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11/07/23

Eco, Ottieri, Bompiani, Quasimodo: Tutti nella stessa scena, nel capolavoro di Antonioni, "La Notte" - 1961

In una delle prime scene de La Notte di Antonioni (1961) lo scrittore Giovanni Pontano/ Mastroianni va con la moglie Lidia/Jeanne Moreau alla presentazione del suo nuovo romanzo. Che si tiene nella sede di una grande casa editrice esplicitamente citata, ovvero la Bompiani.
Così nel film (e nel cocktail per l'autore) finiscono un ventinovenne Umberto Eco (a destra di Jeanne Moreau nella foto qui sotto), Ottiero Ottieri (che sceneggerà il film seguente di Antonioni, L'Eclisse) e poi lo stesso grande editore, Valentino Bompiani, che presenta e fa firmare una copia del suo libro al "famoso Premio Nobel" che non è esplicitamente citato, ma è ovviamente Salvatore Quasimodo (Premio Nobel per la Letteratura due anni prima, nel 1959).



Ora, fa una certa impressione vedere qui riunito in una piccola scena di un grande film un tale parterre de roi.

Viene da pensare che c'è stata un'epoca in cui in Italia la parola "intellettuale" era correttamente pronunciata: in fondo lo stesso Pontano (il cui cognome allude così esplicitamente al pantano esistenziale in cui sembra muoversi) è uno che tenta di vivere con il proprio lavoro intellettuale.

Oggi gli intellettuali sono più propriamente i milionari delle fazende multinazionali digitali, che prestano il loro intelletto - prosperando - alla invenzione di beni immateriali digitali sempre più pervasivi, confortevoli, ottimizzatori.
Gli intellettuali della parola o delle arti, invece, di questi tempi, se la passano male, e si attribuiscono questo titolo sovente coloro che hanno l'unico merito di godere dei favori e delle leggi del mercato dei consumi.



Ma Antonioni e i suoi film ricordano un'età dell'oro in cui la finzione e la realtà giocavano amabilmente: Ennio Flaiano e Tonino Guerra a quel cocktail avrebbero potuto tranquillamente partecipare, ma invece preferirono restare dietro e scrivere la sceneggiatura di quel magico film. A futura memoria, si direbbe.

Fabrizio Falconi - 2023

11/02/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 55. "Professione Reporter" (The Passenger) di Michelangelo Antonioni (1975)



Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 55. "Professione Reporter" (The Passenger) di Michelangelo Antonioni (1975)

Appartenente alla fase più felice della produzione di Michelangelo Antonioni, Professione Reporter, che nel titolo inglese si chiamava The Passenger è uno dei film più misteriosi del grande regista, passato alla storia anche per i pochissimi dialoghi, la magnifica fotografia (diretta da Luciano Tovoli). e per la penultima scena, di sette minuti, realizzata interamente dal punto di vista della finestra di una stanza d' albergo, in cui la narrazione drammatica è fatta da azioni viste a distanza, accompagnate da suoni misti. 

Il film racconta le vicende di David Locke (Jack Nicholson), giornalista televisivo, che è nel deserto africano e sta preparando un documentario sui guerriglieri della regione. 

Dopo essere stato abbandonato dalla sua guida ed essere rimasto bloccato con la sua Land Rover nella sabbia, entra in crisi, stanco del lavoro, del matrimonio e della vita. 

Riesce a tornare in albergo e cerca lo strano inglese Robertson, un ospite che gli aveva raccontato un po 'della sua vita, affascinando David con la sua apparente spensieratezza. Quando David entra nella stanza, trova Robertson, morto nel letto per un attacco di cuore e sfruttando il fatto che l'uomo ha una grande somiglianza fisica con lui, decide di indossare l'identità con il morto (cambiando la foto sul  passaporto), continuando a seguire l'agenda che ha trovato in camera sua, andando nei vari luoghi indicati. 

Più tardi David scoprirà che Robertson era invece un trafficante di armi, atteso dai guerriglieri africani, che stavano aspettando lui per concludere l'affare.

Allo stesso tempo, la moglie di David e i suoi collaboratori iniziano a cercare "Robertson" (in realtà David), poiché vogliono sapere di più sulla morte del giornalista.

David quindi inizia a fuggire, facendosi aiutare da un giovane turista inglese.

Una potente meditazione sull'identità, l'alienazione e il desiderio umano di sfuggire a se stessi, che merita di essere rivisto. 

Fabrizio Falconi

PROFESSIONE: REPORTER 
The Passenger
Regia di Michelangelo Antonioni
Italia, 1975 
con Jack Nicholson, Maria Schneider, Ian Hendry, Jenny Runacre, Angel Del Pozo, James Campbell.  durata 126 minuti. 



09/03/18

A Roma una bella mostra celebra il fascino e la bravura di Monica Vitti.


Otto grandi veli fotografici in bianco e nero da attraversare, con la Divina Monica in primissimo piano, tra scena e fuori scena, mentre la sua voce cosi' unica racconta perche' sia diventata attrice ("Adoro la sincerita', la realta', rappresentarmi mi dava la possibilita' di vivere piu' vite").

E' l'entrata immersiva de La dolce Vitti, la mostra multimediale dedicata a una delle interpreti simbolo del nostro cinema, a Roma dall'8 marzo al 10 giugno al Teatro dei Dioscuri al Quirinale.

La grande attrice, 86 anni, ammalata da tempo, si e' ritirata dalle scene dall'inizio degli anni '90 ed e' apparsa in pubblico per l'ultima volta nel marzo del 2002, alla prima teatrale italiana di Notre-Dame de Paris a Roma.

Curata da Nevio De Pascalis, Marco Dionisi e Stefano Stefanutto Rosa, ideata e organizzata da Istituto Luce Cinecitta', l'esposizione esplora la personalita' e l'universo artistico di Maria Luisa Ceciarelli in arte Monica Vitti, in diversi capitoli: dall'Accademia, dove un suo grande maestro, Sergio Tofano, scopre il suo talento comico, al teatro, insieme fra gli altri ad Albertazzi diretta da Zeffirelli e anni dopo con Rossella Falk; dal doppiaggio (con tanto di postazione di video-ascolto) anche per Fellini e Pasolini all'incontro fondamentale, sentimentale e artistico con Michelangelo Antonioni, che la dirige in capolavori come L'avventura, La notte, L'eclisse, Deserto rosso e la ritrova nello sperimentale Il mistero di Oberwald.

"Per me e' stato un padre, un fratello, un amico. Era tutta la mia vita, perche' mi sentivo estremamente sicura vicino a lui, poi mi guardava con degli occhi che erano talmente pieni di attenzione.... - ha detto Monica Vitti -. Le storie sono nate dalla nostra vita, da lui e da me. Tutto comincio' insieme".

Si prosegue con la svolta della commedia che ha come simbolo La ragazza con la pistola di Mario Monicelli (uscito 50 anni fa) e viene portata avanti con registi come Scola, Risi, Steno, Salce, per 40 film tra anni '60 e '70. "Monica Vitti ha interpretato donne di tutte le estrazioni sociali, borghesi e popolari, spesso alla ricerca di autonomia e indipendenza" spiega Stefano Stefanutto Rosa.

Senza dimenticare le prove da autrice e regista con gli altri due grandi amori della sua vita, Carlo Di Palma, e il marito, sempre accanto a lei anche in questi ultimi anni segnati dalla malattia, Roberto Russo, da cui vengono anche alcune immagini della mostra (accompagnata anche dall'uscita di un omonimo volume) che ha visitato ieri nell'abituale riserbo.

Un ritratto della donna e dell'icona che prende forma grazie a oltre 70 foto (molte rare, provenienti oltre che dall'Archivio Luce, da quelli, fra gli altri, dell'Accademia Silvio D'Amico, del centro Sperimentale, di Elisabetta Catalano, Umberto Pizzi e Enrico Appetito); libri 'espansi' in digitale da sfoglia; documenti inediti, locandine, copioni, sue copertine famose in Italia e all'estero; interviste video e apparizioni televisive da Milleluci a Domenica in; interventi di amici e colleghi, di chi l'ha amata e conosciuta (fra gli altri, Giancarlo Giannini, Michele Placido, Dacia Maraini).

Fino a tanti filmati d'archivio e alcuni dei film piu' importanti della sua carriera (L'avventura, La ragazza con la pistola, Dramma della gelosia, Teresa la ladra, Flirt) che e' possibile scoprire o rivedere nella sala cinema del Teatro. 

Fonte: Francesca Pierleoni per ANSA

Qui sotto il video di una delle ultime - e più toccanti - apparizioni in video di Monica Vitti.



25/10/16

Don De Lillo a Roma: "non sarei quello che sono senza Fellini e Antonioni".



Il modo "in cui scrivo ha cominciato ad assumere una certa forma grazie al cinema europeo. Mi hanno formato autori come Antonioni, Fellini ma anche Kurosawa". 

Lo ha detto uno dei piu' grandi scrittori americani viventi, Don DeLillo protagonista di uno degli incontri ravvicinati con il pubblico della Festa del Cinema di Roma

Circa un'ora di conversazione fra Antonio Monda e l'autore di capolavori come Rumore bianco e Underworld, tornato da poco in libreria con 'Zero K', costruita intorno all'amore di DeLillo, per il cinema di Michelangelo Antonioni. 

Ha infatti aperto l'incontro leggendo un suo breve testo scritto ad hoc su 'Deserto rosso'. Un viaggio tra colori, suggestioni e conversazioni intime del film. 

"Qui la bellezza e' un'ossessione, sembra che il film non possa evitare di essere bello" spiega. DeLillo rende anche omaggio alla protagonista, che definisce "bellissima", Monica Vitti: "e' l'anima inquieta del cinema di Antonioni, incaricata di non interpretare ma semplicemente esistere"

Deserto rosso secondo lui "insiste a dire che vale la pena di notare tutto, fino alla piu' sottile sfumatura". 

Commentando poi le scene della trilogia in bianco e nero del regista (L'avventura, La notte e L'eclisse), sottolinea, che anche oggi "nella societa' delle immagini, la letteratura non e' messa in pericolo dal cinema

Ci sono ancora persone con il bisogno di scrivere come altri hanno quello di fare film. Eppure i ragazzi dovrebbero essere consci che il futuro, se ti metti a scrivere romanzi, sara' difficile... ma lo fanno lo stesso". 

Un accenno, infine all'ispirazione che viene ai registi dalla violenza, da Bonnie e Clyde a Il padrino, da La rabbia giovane a Il mucchio selvaggio, "dove viene illustrata in modo quasi surreale" e al primo film che ha visto: "potrebbe essere stato un cartone animato sui Viaggi di Gulliver".

fonte ANSA

29/08/14

"Costruire una cattedrale", il senso della vita (Michelangelo Antonioni e Ingmar Bergman).




Il 30 luglio del 2007, sette anni fa, morirono proprio nello stesso giorno, per uno scherzo del caso, due dei più grandi cineasti del Novecento: Michelangelo Antonioni e Ingmar Bergman. 

In quei giorni i giornali si riempirono di commenti, vecchie interviste, dotti interventi critici. Molti si chiedevano: cosa questi due uomini, questi due indagatori, avevano capito più di noi del mistero della vita?

Si erano avvicinati, attraverso la loro arte, a una qualche verità definita ? Avevano percepito una maggiore chiarezza intorno alla tragica bellezza della vita ?

Io, che per anni - come molti - mi ero nutrito dei film di entrambi (specie di quelli di Bergman, che mi hanno accompagnato in ogni stagione della mia vita), sono rimasto colpito dalle parole del maestro svedese rilasciate tanto tempo fa a un giornalista, nella hall di un albergo, riesumate da un quotidiano nei giorni dopo la sua morte: 

Se mi chiede il fine generale dei miei film, rispondo che vorrei essere stato uno degli artisti che hanno creato la cattedrale di Chartres. Ma alludo, con questa idea, sopratttutto a una cattedrale che rappresenta per me la vita culturale, l'attività artistica. Ebbene io penso che ogni artista, soprattutto europeo, debba portare la sua piccola pietra per la costruzione della cattedrale. Si tratta solo di una piccola pietra, ma è molto importante. E' il nostro dovere, il nostro unico modo di vivere, di esistere, perfino di respirare. Costruire la cattedrale significa combattere contro le ipocrisie, contro le ingiustizie, contro le guerre, contro l'oppressione, contro la menzogna. E' una lotta difficile perchè se è vero che c'è chi vuole costruire, c'è anche chi vuole distruggere. E questa gente che vuole distruggere è tanta, ed è tenace. E' così facile distruggere, ed è così difficile creare.... Ma anche se la cattedrale una volta costruita, può essere demolita e non esistere più, noi dobbiamo edificarla. Solo così saremo migliori.

Ho meditato a lungo su queste parole. 

In fondo davvero la nostra vita, quella di tutti, non solo degli artisti non è altro che questo: costruzione. E costruire vuol dire evidentemente entrare in un disegno di armonia, in una ricerca di bellezza, di forme, di struttura, di senso. Costruire non si può, senza saper chiedere, perché nessuno di noi sa costruire qualcosa completamente da solo. 

Così è stato per Ingmar e Michelangelo che hanno fatto in virtù dei loro talenti, ma hanno fatto grazie al talento grande, normale e minimo di chi ha lavorato ogni giorno, insieme a loro. 

Detto molto semplicemente, è questo forse il senso ultimo della vita. 

Fabrizio Falconi - © riproduzione riservata.