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04/04/23

"Daisy Jones & The Six", una bella serie da non perdere


Daisy Jones & The Six
, è una serie tv che raccomando caldamente per diversi motivi.

In primis, é originale nei contenuti, nel tono e nella scrittura, in un momento non molto felice per le serie tv, che ultimamente sembrano a corto di idee e povere di qualità.
Daisy Jones & The Six - 10 puntate da 40-50 minuti l'una, su Amazon prime video - è stata scritta da Scott Neustadter e Michael H. Weber esperti sceneggiatori, già candidati ai premi Oscar (The Disaster Artist, 2018), tratto da un fortunato romanzo di Taylor Jenkins.
L'idea vincente è quella di scrivere la storia di una band immaginaria (che sembra a tratti più vera del vero), che - come molte in quel periodo - esplode nei primi anni '70 (quel periodo non-ripetibile e non-più-raggiungibile nella qualità della musica pop-rock) negli USA, che realizza un solo album di enorme successo e si scioglie inspiegabilmente alla fine della tournée di lancio, dopo un concerto a Chicago memorabile, davanti a migliaia di spettatori.
La Jenkins e gli sceneggiatori hanno pensato molto, durante la scrittura ai Fleetwood Mac e alle burrascose relazioni dentro quel gruppo, in particolare quella tra la cantante Stevie Nicks e Lindsey Buckingham, chitarrista e frontman.
Quindi la storia della serie è ispirata a quella, ma non esplicitamente, e procede sulla sua linea.
La maggiore qualità di "Daisy Jones" è il tono delicato e il gusto con cui viene narrata questa storia, senza precipitare negli stra-logori luoghi comuni del pernicioso menu sesso droga & rock'n roll.
Qui interessano molto di più i caratteri, le storie personali, le relazioni. Tutto quello che all'epoca rese grande - musicalmente e non - una generazione ancora non fagocitata dalla tecnologia digitale e dalla musica virtuale.
La scelta vincente è il cast: il fascinoso protagonista è l'inglese Sam Claflin. Le due donne che dividono in due il suo cuore sono Riley Keough che, oltre a impersonare Daisy Jones, nella vita è la nipote diretta di Elvis Presley (è la figlia di Lisa Marie Presley, figlia di Elvis) e l'argentina Camilla Morrone (Camilla Dunne), famosa alle cronache per essere la compagna di Leo Di Caprio.
Ma anche tutti i personaggi di contorno funzionano assai bene. Tutti sanno recitare, tutti sono convincenti, tutti lavorano in sottrazione, senza esagerazioni e senza gigionismi.
La serie si vede con vero, grande piacere fino all'ultima puntata che dura 70 minuti, e che ovviamente presenta il redde rationem della intera storia.
Applausi.

Fabrizio Falconi - 2023

21/11/22

Una straordinaria foto d'epoca: i Pink Floyd a Saint-Tropez con una - neonata - Naomi Watts

 



E' davvero una splendida foto, che rievoca una intera epoca, quella delle summer love, del flower power, del movimento hippie, della meravigliosa creatività della musica rock inglese.

Fu scattata nell'estate 1970 in Francia, a Saint-Tropez, con i Pink Floyd al completo - seduti da sinistra si riconoscono David Gilmour, Nick Mason, Roger Waters (con gli occhiali scuri) e Richard Wright.

I Pink Floyd erano reduci dalla registrazione, negli Abbey Road Studios, di uno dei loro grandi capolavori, Atom heart Mother, che infatti uscirà il 2 ottobre di quell'anno.

Alla località francese, fra l'altro, i Pink Floyd dedicheranno un brano, così intitolato, attribuito al solo Roger Waters, nell'album seguente, Meddle, uscito nel 1971.

L'altra particolarità di questa foto è che vi figura anche una futura star, anche se ancora in fasce:

La bambina in braccio alla madre, ultima in piedi a sinistra è infatti l'attrice Naomi Watts a due anni. Di fianco è il padre dell'attrice, Peter Watts, per anni stretto collaboratore dei Pink Floyd, morto sei anni più tardi, nel 1976 a Notting Hill per overdose di eroina.

Fabrizio Falconi - 2022

14/10/22

Beatles: "Love me Do" ha compiuto 60 anni !

 


Tanti auguri "Love Me Do". L'iconico brano dei Beatles, che segno' il debutto discografico dei quattro ragazzi inglese, ha appena compiuto 60 anni.

Fu infatti composto da Paul McCartney e John Lennon qualche anno prima e pubblicato nel 1962 (sul lato B del 45 giri P.S. I Love You). 

Nel mese di ottobre - esattamente il 5 - uscì quindi il primo 45 giri ufficiale. 

Quella armonica a bocca blues, suonata da Lennon, che divenne indimenticabile (e che si ispirava all'artista americano di rhythm and blues Bruce Channel in Hey! Baby). 

Il brano, che fu poi incluso nell'album di esordio dei Beatles Please Please Me del 1963, ebbe una gestazione complicata in fase di registrazione.

Furono infatti tre i batteristi che si alternarono in differenti occasioni. 

La prima registrazione è del 6 giugno 1962 agli Abbey Road Studios di Londra con Pete Best alla batteria; a meta' agosto, Best venne sostituito da Ringo Starr e il 4 settembre venne eseguita una nuova registrazione sempre agli Abbey Road Studios. 

Non soddisfatti, una settimana dopo, l'11 settembre, la band torno' in studio per una nuova sessione con il batterista Andy White e con Ringo al tamburello

La prima versione del 45 giri è comunque quella con Ringo Starr alla batteria e la stessa è stata inclusa anni dopo nella versione americana di Rarities e in Past Masters, volume uno. 

La versione con Andy White è quella presente nel primo album inglese dei Beatles, Please Please Me, nell'EP The Beatles' Hits (e in tutti gli album seguenti in cui e' presente la canzone) nonché nelle ristampe del singolo avvenute nel 1976 e nel 1982.

Una versione blues piu' lenta di Love Me Do, presente in alcuni bootleg, e' stata suonata dai Beatles nel 1969, durante la session di Get Back per l'album Let It Be. 

Tra le storie che si narrano su Love Me do, quella che vuole che Lennon quell'armonica l'aveva rubata in un negozio di Arnhem nel 1960 e l'altra secondo cui il manager Brian Epstein tentò di far diventare Love me Do una hit nel Regno Unito comprando egli stesso diecimila copie del disco. 

09/10/22

L'ultimo giorno di vita di John Lennon e le sue ultime incredibili parole


Come trascorse l'ultima giornata di vita di John Lennon, uno dei più grandi musicisti della storia, assassinato da Mark David Chapman, lo squilibrato che gli sparò davanti al portone della sua casa di New York la sera dell'8 dicembre del 1980 ? 

Anche quel tragico 8 dicembre John, che ebbe una vita sempre movimentatissima, non si fermò un attimo. Come raccontò in seguito sua moglie Yoko Ono, quella fu una bellissima giornata a New York, il cielo era terso e l’aria era frizzante: la coppia aveva una marea di impegni in programma, tra i quali uno shooting fotografico, un’intervista e un’altra session di lavoro alla loro canzone Walking On Thin Ice presso gli studi Record Plant.

Dopo aver fatto colazione al Café La Fortuna insieme a Yoko, John Lennon andò al Viz-à-Viz per farsi dare una sistemata ai capelli: quando uscì fuori dal salone, l’artista aveva un nuovo taglio in stile retrò, che ricordava molto quello che aveva all’inizio della sua carriera. Subito dopo tornò nel suo appartamento, dove la fotografa Annie Leibovitz stava allestendo il set per lo shooting fotografico che avevano già iniziato la settimana precedente. Il produttore David Geffen aveva fatto in modo che John e Yoko ottenessero la prossima copertina di Rolling Stone, ma l’editore Jann Wenner cercò di realizzare una cover dedicata esclusivamente all’ex dei Beatles. In ogni caso, la fotografa che si occupò del servizio fotografico in seguito raccontò che non avrebbe mai dimenticato quella giornata: “John venne ad aprirmi indossando una giacca di pelle nera. Aveva i capelli pettinati all’indietro. Rimasi molto colpita perché aveva il suo vecchio look alla Beatles”.

Quella mattina Yoko Ono non posò per le foto insieme al marito: aveva deciso di farsi da parte per lasciare la copertina a lui, ma la fotografa era rimasta molto colpita dalla cover dell’album Double Fantasy dove i due coniugi erano stati ritratti mentre si scambiavano un tenero bacio e per questo desiderava fotografarli insieme. “Negli anni ’80 – spiegò – sembrava che il romanticismo fosse morto. Ma ricordai quanto fosse semplice e bellissimo quel loro bacio e mi lasciai ispirare. Inoltre, non era difficile immaginare John e Yoko senza vestiti perché stavano sempre così”. Alla fine John e Annie decisero di realizzare una foto con lui completamente nudo mentre abbracciava la moglie che invece era vestita, in posizione fetale. La fotografa così li immortalò in questa posa sul pavimento color crema del loro salotto.

La fotografa inizialmente fece una prova con una Polaroid e John ne fu entusiasta: “È proprio così, è esattamente questa la nostra relazione!”, disse il musicista. Annie quel giorno scattò un intero rullino, sia a John e Yoko insieme, sia a lui da solo, in varie stanze della sua casa. Una volta terminato il servizio fotografico, John scese al piano di sotto dove, nell’ufficio di Yoko Ono, lo attendava il team di RKO Radio per un’intervista con Dave Sholin. A lui raccontò la sua tipica giornata: “Mi alzo all’incirca alle 6, vado in cucina, bevo un caffè, tossisco un po’ e poi mi fumo una sigaretta, mentre guardo il programma Sesame Street con mio figlio Sean. Mi assicuro che guardi la PBS e non i cartoni con la pubblicità. Non mi interessano i cartoni animati, ma non voglio che lui guardi gli spot pubblicitari”.

Dave Sholin rimase affascinato da John e Yoko: “Il contatto visivo tra di loro era incredibile – disse in seguito di quell’incontro – non c’era bisogno di parlare. Loro si guardavano entrando intensamente in connessione”. Durante l’intervista, John parlò anche del suo quarantesimo compleanno, festeggiato da poco: “Spero di morire prima di Yoko – disse – perché se lei morisse io non saprei come sopravvivere. Non riuscirei ad andare avanti

A Sholin parlò poi della sua musica, spiegando di pensare alla sua carriera come un percorso continuo: “Ho sempre considerato il mio lavoro come un'opera unica – disse – sia con i Beatles, con David Bowie, con Elton John o con Yoko Ono. E penso anche che il mio lavoro non sarà finito fino a quando non sarò morto e sepolto, cosa che spero accada tra molto, molto tempo”. Queste parole oggi fanno un certo effetto, considerando che John Lennon morì poco dopo averle pronunciate. Ci sono stati solo due artisti con i quali ho lavorato per più di una serata - proseguì – sto parlando di Paul McCartney e Yoko Ono. Penso sia davvero un’ottima scelta. Come talent scout, penso di aver fatto davvero un ottimo lavoro”.

Dopo l’intervista, John e Yoko uscirono e la strada sotto la loro casa era stranamente deserta: “Dove sono i miei fan?”, chiese infatti il musicista che, nel frattempo, era stato raggiunto dal fotografo e suo grande amico Paul Goresh che doveva fargli vedere alcuni scatti che aveva realizzato di recente. A quel punto si avvicinò un fan e gli chiese un autografo sulla copertina di una copia di Double Fantasy: questo momento fu immortalato da Goresh. Nessuno poteva immaginare che quel fan con gli occhiali e il cappotto stropicciato solo cinque ore più tardi avrebbe ucciso Lennon, sconvolgendo il mondo.

Ignaro del suo destino, l’ex dei Beatles salì in macchina e andò con sua moglie agli studi di registrazione Record Plant, dove il produttore Jack Douglas li stava aspettando per lavorare a Walking On Thin Ice, un brano composto da Yoko Ono al quale John collaborò, sia suonando l’assolo di chitarra che partecipando alla produzione. Alla fine del lavoro, il musicista era pienamente soddisfatto e molto entusiasta del risultato: “D’ora in avanti faremo solo cose come questa – disse alla moglie – è grandioso! Questa è la direzione che dobbiamo prendere! È meglio di qualsiasi pezzo di Double Fantasy, pubblichiamolo prima di Natale!”. In realtà i produttori gli suggerirono di pubblicarlo dopo le feste e di fare le cose per bene, considerando anche che Double Fantasy stava continuando a scalare le classifiche britanniche, cosa alla quale John Lennon teneva particolarmente. In quei giorni era molto felice anche perché finalmente Yoko Ono stava iniziando ad attirare l’interesse della stampa e della critica e di questo era molto orgoglioso.

Dopo aver completato il lavoro, la coppia e il produttore si diedero appuntamento al mattino seguente per gli ultimi ritocchi. John e Yoko erano esausti perché in quelle ultime settimane avevano lavorato senza sosta, così decisero di prendere qualcosa da mangiare sulla via del ritorno; poiché era tardi, però, alla fine preferirono tornare subito a casa per augurare la buonanotte al figlio Sean che era con la babysitter. Alla cena ci avrebbero pensato dopo: salirono così nella limousine che li riportò a casa e scesero davanti alla loro residenza, il Dakota. Yoko scese per prima e si avviò verso il portone, mentre John la seguiva, portando con sé delle cassette, tra le quali anche l’ultima registrazione di Walking On Thin Ice.

Erano le 10:45 di una serena notte newyorkese quando la quiete fu interrotta dallo sparo che uccise Lennon. A premere il grilletto fu proprio quel fan che poche ore prima gli aveva chiesto un autografo. Pochi minuti dopo il canale ABC diede la terribile notizia, interrompendo il big match di football tra i New England Patriots e i Miami Dolphins. John Lennon morì prima di arrivare in ospedale e ben presto la strada dove abitava si riempì di fan sconcertati.

Alcuni giorni dopo, il 14 dicembre, su richiesta di Yoko Ono alle 2 del pomeriggio fu organizzata una veglia di preghiera: la donna invitò tutti a partecipare e in tutto il mondo le radio osservarono dieci minuti di silenzio in onore del grande artista. A Liverpool si radunarono circa 30mila fan, mentre 50mila persone si riunirono a Central Park per ricordare quell’uomo che aveva definito New York come la sua casa. Quel giorno tutti i progetti di John Lennon andarono in frantumi e la storia della musica cambiò per sempre.


Fonte: VirginRadio.it 

19/08/22

Quella volta che George Harrison fu aggredito e colpito da 40 coltellate, mentre si trovava a casa


Ascoltava la musica con le cuffie per cacciare le voci che gli rimbombavano nel cervello

Un ex tossicodipendente da eroina e da metadone. Con una passione: la musica. E un'ossessione: che i Beatles fossero demoni. E prima di loro che lo fossero gli Oasis.

Così Lynda Abram descriveva la sofferenza di suo figlio Michael, l'uomo che quasi uccise George Harrison piantandogli un coltello a un centimetro dal cuore

Un miracolo che il chitarrista dei Beatles fosse sopravvissuto. 

Michael Abram 33 anni, viveva vicino a Liverpool. Quella notte entrò nella casa di Harrison a Henley on Thames, a 70 chilometri da Londra e lo accoltellò. 

La moglie dell'ex Beatle Olivia riuscì a colpirlo con una lampada e i due sono riuscirono a immobilizzarlo fino all'arrivo della polizia. 

Harrison fu ricoverato all'ospedale di Harefield, a ovest di Londra, specializzato in medicina toracica. In un primo tempo era stato portato, con la moglie, al Royal Berkshire Hospital di Reading.

Le sue condizioni comunque non erano gravi. 

"Ho visto mio figlio l'ultima volta ieri - raccontò la signora Abram ai cronisti di un giornale locale - e mi sembrava molto calmo, ma negli scorsi sei mesi è stato malissimo. Ho a lungo cercato di aiutarlo ma è stato come sbattere la testa contro un muro". 

La donna aggiunse che Michael aveva alle spalle una lunga storia di tossicodipendenza, e dal mese di maggio aveva "smesso di usare eroina e anche il metadone", si era rivolto a consulenti psichiatrici che - a suo dire - "non l'hanno aiutato". 

Per la signora Abram "se il servizio sanitario avesse dato retta a Michael, questo (l'attacco agli Harrison) non sarebbe successo". 

"Era solito urlare molto - ha proseguito la 52/enne Lynda - ma non è mai stato violento o aggressivo. Era ossessionato da tanti tipi musica. Diceva di ascoltarla con le cuffie per cacciare le voci dal suo cervello. Settimane fa era fissato con gli Oasis, ora coi Beatles che considerava dei demoni". 

 Secondo la polizia tutto faceva pensare che l'aggressione fosse preparata, e che non si trattò di un tentativo di furto andato male. 

Impressione in qualche modo confermata dalla madre. 



Uno squilibrato, insomma, proprio come quello che l'8 dicembre del 1980, a New York, uccise John Lennon. 

Abram fu subito ricoverato in ospedale per una lesione cranica, con la porta piantonata dai poliziotti che temono possa tentare il suicidio. 

L'episodio fu  subito commentato da Paul McCartney che si disse sconvolto per l'accaduto, rivolgendo o gli auguri all'ex compagno. "Grazie a Dio - ha detto - George e Olivia stanno bene e mando loro tutto il mio affetto". 

Ma già allora restò nell'ombra la maledizione del quartetto di Liverpool e le analogie con la morte di John Lennon. Mark David Chapman, l'assassino del leader dei Betles, che si era appostato in strada, in attesa che lui e Yoko Ono, rientrassero nel loro appartamento, nel "Dakota Building" che si affaccia su Central Park a Manhattan. 

"Hey Mr Lennon" gli disse quella mattina di dicembre del 1980. John si voltò, giusto il tempo di vedere il volto del suo assassino, e cinque colpi di pistola misero fine alla sua vita. Aveva 40 anni. Condannato a 20 anni, Chapman, uno squilibrato ossessionato dal "Giovane Holden" di Salinger ha confessato di aver ucciso John Lennon per "piantare l'ultimo chiodo nella bara degli anni Sessanta".

20/07/22

"Paranoid Android" : come nacque il capolavoro dei Radiohead, sull'album "OK computer"


OK Computer dei Radiohead è stato pubblicato nel 1997 e rimane non solo uno degli album definitivi degli anni '90 ma anche "l'ultimo album che ha cambiato la storia del rock". Una miscela di rock ed elettronica, oggi il disco è considerato il ponte tra gli esordi chitarristici di Pablo Honey e The Bends e ciò che sarebbe avvenuto con dischi come Kid A e Amnesiac

Fondendo musica pionieristica e commenti sociali taglienti sulla diffusione della tecnologia e dell'economia neoliberale, l'LP è uno degli album più completi mai pubblicati. Grazie alla sua pertinenza, OK Computer è stato un successo trasversale ed è rimasto uno dei migliori della band. 

Sebbene il disco sia stellare dall'inizio alla fine, con brani come "Karma Police", "Exit Music (For a Film)" e "No Surprises", il pezzo forte è la seconda traccia, "Paranoid Android". Un'epopea rock di oltre sei minuti, che mette in mostra ogni aspetto della maestria dei Radiohead in quel momento, e non sorprenderà sapere che la band si è ispirata a "Happiness is a Warm Gun" dei Beatles, un brano costantemente locomotore di "Abbey Road", per il modo in cui ha fuso insieme due brani musicali contrastanti.

Un altro brano classico che li ha ispirati è stato "Bohemian Rhapsody" dei Queen e, a causa delle sue dinamiche sempre mutevoli, sarebbe stato etichettato come "La 'Bohemian Rhapsody' degli anni '90", cosa che la band avrebbe immancabilmente scrollato di dosso grazie alla sua modestia senza compromessi.

Sebbene potremmo parlare per ore della musica di "Paranoid Android", il brano si distingue anche per un altro motivo: i testi del frontman Thom Yorke. 

Come si addice a una canzone composta da giustapposizioni, le sue parole sono state ispirate da due cose completamente contrastanti.

La prima è avvenuta quando Yorke si trovava in un bar di Los Angeles e si è seduto accanto a un gruppo di amici strafatti di cocaina. Una delle donne del gruppo era stata accidentalmente ricoperta dal drink di un'altra persona e si era scatenata in una rabbia di proporzioni "disumane". "C'era uno sguardo negli occhi di questa donna che non avevo mai visto prima da nessuna parte", ha spiegato "Quella notte non sono riuscito a dormire per questo".

Anche se Yorke ha parodiato la donna con l'intramontabile battuta "scalciante porcellino di Gucci", ha voluto fare qualcosa di più con la sua esperienza che non semplicemente criticarla. Ha usato questa esperienza come mezzo per osservare la società nel suo complesso. Ha sfogato la sua rabbia su di noi come collettività, non solo sulla donna, poiché le sue azioni erano indicative di come ci troviamo nei tempi moderni; da qui il sarcasmo di "Dio ama i suoi figli, sì". 

Per il titolo, Yorke ha scelto "Paranoid Android" sia come riferimento a Marvin, l'originale androide paranoico del romanzo spaziale di Douglas Adams Guida galattica per gli autostoppisti, sia per fare del sarcasmo su come il pubblico lo vedeva. 

Il titolo "è stato scelto per scherzo", ha detto a Jam. "Era del tipo: "Oh, sono così depresso". E ho pensato: "È fantastico. È così che la gente vorrebbe che fossi".

Una canzone incredibilmente stratificata, non c'è da stupirsi che "Paranoid Android" sia uno dei brani ancora oggi più ascoltati e più discussi dei Radiohead. 

17/06/22

* Domani il leggendario Paul McCartney compie 80 anni ! Storia della sua canzone forse più intima e più famosa*

 

Paul McCartney fotografato dalla moglie Linda

Domani Paul McCartney di sicuro il musicista vivente più famoso al mondo, compie la bellezza di 80 anni. Nato il 18 giugno 1942, sotto il segno dei Gemelli, a Liverpool, McCartney, in coppia con il collega John Lennon ha scritto qualcosa come 170 canzoni fondamentali nella storia della musica. A queste sono da aggiungere poi, ovviamente, quelle della sua lunga carriera solista. 

Tra quelle 170 forse la canzone più intima e famosa, quella che meglio di ogni altro disegna il mito di Paul, inserite nell'ultimo album dei Beatles, omonimo, è Let it Be, esattamente la sesta traccia di quel capolavoro, canto del cigno del gruppo. 

Come è noto, Paul McCartney rivelò che l'ispirazione per la canzone gli venne da un sogno, nel quale aveva parlato con la madre Mary, morta di cancro nel 1956 quando lui aveva solo 14 anni. 

Paul, infatti, al momento dell'incontro fatale con John Lennon era orfano di madre, come lo stesso John, che aveva perso la sua all'età di 16 anni.

Nel sogno, secondo il racconto del musicista, la madre consigliava a Paul, preoccupato per le tensioni nel gruppo, di lasciare correre, cioè to let it be, nel senso che "tutto si sarebbe aggiustato".

John Lennon accolse la canzone con malcelato sarcasmo, poiché la considerava troppo "pseudo-religiosa". Secondo alcuni, l'antipatia di Lennon per il brano sarebbe confermata proprio dalla collocazione della canzone sull'album, posta appena dopo l'irridente frase di Lennon: «And now we'd like to do "Hark The Angels Come"!» ("Ed ora vorremmo eseguire Udite! Gli angeli cantano!"), e subito prima dell'esecuzione di Maggie Mae, dedicata ad una prostituta di Liverpool.

Il singolo raggiunse la prima posizione in classifica in mezzo mondo. 

Fu l'ultimo singolo dei Beatles pubblicato prima dello scioglimento della band. Infatti sia l'album Let It Be che il singolo The Long and Winding Road uscirono quando il gruppo ormai ufficialmente non era più in attività. 


Nel 2004 il brano ha raggiunto il ventesimo posto nella classifica delle 500 canzoni migliori di tutti i tempi pubblicata dalla rivista Rolling Stone.

La versione finale venne registrata il 31 gennaio 1969, come parte del progetto Get Back (l'album che successivamente diventerà Let It Be). McCartney suonava un pianoforte a coda Blüthner, Lennon il basso, Billy Preston l'organo, George Harrison la chitarra elettrica e Ringo Starr la batteria.

In questa seduta furono registrate due versioni della canzone. In entrambe le versioni il pianoforte suonato da McCartney presenta un accordo dissonante a 2:58.

Recentemente McCartney nella sua autobiografia (Paul McCartney - The lyrics. Parole e ricordi dal 1956 a oggi - A cura di Paul Muldoon, Traduzione di Franco Zanetti e Luca Perasi, Rizzoli e © 2021) è tornato con un più ampio racconto, sulla genesi di Let it be. Ecco il passo relativo: 

 "Sting una volta mi ha detto che cantare Let it be al Live Aid non è stata una buona scelta da parte mia. Pensava che fosse implicito che era necessario agire, e "non cercate di cambiare, le cose vanno già bene così" non era un messaggio adatto in quell'occasione, in quell'enorme chiamata alle armi che il Live Aid rappresentava. Ma Let It be non è una canzone sull'autosoddisfazione, o sulla connivenza. Parla dell'avere un senso del quadro d'insieme, del rassegnarsi alla visione globale. 

La canzone è nata in un momento di angoscia. Era un periodo difficile, perché stavamo andando verso la separazione dei Beatles. E un periodo di cambiamento, in parte anche perché John e Yoko si erano messi assieme e questo aveva condizionato le dinamiche del gruppo. Yoko si metteva in mezzo, nel vero senso della parola, alle sessioni di registrazione, il che era gravoso. Ma era anche qualcosa con cui dovevamo fare i conti. Sino a che non vi fosse stato un problema davvero serio - sino a che uno di noi non avesse detto: "Non posso cantare se lei è qui" - dovevamo lasciare che fosse così. Non eravamo polemici, ce la siamo messa via e siamo andati avanti. Eravamo ragazzi del Nord, quell'atteggiamento era parte della nostra cultura. Sorridi e sopporta. Una cosa interessante di Let It be che mi hanno fatto ricordare di recente è che, all'epoca in cui studiavo letteratura inglese al Liverpool Institute High School for Boys con il mio insegnante preferito, Alan Durband, ho letto l'Amleto. A quel tempo dovevi imparare brani a memoria perché quando li portavi all'esame dovevi essere in grado di citarli parola per parola. Ci sono un paio di frasi, verso la fine che recitano: "O, I could tell you - But let it be. - Horatio, I am dead".  Mi sa che quei versi mi si sono conficcati nella memoria, senza che ne fossi consapevole. Quando stavo scrivendo Let it be stavo facendo troppo di tutto, ero sfinito, e ne stavo pagando il prezzo. La band, io... stavamo tutti passando "times of trouble", brutti momenti, come dice la canzone, e non sembrava esserci modo di uscire da quel casino. Un giorno mi sono addormentato stanchissimo e ho sognato che mia mamma (che era morta più di dieci anni prima) era, letteralmente, venuta da me. Quando sogni di vedere qualcuno che hai perso, anche se a volte è solo per una manciata di secondi, sembra proprio che sia lì con te, ed è come se ci fosse sempre stato. Penso che chiunque abbia perso una persona cara lo capisca, specialmente nel periodo immediatamente successivo alla loro morte.

Ancora oggi sogno John e George e parlo con loro. E in quel sogno, vedere il bel viso premuroso di mia mamma e trovarmi con lei in un luogo tranquillo mi ha dato molto conforto. Mi sono subito sentito a mio agio, amato e protetto. Mia mamma era una persona molto rassicurante, e come molto spesso fanno le donne, era lei che mandava avanti la famiglia. Ci teneva su il morale. Nel sogno sembrava aver capito che ero preoccupato per quello che stava succedendo nella mia vita e per quello che sarebbe successo, e mi ha detto: "Andrà tutto bene. Così sia".   Mi sono svegliato pensando che fosse una grande idea per una canzone. Ho cominciato pensando alle circostanze in cui mi trovavo - alle grane sul lavoro. All'epoca in cui abbiamo registrato Let It be stavo spingendo affinché la band ritornasse a esibirsi in piccoli club - per tornare alle origini e rinnovare il legame che ci univa, chiudere il decennio come lo avevamo iniziato, suonando solo per il piacere di farlo. Non lo abbiamo fatto, come Beatles, ma quell'idea è stata alla base della direzione presa dall'album Let It be. Non volevamo trucchetti di studio. Volevamo un album onesto, senza sovraincisioni. Non è andata a finire proprio così, ma quella era l'intenzione. La cosa triste è che i Beatles non hanno mai suonato questa canzone in concerto. Dunque l'esecuzione al Live Aid è stata, per molte persone, la prima volta che hanno sentito il pezzo suonato su un palco.

Comunque sia, Let It be è entrata ormai da tempo nella scaletta dei miei concerti. È sempre stata una canzone collettiva, sull'accettazione degli altri, e credo che il suo momento funzioni proprio bene quando sei davanti a una folla. Vedi molta gente che abbraccia i propri partner o gli amici o i propri cari e che canta in coro. Le prime volte, quando la suonavo, si vedevano anche tantissimi accendini tenuti sollevati. Adesso ai concerti non si può più fumare, e le luci vengono dai cellulari. Riesci sempre a capire quando una canzone non è molto popolare, perché la gente mette via il telefono. Ma quando faccio questa, lo tirano fuori.  Anni fa eravamo in Giappone e abbiamo suonato al Budokan di Tokyo. Avevamo appena fatto tre serate alla Tokyo Dome, un grande stadio da baseball da cinquantacinquemila posti. Per compensare abbiamo chiuso il tour con una serata al Budokan, che in confronto offre una certa intimità. Non erano passati proprio cinquant'anni da quando i Beatles ci avevano suonato, ma è stato uno spettacolo speciale, in un posto che mi suscita molti ricordi. Ai miei addetti al tour piace farmi delle sorprese, e in quell'occasione hanno distribuito a tutto il pubblico dei braccialetti. Non sapevo cosa stesse per accadere, ma durante Let it be tutta la sala si è illuminata, con migliaia di braccia che si muovevano. In momenti come questi, a volte è difficile continuare a cantare. 

Alcuni hanno detto che Let it be ha una leggera connotazione religiosa, e sembra un po' una canzone gospel, in particolare per via del pianoforte e dell'organo. Probabilmente il termine Mother Mary viene in prima battuta inteso come un riferimento a Maria Vergine, la Madre di Dio. Come forse ricorderete, mia madre Mary era cattolica, mio papà invece era protestante, e io e mio fratello siamo stati battezzati. Per quanto riguarda la religione, quindi, sono ovviamente influenzato dal cristianesimo, ma ci sono tanti validi insegnamenti in tutte le religioni. Non sono particolarmente religioso nel senso convenzionale del termine, ma credo nell'idea che ci sia una specie di forza superiore che ci aiuta. Questa canzone allora diventa una preghiera, o una piccola preghiera. Da qualche parte, nel fondo di essa, c'è un desiderio. E la stessa parola "amen" significa "e così sia" - o "let it be"".

fonti: Wikipedia - LaRepubblica

08/06/22

*Quando Charles Manson il guru killer di "Bel-Air" era convinto che le canzoni dei Beatles gli parlassero e il caso di "Sexy Sadie".*

 


Non solo "Helter Skelter", il titolo della canzone dei Beatles che fu trovato scritto con il sangue delle vittime, da Manson e dai suoi carnefici dopo uno dei loro massacri, in particolare sul frigorifero nella casa dei coniugi Leno & Rosemary LaBianca nell'agosto del 1969, il giorno dopo il massacro compiuto nella villa di Roman Polanski a Bel-Air, Hollywood in cui furono uccise Sharon Tate, la compagna di Polanski, in cinta al nono mese, e altre 4 persone che erano ospiti della casa al 10050 di Cielo Drive.
L'ossessione folle di Manson, musicista fallito, per le canzoni dei Beatles era cominciata già qualche tempo prima.
In particolare alla canzone "Sexy Sadie", tratta dal nono e omonimo album dei Beatles The Beatles, noto anche sotto la denominazione di White Album (album bianco) che era stata composta quasi esclusivamente dal solo Lennon.
Questa canzone aveva una origine molto particolare:
Il primo abbozzo del brano si fa risalire all'aprile 1968, nel giorno in cui George e John si trovavano, durante il famoso soggiorno in India, sulla via verso Delhi dopo avere abbandonato Rishikesh, dove il gruppo aveva seguito un corso di meditazione trascendentale tenuto dal guru indiano Maharishi Mahesh Yogi.
La scritta "Healter Skelter" (storpiata rispetto all'originale
sul frigorifero della casa di Leno e Rosemary LaBianca

La guida spirituale, presentata l'anno precedente ai Beatles dalla moglie di George Harrison Pattie Boyd in un periodo particolarmente delicato del loro percorso esistenziale, aveva suscitato dapprima curiosità e fiducia nei membri del gruppo, specialmente in Harrison e Lennon. Quest'ultimo sosteneva fermamente che nel guru risiedeva la risposta a tutti i suoi problemi, che magari gli sarebbe stata elargita con una semplice e risolutiva frase, foriera di una verità talmente profonda e paradossale da cambiare radicalmente in lui il modo di concepire difficoltà e avversità. Tuttavia questa frase tardava a venire, fintantoché il gruppo cominciò a nutrire seri dubbi sui metodi e sulla filosofia di vita del Maharishi.

Inoltre, il gruppo trovava alquanto inusuale come un sedicente santone potesse disporre di domestici, commercialisti e una dépendance di assoluto rispetto, oltre alla tenuta che vantava letti a baldacchino e centro benessere, alla ridondante presenza di belle donne e perfino alla piattaforma di decollo e atterraggio di un elicottero privato.
Così, uno dopo l'altro, cominciarono a nutrire un crescente scetticismo nei confronti del Mahesh Yogi. Il primo a collidere con la personalità del filosofo/santone fu senz'altro Lennon, che arrivò addirittura a comporre una canzone finalizzata a denunciare la presunta truffa della quale erano stati oggetto. La traccia assunse il titolo temporaneo di Maharishi, what have you done?.
Successivamente, anche per evitare querele, il titolo fu mutato in Sexy Sadie. Malgrado ciò, inequivocabili risultano le allusioni alla trascorsa esperienza insieme al guru indiano.
Per esempio, nel verso «Sexy Sadie, what have you done? / You made a fool of everyone» ("Cos'hai fatto? / Ti sei presa gioco di tutti"), Lennon fa trasparire il proprio astio verso l'effimera esperienza di felicità passata nella fastosa tenuta del maestro di meditazione trascendentale. Ma sono anche altri gli attacchi nei confronti dell'ambigua figura del Maharishi considerato un truffatore megalomane corroso dalla bramosia verso il denaro.
Ma cosa c'entra Charles Manson con tutto questo?
Nel suo delirio psicopatico, Charles Manson verso la fine del 1968 Manson si convinse che la canzone fosse dedicata a una sua seguace, Susan Atkins, da lui stesso ribattezzata "Sadie Mae Glutz".
La presenza nell'album di un brano intitolato Sexy Sadie, laddove Manson aveva dato a Susan il nome "Sadie" molto tempo prima della pubblicazione del disco, fortificò in lui la convinzione che i Beatles "gli parlassero", con messaggi nascosti nei solchi del 33 giri (principalmente nelle canzoni Helter Skelter, Honey Pie, Piggies, Blackbird, Revolution 9), e gli indicassero la via da seguire nella guerra razziale globale che di lì a poco si sarebbe scatenata, ispirando i suoi deliri omicidi.
Una follia distruttiva che comportò a Manson la condanna all'ergastolo comminata nel 1972, che scontò fino alla morte avvenuta nell'ospedale di Bakersfield, nel novembre del 2017.

Fabrizio Falconi - 2022

02/06/22

La Canzone più drammatica (e allo stesso tempo lieve e sublime) scritta dai Beatles: "She's Leaving Home*


Da quel capolavoro assoluto che è Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, album del 1967, ho riscoperto con meraviglia una delle canzoni di quell'album, piuttosto dimenticata.

Si tratta della settima traccia: "She's Leaving Home".
Un pezzo di rara bellezza che si apre con le note di un'arpa (per la prima volta una donna suonò in un album dei Beatles) e prosegue punteggiata dagli archi e dalle voci di Paul e di John che si mescolano melodiosamente e si alternano.
Paul trasse l'ispirazione per questa canzone da un fenomeno che si andava diffondendo all'epoca: giovani ragazze che scappavano di casa, per non tornare più. La notizia era stata letta da Mc Cartney sulla prima pagina del Daily Mirror: una diciassettenne, Melanie Coe era fuggita di casa all'improvviso, mentre i suoi genitori erano al lavoro.
Mc Cartney cominciò a scrivere il testo, immaginando la ragazza che se ne va di notte, lasciando un biglietto e poi descrivendo il drammatico risveglio dei genitori.
Lennon, genialmente, inventò una sorta di "coro greco" che si alterna al racconto, dando voce al punto di vista dei genitori: "Le abbiamo dedicato tutta la nostra vita, le abbiamo dato tutto ciò che il denaro può comprare", ecc..
E' una delle pochissime canzoni nelle quali i 4 Beatles non suonano nessuno strumento, essendo la canzone arrangiata per archi (e l'arpa).
Riascoltandola non si può fare a meno di ammirare ancora una volta il prodigioso talento creativo di questi ragazzi che in meno di dieci anni cambiarono per sempre la storia della musica.
Ecco il Testo in inglese e in italiano

Wednesday morning at five o'clock
As the day begins
Silently closing her bedroom door
Leaving the note that she hoped would say more
She goes down the stairs to the kitchen
Clutching her handkerchief
Quietly turning the backdoor key
Stepping outside, she is free
She, ... (we gave her most of our lives)
Is leaving (sacrified most of our lives)
Home (we gave her everything money could buy)
Father snores as his wife gets into her dressing gown
Picks up the letter that's lying there
Standing alone at the top of the stairs
She breaks down and cries to her husband
Daddy, our baby's gone.
Why would she treat us so thoughtlessly?
How could she do this to me?
She (we never thought of ourselves)
Is leaving (never a thought for ourselves)
Home (we struggled hard all our lives to get by)
She's leaving home, after living alone, for so many years
Friday morning, at nine o'clock
She is far away
Waiting to keep the appointment she made
Greeting a man from the Motortrade
She (what did we do that was wrong)
Is Having (we didn't know it was wrong)
Fun (fun is the one thing that money can't buy)
Something inside, that was always denied,
For so many years, .
She's leaving home
Lei se ne va di casa
Mercoledì mattina alle cinque quando inizia il giorno
Chiude silenziosamente la porta della sua camera
Lascia il biglietto che lei sperava avrebbe detto qualcosa in più
Lei scende le scale verso la cucina stringendo il suo fazzoletto
Gira in silenzio le chiavi della porta sul retro
Esce all’esterno, è libera
Lei (Le abbiamo dato la maggior parte delle nostre vite)
Se ne va (Abbiamo sacrificato molto delle nostre vite)
Di casa (Le abbiamo dato qualunque cosa i soldi potrebbero comprare)
Se ne va di casa dopo aver vissuto da sola (Ciao ciao)
Per così tanti anni
Il padre russa mentre sua moglie s’infila nella vestaglia
Raccoglie la lettera che giace lì
Resta in piedi da sole in cima alle scale
Esplode in lacrime dal marito, Papà, la nostra piccola se n’è andata
Perché avrebbe dovuto essere così sconsiderata con noi
Come ha potuto farlo
Lei (Non abbiamo mai pensato a noi stessi)
Se ne va (Mai un pensiero per noi stessi)
Di casa (Abbiamo lottato duramente tutta la vita per tirare avanti)
Se ne va di casa dopo aver vissuto da sola (Ciao ciao)
Per così tanti anni
Venerdì mattina alle nove lei è lontana
In attesa dell’appuntamento che aveva fissato
Incontra un uomo dell’industria automobilistica
Lei (Cosa abbiamo sbagliato)
Si sta (We didn’t know it was wrong)
Divertendo (Il divertimento è quella cosa che i soldi non possono comprare)
Qualcosa dentro che le è sempre stato negato (Ciao ciao)
Per così tanti anni
Lei se ne va di casa (Ciao ciao)

Ed ecco il video della Canzone:


19/05/22

Per la prima volta Roger Waters parla del suo incontro con John Lennon ad Abbey Road: "Era arrogante, ma anche io lo ero"

 


In una conversazione con Marc Maron sul podcast WTF, il co-fondatore dei Pink Floyd Roger Waters ha parlato del compianto John Lennon, dei Beatles e altro ancora. 

Parlando dell'incontro con Lennon, Waters ha detto: "Stavamo facendo Piper At The Gates of Dawn in Abbey Road Studio 3, e i Beatles stavano facendo Sgt. Peppers nel numero 2. E in seguito ho fatto altri dischi in questo stesso studio". 

"Ho incontrato John Lennon solo una volta, con mio grande rammarico, ed era nella Control Room n. 2, ed era un po'... Era piuttosto arrogante, proprio come me." 

Quando gli è stato chiesto se frequentava i club di Londra dove si ritrovano tutte le big band, ha detto: "Ho già sentito parlare di quei club a Londra, come The Establishment, dove i Rolling Stones e i Beatles si incontravano e uscivano insieme. Ma non ho mai fatto niente di tutto questo né ho partecipato a niente di tutto ciò”

"Non so perché. Onestamente, non riesco a ricordare perché [non ho preso parte a tutto questo]”. Quando gli è stato chiesto se all'epoca andava spesso ai concerti, ha risposto: “Sono andato ad ascoltare musica, ma non sono andato a vedere le band [in particolare]. Ho visto i Rolling Stones una volta al Gaumont State di Kilburn, facevano parte di un grande spettacolo organizzato e indossavano giacchette, erano tutti in uniforme. 

“Erano circa quinti sul poster. Chi c'era in lista? Eddie Cochran, Bo Diddley, Helen Shapiro, Mickie Most... E ci pensi e pensi, 'Wow, non è pazzesco?'."

Nonostante l’incontro freddo con John Lennon, Roger Waters ha raccontato di essere rimasto sconvolto quando ha ascoltato Sergent Pepper’s Lonely Hearts Club Band per la prima volta: «Mi ricordo che ero in macchina, nella mia vecchia Ford scassata, ascoltavo la radio e qualche stazione ha trasmesso tutto l’album dall’inizio dalla fine. Mi sono dovuto fermare e l’ho ascoltato tutto a bocca aperta».

01/05/22

Chi era Michael Abram, l'uomo che nel 1999 colpì George Harrison con 44 coltellate

 

Michael Abram, l'autore dell'aggressione a George Harrison nel 1999

Il 1997 fu un anno decisivo per George Harrison. Dopo il progetto Anthology, l'ex Beatle collaborò con Ravi Shankar a Chants of India, l'album di quest'ultimo. 

L'ultima apparizione televisiva di Harrison fu uno speciale per promuovere l'album, registrato nel maggio 1997. 

Subito dopo, ad Harrison fu diagnosticato un cancro alla gola;  ​​fu curato con la radioterapia, che sulle prime sembrò avere pieno successo. Il musicista attribuì l'insorgere della malattia al fatto di aver ripreso a fumare. 

Nel 1998 Harrison fu il più attivo degli ex Beatles nel promuovere la ristampa del loro film d'animazione del 1968 Yellow Submarine .

Ma l'anno seguente, un nuovo inquietante episodio turba la sua vita privata. Nel dicembre 1999, lui e sua moglie Olivia furono vittime di un attacco di coltello da parte di un intruso. Il 30 dicembre 1999, Harrison e sua moglie furono aggrediti nella loro casa, Friar Park . Michael Abram, un uomo di 34 anni affetto da schizofrenia paranoica, fece irruzione e aggredì Harrison con un coltello da cucina, perforandogli un polmone e provocando ferite alla testa prima che Olivia Harrison rendesse inabile l'aggressore colpendolo ripetutamente con un attizzatoio e con l'asta di una lampada. 

Harrison, qualche tempo dopo raccontò la brutta esperienza: "Mi sentivo esausto e potevo sentire la forza prosciugarsi da me. Ricordo vividamente una spinta deliberata al mio petto. Potevo sentire il mio polmone espirare e avevo sangue in bocca. Credevo di essere stato accoltellato a morte». 

Dopo l'aggressione Harrison fu ricoverato in ospedale dove gli furono riscontrate più di 40 coltellate e parte del suo polmone perforato fu rimosso. 

Poco dopo rilasciò una dichiarazione riguardo al suo aggressore: "Non era un ladro, e di certo non stava facendo un'audizione per i Traveling Wilburys. Adi Shankara, un filosofo indiano una volta disse: "La vita è fragile come una goccia di pioggia su una foglia di loto." E faresti meglio a crederci". 


Dopo essere stato dimesso da un ospedale psichiatrico nel 2002 dopo meno di tre anni di custodia statale, Abram disse: "Se potessi tornare indietro nel tempo, darei qualsiasi cosa per non aver fatto quello che ho fatto attaccando George Harrison, ma guardandoci indietro ora, ho capito che in quel momento non avevo il controllo delle mie azioni. Posso solo sperare che la famiglia Harrison possa in qualche modo trovare nei loro cuori la possibilità di accettare le mie scuse". 

Le ferite inflitte a Harrison durante l'invasione domestica furono minimizzate dalla famiglia nei  commenti alla stampa, ma secondo alcuni fu una delle concause del  ritorno del suo cancro. 

Nel maggio 2001, fu rivelato che Harrison aveva subito un'operazione per rimuovere una crescita cancerosa da uno dei suoi polmoni, e in luglio fu riferito che era in cura per un tumore al cervello in una clinica a Svizzera. 

Harrison morì in una proprietà di McCartney, in Heather Road a Beverly Hills, Los Angeles. Aveva 58 anni.  Morì in compagnia della moglie Olivia, dei figli Dhani, Shankar e della moglie di quest'ultimo Sukanya e della figlia Anoushka, e dei devoti Hare Krishna Shyamsundar Das e Mukunda Goswami , che cantavano versi della Bhagavad Gita . 

Il suo ultimo messaggio al mondo, come riportato in una dichiarazione di Olivia e Dhani, era: "Tutto il resto può aspettare, ma la ricerca di Dio non può aspettare e neanche amarsi l'un l'altro". 

Fu cremato all' Hollywood Forever Cemetery e il suo funerale si svolse presso il Self-Realization Fellowship Lake Shrine a Pacific Palisades, California. 

La sua famiglia sparse le sue ceneri secondo la tradizione indù in una cerimonia privata nei fiumi Gange e Yamuna vicino a Varanasi, in India. 

L'ultimo album di Harrison, Brainwashed (2002), è stato pubblicato postumo dopo essere stato completato da suo figlio Dhani e Jeff Lynne. Una citazione dalla Bhagavad Gita era inclusa nelle note di copertina dell'album: "Non c'è mai stato un tempo in cui tu o io non esistessimo. Né ci sarà un futuro in cui cesseremo di esistere"