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04/08/21

Mogol spiega L'Arcobaleno, la canzone "dettata" dall'aldilà da Lucio Battisti



Non tutti probabilmente conoscono la storia della canzone L'Arcobaleno, portata al successo nel 1999 da Adriano Celentano, scritta da Gianni Bella e Mogol.  La riporto qui - nel racconto diretto di Mogol, assai godibile, in un video - non tanto per il valore artistico della canzone (che resta comunque una bella canzone di musica leggera italiana), ma per la storia - piuttosto esoterica - che nasconde e che ha incuriosito migliaia di persone  e non soltanto i fan del compianto Lucio Battisti, genio della musica pop italiana, morto davvero troppo prematuramente, nel 1994 e come si sa era molto amico sia di Adriano Celentano che di Mogol, suo paroliere per interi decenni. 

Qui di seguito il video della canzone:




22/11/15

"La maggior parte dei morti tace. Per i poeti non è così" - "Tumbas", l'ultimo libro di Cees Nooteboom.



«La maggior parte dei morti tace. Per i poeti non è così. I poeti continuano a parlare.» Perché comunicano a ognuno qualcosa di personale e accompagnano diversi momenti della nostra vita, innescando con noi un dialogo intimo al di sopra dello spazio e del tempo. 

Per questo Cees Nooteboom, nel corso di trent’anni di viaggi per il mondo e attraverso i cieli della letteratura, ha visitato le tombe dei grandi scrittori e filosofi che lo hanno segnato, raccogliendo quello che, dietro una lapide di marmo, un monumento bizzarro, un’epigrafe toccante o l’incanto di un’atmosfera, hanno ancora da raccontare. 

Dal famoso Père-Lachaise di Proust e Oscar Wilde alla pittoresca collina sopra Napoli che ospita Leopardi, dalla cima del monte Vaea, nelle isole Samoa, dove è sepolto R.L. Stevenson, a Joyce e Nabokov in Svizzera. Calvino a Castiglione della Pescaia, Melville in un angolo sperduto del Bronx, e Kawabata nel suo Giappone; Keats e Shelley accanto a Gregory Corso nel romantico Cimitero Acattolico di Roma; Brecht a due passi da Hegel a Berlino est; Brodskij insieme a Pound nell’isola veneziana di San Michele, e il Montparnasse di Baudelaire, Beckett e Sartre, a cui ha scelto di unirsi anche Susan Sontag

Ogni tomba è un lampo sul mondo dello scrittore che la occupa, rievocando una poesia, un frammento di vita o di libro, ispirando folgoranti riflessioni e inattesi collegamenti, in un appassionante pellegrinaggio indietro e avanti nella storia della letteratura e del pensiero, che con Nooteboom diventa una meditazione poetica sull’uomo, il tempo e l’arte. 

Mentre a ogni pagina cresce il desiderio di andare a leggere e rileggere le opere dei suoi cari immortali


Cees Nooteboom

03/05/14

"E' impossibile tacere su una morte" - Elias Canetti.


250.000 foto ed effetti personali allestiti nel centro della memoria di Fukushima (foto di Toru Hanai).


E' impossibile tacere su una morte.  Vorremmo una muta del lamento, e poiché non esiste cerchiamo di metterla insieme con le lettere che mandiamo in paesi lontani.

Ma il nostro dolore per il morto è così grande e violento che non scriviamo soltanto a quelli che l'hanno conosciuto: impegniamo ad onorarne la memoria anche tutti quelli che non conosciamo.  Ad essi presentiamo il morto a posteriori, ad essi comunichiamo il meglio che di lui si possa dire; diciamo esplicitamente cosa lui significhi per noi ed esercitiamo una sorta di pressione: guai se anche per loro non significa molto. 

In cuor nostro facciamo dipendere dalla loro reazione alla notizia di questa morte la possibilità che continui la nostra amicizia per loro. 

Li mettiamo alla prova, li osserviamo con diffidenza, misuriamo sulla bilancia ogni parola della loro reazione, e se il peso risulta troppo scarso li cacciamo senza pietà: non potranno più far parte della nostra cerchia. 


Elias Canetti, La rapidità dello spirito, appunti da Hampstead 1954-1971, traduzione di Gilberto Forti, Adelphi, 1994, pag.182.

01/11/11

La dignità dei morti (e dei vivi).



Ho spesso riflettuto sulla “dignità” dei morti. I morti sono “dignitosi” perché sono meritevoli quasi sempre – a meno che la loro vita non sia stata particolarmente ignominiosa – del rispetto nell’opinione comune.

Il rispetto deriva soprattutto dal fatto che un morto non ha più voce.

L’ultima parola è quella del suo epitaffio sulla gelida lapide. Poi, nessun diritto di parola – secondo le convenzioni dei viventi – è più concesso a un morto.

Anche se dovremmo tutti ricordarci che i morti continuano a parlare, eccome, dopo la loro morte, in forme e modi spesso incontrollabili (ed è per questo che spesso anche la sepoltura di un corpo, l’identificazione e la presenza di una tomba fa così paura o diventa ingombrante, come insegna la storia passata e recente).

Ma la dignità è riconosciuta primariamente proprio in virtù di questo silenzio in-contestabile che cala sulla vita di un uomo, e questo silenzio è dignitoso, perché non ammette più ragioni o repliche. E’ silenzio, appunto, e basta.

Ma perché la dignità deve essere tirata in ballo anche per i sopravvissuti ? Perché di qualcuno che vive un lutto si dice o si giudica che sia “dignitoso” ? Esiste un modo “dignitoso” di affrontare la morte di una madre, di un padre, di un figlio, di una moglie o un marito ?

Chi ha stabilito un “codice deontologico” del lutto ?

Chi ha stabilito – soprattutto oggi, che le lacrime e il dolore devono essere banditi possibilmente da ogni consesso socialmente utile - che una persona che trattiene il pianto o non mostri sofferenza sia più dignitosa di qualcuno che si abbandona alla lacerazione o alla disperazione ? 

Davvero non possiamo fare a meno, anche in ‘rigor mortis’ di enunciare il nostro freddo giudizio, ad uso e consumo di una sofferenza che turba o disturba e che vogliamo mantenere ad una distanza di controllo ?

I morti sono dignitosi e non hanno bisogno di lacrime.

I vivi però, i sopravvissuti in specie, hanno bisogno anche di lacrime per attraversare il grande lago, misterioso, della separazione dagli affetti umani.

Ci sarà tempo poi, forse, in questa o in un’altra vita di partecipare e vivere un nuovo dolore, una nuova sofferenza e forse una via nuova per ritrovare quei perduti affetti.


F. Falconi

19/10/11

I diversamente vivi.


Mi piace spesso usare per i nostri morti, la definizione di ‘diversamente vivi’.

Non è un eufemismo e non è un gioco di parole.

Dipende da come ci si pone di fronte al grande mistero della morte. Per molti, specialmente oggi, la morte non è altro che la fine biologica, e quindi la fine – in-sensata – di un’altra cosa in-sensata, che è la vita, frutto del caso.

Per altri, e io sono uno di quelli, la morte non è la fine, ma il fine. Cioè lo scopo della nostra vita.

Ed è molto curioso e interessante che la nostra lingua, la lingua italiana, nasconda nell’etimologia di questa parola, fine, un doppio significato così opposto.

Se si ragiona in termini religiosi, trovare una spiegazione a fenomeni bizzarri di spiriti che scelgono di manifestarsi dall’oltre-morte attraverso persone a loro care, con scritti o manifestazioni di varia natura, è piuttosto semplice.

Fa infatti parte di qualunque tradizione religiosa, la convinzione che esista una vita oltre la morte, e che i morti possano manifestare la loro presenza in diversi modi anche ai vivi.

Ma l’interesse per questo tipo di fenomeni – chi è cristiano e chi crede nella resurrezione, non si meraviglia di certo, non dovrebbe meravigliarsi - trascende le convinzioni puramente religiose. 

C’è infatti da considerare che noi sappiamo attualmente molto poco, quasi niente anzi, di cosa sia la morte, e soprattutto di cosa sia la vita.

Siamo calati in un mistero infinito, che solo ora cominciamo ad esplorare a tentoni, come un bambino che cammina nel buio.

Viviamo in un ambiente cosmico, un universo, che LA SCIENZA – non la religione – ci dice essere ‘vecchio’ di circa 14 miliardi di anni. Questo universo, ci dice LA SCIENZA – non la religione – non è L’UNICO universo, ma uno degli infiniti (?) universi che formano il cosiddetto ‘multiverso’. Questi universi, ci dice LA SCIENZA – non la religione – sono probabilmente collegati tra di loro attraverso quelle ‘smagliature’ chiamate buchi neri. Il tempo e lo spazio, come ci dice LA SCIENZA – non la religione – sono solo un accidente, una convenzione delle dimensioni che formano o fanno da sfondo al multi verso. La materia visibile, come ci dice LA SCIENZA – non la religione – è solo un accidente, appena il 5% di quanto è contenuto nell’universo, o negli universi. E il restante 95% è formato, ci dice LA SCIENZA – non la religione – da ‘materia oscura’ e da ‘energia oscura’, che non sappiamo ancora assolutamente cosa siano. In più, LA SCIENZA – non la religione – ci dice che esiste l’antimateria, e che ad ogni particella di materia, anche la più infinitesimale, corrisponde una particella contraria, invisibile, di carica opposta.

Ora, alla luce di questo, di questo enorme, abbacinante mistero, come si può escludere a priori che le voci e le presenze di coloro che non sono più visibili e presenti in questa vita limitata e ‘reale’, esistano ancora, seppure in una forma per noi in-visibile ?

 A parte la logica, ciascuno di noi, se soltanto fa un po’ di silenzio nella propria chiassosa vita, può sperimentare una ‘forma di dialogo’ con le persone che non ci sono più, che può passare anche attraverso la semplice interpretazione di segni, di segnali che ci sembra di cogliere nel corso delle nostre giornate.

Sono fenomeni di diversa natura, nei confronti dei quali io nutro il più profondo rispetto. Anche e soprattutto perché i ‘diversamente vivi’ spesso sembrano avere molte cose da raccontare, e importanti, a noi che siamo ancora qui; se soltanto noi abbiamo l’accortezza di fare, almeno per un poco, silenzio.

Fabrizio Falconi.

01/11/10

I morti non sono soltanto ossa.


Sono personalmente convinto che il luogo di sepoltura di un uomo, non sia soltanto il luogo dove riposano le sue ossa.

Non è una mia idea, ovviamente, ma una idea sulla quale è stata edificata l'intera storia della civiltà umana, come sa bene l'antropologia. Maya e Romani, ad esempio, edificavano addirittura le loro case sui luoghi di sepoltura dei cari estinti. E questo non certo come gesto simbolico, ma perché si credeva che l'anima dei defunti continuasse a vivere e fosse importante rimanervi in contatto, attraverso il corpo che quelle anime aveva ospitato.

Oggi il 'sentire comune' dominante viaggia in tutt'altra direzione: la rimozione collettiva della morte, sulla quale si basa la civiltà contemporanea, impone che anche i luoghi di sepoltura degli uomini abbiano poco significato. I cimiteri sono ormai luoghi quasi del tutto abbandonati. Vige anche il pensiero dominante che 'per ricordare o pensare ad una persona cara', non c'è bisogno di recarsi sulla sua tomba.

Io invece continuo a pensare che questi luoghi abbiano un senso e abbiano un significato. Ne abbiamo testimonianza quando visitiamo la tomba di un grande uomo, di una grande anima, come la tomba di Ezra Pound nel cimitero dell'Isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia, che vediamo nel video commentato da Massimo Cacciari.

Domani è il giorno dei morti. Forse hanno ancora da sussurrarci qualcosa. Se soltanto abbiamo la bontà e la pazienza di fare almeno un poco di silenzio.