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16/04/15

Chi vuole farsi re dei boschi ? Michel Serres


John Robert Cozens, Il lago di Nemi, matita e acquarello, ca. 1777.

Se andate in Italia non mancate di visitare i monti Albani, non lontano da Roma e il lago di Nemi. 

Là le persone istruite vi racconteranno una storia. Accanto a quel luogo si stende un bosco, sacro nell'antichità. 

Un tempo chi attraversava quel bosco si trovava improvvisamente di fronte a un albero terrificante. Intorno ad esso, a ogni ora del giorno e probabilmente fino a notte tarda, si poteva veder strisciare, furtiva, una forma inquietante, una figura allucinatoria.  Un uomo anziano stava là.

Brandiva una spada sguainata, spiava d'attorno, febbrilmente, senza requie, come se aspettasse ogni momento l'assalto di un nemico. 

Quel vecchio in agguato, senza riposo, è il sacerdote del bosco sacro; sacerdote, omicida.  Il nemico che attende, colui di cui diffida, o da cui si guarda senza allentare la vigilanza, è colui che presto o tardi lo ucciderà, colui che gli prenderà il potere, il posto o il sacerdozio.

Una volta anche lui ha conquistato quel posto a quel prezzo.

Tale è la regola del santuario. Ogni candidato deve pugnalare il suo predecessore; allora assume le sue funzioni e le conserva fino a che sarà pugnalato a sua volta da qualcuno più forte, più giovane, più abile, più scaltro.

Durante il suo precario possesso feudale gode del titolo di re dei boschi. Quale testa coronata è stata più di quella visitata da incubi ?

Quel posto, tenuto non per mezzo dell'omicidio, è preso solo per mezzo dell'omicidio, lasciato infine, per mezzo di un omicidio,

Chi è re ? Colui che aspetta di morire di morte violenta.Colui che ha ucciso il re di morte violenta. 




28/10/13

Il distacco (e il Senso).





Ieri sera ho sentito in televisione Eugenio Scalfari, che ormai da parecchio tempo, ama rivestire i panni del teologo (disquisisce di questioni cattoliche con la competenza di un vescovo), parlare della morte e del senso della vita.  Senza molti problemi ha affermato che "il senso della vita è la vita".  E che l'unica difficoltà, in fondo, è il distacco.

Anni fa ho letto uno straordinario libretto di Michel Serres, intitolato Distacco.

Cosa è esattamente il distacco ? E perché le diverse tradizioni mistiche fanno riferimento a questo ?

Il termine mistico deriva dal greco myo. Che significa letteralmente chiudere (le labbra, gli occhi, lo stesso chiudersi, ad esempio, delle ferite).

Dalla stessa radice my , d’altronde, provengono sia il greco mysterion , sia il latino mutus

La mistica nasce dunque dalla necessità – per l’uomo – di convivere con il chiudere, cioè con il finire, che è connaturale alla vita stessa.

La cosa più difficile per un uomo, per ogni uomo è accettare il distacco

Il distacco che è al termine di ogni vita. Distacco dalle cose che abbiamo amato su questa terra: beni, cose, immagini, ma soprattutto persone amate, sentimenti, emozioni, ricordi. 

Le religioni propongono approcci diversi per governare questo distacco, che all’uomo risulta doloroso, inaccettabile: una specie di dittatura della morte, che porta a privarsi di tutto ciò che si è sperimentato in vita. 

Se l’uomo religioso, soprattutto in ambito cristiano, tenta di  abbandonarsi al distacco rispetto al mondo, al fine di giungere a un rapporto più puro con quel Dio con il quale, in realtà, egli si sente o si vuol sentire già in rapporto, il buddhista, invece, si distacca dalle cose, dalla sfera dell’apparenza, per trovare il vero sé: per giungere, in altre parole, all’illuminazione.

In un certo senso, il buddhista si esercita – nella vita – si prepara al grande distacco della morte, sperimentandolo qui in vita.

Ma anche molte delle parole pronunciate da Cristo nei Vangeli spingono assai chiaramente nella direzione del non attaccamento: 

In verità, in verità vi dico: Se il grano di frumento caduto per terra non muore esso resta solo. Ma se muore, porta molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde, e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. (Gv,12,24) 

 Più esplicito (o più duro) di così.. 

Tutto quello che passiamo in questa vita (anche il sorriso dei nostri figli, anche i nostri amori, le nostre albe, e i nostri tramonti) dovrebbe dunque avere una prospettiva diversa da quella che noi immaginiamo qui. 

Che non può essere goduta appieno, se non distaccandosene. 


07/09/12

Michel Serres: "E' il coraggio quello che manca oggi."




Michel Serres è uno straordinario intellettuale.  E le sue parole non sono mai 'neutre', non passano mai senza lasciare il segno come si vede nel video qui sopra che testimonia una sua - divertente - non consueta apparizione in una trasmissione televisiva. 

Un mio caro amico recentemente mi ha riferito la risposta che Serres ha dato, durante una riunione tra amici, quando gli è stato chiesto: “qual è, tra le virtù umane, la più importante?” .

Serres ha risposto: “Il coraggio.” L’interlocutore è rimasto interdetto perché si aspettava un’altra risposta, forse più scontata: la generosità, l’amore per gli altri, l’intelligenza, ecc..

Serres ha specificato che per lui oggi il coraggio è più importante delle altre qualità o virtù umane. Ed è sempre più decisivo. Ogni attitudine umana, dice - pensiamo alla politica, al giornalismo, o anche la fede – senza il coraggio, oggi non vale niente.

Occorre coraggio, si potrebbe aggiungere, nelle vite omologate di oggi, per raggiungere la pienezza dei propri convincimenti, per riconoscere anche la propria umanità, visto che nel mondo liquido di cui si parla tanto oggi e nel quale sembreremmo precipitati, c’è il rischio di annegare.

Ci vuole coraggio per essere se stessi. Ci vuole coraggio per avvicinare gli altri (la distanza è il nostro parametro preferito, attualmente, l’unica misura che sembra ci faccia dormire sonni relativamente tranquilli) e per fidarci di loro.

Ci vuole coraggio per pronunciare le cose con il loro nome e per rendere il pane alla verità, quando la verità – è affermato da ogni parte – non esiste più, anche se si continua a nascere, vivere e morire, e tutto questo sembrerebbe VERO, se solo fossimo capaci di osservarlo con occhi primigeni.

Ci vorrebbe il coraggio di un Cristo per tornare a stabilire la forza dell’aut-aut e non dell’et-et che oggi ci ha soggiogati del tutto. “Non potete servire Dio e la ricchezza” dice, con lingua tagliente, ed è una sentenza che non ammetterebbe discussioni e distinguo. Eppure, come siamo divenuti abili a discernere, a disquisire, a stemperare e ad annacquare. Come siamo divenuti poco coraggiosi.