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08/02/23

Un piccolo inno all'intelligenza e al cinema: "Motherless Brooklyn" di e con Edward Norton - Da non perdere


Se avete perso questo film, cercate di recuperarlo, è un consiglio franco. Ora potete farlo, noleggiandolo per 3.99 euro su Amazon prime video.
Motherless Brooklyn - che i soliti titolisti italiani hanno pensato bene di corredare di un'aggiunta, "I segreti di una città", che non c'entra nulla - è un gran bel film diretto da Edward Norton, alla sua seconda prova di regia dopo "Tentazioni d'amore" (altro titolo italiano ridicolo, in originale Keeping the Faith), del 2000.
Siccome credo che l'intelligenza sia attualmente in lenta via d'estinzione, questo film è particolarmente raccomandabile perché è intelligente ed è opera di un attore/regista assai intelligente, Edward Norton. Ed è tratto dal romanzo di uno dei più brillanti scrittori americani viventi, Jonathan Lethem.
Racconta la storia di un gruppo di detective negli anni '50 a New York, che si trova ad indagare sulla morte del loro capo, implicato in una serie di ricatti e corruzioni, dentro all'amministrazione cittadina, il cui assessore all'edilizia vuole sbancare quartieri poveri e neri di Brooklyn per i suoi affari.
Il più brillante di questi detective è per l'appunto Lionel "Brooklyn" Essrog, intepretato da Norton, che è affetto dalla sindrome di Tourette, il che lo rende geniale, ma continuamente sottoposto a tic incontrollati che producono effetti esilaranti.
La vicenda sarà risolta proprio da "Brooklyn" che come gli altri compagni è cresciuto in un orfanotrofio. Ironia, romanticismo, strizzate d'occhio al cinema americano di quel decennio, tutto in questo film sprizza intelligenza.
Il cast è di grande livello: Bruce Willis è il capo, Alec Baldwin il cattivo, Willem Defoe il suo fratello diseredato, la bellissima Gugu Mbata-Raw la paladina che si batte per la sua gente nera, Bobby Cannavale il collega detective di Brooklyn.
Il film ha avuto molte vicissitudini durante la produzioni, che ne hanno ritardato l'uscita nelle sale, nel 2019.
Le musiche, bellissime, sono di Daniel Pemberton, il più geniale musicista sulla scena americana, autore anche di quelle di "Amsterdam" di David O. Russell uscito recentemente.
Non perdetelo.

14/11/22

Il suicidio "più bello" del mondo: Empire State Building, New York, 1931






Sin dalla sua costruzione - 1931 - l'Empire State Building fu teatro di tragici e "spettacolari" suicidi.

Il 1º maggio 1947 vi fu quello più noto e sconcertante, quando la ventitreenne Evelyn Francis McHale si lanciò dalla terrazza dell'ottantaseiesimo piano e piombò fatalmente su una limousine nera parcheggiata in strada.

Ciò che stupì tutti fu il corpo della giovane vittima che giaceva supino e praticamente intatto sull'abitacolo sfondato della vettura. 

Fotografata da Robert Wiles, uno studente accorso sul posto, l'immagine fece il giro del mondo. Sembrando davvero una "icona moderna" della morte. 

Il gesto estremo della ragazza fu motivato da un biglietto autografo che la vittima lasciò sulla terrazza dell'ottantaseiesimo piano che recitava la seguente frase: «He's much better off without me... I wouldn't make a good wife for anybody,» ovvero: "Sta molto meglio senza di me... Non sarei una buona moglie per nessuno".

Dunque, dietro al gesto, come accade sovente, motivi sentimentali. 

La fotografia venne pubblicata il 12 maggio dello stesso anno dalla nota rivista statunitense Life riferendosi ad essa come «the most beautiful suicide» e fu acquistata anni più tardi dal noto esponente della Pop art Andy Warhol, che la elaborò intitolando l'opera Suicide (fallen body), inserendola nella galleria di sue serigrafie intitolata Death and disaster.

Fabrizio Falconi - 2022 

12/10/22

Annie Ernaux dopo il Nobel per la Letteratura compare in pubblico a New York: "Finché qualcosa non è stato scritto, non esiste davvero"

 


Da quando Annie Ernaux ha vinto il premio Nobel per la letteratura la scorsa settimana, i libri dell'autrice francese hanno conquistato un numero tale di ammiratori che molti titoli sono esauriti su Amazon.com e nelle librerie, alcuni non disponibili per un mese o più. 

Ma all'Albertine Books, nell'Upper East Side di Manhattan, la sua apparizione lunedì sera è sembrata meno una presentazione che una riunione di vecchi amici, francesi e americani. 

L'evento, raggiungibile al secondo piano attraverso una scala a chiocciola all'interno dei Servizi Culturali dell'Ambasciata di Francia, aveva registrato il tutto esaurito ben prima dell'annuncio del Nobel.

Lunedì, una prima fila di partecipanti si è estesa dietro l'angolo e alla fine centinaia di persone si sono ammassate all'interno, compresa una folla in esubero che l'ha osservata attraverso un video trasmesso dal piano inferiore. 

Accolta da un'ovazione da parte di un pubblico di sole persone in piedi, tra cui i colleghi Garth Greenwell e Rachel Kushner, l'ottantaduenne Ernaux ha parlato a lungo e con ritmo energico, attraverso la sua traduttrice, della sua carriera e del processo di scrittura. 


Le sue risposte ampie contrastavano con lo stile economico dei suoi libri autobiografici, notoriamente brevi, tra cui "Passione semplice", di 64 pagine, e "Happening", di 96 pagine, il suo candido ricordo di un aborto illegale nel 1963, che l'anno scorso è stato adattato in un film omonimo in lingua francese. 

 La serata era intitolata "L'arte di catturare la vita con la scrittura". La Ernaux, intervistata dall'autrice Kate Zambreno, ha paragonato il suo lavoro a un'esplorazione a lungo termine della sua mente, facendo eco a un sentimento comune tra gli autori: Scrivono per scoprire ciò che pensano. 

"La letteratura mi è apparsa come l'unico mezzo per raggiungere quella che io chiamo verità o realtà", ha detto. "È un modo per rendere chiare le cose, non in modo semplice, anzi, scrivere le cose le rende più complesse. È anche un modo per dire che finché qualcosa non è stato scritto non esiste davvero". 

Cresciuta nella Normandia rurale, la Ernaux è stata elogiata dai giudici del Nobel per aver mostrato "grande coraggio e acutezza clinica" nel rivelare "l'agonia dell'esperienza di classe, descrivendo la vergogna, l'umiliazione, la gelosia o l'incapacità di vedere chi si è". 

La Ernaux ha detto lunedì sera che il suo obiettivo non è mai stato quello di scrivere un "bel libro" o di far parte del mondo letterario che ora la celebra, ma di articolare i suoi pensieri e le sue esperienze e renderli riconoscibili agli altri. 

Zambreno ha ricordato un momento di "Happening" in cui Ernaux va in biblioteca per fare una ricerca sull'aborto, ma non trova nessun libro che ne parli. La Ernaux ha spiegato che i libri l'hanno "nutrita e nutrita" fin dall'infanzia e che era sensibile sia a ciò che non includevano sia a ciò che includevano. "Happening" era di per sé una sorta di correttivo, e confidava che avrebbe avuto una certa risonanza, soprattutto dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rovesciato la sentenza Roe v. Wade l'estate scorsa. 

La Ernaux ha ricordato la sua difesa del diritto all'aborto, legalizzato dalla Francia nel 1975, e la sua gratitudine per la "sorellanza" di coetanei con cui ha potuto condividere la sua storia. 

Ma nemmeno le discussioni più intime hanno avuto il potere duraturo di inserire le parole in un testo rilegato. Anni dopo, dopo aver abortito, negli anni Duemila, quando ho scelto di scrivere di quello che chiamavo un "evento" o un "fatto", la gente mi chiedeva "perché sei tornata su questo argomento?"", ha detto. "E questo perché avevo la sensazione che ci fosse qualcosa che aveva bisogno di essere annullato, di essere guardato, di essere esplorato. Ed era solo attraverso la narrazione che quell'"accadimento" poteva essere guardato in quel modo"

Fonte: AP 

09/10/22

L'ultimo giorno di vita di John Lennon e le sue ultime incredibili parole


Come trascorse l'ultima giornata di vita di John Lennon, uno dei più grandi musicisti della storia, assassinato da Mark David Chapman, lo squilibrato che gli sparò davanti al portone della sua casa di New York la sera dell'8 dicembre del 1980 ? 

Anche quel tragico 8 dicembre John, che ebbe una vita sempre movimentatissima, non si fermò un attimo. Come raccontò in seguito sua moglie Yoko Ono, quella fu una bellissima giornata a New York, il cielo era terso e l’aria era frizzante: la coppia aveva una marea di impegni in programma, tra i quali uno shooting fotografico, un’intervista e un’altra session di lavoro alla loro canzone Walking On Thin Ice presso gli studi Record Plant.

Dopo aver fatto colazione al Café La Fortuna insieme a Yoko, John Lennon andò al Viz-à-Viz per farsi dare una sistemata ai capelli: quando uscì fuori dal salone, l’artista aveva un nuovo taglio in stile retrò, che ricordava molto quello che aveva all’inizio della sua carriera. Subito dopo tornò nel suo appartamento, dove la fotografa Annie Leibovitz stava allestendo il set per lo shooting fotografico che avevano già iniziato la settimana precedente. Il produttore David Geffen aveva fatto in modo che John e Yoko ottenessero la prossima copertina di Rolling Stone, ma l’editore Jann Wenner cercò di realizzare una cover dedicata esclusivamente all’ex dei Beatles. In ogni caso, la fotografa che si occupò del servizio fotografico in seguito raccontò che non avrebbe mai dimenticato quella giornata: “John venne ad aprirmi indossando una giacca di pelle nera. Aveva i capelli pettinati all’indietro. Rimasi molto colpita perché aveva il suo vecchio look alla Beatles”.

Quella mattina Yoko Ono non posò per le foto insieme al marito: aveva deciso di farsi da parte per lasciare la copertina a lui, ma la fotografa era rimasta molto colpita dalla cover dell’album Double Fantasy dove i due coniugi erano stati ritratti mentre si scambiavano un tenero bacio e per questo desiderava fotografarli insieme. “Negli anni ’80 – spiegò – sembrava che il romanticismo fosse morto. Ma ricordai quanto fosse semplice e bellissimo quel loro bacio e mi lasciai ispirare. Inoltre, non era difficile immaginare John e Yoko senza vestiti perché stavano sempre così”. Alla fine John e Annie decisero di realizzare una foto con lui completamente nudo mentre abbracciava la moglie che invece era vestita, in posizione fetale. La fotografa così li immortalò in questa posa sul pavimento color crema del loro salotto.

La fotografa inizialmente fece una prova con una Polaroid e John ne fu entusiasta: “È proprio così, è esattamente questa la nostra relazione!”, disse il musicista. Annie quel giorno scattò un intero rullino, sia a John e Yoko insieme, sia a lui da solo, in varie stanze della sua casa. Una volta terminato il servizio fotografico, John scese al piano di sotto dove, nell’ufficio di Yoko Ono, lo attendava il team di RKO Radio per un’intervista con Dave Sholin. A lui raccontò la sua tipica giornata: “Mi alzo all’incirca alle 6, vado in cucina, bevo un caffè, tossisco un po’ e poi mi fumo una sigaretta, mentre guardo il programma Sesame Street con mio figlio Sean. Mi assicuro che guardi la PBS e non i cartoni con la pubblicità. Non mi interessano i cartoni animati, ma non voglio che lui guardi gli spot pubblicitari”.

Dave Sholin rimase affascinato da John e Yoko: “Il contatto visivo tra di loro era incredibile – disse in seguito di quell’incontro – non c’era bisogno di parlare. Loro si guardavano entrando intensamente in connessione”. Durante l’intervista, John parlò anche del suo quarantesimo compleanno, festeggiato da poco: “Spero di morire prima di Yoko – disse – perché se lei morisse io non saprei come sopravvivere. Non riuscirei ad andare avanti

A Sholin parlò poi della sua musica, spiegando di pensare alla sua carriera come un percorso continuo: “Ho sempre considerato il mio lavoro come un'opera unica – disse – sia con i Beatles, con David Bowie, con Elton John o con Yoko Ono. E penso anche che il mio lavoro non sarà finito fino a quando non sarò morto e sepolto, cosa che spero accada tra molto, molto tempo”. Queste parole oggi fanno un certo effetto, considerando che John Lennon morì poco dopo averle pronunciate. Ci sono stati solo due artisti con i quali ho lavorato per più di una serata - proseguì – sto parlando di Paul McCartney e Yoko Ono. Penso sia davvero un’ottima scelta. Come talent scout, penso di aver fatto davvero un ottimo lavoro”.

Dopo l’intervista, John e Yoko uscirono e la strada sotto la loro casa era stranamente deserta: “Dove sono i miei fan?”, chiese infatti il musicista che, nel frattempo, era stato raggiunto dal fotografo e suo grande amico Paul Goresh che doveva fargli vedere alcuni scatti che aveva realizzato di recente. A quel punto si avvicinò un fan e gli chiese un autografo sulla copertina di una copia di Double Fantasy: questo momento fu immortalato da Goresh. Nessuno poteva immaginare che quel fan con gli occhiali e il cappotto stropicciato solo cinque ore più tardi avrebbe ucciso Lennon, sconvolgendo il mondo.

Ignaro del suo destino, l’ex dei Beatles salì in macchina e andò con sua moglie agli studi di registrazione Record Plant, dove il produttore Jack Douglas li stava aspettando per lavorare a Walking On Thin Ice, un brano composto da Yoko Ono al quale John collaborò, sia suonando l’assolo di chitarra che partecipando alla produzione. Alla fine del lavoro, il musicista era pienamente soddisfatto e molto entusiasta del risultato: “D’ora in avanti faremo solo cose come questa – disse alla moglie – è grandioso! Questa è la direzione che dobbiamo prendere! È meglio di qualsiasi pezzo di Double Fantasy, pubblichiamolo prima di Natale!”. In realtà i produttori gli suggerirono di pubblicarlo dopo le feste e di fare le cose per bene, considerando anche che Double Fantasy stava continuando a scalare le classifiche britanniche, cosa alla quale John Lennon teneva particolarmente. In quei giorni era molto felice anche perché finalmente Yoko Ono stava iniziando ad attirare l’interesse della stampa e della critica e di questo era molto orgoglioso.

Dopo aver completato il lavoro, la coppia e il produttore si diedero appuntamento al mattino seguente per gli ultimi ritocchi. John e Yoko erano esausti perché in quelle ultime settimane avevano lavorato senza sosta, così decisero di prendere qualcosa da mangiare sulla via del ritorno; poiché era tardi, però, alla fine preferirono tornare subito a casa per augurare la buonanotte al figlio Sean che era con la babysitter. Alla cena ci avrebbero pensato dopo: salirono così nella limousine che li riportò a casa e scesero davanti alla loro residenza, il Dakota. Yoko scese per prima e si avviò verso il portone, mentre John la seguiva, portando con sé delle cassette, tra le quali anche l’ultima registrazione di Walking On Thin Ice.

Erano le 10:45 di una serena notte newyorkese quando la quiete fu interrotta dallo sparo che uccise Lennon. A premere il grilletto fu proprio quel fan che poche ore prima gli aveva chiesto un autografo. Pochi minuti dopo il canale ABC diede la terribile notizia, interrompendo il big match di football tra i New England Patriots e i Miami Dolphins. John Lennon morì prima di arrivare in ospedale e ben presto la strada dove abitava si riempì di fan sconcertati.

Alcuni giorni dopo, il 14 dicembre, su richiesta di Yoko Ono alle 2 del pomeriggio fu organizzata una veglia di preghiera: la donna invitò tutti a partecipare e in tutto il mondo le radio osservarono dieci minuti di silenzio in onore del grande artista. A Liverpool si radunarono circa 30mila fan, mentre 50mila persone si riunirono a Central Park per ricordare quell’uomo che aveva definito New York come la sua casa. Quel giorno tutti i progetti di John Lennon andarono in frantumi e la storia della musica cambiò per sempre.


Fonte: VirginRadio.it 

01/07/22

Qual è la vera storia di "Lunch atop a Skyscraper" - "Pranzo su un grattacielo", l'iconica foto degli operai sospesi nel vuoto nel 1930?


Come è noto gli irlandesi e gli altri gruppi di immigrati (e i loro discendenti) sono responsabili del moderno skyline di New York, compreso il Rockefeller Center. E nessuna immagine ha simboleggiato questo contributo meglio di una delle foto più riconoscibili del XX secolo, "Lunch Atop a Skyscraper", originariamente intitolata "Builders of The City Enjoy Luncheon".

Questo ritratto di 11 operai del ferro che pranzano con disinvoltura seduti precariamente su una trave d'acciaio a 850 piedi d'altezza ha catturato l'immaginazione di milioni di persone quasi subito dopo la sua pubblicazione sul New York Herald-Tribune il 2 ottobre 1932, ma tutte le informazioni che un tempo si conoscevano sui soggetti e sul fotografo sono andate perse nel tempo. Sebbene sia più comunemente nota come "Pranzo in cima a un grattacielo", l'immagine è stata chiamata con nomi diversi nel corso degli anni, tra cui "Pranzo su una trave" e "Uomini su una trave".

Anche il luogo è stato oggetto di dibattito: Alcuni pensavano che si trattasse dell'Empire State Building, mentre in realtà si tratta di una foto pubblicitaria scattata durante la costruzione del 69° piano dell'RCA Building del Rock Center - oggi conosciuto come 30 Rock - ma grazie al lavoro investigativo di due registi irlandesi, questa e altre informazioni sulla foto sono venute alla luce.

Quasi 12 anni fa, nel 2010, Seán Ó Cualáín e suo fratello Éamonn ne hanno trovato una copia sulla parete di un piccolo pub di Shanaglish, a Galway, in Irlanda. "Accanto alla foto c'era un biglietto di un certo Pat Glynn, figlio di un emigrante locale, che sosteneva che suo padre e suo zio erano sulla trave", racconta Seán. "Sapevo ben poco della foto, se non che ero cresciuto con il mito che tutti gli uomini che vi comparivano erano irlandesi. Quindi eravamo incuriositi. Quando siamo usciti dal pub, il proprietario ci ha dato il numero di Pat e da lì siamo partiti". La loro ricerca per svelare il mistero della foto si è trasformata nel pluripremiato documentario del 2012, Men at Lunch.

La loro ricerca non è stata facile. "La sorpresa più grande è stata che, nonostante il richiamo mondiale della foto, nessuno aveva cercato di scoprire chi fossero gli uomini o il fotografo prima di noi", racconta Seán. "Stavamo letteralmente partendo da zero e senza l'assistenza e l'entusiasmo dell'archivista del Rockefeller Center, Christine Roussel, ci saremmo trovati in grossi guai". Dopo aver esaminato decine di fotografie dell'archivio scattate durante la costruzione del Centro, la Roussel è riuscita a identificare due degli uomini: Joe Curtis, il terzo da destra, e Joseph Eckner, il terzo da sinistra. (Purtroppo, a causa di limiti di programmazione e di budget, i registi non sono riusciti a sapere molto di più su di loro, a parte i nomi).

Per quanto riguarda Pat Glynn, i registi hanno incontrato lui e suo cugino, Patrick O'Shaughnessy, a Boston, dove hanno confrontato le foto di famiglia con gli uomini sulla trave. Entrambi sono convinti che l'uomo all'estremità destra con in mano una bottiglia sia il padre di Pat, Sonny Glynn, mentre l'uomo all'altra estremità sia il padre di Patrick, Matty O'Shaughnessy.

"Le somiglianze fisiche sono impressionanti, ma poiché non sono rimasti documenti di lavoro della costruzione Rockefeller, è molto difficile affermare con certezza al 100% che Sonny e Matty erano sulla trave", dice Seán. Dato che più di 40.000 persone sono state assunte per aiutare a costruire il Rockefeller Center - un'opportunità economica senza precedenti per una popolazione che stava lottando contro la Grande Depressione, molti dei quali stavano affrontando discriminazioni basate anche sulla loro provenienza - è piuttosto sorprendente che non esistano registri.

Tuttavia, quello che si sa è che tra questi lavoratori non c'erano solo irlandesi-americani e immigrati irlandesi, ma anche italiani, scandinavi, europei dell'Est, tedeschi e persino operai Mohawk del Canada. (Per oltre 100 anni, i membri della tribù Mohawk hanno contribuito alla costruzione di quasi tutti i grattacieli più importanti di New York, tra cui il Rockefeller Center, l'Empire State e il Chrysler). Di conseguenza, persone di ogni provenienza, provenienti da tutto il mondo, hanno dichiarato di conoscere gli uomini della foto.

Qual è l'opinione del regista? "Credo che su quella trave ci siano Matty e Sonny", dice Seán. "I documenti di famiglia collocano entrambi a New York all'epoca della foto. Inoltre, una frase detta da Patrick O'Shaughnessy alla fine del film mi è sempre rimasta impressa: 'Non si arriva all'età che ho io adesso senza sapere chi sei e chi è tuo padre'". Si spera che un giorno tutti gli uomini vengano identificati con certezza.

Mentre sono in corso ulteriori ricerche, ora sapete che potete festeggiare gli irlandesi a terra durante la parata o dal ponte di osservazione del Top of the Rock, vicino al luogo in cui questa foto iconica è stata scattata 85 anni fa (o anche sulla strada per l'ascensore sul tetto, dove potete entrare voi stessi nella foto). 

Fonte: Rockfellercenter.com


27/09/20

La morte scampata (per miracolo) di Andy Warhol


La morte scampata (per miracolo) di Andy Warhol

La mattina del 3 giugno 1968 Andy Warhol si trovò puntata addosso una calibro 22 impugnata dalla ventottenne Valerie Solanas.
Solanas aveva scritto il manifesto (intitolato "Scum", cioè "Feccia" di un movimento che aveva come obiettivo lo smantellamento della società dominata dai maschi, che non fece mai proseliti e di cui rimase unico membro.
Solanas, dopo l'attentato identificata come femminista radicale affetta da schizofrenia paranoide, aveva avvicinato nelle settimane precedenti Warhol nella sua Factory, che si trovava al secondo piano di un edificio in Union Square.
La Factory era una sorta di tempio aperto delle arti, ed era facilissimo accedervi senza controllo. Nel grande spazio centrale dell'edificio Warhol lavorava alle sue grandi tele e ai set fotografici. Per molti era facile presentarsi, senza essere invitati, e provare ad avvicinare Warhol: aspiranti attori e artisti, poeti e originali di ogni specie.
Alla Solanas, Warhol aveva affidato una piccola parte al film "I, a man", ma non aveva dato nessuna risposta a un copione che lei gli aveva sottoposto, intitolato ("Up your ass", "In culo a te").
In preda alla rabbia dunque Valerie si presentò alla Factory intrufolandosi nell'ascensore insieme a un assistente di Warhol. Questi, appena vide ala Solanas tentò di liquidarla e tornò alla sua scrivania. Valerie gli si avvicinò ed estrasse il revolver. Warhol la implorò di non sparare, ma la ragazza fece fuoco per due volte.
Warhol cercò scampo sotto la scrivania, ma la Solanas gli esplose addosso un terzo colpo, con l'intenzione di finirlo.
La Solanas si rivolse poi a Mario Amaya, il compagno di Warhol e gli sparò. Poi, puntò il revolver contro Fred Hughes, il manager dell'artista, il quale la supplicò di non sparare.
Per fortuna la pistola di Valerie a quel punto si inceppò e la ragazza prese la via della fuga.
In ospedale, Warhol venne dichiarato clinicamente morto.
I proiettili avevano perforato i polmoni, l'esofago, il fegato e la milza.
Un medico italiano del Columbus Hospital, Giuseppe Rossi, riuscì a salvare con un intervento lunghissimo e miracoloso, Warhol.
Solanas rivendicò con orgoglio il suo gesto. Warhol rifiutò di deporre contro di lei e questo valse alla ragazza un grosso sconto della pena, che si ridusse a 3 anni di carcere per tentato omicidio, aggressione e detenzione d'arma da fuoco.
Warhol non la perdonò, ma non volle infierire.
L'attentato e la miracolosa salvezza rinforzarono il senso religioso di Warhol ma ne cambiarono il carattere: da allora in poi divenne schivo, riservatissimo, e secondo alcuni cinico e crudele.
Cosa che stride fortemente con la descrizione dell'uomo che ne fecero i suoi amici più intimi, in primis Lou Reed e John Cale nell'album celebrativo che gli dedicarono dopo la morte.
(nella foto, Warhol fotografato da Avedon qualche anno dopo l'attentato)

Fabrizio Falconi - 2020

(fonti: Demetrio Paparoni, Il senso religioso di Andy Warhol oltre i colori della Pop Art, Domani, 22 settembre 2020)

Valerie Solanas fotografata dopo l'arresto


23/09/20

Il lato religioso di Andy Warhol

 


Il senso religioso di Andy Warhol

Anche se pochi lo sanno, in Andy Warhol esisteva un profondo lato spirituale, o meglio, religioso.
Le cui radici affondavano nel rapporto viscerale che aveva con la religiosissima madre cattolica Julia. Appartenendo all'élite dello star system, Warhol evitava di parlarne, temendo che avrebbe danneggiato la sua immagine pubblica rivelare che teneva un libro di preghiere sul comodino, un crocefisso a fianco del letto a baldacchino, immagini sacre ovunque e addirittura una cappella privata nella quale recitava ogni mattina le preghiere insieme alla madre, quando lei veniva a trovarlo nella sua casa di New York.
Non era insolito che si fermasse il pomeriggio a pregare nella chiesa di Saint Vincent Ferrer di Lexington Avenue, dove accendeva sempre una candela.
La pietà segreta di Warhol si concretizzava anche nell'aiuto ai poveri: donava con regolarità il suo tempo a una mensa di senzatetto e bisognosi e provava grande orgoglio nel finanziare gli studi dell'adorato nipote in seminario.
Solo gli amici più stretti erano a conoscenza della sua religiosità.
Accuratamente nascosta dietro la parrucca nascosta e il modo particolarissimo, eccentrico di parlare che erano la sua maschera.
Il suo rapporto con la fede si consolidò dopo l'attentato del 3 giugno 1968, in cui la ventottenne Valerie Solanas gli scaricò addosso diversi colpi di pistola, al torace e al ventre. Si salvò per miracolo, dopo giorni di agonia.

Fabrizio Falconi - 2020

(fonti: Demetrio Paparoni, Il senso religioso di Andy Warhol oltre i colori della Pop Art, Domani, 22 settembre 2020)

13/10/18

Una bellissima mostra dedicata a Jackson Pollock e alla Scuola di New York fino al 24 febbraio al Vittoriano.


Jackson Pollock Number 27, 1950 Olio, smalto e pittura di alluminio su tela, dal Withney Museum di NY esaposto per la prima volta in Italia


La grandezza di Jackson Pollock come cerniera tra il prima e il dopo e la vivacita' di New York che negli anni Cinquanta del secolo scorso divento' la capitale del contemporaneo.

Sono i due filoni che si intrecciano nella mostra "Pollock e la scuola di New York", fino al 24 febbraio al Complesso del Vittoriano, a Roma.

Un appuntamento di grande appeal in particolare per il capolavoro del grande artista, l' opera Number 27 prestata dal Whitney Museum ed esposta per la prima volta nella Capitale.

La grande tela - olio, smalto e vernice in alluminio - lunga oltre tre metri, occupa uno spazio privilegiato accanto agli altri big della pittura di quegli anni, Mark Rothko, Willem de Kooning, Franz Kline, Robert Motherwell.

Una cinquantina di tele preziose, una carrellata di colori, forme e linee per raccontare gli anni dell' espressionismo astratto. 

"Dopo Pollock probabilmente la pittura non sara' piu' la stessa cosa - spiega Luca Beatrice, che con David Breslin e Carrie Springer, del Whitney Museum, ha curato la rassegna italiana -. Sara' spazio, tempo, energia, movimento, quasi ad anticipare la body art. Pollock fu il primo artista americano a conquistare la celebrita' non soltanto tra gli addetti ai lavori".

La scuola di New York, che intese la pittura come "palestra di sperimentazione", ebbe il suo punto di svolta dopo l' esclusione degli esponenti dell' action painting, nel maggio 1950, dalla mostra di arte contemporanea del Metropolitan Museum.

Gli "irascibili", cosi' li defini' lo Herald Tribune, reagirono segnando quel periodo con le loro produzioni anticonformiste e rivoluzionarie.

Beatrice, anche nel suo testo in catalogo, offre lo spunto a considerare proprio il 1956 l' anno di inizio dell' arte contemporanea: l' 11 agosto Pollock, "gran bevitore che viveva di eccessi", mori' a 44 in un incidente stradale schiantandosi con la sua auto, come era avvenuto pochi mesi prima per James Dean.

La Oldsmobile Coupé verde del 1950 con cui si schiantò Jackson Pollock, a 44 anni, l'11 agosto del 1956 alle 22.15, a 300 metri da casa sua, insieme a Edith Metzger (una parrucchiera del Bronx morta per frattura al collo e ferite al torace) e alla fidanzata Ruth Kligman, sopravvissuta.


In quello stesso anno a Londra, e non in America, il critico d' arte Lawrence Alloway conio' il termine "Pop".

Erano anni di grande fermento culturale dove New York era diventata quello che Parigi era stata per il mondo dell' arte all' inizio del '900. Nel 1951 fu pubblicato Il Giovane Holden di Salinger, del 1956 e' Howl di Allen Ginsberg, l' anno dopo usci' Sulla strada di Keruac, mentre nella musica a dare la linea e' Miles David con Kind of Blue, del 1959.

Con la tecnica del dripping, far colare il colore sulla tela, e soprattutto lavorando sul quadro steso sul pavimento, Pollock apri' una pagina nuova. L'artista gira accanto al quadro, danza, dipinge senza usare il pennello, riversa cosi' la sua energia creativa. Number 27, del 1950, e' uno dei quadri piu' significativi per modalita' esecutiva.

Jackson Pollock e Lee Krasner nello studio di Pollock a East Hampton, 1950.


"Posso camminarci intorno lavorare sui quattro lati, essere letteralmente nel quadro. Preferisco la stecca, la spatola il coltello", disse Pollock, di cui e' riportata una frase illuminante: "Quando sono dentro il mio quadro non so cosa sto facendo".

Nel 1950 Pollock e' la superstar della pittura americana ma non e' solo - fa notare Luca Beatrice -. Da quasi dieci anni si parla di scuola di New York "per definire non un movimento coeso ma una sensibilita' di natura astratto informale, progressivamente scevro dal realismo". "Pollock ha toccato il livello piu' alto nell' informale - ha detto Vittorio Sgarbi che ha accompagnato il ministro dell' Istruzione Marco Bussetti in una breve visita della mostra - Questo tipo di pittura non si puo' datare agli anni Cinquanta, potrebbe essere di oggi. Gli informali attuali, quindi, che cosa possono fare di piu'? Bene o male lo citano o lo scimmiottano senza avere la sua energia e la sua tensione potentissima".

Alla potenza nervosa del maestro dell' action painting fa da contraltare Mark Rothko con i suoi grandi rettangoli di colore, utilizzato secondo "un approccio lirico e mistico". "Se Pollock rappresenta la forza - osserva Beatrice - in Rothko si evince il pensiero, la lentezza, la meditazione, termini ancora pregni di debordante modernita'". L' artista di origini lettoni, solitario e afflitto dalla depressione, il 25 febbraio 1970, convinto di avere una malattia incurabile, si uccise nel suo studio di New York.

Fonte Luciano Fioramonti per ANSA

16/11/17

Il Misterioso "Salvator Mundi" attribuito a Leonardo da Vinci batte ogni record di sempre: venduto all'asta per 450 milioni di dollari !



I 'vecchi maestri' si prendono una rivincita: a New York Leonardo batte Andy Warhol. 

Alle aste di Christie's, il 'Salvator Mundi' attribuito al maestro Da Vinci e' stato battuto per la cifra record di 450,3 milioni di dollari (compresi i diritti di asta), un record per qualsiasi opera d'arte

Ben oltre le 'Donne di Algeri' di Picasso battute da Christie's per 179,4 milioni nel 2015, ben oltre i 300 milioni pagati per 'Interchange' di Willem De Kooning, passato di mano nel settembre 2015 in una transazione privata. 

"E' un momento storico", ha detto il battitore, mentre uno dei potenziali acquirenti per telefono ponderava se alzare la puntata oltre i 300 milioni. Il prezzo pagato per il "Salvator Mundi" e' ancora piu' considerevole alla luce dello stato del mercato dell'arte in cui per i prezzi degli 'Old Masters' sono in retromarcia e per la fame dei collezionisti per l'arte contemporanea. La scommessa di accoppiare il Salvador Mundi con opere del nuovo segmento di mercato ha pagato. 

Leonardo ha polverizzato le '60 Ultime Cene' di Warhol, acquistate per 56 milioni di dollari senza i diritti d'asta. La campagna di marketing per promuovere il da Vinci ha incluso l'accesso al quadro in attesa che il martello del battitore scandisse l'atteso 'sold', venduto. Compresa New York, il Salvator Mundi e' stato 'visitato' da oltre 30 mila persone tra Hong Kong, Londra e San Francisco, un record per una mostra pre-asta

 A New York si sono fatte vedere anche alcune celebrita': l'attore Leonardo DiCaprio, che dovrebbe interpretare il ruolo dell'artista in un prossimo film Paramount, e poi la cantante e poetessa Patti Smith, Jennifer Lopez e la star del baseball Alex Rodriguez. 

Secondo Christie's - ma l'attribuzione al genio vinciano non è unanime ed è ancora controversa - il Salvator Mundi sarebbe l'ultimo quadro di Leonardo ancora in mani private: a metterlo in vendita e' stato il fondo di famiglia del miliardario russo Dmitri Ryobovlev, che lo compro' nel 2013 per 127,5 milioni di dollari.


fonte: Alessandra Baldini per Ansa

14/11/17

Bob Dylan a Roma per 3 serate! E intanto De Gregori va negli USA per rendergli omaggio.



E' il premio Nobel Bob Dylan il primo grande ospite della prossima stagione dell'Auditorium Parco della Musica di Roma, dove sara' per tre date: 3, 4 e 5 aprile nella sala Santa Cecilia. 

Lo annuncia l'Auditorium sui social. "Sono molto orgoglioso e felice di ospitare un artista cosi' prestigioso e importante ad un anno e mezzo dal conferimento del Nobel - dichiara all'ANSA Jose' Dosal, AD della Fondazione Musica per Roma - Un simbolo della musica mondiale, un poeta della song americana che il pubblico italiano sono convinto accogliera' con immenso entusiasmo. E' il primo dei grandi nomi di una stagione che si annuncia ricca di sorprese e che presenteremo domani proprio in Auditorium".

Intanto Francesco De Gregori va negli USA per rendere omaggio al suo grande maestro.  "Ho sempre amato molto Bob Dylan e mi sembra giusto restituirgli un po' della musica che gli ho preso". De Gregori sbarca per la prima volta negli USA e rende omaggio a Dylan. 

Il cantautore ha chiuso alla Town Hall di New York, non a caso luogo dove in passato si e' esibito lo stesso Dylan, il suo breve tour in nord America con due tappe, prima a Boston e poi a New York appunto

Due ore di concerto alternando, come lui stesso ha detto, pezzi che ha suonato raramente e i suoi successi storici. 

"Magari non erano buoni come singoli - ha spiegato a proposito dei brani poco suonati - ma quando fai un concerto devi fregartene di quello che passano o non passano le radio". Dall'album 'De Gregori canta Bob Dylan - Amore e furto' (2015), De Gregori ha cantato 'Non e' buio ancora', traduzione di 'Not Dark Yet', spiegando che anche se si tratta di un inno alla depressione e' una canzone molto bella. 

"Di Dylan mettero' in scaletta anche un pezzo preso del mio ultimo disco di traduzioni - aveva detto prima di iniziare il suo tour-. Puo' sembrare una stranezza andarlo a cantare in italiano davanti a un pubblico internazionale. Ma una sera a Parigi ho sentito Dylan cantare in inglese 'Les feuilles mortes' e da allora ho capito che si puo' fare tutto". 

Durante la prima parte del concerto De Gregori ha introdotto tutte le canzoni, sottolineando anche la s
ua intenzione di iniziare con brani tristi, durante la seconda parte ha smesso di parlare e ha lasciato invece la parola alla sua musica quella dei successi che non stancano mai, 'Generale', 'Rimmel', 'La donna cannone', 'Buonanotte fiorellino', mandando a casa tutti contenti, sempre come lui stesso ha detto. 

 Ad accompagnare in tour il cantautore poeta, Guido Guglielminetti (basso e contrabbasso), Carlo Gaudiello (piano e tastiere), Paolo Giovenchi (chitarre) e Alessandro Valle (pedal steel guitar e mandolino). "In questo giro di club non avremo un batterista - ha spiegato ancora De Gregori - ci saro' io che batto il piede sul palco e basta. E poi ci saranno un paio di chitarre, un basso e una tastiera. La maggior parte dei batteristi che conosco ormai cercano di somigliare a una batteria elettronica e questa cosa non mi piace".

13/05/17

Al MET di New York a Novembre una delle più grandi mostre di sempre su Michelangelo !

Michelangelo ritratto da Daniele da Volterra


Michelangelo sulla Quinta Strada: il Metropolitan Museum of Art organizzera' a novembre una grande mostra imperniata sui disegni del maestro della Cappella Sistina e sulla "sua potente iconografia ed eccezionale virtuosita' tecnica"

"Michelangelo: Divine Draftsman and Designer", aperta dal 13 novembre al 12 febbraio 2018, sara' "una di quelle mostre che si vedono una sola volta nella vita", ha osservato il museo

Nelle gallerie saranno esposti 150 disegni e tre sculture in marmo, il suo primo dipinto conosciuto ("Il Tormento di Sant'Antonio"), un modello architettonico di legno per la volta di una cappella, la serie completa dei disegni creati per l'amico Tommaso de' Cavalieri e un cartone monumentale per l'ultimo affresco in Vaticano. 

A curare la mostra e' stata Carmen Bambach, la storica dell'arte del Rinascimento che nel 2002 organizzo' la grande mostra sui disegni di Leonardo: due mesi di apertura, data la straordinaria fragilita' dei 120 pezzi esposti, con una media di visitatori da Guinness, quasi settemila al giorno. 

Stavolta la Bambach ha selezionato pezzi provenienti da 54 collezioni pubbliche e private negli Stati Uniti e in Europa. 

Il Met possiede solo tre opere di Michelangelo: due disegni ("Studio per la Sibilla Libica" e "Disegno per la tomba di Papa Giulio Secondo della Rovere") che di solito non sono esposti al pubblico, ma saranno nella mostra, e una scultura ("Giovane Arciere") attribuita di recente e in prestito dall'Istituto di Cultura francese a New York

05/05/16

Il Lincoln Center di New York celebra Anna Magnani .



Istituto Luce-Cinecittà e The FilmSociety of Lincoln Center sono orgogliosi di presentare La Magnani, la retrospettiva che porterà in anteprima a New York, e poi in tutti gli Stati Uniti e Canada, un momento irripetibile della storia del cinema mondiale: l'apparizione davanti alla macchina da presa di un'attrice di nome Anna Magnani. La retrospettiva prevede 24 titoli, in gran parte provenienti dall'Archivio Internazionale di Luce Cinecittà, tutti proiettati in pellicola in formato 35 e 16 millimetri, dal 18 maggio al 1 giugno 2016 presso il Walter Reade Theater del Lincoln Center, coprendo quasi per intero l'arco cronologico della sua carriera cinematografica, dal suo terzo film Tempo massimo di Mattoli del '34, fino al simbolico addio in Roma di Fellini nel 1972.

Passando per il capolavoro di Rossellini che la proiettò nella memoria del mondo, Roma città aperta ("Ti ho sentito gridare Francesco dietro un camion e non ti ho più dimenticato", scrisse Giuseppe Ungaretti), La rosa tatuata di Daniel Mann che le valse l'Oscar® (di cui ricorre quest'anno il 60° anniversario) e Selvaggio è il vento di Cukor, con cui vinse il premio per la miglior interpretazione a Berlino, e la sua seconda nomination agli Oscar®. La retrospettiva intende riproporre negli Stati Uniti, che le hanno ufficialmente tributato i più alti onori - dall'Oscar® alla stella sulla Walk of Fame di Hollywood - l'orgogliosa passione, l'umorismo tagliente ed il naturalismo alieno dall'affettazione, che hanno reso Anna Magnani il simbolo, se non forse la più sintetica definizione dell'idea del cinema italiano.

Una forma d'arte, esplosa nell'apparizione di Roma città aperta, che mostrò al mondo qualcosa che prima le platee non avevano mai visto così apertamente: quel qualcosa che si divideva tra la nudità del realismo e la gloria, che era la vita portata sullo schermo. Parimenti portata per il dramma e la commedia, così come per il palcoscenico e lo schermo, la Magnani incarnava quella che sarebbe stata la qualità più precisa e insieme inafferrabile del nostro cinema migliore: muovere con lo stesso film il pubblico al riso e alla commozione.

Così, non per caso, la retrospettiva newyorchese dedicata ad Anna Magnani diventa anche l'occasione per riscoprire alcuni capolavori del cinema italiano: da Rossellini (oltre a Roma città aperta, L'amore), Visconti (Bellissima), Pier Paolo Pasolini (Mamma Roma), Federico Fellini (Roma), De Sica (Teresa Venerdì), Lattuada (Il bandito), Monicelli (Risate di gioia), Zampa (L'Onorevole Angelina). Consegnando la diversità di generi e umori che fanno del cinema italiano uno dei più eclettici, ancora oggi, al mondo. E non meno intensa è la visione di pellicole di maestri internazionali: da Cukor, a un film divenuto proverbiale come La carrozza d'oro di Jean Renoir, al Lumet di Pelle di serpente (accanto a un possibile analogo maschile della Magnani, per iconicità ed estensione dei limiti del vero: Marlon Brando), a un film intrecciato alla vicenda biografica con Rossellini come Vulcano di Dieterle, alla Rosa tatuata, scritto da Tennessee Williams appositamente per l'attrice.

E non mancherà per il pubblico del Lincoln Center la visione di pellicole raramente conosciute oltreoceano, come una delle sue prime prove per il cinema, il già citato Tempo Massimo di Mario Mattoli del 1934, o il suo distintivo stile vocale in La vita è bella di Carlo Lodovico Bragaglia, e una delle sue ultime interpretazioni sullo schermo: il dramma storico …Correva l'anno di grazia 1870, di Alfonso Giannetti, la sua unica pellicola a fianco di un altro grande interprete italiano: Marcello Mastroianni, nel 1971

A seguire, dal 2 fino all'8 giugno, Istituto Luce Cinecittà ed il Lincoln Center presenteranno insieme la rassegna di Cinema Contemporaneo OPEN ROADS, giunta alla sua 16a edizione

24/01/16

New York proclama il 20 gennaio "David Bowie Day".






"Blackstar", l'ultimo album di David Bowie, è entrato alla numero 1 nelle classifiche di più di 20 Paesi tra cui Usa, Uk, Australia, Belgio, Canada, Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Spagna, Svezia e Svizzera. 

Il disco, il 28esimo dell'artista britannico pubblicato l'8 gennaio nel giorno del suo 69esimo compleanno, ha raggiunto la vetta su iTunes in 69 Paesi

Ieri, in occasione dell'ultima replica di "Lazarus", lo spettacolo in scena con le sue musiche, il Sindaco di New York City Bill de Blasio ha proclamato il 20 gennaio 2016 il David Bowie Day, che verrà celebrato ogni anno, in questa stessa data. 

23/01/16

Il Guggenheim di New York: il primo museo che da oggi è possibile visitare online.




Il Guggenheim Museum di New York da adesso in poi si potrà visitare da ogni angolo del mondo: nel senso che si potrà godere delle sue meraviglie stando comodamente al computer

Il Solomon R. Guggenheim Museum, l`avamposto newyorkese del circuito museale della fondazione Guggenheim (con sedi a Venezia, Bilbao e Abu Dhabi), ha deciso di permettere a chiunque lo desideri di visitare le sue sale grazie alla tecnologia di GoogleStreet View, la stessa che già consente di esplorare qualsiasi strada di qualunque città dallo schermo del proprio pc.

La fondazione ha inoltre voluto rendere disponibili in rete 120 opere della sua collezione permanente: quest`iniziativa è stata decisa insieme al Google Cultural Institute, che ha siglato partnership con oltre mille istituzioni dando una piattaforma di accesso onlune a migliaia di opere d'arte, sei milioni di foto, video, manoscritti e altri documenti culturali e storici. 

 Una piccola curiosità: la leggendaria struttura a spirale del museo, opera dell`architetto Frank Lloyd Wright, ha rappresentato una sfida non da poco persino per gli ingegneri del team di Google Street View

Per poter esplorare l'edificio dall`interno, oltre alle normali apparecchiature sono stati utilizzati dei droni. Le immagini sono state poi unite per fornire al visitatore virtuale un`esperienza a 360 gradi delle gallerie rotonde del Guggenheim

Il risultato è sorprendente: ci si può muovere da rampa a rampa e spostarsi vicino alle opere per ammirarle da vicino. Tra i pezzi in esposizione c'è anche "Daddy, Daddy" di Maurizio Cattelan, una scultura di Pinocchio che galleggia a testa in giù in una fontana al piano terra del museo. 

Questa spinta alla digitalizzazione sta contagiando sempre più i poli culturali: recentemente la New York Public Library ha reso disponibili più di 180.000 tra fotografie, cartoline, stampe e mappe dalle collezioni del suo gigantesco archivio, rendendo tutto il materiale scaricabile in alta definizione e gratuitamente (una delle maggiori operazioni di questo tipo mai realizzate).

La biblioteca di New York ha creato anche un gioco in cui si possono esplorare gli appartamenti newyorkesi di inizio '900 utilizzando le planimetrie depositate nel suo archivio. 

12/06/15

Alberto Burri sbarca al Guggenheim di New York.



Dal 9 ottobre al 6 gennaio 2016 il Guggenheim Museum di New York ospitera' una grande retrospettiva di Alberto Burri, la prima in oltre trentacinque anni e la piu' completa mai allestita negli Stati Uniti. 

La mostra newyorkese e' una delle piu' importanti iniziative del centenario della nascita dell'artista tifernate. 

Esplorando il processo creativo alla base delle sue opere, l'esposizione pone Burri come protagonista della scena artistica del secondo dopoguerra, rivedendo la tradizionale letteratura sugli scambi culturali tra Stati Uniti e Europa negli anni '50 e '60. 

Burri prese infatti le distanze dalle superfici pittoriche e dallo stile gestuale propri sia dell'Espressionismo astratto americano sia dell'Arte informale europea, rimaneggiando pigmenti singolari, materiali umili ed elementi prefabbricati. 

Raggruppando oltre 100 opere, molte delle quali mai esposte al di fuori dei confini italiani, la mostra sottolinea come Burri abbia attenuato la linea di demarcazione tra dipinto e rilievo plastico, creando una nuova poetica di dipinto-oggetto che influenzo' direttamente il Neodadaismo, l'Arte Processuale e l'Arte Povera. 

La mostra si intitola: Alberto Burri - the trauma of painting. Richard Armstrong, direttore del Guggenheim, l'ha cosi' commentata: "Attraverso il sapiente lavoro del nostro team, guidato da Emily Braun, stiamo ponendo l'accento su aspetti inediti relativi agli innovativi e sperimentali processi creativi di Alberto Burri. Rianalizzare le mostre e le pubblicazioni del Guggenheim dedicate a Burri nel secondo dopoguerra ci permette di approfondire la nostra storia con questo importante artista. Siamo lieti di poter celebrare il centenario della nascita di Burri attraverso questa importante retrospettiva". 

14/03/15

Il grande Piero della Francesca sbarca in America .



Cecilia Frosinini, direttore del Settore Restauro dipinti murali dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, terrà una conferenza su Piero della Francesca il prossimo 16 di marzo presso l’Ambasciata italiana a Washington D.C. 

Il tema della conferenza è la distinzione, al fine di una fondamentale e completa comprensione dell’arte di Piero, fra il significato di “disegno come progetto” e “disegno come espressione grafica” nella sua pratica pittorica. Le due parole (in inglese “design” e “drawing”) sono spesso usate come sinonimi e, soprattutto in italiano, il più delle volte riassunti nel concetto unico di “disegno”. 

Eppure, i significati dei due termini sono differenti e questa distinzione concettuale era perfettamente nota a Piero e ai suoi contemporanei. 

Nell’opera di Piero si è spesso sottolineato come il disegno potesse essere una riproduzione meccanica, testimoniato anche dall'ampio uso di spolvero nei suoi dipinti murali, anche se nessuno dei suoi cartoni è sopravvissuto fino al nostro tempo. Ricerche più recenti condotte dall'Opificio delle Pietre Dure hanno fornito evidenze per una più approfondita fase di pianificazione della tecnica artistica di Piero della Francesca. 

Una progettazione così meticolosa delle sue composizioni, al punto di renderlo quasi ossessivo nell'uso dei cartoni, accuratamente progettati e anche riutilizzati, anche attraverso scalature geometriche. 

Piero non utilizzava quindi i cartoni per economizzare il tempo di realizzazione delle sue opere, ma come mezzo di controllo dello spazio pittorico e per l'inserimento degli elementi figurativi in esso. La conferenza di Washington illustrerà molti esempi dei risultati di questa ricerca, dalle pitture murali alle opere su tavola. 

I dati sono stati raccolti con l’ausilio di attrezzature scientifiche avanzate e sono, altresì, contestualizzati in una cornice storico-artistica più ampia e circostanziata. 

A New York, il 18 di marzo, presso l’Istituto Italiano di Cultura, l’assessore alla Cultura del Comune di Sansepolcro, Chiara Andreini, e in collaborazione con Toscana Promozione, assieme a Cecilia Frosinini presenteranno ancora il progetto del restauro della Resurrezione di Piero della Francesca. 

L’operazione newyorchese nasce nell’ambito delle attività di promozione della Regione Toscana, che ha trovato nel restauro in essere della Resurrezione di Piero un evento di sicuro rilievo per il lancio, anche su piano internazionale del progetto: “Una Toscana sempre nuova da scoprire nell’anno dell’Expo”. 

Di questo progetto, il restauro della Resurrezione, è parte sostanziale. L’appuntamento di New York vede anche la volontà, da parte del Comune di Sansepolcro, del suo Museo Civico e delle Istituzioni regionali, di promuovere oltreoceano l’esperienza più vera e profonda che si può vivere a Sansepolcro sulle tracce di Piero. 

La città dove Piero della Francesca è nato, ha vissuto, e dove ha concluso la sua vita è, ancora oggi, un gioiello fra i borghi della Toscana più bella e antica, qui si respira quell’atmosfera che fu parte sostanziale della vita di Piero della Francesca. 

Proprio qui si possono calpestare ancora le strade che Piero stesso ha percorso e penetrare quell’aria di cultura e d’arte che resero grande fra i grandi il borghigiano d’eccellenza, pittore e matematico fra i più importanti della sua epoca e di tutta la storia. 

Sansepolcro è una cittadina viva e attiva, i suoi palazzi offrono una visione di architetture, dal passato al presente, che ben compenetrano la storia e la contemporaneità. E’ un luogo dove il turista, attento e raffinato, può trovare la bellezza, la cultura e il piacere di vivere un’esperienza unica che resta nel tempo. 

Il Museo Civico di Sansepolcro, da sempre meta turistica del viaggiatore colto offre tesori di inestimabile valore, dalla Resurrezione di Piero, oggi in restauro, ma straordinariamente visibile anche in questo periodo, al Polittico della Madonna della Misericordia, al San Giuliano. Piero della Francesca è qui. 

E qui si incontrano anche le opere di Andrea della Robbia, del Pontormo, di Santi di Tito, di Raffaelino del Colle, e di molti altri artisti del passato che hanno lavorato nel segno di Piero e contribuito alla cultura e alla bellezza della Val Tiberina. 

Il restauro della Resurrezione di Piero della Francesca si presenta a Washington e New York 

Comune di Sansepolcro Museo Civico Opificio delle Pietre Dure di Firenze Washington DC, 16 marzo 2015, Ambasciata d’Italia New York, 18 marzo 2015, Istituto Italiano di Cultura.