' morto Umberto Eco - La fortezza di Castel del Monte in Puglia set de "il Nome della Rosa"



E' il 1981 quando il quarantenne Jean-Jacques Annaud si vede affidare una scommessa produttiva che solo la sua felice incoscienza gli permette di accettare: trasferire in immagini il best seller "Il nome della rosa" che, da mesi, appassiona i lettori di tutto il mondo. 

Annaud e' reduce da un'impresa altrettanto spettacolare che lo ha impegnato per quasi quattro anni e lo ha reso famoso: il racconto preistorico "La guerra del fuoco"

Proprio quest'impresa ha convinto un gruppo di produttori capeggiato da Franco Cristaldi che ha coinvolto il tycoon tedesco Bernd Eichinger e il francese Alexandre Mnouchkine, oltre alla Rai. Ma raccogliere i capitali (quasi 19 mln di dollari), ottenere una sceneggiatura che venga a capo del rompicapo "sherlockiano" del giallo di Umberto Eco, trovare luoghi e volti adatti a un thriller medievale tanto celebre quanto complicato, richiederà cinque anni di lavoro. 

 Il film esce nel settembre '86 in America. In Italia approda il 17 ottobre, subito campione d'incasso. Raccoglie i premi piu' prestigiosi, dai David ai Nastri, rilancia perfino le vendite del romanzo. 

Lo sceneggiatore Gèrard Brach lavora a piu' stesure in compagnia di Andrew Birkin, Howard Franklin, Alain Godard e lo stesso Annaud; lo scenografo Dante Ferretti e' chiamato a ricostruire vicino a Roma la chiesa dell'abbazia e gli interni di Cinecitta'; Gabriella Pescucci firma i costumi, Tonino Delli Colli la fotografia. 


Alla fine si decide per una stesura che rispetta la struttura del romanzo, semplifica i passaggi narrativi, sfoltisce i personaggi. Con Eco concorda una totale libertà di riscrittura, fissata nei titoli di testa dalla dizione "tratto dal palinsesto di 'Il nome della rosa'".

 Il risultato piacera' ad ogni tipo di pubblico: ottime recensioni, 70 mln di dollari di incasso mondiale, e poi anche record d'ascolto su Raiuno (quasi 15 mln di spettatori nell'88, superato negli anni solo da "La vita e' bella" di Benigni). 

Ambientato con scrupolo filologico nel 1327, in un'abbazia benedettina del nord Italia, in realta' ritrovata nella tedesca Eberbach e a Castel Del Monte in Puglia (di cui ho parlato a lungo nel mio libro Monumenti esoterici d'Italia ndr), costruito intorno al carisma del protagonista Sean Connery e a una catena di misteriosi delitti che profumano di maledizioni ancestrali, il film mette in piena luce quell'enigma deduttivo che per lo scrittore era solo un pretesto. 


Ma mantiene ben evidente il clima della prima inquisizione, quando il papato sedeva ad Avignone e l'imperatore Ludovico sosteneva gli ordini religiosi pauperistici che mettevano in crisi il potere temporale della Chiesa. 

Oggi si può ben dire che il successo del libro e del film stanno all'origine della rinnovata passione per il mondo medievale che ha contagiato legioni di appassionati per i decenni successivi e lo stesso Eco, piu' di una volta, ha maledetto il suo best seller ritenendolo "colpevole" di mode che portano fino a Dan Brown e al "Codice Da Vinci". 

29/01/14

L'Abbazia di San Galgano, Tarkovskij e il cavaliere di Chiusdino.




Quando il grande regista russo Andrej Tarkovskij, esule dal suo paese, nei primi anni ’80 girava per l’Italia accompagnato dall’amico Tonino Guerra, alla ricerca di luoghi ideali dove ambientare il suo nuovo film – quello che si chiamava Nostalghia, vero e proprio atto d’amore per il suo paese forzosamente abbandonato – restò folgorato dalla campagna senese e in particolare da quello spettrale monumento che si erige a pochi chilometri da Chiusdino: l’Abbazia di San Galgano.

Confessò a Guerra che quella antica basilica in rovina, rimasta senza copertura, immersa nella brughiera, invasa dalle nebbie autunnali, gli ricordava i paesaggi misteriosi del suo paese.

A San Galgano, dunque – dopo aver ambientato la famosa sequenza della passeggiata esoterica del pazzo con la candela in mano nella vasca vuota di Bagno Vignoni – Tarkovskij dedicò l’ultima scena del suo film.


 
fotogramma da Nostalghia di Andrej Tarkovskij, 1983


Prima di lui, nel 1962, quel luogo aveva stregato anche Roger Vadim, che l’aveva utilizzato anch’egli per l’ultima scena del suo film, Il riposo del guerriero, quando sullo sfondo della grande Abbazia volteggiano nell’aria i biondi capelli di Brigitte Bardot.

Il fascino di San Galgano e della sua Abbazia, oramai così diffuso, non è però legato alle celebrazioni tributate da film anche illustri: affonda piuttosto le sue radici in nove secoli di storia, in vicende molto complesse e difficili per noi da decifrare, legate alle vicende di un Santo minore di cui sappiamo molto poco e la cui notorietà è di gran lunga legata al mito di una spada nella roccia, ancora esistente– apparentemente conficcata nello stesso punto da 900 anni – e custodita sotto una teca di vetro, all’interno della cosiddetta Rotonda di Montesiepi, la cappella adiacente all’Abbazia, dedicata a San Galgano, ed edificata nel luogo esatto dove si ritirò e morì nell’anno 1181.

Ma chi era Galgano ? Perché il suo nome è legato a quello di una spada nella roccia ? E in quale modo questa storia è legata al mito celtico di Artù e di Lancillotto ?

Dovremo scoprirlo anche per capire per quale motivo all’eremo e alla grande Abbazia a cielo aperto, siano legate molte credenze, molti elementi misteriosi, come fili intrecciati di un’unica grande storia che parla di montagne sacre, di centri del mondo, di cammini iniziatici di consapevolezza alla ricerca di un altrove, di un oltre, di un contatto con le forze nascoste del Cielo.

Tutto quello che sappiamo di certo riguardo la vita di Galgano Guidotti è quello che ci è pervenuto attraverso gli atti dell’inquisitio del 1185: deposizioni di testimoni che di fronte a delegati pontifici permisero di ricostruire la vita e le opere dell’uomo, facendogli meritare l’elevazione alla gloria degli altari.

Oltre a questi preziosi documenti esiste ben poco di certo, soltanto racconti agiografici che magnificano imprese più o meno mirabolanti del Santo e che si diffusero lungamente in epoca medievale.


Ricapitolando, Galgano Guidotti nacque intorno al 1150 a Chiusdino, un piccolo centro di origine longobarda, a 35 chilometri da Siena. Figlio unico e molto atteso – al punto che i passi della inquisitio riguardanti i genitori, Dionigia (ancora viva al momento del processo di beatificazione e testimone importante) e Guidotto ricordano da vicino le vicende bibliche di Abramo e Sara -  di una famiglia benestante, era destinato ad una brillante carriera di cavaliere, di militare. 




La sua vicenda però si interruppe in modo simile a quella di altri santi medievali, compreso lo stesso San Francesco di Assisi, con una chiamata mistico-religiosa, che per Galgano si manifestò sotto forma di diverse visiones, che ebbero per protagonista l’arcangelo Michele.  Nella prima, a Galgano veniva richiesto di lasciare i genitori e di abbandonare la vocazione cavalleresca.  La seconda – un grande sogno – sta invece all’origine dello stesso mito della spada nella roccia.  L’arcangelo, stavolta, gli fa strada, lo conduce presso un grande fiume, sormontato da un ponte, oltrepassato il quale gli appare un prato fiorito prima e una specie di profonda grotta, poi, che lo conduce miracolosamente in un luogo sconosciuto – scoprirà dopo essere proprio  la collina di Montesiepi  -  dove a Galgano appaiono i dodici apostoli seduti in domo rotunda, all’interno di una casa rotonda.  Gli apostoli si dispongono a cerchio intorno a lui e gli offrono un libro aperto, che Galgano non riesce a decifrare. Dopodiché, con un grande boato, gli si manifesta la Maestà divina che gli ordina di costruire in quel preciso luogo una casa in onore di Dio, della beata Maria, di San Michele Arcangelo e dei Dodici Apostoli.

Dopo il sogno, Galgano vaga alla ricerca del posto dove lo ha condotto l’Arcangelo durante la visione, e lo trova quando il suo cavallo – che si rifiutava di obbedirgli – lo conduce proprio a Montesiepi. 

Galgano si ferma, scende da cavallo, si inginocchia. E qui compie quel gesto che darà origine alla leggenda.

Ha l’idea di farsi una croce di legno e di impiantarla proprio in quel luogo, ma non trova il necessario.  

Decide allora di piantarvi la spada. E l’arma si conficca così bene nel terreno – con l’elsa che disegna una croce perfetta nell’aria – che né Galgano, né nessun altro riesce più ad estrarla.




E’ la conversio dell’ipotetico cavaliere, che rinuncia a tutto e decide, da quel momento di vivere e trasformare quel luogo nella domus che la Maestà divina gli ha indicato.

Su questa base storica – Galgano come abbiamo visto muore nel 1181 -  si sviluppa la leggenda alimentata poi dall’agiografia dei monaci cistercensi che nei pressi dell’eremo di Montesiepi decidono di costruire, nel 1220, la grande Abbazia,  sul modello di quella fondata da Bernardo da Chiaravalle ai piedi delle Ardenne in Francia, a sua volta ispirata da quella di Citeaux.  


La Cappella costruita sull’eremo di Montesiepi, invece, seguirà fedelmente il sogno di Galgano: un cerchio, una rotonda, con al suo centro il punto esatto della visione divina, dove è stata piantata la spada nella roccia, che diventa un asse cosmico, un centro del mondo che “pone in comunicazione le tre aree cosmiche: terra, cielo e quella sorta di inferi costituiti dalla sottostante caverna che Galgano ha attraversato.” (1)



1.       F. Cardini, San Galgano e la spada nella roccia,  Cantagalli, Siena, 2000, pag. 100.