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05/11/22

Esce il 25 novembre "Le Basiliche di Roma", il nuovo Libro di Fabrizio Falconi

 



Esce in tutte le librerie (e su quelle online) il prossimo 25 novembre "Le Basiliche di Roma", il nuovo Libro di Fabrizio Falconi.

Sinossi

Dalle costruzioni pagane e paleocristiane fino a San Pietro e San Giovanni in Laterano

La storia bimillenaria di Roma è indissolubilmente legata a quella delle numerose basiliche che punteggiano la città. Che si tratti delle grandi chiese della cristianità o degli edifici pubblici pagani superstiti, questi luoghi sono diventati iconici della grandezza di Roma, e non mancano mai di stupire e affascinare i milioni di turisti che visitano la Città Eterna. In questo prezioso libro, Fabrizio Falconi illustra la nascita e il significato originale delle basiliche, per poi condurre il lettore in un percorso che tocca tutte quelle presenti nell’Urbe. Si raccontano aneddoti e curiosità sulla costruzione e la storia di questi magnifici luoghi, spaziando dalle quattro basiliche apostoliche ai ruderi di quelle di Roma antica, fino ad arrivare alle basiliche minori e a numerose chiese di fondazione paleocristiana. Da San Pietro in Vaticano alla Ulpia, da San Giovanni in Laterano a Santa Croce in Gerusalemme fino a Santa Cecilia in Trastevere e San Martino ai Monti: uno straordinario viaggio all’interno della storia della Capitale.

La storia di intere generazioni racchiusa in monumenti eterni

La basilica di San Paolo fuori le mura
Santa Maria Maggiore
Santa Croce in Gerusalemme
San Sebastiano fuori le mura
San Lorenzo fuori le mura
Santa Prassede
Santa Maria degli Angeli e dei Martiri
Santi Dodici Apostoli
Santa Maria sopra Minerva
Santa Maria in Domnica
San Clemente

e tante altre...

  • ISBN: 8822767179
  • Casa Editrice: Newton Compton
  • Pagine: 288
  • Data di uscita: 25-11-2022

TUTTE LE INFORMAZIONI QUI







03/05/22

A Roma esisteva una "Via Tiradiavoli" - una storia di apparizioni e bizzarrie

 


Non è celebrata come la sorella consolare Appia Antica, che per una lunghezza di quasi dodici chilometri di percorso cittadino (entro il Raccordo Anulare) ha mantenuto lo stesso aspetto che aveva duemila anni fa, ma anche la Via Aurelia è capace oggi di stupire il visitatore.

Del resto questa consolare fu una delle primissime costruite a Roma, esattamente nella metà del III secolo a.C. e come le altre prese il nome del suo costruttore, Gaio Aurelio Cotta. Aveva lo scopo di collegare l’Urbe a Cerveteri, l’antica Caere Vetus, etrusca, la cui fondazione sembra risalire addirittura al XII secolo a.C.

L’Aurelia Vetus – questo primo tratto – fu poi prolungato fino alla colonia di Pyrgi, alle pendici del Monte della Tolfa, e poi sempre più su fino a Cosa – la colonia che si trovava sul promontorio di Ansedonia – a Populonia, Vada (oggi in provincia di Livorno, che sorgeva al duecentottantasettesimo chilometro della Via), Pisa, Luna, Genova e Sabatia, cioè fino al confine naturale delle Alpi liguri, al confine con la Francia odierna, scavalcando con la geniale ingegneria romana, zone paludose (come quella nel Versiliese) e popolazioni ostili che si incontravano durante la costruzione (come i temibili Apuani).

Una costruzione che durò per tre secoli e che fu completata nel 13 a.C. sotto Augusto, con la via Julia Augusta che celebrò il consolidamento delle conquiste del nord e la sottomissione delle popolazioni alpine.

Ma a noi interessa qui il circuito cittadino della Via consolare, che prende origine dalla Porta San Pancrazio, anche se anticamente la Via partiva proprio dal Campidoglio, come tutte le altre consolari, nella computazione chilometrica (e come del resto avviene anche oggi), scavalcando il Tevere attraverso il cosiddetto Ponte Rotto, i cui resti monumentali sono ancora oggi visibili a valle dell’Isola Tiberina, opera del console Manlio Emilio Lepido e costruito negli stessi anni della Via Aurelia, intorno al 241 a.C.

La Via Aurelia poi, si inerpicava sul colle del Gianicolo, attraversava le campagne oggi occupate dalla Villa Doria-Pamphilj ( attraverso un sentiero laterale si accedeva al Casale di Giovio) per spingersi poi sempre più a nord, a una distanza più o meno regolare dal litorale.

Al giorno d’oggi, l’Aurelia antica, nel suo tracciato, rimasto lo stesso da secoli, separa con esattezza il confine tra il quartiere Aurelio e il quartiere Gianicolense, fino all’altezza della via Bravetta.

E proprio lungo questo itinerario c’è una vecchia consolidata leggenda romana, secondo cui una carrozza trainata da cavalli con occhi di fuoco e con a bordo il fantasma di donna Olimpia (la celebre cognata di papa Innocenzo X Pamphilj) partiva a tutta velocità dalla villa della famiglia, in direzione del centro di Roma, lungo la Via Aurelia Antica, attraversava come un fulmine Ponte Sisto per tornare poi nuovamente a sparire all’interno della stessa villa percorrendo obbligatoriamente la via Tiradiavoli, una strada ricordata fino a tutto il 1914 nella toponomastica romana (e dall’origine piuttosto eloquente), poi incorporata anch’essa nell’Aurelia Antica.

Come nacque la leggenda è opportuno brevemente narrare.

A Donna Olimpia Maldaichini, che il popolo dell’Urbe chiamava, a metà tra il familiare e lo sprezzante, la pimpaccia, il nomignolo che alla temuta dama aveva affibbiato l’irriverente Pasquino, sono ancora oggi intitolate a Roma una importante via e una piazza.

La gente di Roma la chiamava anche Papessa,  per le sue frequentazioni importanti oltretevere e la sua parentela acquisita con il Papa, e per le stesse ragioni: il Cardinal padrone.

Quello invece di pimpaccia derivava dalla geniale scritta che giocando sulla separazione delle lettere del suo nome, apparve un giorno affissa sulla più celebre statua parlante di Roma, Pasquino: « Olim pia, nunc impia »,  che tradotto dal latino si leggeva: olim (una volta)  pia (religiosa), nunc adesso) impia (peccatrice).

Nata a Viterbo nel 1592 da una famiglia modesta, Olimpia Maidalchini aveva  sposato in seconde nozze Pamfilio amphilj,  fratello di quel cardinale, Giovanni Battista Pamphilj, che pochi anni dopo sarebbe diventato papa con il nome di  Innocenzo X. 

Grazie alla sua sottile intelligenza e alle sue arti politiche, Olimpia divenne con gli anni la consigliera molto influente del papa, ed in poco tempo la donna più potente e temuta di Roma, al punto che alla sua morte lasciò l’incredibile somma di due milioni di scudi d’oro, contribuendo in questo modo a consolidare la fortuna dei Pamphilj. 

Innocenzo X, avvalendosi dell’opera dei più geniali architetti e artisti dell’epoca – in primis Bernini e Borromini – cambiò il volto alla città, risistemando Piazza Navona, la Basilica di San Giovanni in Laterano,  edificando la sontuosa Villa Pamphilj, organizzando una celebrazione sfarzosa, destinata a rimanere negli annali, dell’Anno Santo del 1650, il tutto con la stretta collaborazione della cognata.

Dopo la morte di Panfilio, il fratello del futuro papa, che aveva sposato in seconde nozze e che era più vecchio di lei di trent’anni, infatti Olimpia si era ritrovata  nel 1639 libera dall’assolvere i doveri coniugali, e soprattutto libera di dedicarsi completamente al cognato, alimentando in tal modo le dicerie e i veleni (generati in gran parte proprio dalle pasquinate)  secondo le quali i due erano stati amanti, ed era stata la stessa Olimpia a provocare la morte del marito, somministrandogli nel sonno un potente veleno.

Cinque anni dopo, l’ascesa di Giovanni Battista Pamphilj, si completò con la sua elezione a papa: era il trionfo per Donna Olimpia: ad essa, il  cognato consegnò un potere immenso. Non v’era praticamente affare importante  che a Roma potesse essere deciso senza averla prima consultata, non v’era la possibilità di essere ricevuti in udienza privata dal pontefice, senza prima passare dal suo avallo.  Al figlio della nobildonna, Camillo, fu inoltre concesso l’onore di diventare dapprima capo della flotta e delle forze dell’Ordine della Chiesa, e poi di divenire a sua volta Cardinale, ricevendo la porpora nel concistoro del 1644 direttamente dalle mani dello zio paterno.

Questo potere smisurato attirò però su Olimpia, inevitabilmente, l’odio feroce di molti avversari, con la proliferazione  di rumorosi scandali, che ne aumentarono la fama controversa.  

Un ultimo episodio infamante fu attribuito ad Olimpia nella occasione della morte di Innocenzo X,  che morì il 7 gennaio del 1655 – alla bella età di 81 anni: sembra proprio che, con il cadavere ancora caldo del Pontefice,   Olimpia non si fece problemi a cavare, dal di sotto del suo letto,  due casse piene d’oro, e al contempo, professandosi  ‘una povera vedova’, a esimersi dal fargli fabbricare una cassa da morto. Non solo, l’ingrata cognata non volle saper nulla, né di esequie, né di sepoltura  o dei convenzionali, lussuosi abiti da lutto che si imponevano al pontefice morto: con il risultato che  la salma di Innocenzo fu abbandonata per tre giorni in una segreta del Vaticano, dove venne vegliato da tre operai i quali si incaricarono quanto meno di proteggere il cadavere dall’insidia dei topi. Sembra incredibile, ma anche la poverissima bara e le esequie furono poi pagate da due generosi  maggiordomi (uno dei quali fra l’altro era stato da lui perfino malamente licenziato), nella indifferenza totale dell’austera Olimpia.

Ritiratasi a vivere nelle sue sconfinate tenute di San Martino al Cimino, nel viterbese,  Olimpia sopravvisse due anni, prima di morire.

Ma anche dopo la morte la leggenda nera intorno ad Olimpia continuò per molti e molti anni. Basti pensare, come abbiamo detto, che soltanto nel 1914 fu cancellata dagli stradari cittadini quella certa Via Tiradiavoli, nella quale la tradizione popolare voleva che il carro fiammeggiante con a bordo il celebre fantasma fosse bloccata, nelle notti di tempesta, dai demoni che volevano portare con loro l’anima avida della signora.

Ma anche l’abolizione della Via e del suo lugubre nome, non ha cancellato la memoria del curioso destino di Donna Olimpia e del suo inquieto, esoterico andirivieni, lungo il tracciato della antica Via Aurelia.

Tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e Segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, 2013 


30/12/21

Torna in libreria, in una nuova edizione, "I Fantasmi di Roma" di Fabrizio Falconi

 



La storia della città eterna attraverso i suoi misteri, le sue inquietanti presenze, le sue figure spettrali

Lo spirito di Messalina, le ombre che frequentano le catacombe cristiane, i celebri spettri di Beatrice Cenci e Lucrezia Borgia; altri meno conosciuti come la bella Costanza De Cupis, il fantasma dalle mani mozze o l'infelice Emmeline che abitò la splendida Villa Stuart, e poi i fantasmi di Shelley e Keats fino alle ossessioni di Dario Argento: questo libro ripercorre la storia millenaria della città dei papi e degli imperatori da un punto di vista insolito, attraverso i racconti dei suoi fantasmi e delle sue presenze occulte. Ne emerge una Roma dai tratti magici, legata alle religioni e ai riti misterici del passato, alla tradizione etrusca, ai culti orientali, ai primi riti cristiani. Si parte dai fantasmi che si dice infestino i teatri della città antica e imperiale, per passare a quelli creati dai roghi e dai processi della Santa Inquisizione, e arrivare infine ad alcune presenze più vicine a noi: una finestra su una Roma esoterica misteriosa, inquietante e dal fascino sorprendente.

Tra i fantasmi di Roma:

Storia infelice di Berenice, l'amante dell'imperatore Tito, e del suo fantasma
Il Pantheon, monumento esoterico per eccellenza, e i suoi abitanti misteriosi
La notte delle streghe e il fantasma di Salomè al Laterano
Le geometrie di Athanasius Kircher e il suo spaventoso museo del Collegio Romano
Il fantasma di Donna Olimpia Maidalchini, la Pimpaccia, la donna più temuta di Roma
Piazza Vittorio e la porta magica degli alchimisti
Il terribile fantasma di Lorenza, moglie del Conte di Cagliostro
I fantasmi del Museo delle Anime del Purgatorio
Beatrice Cenci, il più famoso fantasma di Roma
I Borgia a Roma, una storia di fantasmi
Costanza de Cupis, la nobildonna dalle mani mozze
Il fantasma della chiesa dei Cappuccini e il racconto gotico di Hawthorne
Shelley e Keats, fantasmi a Roma
I fantasmi di Emmeline e di Lord Allen e Villa Stuart
Il Quartiere Coppedè, set per Dario Argento


Fabrizio Falconi

Nato a Roma, ha scritto i saggi Osama bin Laden. Il terrore dell'Occidente (con Antonello Sette), Dieci luoghi dell'animaIn Hoc vinces (con Bruno Carboniero) e i romanzi Il giorno più bello per incontrarti, Cieli come questoPer dirmi che sei fuoco, Porpora e Nero. Saggi e articoli di argomento storico e archeologico sono apparsi su varie riviste italiane. Con la Newton Compton ha pubblicato I fantasmi di RomaI monumenti esoterici d'ItaliaMisteri e segreti dei rioni e dei quartieri di Roma, Roma esoterica e misteriosa, 501 domande e risposte sulla storia di Roma.


Pre-ordina qui la tua copia 

27/10/21

Il Palazzo del Monte di Pietà a Roma e l’orologio dalle ore matte

 


Il Palazzo del Monte di Pietà e l’orologio dalle ore matte

 

E’ davvero molto lunga la storia del Palazzo del Monte di Pietà che affaccia sulla piazza omonima, nel cuore del rione di Regola. Il Palazzo fu costruito nel 1588 come nobile residenza di un Cardinale, Prospero Santacroce. E’ soltanto quindici anni più tardi, nel 1603, dopo la morte del Cardinale, che divenne la sede del Monte dei Pegni fondato nel 1527 da un padre minorita, Giovanni da Calvi e che era originariamente ospitato in Via dei Coronari.

Per destinarlo alla nuova funzione – che era quella del Monte dei Pegni, istituita da un gruppo di nobili romani papalini per combattere la piaga dell’usura – furono necessari lavori di ampliamento del Palazzo Santacroce, affidati ai più geniali architetti dell’epoca, Carlo Maderno e Francesco Borromini: il Palazzo fu ingrandito e diviso in due parti, una destinata a conservare il denaro, e l’altro i pegni che da quel periodo in poi i Romani in difficoltà economica andavano a piazzare al Monte.

Tra i numerosi abbellimenti e ornamenti del Palazzo, si provvide nel Settecento anche a dotare il Palazzo di un grande orologio – uno dei più grandi di quelli pubblici a Roma – al di sotto del campanile a vela sul frontone.

A quanto pare però, questo orologio monumentale, sin dalla sua installazione, cominciò a mostrare difetti di funzionamento, con gli orari che quasi mai coincidevano con gli altri orologi romani.

Una leggenda – probabilmente basata su un fondamento di verità – allora, spiegò questo malfunzionamento con l’ira di un orologiaio, quello che si era dedicato alla costruzione del meccanismo, il quale indignato per la somma ricevuta, ben più bassa rispetto a quanto pattuito, aveva deciso di sabotare il congegno lasciando perfino la firma del suo dispetto, con una iscrizione incisa sull’orologio stesso: Per non esser state a nostre patte/ orologio del Monte sempre  matte. E cioè, in pratica: accordi saltati, orario impazzito. Più verità che leggenda visto che l’iscrizione pare vi fosse realmente e fu cancellata dalle autorità cittadine in tempi relativamente recenti.

Resta la singolare circostanza che proprio una comune, quotidiana questione di soldi finì per condizionare e per restare ad emblema – visto che l’orologio anche ai tempi nostri continua a seguire un suo orario – del Palazzo che più di ogni altro a Roma è stato ed è il simbolo del denaro.


tratto da: Fabrizio Falconi - Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton editore, 2014-2017 

 


10/05/21

L'Acqua acetosa - La fonte miracolosa di Roma (storia e attualità)



L’Acqua Acetosa, la fonte miracolosa

 

In un magnifico dipinto conservato alla Tate Gallery di Londra e realizzato dal pittore danese Christoffer-Wilhelm-Eckersberg nel 1814 si ammira una veduta della fontana dell’Acqua Acetosa com’era in quell’epoca e lascia senza fiato la vista del panorama verso nord, dove si vede la campagna romana ancora del tutto intatta e l’ansa del fiume Tevere che la attraversa.

È quindi ancora più suggestivo immaginare come dovesse essere questo luogo ai primi del Seicento, quando cominciò a diffondersi la voce che l’acqua sorgiva, che sgorgava tra la collina di Villa Glori e il grande fiume di Roma, dal sapore vagamente ferruginoso (e quindi acido), possedeva delle miracolose proprietà taumaturgiche.

La voce arrivò fino alle orecchie di qualche solerte cardinale che pensò bene di farla assaggiare al papa, all’epoca quel Camillo Borghese salito al soglio pontificio nel 1605 con il nome di Paolo v.

Nel 1619, sei anni prima della morte avvenuta per un colpo apoplettico, il pontefice, così convinto delle proprietà miracolose dell’acqua, decise di far erigere una fontana dall’architetto Giovanni Vasanzio.

Di questo primo monumento esiste memoria nella lapide di fianco alle tre piccole vasche, che si trova ancora in loco e che descrive i mille malanni per il quale l’acqua risultava salutare: Renibus et stomacho, spleni corique medetur – Mille malis prodest ista salubris aqua (Quest’acqua salubre è medicina per il mal di reni e di stomaco, per la milza e il fegato e per mille altri mali).

Altre due lapidi ricordano i successivi interventi sulla «mostra d’acqua» che oggi è stata finalmente protetta da una recinzione. La prima ricorda l’intervento di restauro di papa Alessandro vii Chigi (1655 – 1667) al quale si deve il progetto a esedra che ancora oggi si può ammirare, opera di Bernini; la seconda il rifacimento operato sotto papa Clemente xi (1700 – 1721).



Christoffer Wilhelm Eckersberg La Fontana dell'Acqua Acetosa, 1814 


Questo secondo intervento fu reso necessario dal fatto che la quantità d’acqua era grandemente diminuita, anche a causa del commercio che ne veniva fatto.

I romani impossibilitati a recarsi personalmente alla fonte, decisamente fuori mano rispetto al centro di Roma, potevano rifornirsi dai cosiddetti “acquacetosari”, una cooperativa di venditori ambulanti che viveva dello smercio in città della preziosa acqua.

Le proteste popolari per questo taglieggio e per la mancanza di adeguato rifornimento alla fonte, giunsero fino alle orecchie di Clemente xi che decise di intervenire affidando i lavori di bonifica all’architetto Egidio Maria Bordoni.

Finalmente liberata dal fango e dalle erbacce, la fonte ricominciò a produrre acqua e la tradizione degli acquacetosari poté continuare indisturbata fino ai primi del Novecento.

Insieme alle qualità taumaturgiche, i venditori abusivi avevano cominciato anche a propagandare altre misteriose proprietà dell’acqua, quella di garantire fortuna personale, o di scongiurare ogni tipo di malocchio.

Finalmente nel 1910 si decise di stroncare il traffico d’acqua miracolosa e il Comune di Roma provvide ad appaltare la fonte a un servizio autorizzato.

La fama dell’Acqua Acetosa si protrasse però ancora per tutto il Novecento e non era insolito vedere, ancora nel secondo dopoguerra, file di persone con recipienti di ogni tipo in attesa di portare a casa l’agognato liquido portentoso.

Oggi il monumento, anche se salvato dal degrado, resta infelicemente compresso tra l’espansione continua dei circoli sportivi sulla sponda del fiume e la stazione ferroviaria omonima, che fa parte del tracciato della linea Roma – Viterbo.

Tratto da: Fabrizio Falconi, Roma segreta e misteriosa, Newton Compton, Roma, 2018 



17/12/20

"La Storia di Roma - in 501 domande e risposte" di Fabrizio Falconi anche in E-book (Kindle) a 4,99 Euro

 


La storia di Roma - in 501 domande e risposte, appena uscito in libreria, è disponibile anche in E-book in formato E-pub per dispositivi E-reader/Kobo, Ios, Android, Kindle acquistabile QUI a 4.99 Euro


Scheda del Libro

La grande storia di Roma è universalmente nota. Ma tra le pieghe delle sue vicende si annidano curiosità spesso poco conosciute, che invece meritano di essere scoperte. In questo libro verranno proposte 501 domande che hanno per argomento la storia, gli aneddoti, l’architettura, l’arte, i costumi, le leggende di Roma, dalle origini fino ai giorni nostri. A ogni quesito segue una risposta, che prova a far luce sul complesso mosaico della storia della Città Eterna. I capitoli sono divisi in un ordine cronologico che abbraccia quasi tre interi millenni, dalle origini e dalla fondazione della città, passando per la Roma repubblicana, quella  imperiale, il Medioevo, il Rinascimento, la Roma papalina, il Risorgimento e il Novecento e arrivare fino ai giorni nostri. Una carrellata di notizie, approfondimenti, spigolature, sulla grande storia della città più famosa del mondo.

Tanti interrogativi per soddisfare tutte le curiosità sulla grande storia della Città Eterna

La storia immortale della Città Eterna

Le origini – la Fondazione – I re di Roma
L’età antica – La Roma repubblicana
L’età antica – La Roma Imperiale
Dalla Caduta dell’Impero Romano d’Occidente all’anno Mille
La Roma Medievale
Il Rinascimento a Roma
La Roma Papalina
Il Risorgimento a Roma e l’Ottocento
Dai primi del Novecento alla fine della Seconda Guerra Mondiale
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ai giorni nostri


28/11/20

Il Libraio: Esce oggi "La Storia di Roma - in 501 domande e risposte" di Fabrizio Falconi

 


Illibraio.it annuncia oggi l'uscita de "La storia di Roma - in 501 domande e risposte" di Fabrizio Falconi, nelle librerie e in vendita nei siti online (qui tutte le info)

Sinossi

La grande storia di Roma è universalmente nota. Ma tra le pieghe delle sue vicende si annidano curiosità spesso poco conosciute, che invece meritano di essere scoperte. In questo libro vengono proposte 501 domande che hanno per argomento la storia, gli aneddoti, l’architettura, l’arte, i costumi, le leggende di Roma, dalle origini fino ai giorni nostri. A ogni quesito segue una risposta, che prova a far luce sul complesso mosaico della storia della Città Eterna. I capitoli sono divisi in un ordine cronologico che abbraccia quasi tre interi millenni, dalle origini e dalla fondazione della città, passando per la Roma repubblicana, quella  imperiale, il Medioevo, il Rinascimento, la Roma papalina, il Risorgimento e il Novecento e arrivare fino ai giorni nostri. Una carrellata di notizie, approfondimenti, spigolature, sulla grande storia della città più famosa del mondo.

Tanti interrogativi per soddisfare tutte le curiosità sulla grande storia della Città Eterna

La storia immortale della Città Eterna

Le origini – la Fondazione – I re di Roma
L’età antica – La Roma repubblicana
L’età antica – La Roma Imperiale
Dalla Caduta dell’Impero Romano d’Occidente all’anno Mille
La Roma Medievale
Il Rinascimento a Roma
La Roma Papalina
Il Risorgimento a Roma e l’Ottocento
Dai primi del Novecento alla fine della Seconda Guerra Mondiale
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ai giorni nostri

  • ISBN: 8822746317
  • Casa Editrice: Newton Compton
  • Pagine: 352

23/10/20

Il "Leone della berlina" al Campidoglio: una statua romana dalla storia molto particolare

 


Il Leone che azzanna un cavallo è una scultura marmorea di età romana restaurata nel ’500 e che, dopo essere stata adottata come ornamento nel giardino del Museo Nuovo Capitolino, è oggi una delle opere più ammirate della esposizione permanente, al suo interno.

E ha una storia veramente particolare. In epoca medievale, infatti, e per lunghi secoli si trovava semiinterrata ai piedi del Palazzo Senatorio, posizione da cui fu spostata in seguito alla risistemazione del Campidoglio di Michelangelo.

La statua, meravigliosa opera di rappresentazione ferina che coglie in pieno dinamismo la scena di caccia di un leone, era adibita a compiti veramente umilianti che ne accrebbero la fama macabra.

Di fianco al leone, eretto, venivano lette infatti le sentenze di morte, e su di esso venivano esposti al pubblico ludibrio malfattori di ogni sorta: ladri, briganti, assassini, mercanti disonesti, debitori insolventi, truffatori, sedicenti maghi e alchimisti. 

L’usanza risaliva agli statuti romani del 1363 e generò il proverbiale detto, di dar il culo al lione”, che si applicava inesorabilmente a chi si metteva nei guai.

La statua è citata anche in diversi passi della Vita anonima di Cola di Rienzo, come quello relativo alla morte, avvenuta l’8 ottobre 1354, quando, ormai abbandonato da tutti, il tribuno cercò per l’ultima volta di arringare la folla, in Campidoglio. Ricevendone, in cambio il linciaggio.

Oggi nei giardinetti a sinistra della rampa capitolina si eleva una statua raffigurante Cola di Rienzo, eretta nel 1887 (opera dell’artista fiorentino Girolamo Masini) e che si pretendeva fosse stata apposta proprio nel punto esatto dove il tribuno cadde morto

Si tratta però di un errore: Cola morì esattamente ai piedi del Palazzo Senatorio, proprio nel cosiddetto “loco del lione”, dove cioè si trovava il gruppo scultoreo del Leone che azzanna un cavallo, il luogo prescelto per dare pubblica lettura delle sentenze.

Anche la morte tragica di Cola di Rienzo, dunque, che alla fine per tentare di sottrarsi al linciaggio si era anche travestito da popolano, contribuì nel tempo ad accrescere la fama sinistra della statua, che del resto già nella scena rappresentata metteva in scena la morte, nel suo aspetto più violento.

Tratto da: Fabrizio Falconi, Roma segreta e misteriosa, Newton Compton Editore, 2015


 

03/04/20

"I Misteri dei Rioni e dei Quartieri di Roma" di Fabrizio Falconi disponibile in ebook a 5.99 euro





Dalle leggende di Roma sotterranea agli enigmi delle chiese e dei vicoli più nascosti 

Quanti libri sono stati scritti su Roma e sulle sue meraviglie? Eppure, nella città de La dolce vita, non si finisce mai di scoprire qualcosa di nuovo, di imbattersi in un reperto, una pittura, un palazzo o una semplice pietra in grado di dischiudere un mondo nuovo di conoscenze

Roma è un insieme di storie e di luoghi che viaggiano nel tempo da tremila anni e parlano agli uomini d’oggi. In questo libro affascinante si viaggia per i rioni e per i quartieri della Capitale, dai più antichi a quelli di nuova costruzione, alla ricerca di aspetti e di angoli poco conosciuti, di storie dimenticate, di fantasmi e apparizioni, di antiche leggende, di curiosità e piccoli segreti, di palazzi e abitazioni davanti ai quali si passa tutti i giorni senza conoscerne il fascino nascosto e ciò che custodiscono.

29/08/19

Guarda Qui lo Speciale "Roma Segreta e Misteriosa" di Fabrizio Falconi in Onda su Italia Uno



Ecco il Link dove trovare lo Speciale Roma Segreta e Misteriosa che ho realizzato per Studio Aperto/Italia Uno andato in onda lo scorso 19 Agosto. 

Una passeggiata suggestiva attraverso i luoghi di cui ho scritto nel mio libro pubblicato nel 2017 per Newton Compton.

Durata: 19 minuti.

Per vedere lo speciale cliccare al Link qui sotto - dal minuto 26.00


https://www.mediasetplay.mediaset.it/video/studioaperto/edizione-ore-1830-del-19-agosto_F309455501046201

Fabrizio Falconi

26/09/16

Fantasmi a Roma: Tulliola, la giovane signora e l'Appia Antica.



Un esempio recente di un fantasma contemporaneo ma dalle radici antichissime che a quanto pare si manifesta proprio nella zona delle catacombe sulla Via Appia  è quello che ha giocato un ruolo importante qualche anno fa, quando la Soprintendenza di Roma, nel 2006, è riuscita per una cifra pari a un milione e 400 mila euro ad entrare in possesso dei tre ettari di terreno – con villa e casale annesso – al quinto miglio della Via Appia Antica, in piena zona catacombale, per aggiungerli alla Villa dei Quintili, acquisita già nel 1985.

Il terreno, appartenente al demanio ecclesiastico già nel IX secolo, preziosissimo perché colmo di reperti archeologici d’epoca romana, apparteneva a una coppia di americani, gli Ewan Kimble, che dopo una lunga trattativa si decisero appunto nel 2006 a vendere la loro proprietà, e per un motivo specifico: la vecchia proprietaria, la signora Kimble, infatti, testimoniò che più volte era stata svegliata nel cuore della notte dal terrorizzante canto di una bambina, ascoltato anche dagli ospiti che frequentavano abitualmente la sua casa. 

La signora Kimble e il marito, dopo lunghe ricerche, erano giunti alla convinzione che a turbare i loro sonni, e la tranquilla vita nella loro splendida magione fosse proprio il fantasma di Tulliola: una bambina che si diceva fosse figlia nientemeno che di Cicerone, e che durante alcuni scavi compiuti alla fine del Quattrocento, lungo la Via Appia Antica, era stata ritrovata mummificata, intatta, all’interno del suo sepolcro

La meraviglia di quel corpo incredibilmente conservato, indusse ad organizzare una esposizione pubblica della mummia, che andò in scena al Campidoglio. 

Ma, al contatto con l’aria e con la luce, il corpicino evaporò senza lasciare traccia. 

Da quel momento, il fantasma di Tulliola fu più volte avvistato lungo l’Appia Antica, e ancora oggi, persiste la convinzione che sia facile incontrarlo nei paraggi ombrosi della Villa dei Quintili.



13/08/16

Le catacombe di San Valentino e gli immensi tunnel sotto la collina dei Monti Parioli.



Le catacombe di San Valentino e gli immensi tunnel sotto la collina dei monti Parioli 


Quando si imbocca viale Maresciallo Pilsudski, venendo da viale Tiziano, si lasciano alla sinistra gli impianti sportivi dello stadio Flaminio e del palazzetto dello sport, mentre a destra, all’interno di un muro di cinta, passano del tutto inosservati i ruderi di un’antica basilica romana dedicata da papa Giulio I (nel V secolo d. C) a san Valentino, vescovo di Terni e martire

La basilica, costruita intorno al sepolcro del santo, fu ampliata nell’VIIIsecolo d.C., ma ben presto cadde in rovina e oggi non rimangono che pochi resti. 

Eppure, per tutto il Medioevo, a fianco all’edificio, esisteva anche un monastero nel quale trovarono ospitalità e rifugio i pescatori di fiume e i vignaioli della zona, che erano fuori del recinto cittadino, quando Roma era minacciata dalle scorrerie saracene e dalle guerre baronali.  
Vicino ai ruderi esiste ancora oggi l’ingresso alle antiche catacombe. 



Al di sotto e all’interno della collina dei monti Parioli, infatti, si estende un immenso cimitero sotterraneo che nel corso dei secoli ha restituito una gran quantità di sarcofagi, lapidi funerarie e iscrizioni, alcune delle quali oggi abbelliscono alcuni dei palazzi del quartiere considerato, tradizionalmente, il più ricco della Capitale. 

La galleria più antica di questi sotterranei è stata allargata in forma di cappella e ornata di splendide pitture risalenti al VII secolo d.C., con scene desunte dal protovangelo di Giacomo, scritto nel 150 d.C. 

Le diramazioni delle gallerie delle catacombe di San Valentino sembra siano estesissime

Una conferma indiretta si è avuta qualche anno fa, durante gli scavi per l’erezione di un edificio in viale Parioli, al civico numero 16, quando gli operai si sono imbattuti in cunicoli sotterranei ben tamponati all’interno e asciutti, che secondo gli archeologi sono riferibili alle catacombe di San Valentino. 

Sulla base di queste acquisizioni c’è chi ha teorizzato, non senza validi argomenti, che queste gallerie raggiungano, ricongiungendosi a esse, le catacombe di Priscilla, sulla via Salaria.

A partire dal Cinquecento, comunque, le gallerie sottostanti la collina dei Monti Parioli furono adattate a grotte e utilizzate come deposito per le botti di vino. 

Più prosaicamente, negli ultimi decenni, le stesse grotte sono diventate un ricovero per diseredati di varie nazionalità: emergenza che ha indotto le autorità capitoline a serrarne gli ingressi con antiestetiche cancellate in ferro.


Foto nel post, di proprietà dell'autore. 


07/06/16

La casa (scomparsa) di Michelangelo a Roma.



La casa di Michelangelo a Macel de’ Corvi (oggi Piazza Venezia)

Una delle curiosità romane meno conosciute è nascosta sulla facciata laterale di uno dei grandi palazzi che affacciano su Piazza Venezia, quello delle Assicurazioni Generali, che fronteggia, con i suoi merli e i suoi muri di mattoni chiari, il Palazzo Venezia. 

Sulla facciata sud del Palazzo delle Generali (costruito ai primi del Novecento su progetto di Giuseppe Sacconi), quella prospiciente l’Altare della Patria e la Colonna Traiana, è possibile scorgere ad una certa altezza, una targa con l’iscrizione: Qui era la casa/consacrata dalla dimora e dalla morte/ del divino Michelangelo/S.P.Q.R. 1871

E più sotto un’altra con la dicitura: Questa epigrafe apposta dal Comune di Roma nella casa demolita per la trasformazione edilizia è stata collocata nello stesso luogo per cura delle Assicurazioni Generali di Venezia. 

Si tratta dunque della importante memoria del luogo esatto in cui sorgeva la casa in cui visse i suoi anni romani e nella quale morì il grande Michelangelo: quella nel quartiere chiamato Macel de’ Corvi che fu interamente spazzato via durante i lavori che alla fine dell’Ottocento ridisegnarono l’urbanistica del centro della città con la realizzazione del gigantesco Altare della Patria e più tardi della trionfale Via dei Fori Imperiali. 

In quella casa in quel borgo che veniva definito dai visitatori stranieri sordido, Michelangelo visse per cinquant’anni. 

Gli era stata messa a disposizione dalla famiglia Della Rovere, per ospitare il grande artista che avrebbe dovuto completare la tomba del loro congiunto, il Papa Giulio II morto nel 1513 (progetto faraonico che non fu mai portato interamente a termine). Nelle sue lettere e nei suoi sonetti, Michelangelo descrive a forti tinte le vie del quartiere che lo ospitava e anche quella casa, piuttosto modesta, con due camere da letto e la bottega al pianterreno. Il quartiere era quasi una discarica a cielo aperto, maleodorante e colmo di ogni rifiuto proveniente dalla macellazione degli animali. Anche il nome, del resto, era piuttosto eloquente. Eppure, il grande artista non volle mai lasciare quella specie di colorato tugurio. 

In questa casa ideò, progettò tutti i lavori che lo resero immortale, ma le fortune accumulate non gli fecero mai cambiare stile di vita. Non fu solo questione di avarizia, come da più parti è stato sostenuto, quanto di misantropia. A Macel de’ Corvi Michelangelo visse da solo, circondato da uno stuolo di serve (che giudicava puttane e porche) e soprattutto del garzone fidato Urbino (Francesco di Bernardino) che lo accompagnò per ventisei anni, difendendolo dalla curiosità degli avventori e dai fastidi di una vasta parentela vera o presunta che cercavano continuamente di spillargli denaro. 

A Macel de’ Corvi andò in scena anche l’ultimo, misterioso atto, della vita di Michelangelo: quello della sua morte, quand’era ormai ottantottenne (una età per l’epoca piuttosto eccezionale) preceduta da quella specie di malessere o di demone che descrisse all’allievo Tiberio Calcagni quando questi lo sorprese a vagare sotto la pioggia: non ho requie in nessun luogo, disse il Maestro con un filo di voce, disperato. Riportato a casa, qualche tempo dopo morì dopo tre giorni di febbre alta, lasciando una casa vuota piena di vecchie cose e di arnesi consunti

La morte, il 18 febbraio del 1564, lo colse mentre lavorava alla sua opera ultima, più inquietante, la Pietà Rondanini, oggi conservata nel Castello Sforzesco di Milano. Pochi giorni prima della sua morte, ironia della sorte, la Congregazione del Concilio di Trento aveva disposto l’ordine di far coprire le parti scabrose dell’affresco del Giudizio Universale, al quale il Maestro aveva lavorato per vent’anni. Le solenni esequie furono celebrate parecchi giorni dopo a Firenze, con l’inumazione della Chiesa di Santa Croce. La Casa di Macel de’ Corvi, rimasta vuota, fu rapidamente spogliata dei beni e degli effetti personali del Maestro (primi fra tutti i sacchetti con le innumerevoli monete d’oro che teneva sempre con sé) fino poi ad essere cancellata e rasa al suolo per la realizzazione di quel pomposo edificio che oggi soltanto così marginalmente ricorda la vicenda di uno dei più grandi artisti nella storia dell’umanità.


Tratto da Fabrizio Falconi, Misteri e segreti dei rioni e dei quartieri di Roma, Newton Compton, 2013. 


12/12/15

Piazza dell'Oro a Roma - (da "Roma segreta e misteriosa").



tratto da Fabrizio Falconi, Roma segreta e misteriosa, Newton Compton Editori, appena uscito in libreria. 

Piazza dell’Oro a Campo Marzio e l’abisso infernale.

La bellissima chiesa di San Giovanni dei Fiorentini alla quale lavorò il genio dei più grandi architetti dell’epoca, da Jacopo Sansovino ad Antonio da Sangallo il giovane a Giacomo Della Porta a Carlo Maderno, e conosciuta dai Roma con il soprannome di “confetto succhiato”, a causa della sua forma allungata apre la sua facciata su una piccola piazza triangolare, risultato di moderne urbanizzazioni, proprio all’imbocco del rettifilo della Via Giulia (lungo un chilometro), chiamata Piazza dell’Oro. 

Esattamente in questo luogo, sul limitare del quartiere del Campo Marzio, esisteva anticamente un abisso spaventoso, dal quale emanavano fetidi odori di zolfo. 

Conosciuto sin dai tempi fondativi della città di Roma, l’abisso era creduto abitato da dèmoni ed esseri infernali, anzi una vera e propria porta d’ingresso o di comunicazione con l’Ade

Per questo ricevette da tempo immemorabile il nome di Tarentum che secondo gli studi più recenti, deriverebbe dal nome di una divinità dal corpo d’orso e dalla testa di cervo (o di renna) che si dice apparisse nelle notti di plenilunio

A questa divinità – diretta discendente a sua volta della divinità punica di Baal Kamon e da Molochsi offrivano riti orgiastici e sacrifici umani. Anche in questo luogo, dunque, riti dionisiaci andarono ripetutamente in scena, che finivano con la dispersione nell’abisso sotterraneo, degli animali e degli oggetti sacrificati (come avveniva parallelamente dall’altra parte del globo nei Cenotes messicani). 

Questa usanza si spezzò nei primi anni del 500 a.C. quando, forse per la crudeltà di questi riti sanguinari, un decreto ne vietò lo svolgimento. 

La tradizione fu ripresa proprio sotto Augusto, nel 17 d.C. quando l’imperatore nel quadro dei ludi saeculares (le celebrazioni che si svolgevano a Roma ogni secolo), volle far rientrare anche il Tarentum con baccanali, riti dionisiaci e sacrifici (di animali col mantello scuro) che venivano officiati da sacerdoti completamente vestiti di abito nero. 

E’ suggestivo immaginare questo rito, che si svolgeva all’aperto, aspettando il transito favorevole della luna, al canto del Carmen Saeculare composto dal divino Orazio per incarico diretto dell’Imperatore. Il canto era affidato a un coro di cinquantaquattro adolescenti, ventisette maschi e ventisette femmine, che lanciavano l’invocazione alle divinità infere per ottenere la loro protezione su Roma, sul destino, sui favori personali, nel corso di queste solenne cerimonie che ciascun cittadino romano poteva dire di aver visto una sola volta nella vita (se assistito da fortuna).




24/07/14

La Torre delle Milizie - Il "punto di vista" più alto e originale di Roma.



Santa Caterina a Magnanapoli vista dalla Torre delle Milizie



La Torre delle Milizie, la più alta di Roma.
(foto di Fabrizio Falconi)

Anche Roma ha la sua Torre pendente, un possente edificio medievale, alto ben 51 metri che domina l’intera città, elevandosi alla fine della Via IV Novembre tra i Mercati di Traiano e il Quirinale. 

E’ la Torre delle Milizie che popolarmente è stata chiamata anche Torre di Nerone o Torre Pendente, a causa della sua inclinazione che si può apprezzare dalla sua vicinanza alla Chiesa di Santa Caterina a Magnanapoli. 

L’appellativo Torre di Nerone invece, derivò da una falsa leggenda, essa sarebbe esistita già ai tempi dell’Imperatore e anzi, proprio dalla sommità di questa torre, egli avrebbe ammirato il panorama della città in fiamme, mentre, come tramanda la tradizione, suonava la sua cetra. In realtà invece la torre, pur essendo la più antica tra quelle di Roma, risale all’epoca di Papa Gregorio IX (1227-1241d.C.) e fu costruita su commissione della potente famiglia Conti dall’architetto Marchionne Aretino, per essere poi donata a Papa Caetani, Bonifacio VIII che la trasformò in residenza e fortificazione personale, per lui e per la sua famiglia per difendersi dagli acerrimi nemici, i Colonna. 

La torre originariamente era formata da tre piani rivestiti di laterizio, su una base quadrangolare di tufo già esistente e facente parte delle Mura Serviane: oggi ne restano soltanto due, perché il terzo, il più alto, fu abbattuto perché pericolante, quando l’edificio, passato alla famiglia dei Caetani, fu gravemente danneggiato dal terremoto che sconvolse Roma nella notte tra il 9 e il 10 settembre del 1348. 

 
Villa Aldobrandini vista dalla Torre delle Milizie

Alla torre, anche per via della sua mole imperiosa, del suo aspetto severo, sono state attribuite nel corso dei secoli molte leggende, una delle quali secondo cui essa era una sorta di periscopio, di occhio sulla città, di una ampia magica reggia, sotterranea, fatta costruire da Augusto per sorvegliare la sua città. 

La leggenda dice anche che l’imperatore, un giorno salirà sulla torre, resuscitando dai morti, e quel giorno indicherà il momento nel quale Roma tornerà ad splendere come faro di luce nel mondo. Quel che invece è certo, è che dal Cinquecento la Torre, dopo essere stata di proprietà dei Conti e del Cardinale Napoleone Orsini, entrò in possesso delle suore domenicane di Santa Maria a Magnanapoli, che vi rimasero per alcuni secoli, e le cronache del Settecento e dell’Ottocento raccontano delle monache che venivano avvistate ad una delle sei finestre della Torre, o sulla terrazza, uniche privilegiate a godere l’impareggiabile panorama sulla città.  

La scala medievale in legno di ciliegio che sale fino alla sommità (51 metri) della Torre delle Milizie.


Soltanto agli inizi del Novecento l’edificio fu dichiarato monumento nazionale, dopo che – a causa degli scavi nei cantieri per la costruzione della Via Nazionale – la Torre aveva aumentato la sua inclinazione, che rese necessario un massiccio restauro operato da Antonio Munoz nel 1914. 

Il Foro di Traiano visto dalla Torre delle Milizie

Dal 1927 la Torre fa parte dei Mercati di Traiano-Museo dei Fori Imperiali. La stabilità dell’edificio è messa parzialmente a rischio dall’intenso traffico della sottostante Via IV Novembre e per questo motivo la Torre continua ad essere oggetto di restauri e manutenzione, oltre che di monitoraggio.



La Torre delle Milizie imponente sul Foro di Traiano

14/02/14

I curiosi graffiti di Porta San Sebastiano, sulla Via Appia.




Poco in vista, defilata rispetto ai monumenti e agli itinerari del centro storico, la maestosa Porta San Sebastiano è la più grande e anche la meglio conservata di quelle che anticamente esistevano lungo le Mura Aureliane per l’accesso alla città. Era collocata al termine della Via Appia, che si percorreva da sud per raggiungere l’Urbe, come del resto è anche oggi. 

Anticamente però la Via Appia si snodava anche nel tracciato cittadino, partendo direttamente dal Campidoglio e questo spiega come mai, appena fuori della Porta, sulla destra, all’inizio della via sia murata l’antica colonna miliaria (in realtà si tratta di una copia, l’originale fu spostato in epoca medievale ai piedi della collina del Campidoglio, dove si trova tuttora) che aveva il compito di segnare il primo miglio della Via Consolare e che fra l’altro funzionò come modello di lunghezza lineare per tutte le altre strade romane.


Oggi la Porta è invece collocata al termine di quella che è stata chiamata Via di Porta San Sebastiano (e che era in origine l’Appia), subito dopo quello che viene chiamato comunemente Arco di Druso e che gli archeologi hanno scoperto essere nient’altro che uno dei fornici dell’Acquedotto Marcio che alimentava le monumentali Terme di Caracalla, e non invece un arco trionfale. 

Il progetto originario della Porta, con i due torrioni circolari che la caratterizzano e che ancora esistono, risalgono proprio all’epoca di Aureliano, ma il monumento fu completamente rifatto sotto l’imperatore Onorio (nel 401 d.C.) con la realizzazione di una fortificazione a livello superiore, con un cammino di ronda merlato e due basi quadrangolari rivestite di blocchi di marmo che furono messe a circondare (e quindi a rafforzare) le torri rotonde. 



I rivestimenti marmorei di queste basi angolari hanno la strana caratteristica di alcune escrescenze di forma rotonda e convessa che hanno suscitato la curiosità degli archeologi. A che servivano ? L’ipotesi più probabile è che si tratti di elementi decorativi ispirati agli umboni, cioè le parti sporgenti collocate nel mezzo degli scudi militari. Un’altra teoria invece spiega la presenza di questi orpelli come elementi apotropaici, destinati ad allontanare le energie negative dei nemici intenzionati a dare l’assalto alle mura della città.

Ma un altro motivo di interesse della Porta (che ospita fra l’altro l’interessante Museo delle Mura, poco conosciuto) sono i numerosi graffiti e le numerose incisioni di cui è ricoperto il marmo del fornice centrale, dell’ingresso, verso la città.


Tra di esse è celebre la figura, sullo stipite destro (con le spalle al Campidoglio) dell’Arcangelo Michele, con una lunga iscrizione in latino che ricorda la battaglia vinta dalle truppe romane (guidato da Giacomo Ponziano) contro l’esercito del Re di Napoli, Roberto D’Angiò il 29 settembre 1327, il quale voleva occupare Roma e che proprio qui si svolse. L’iscrizione così risulta tradotta: L'anno 1327, indizione XI, nel mese di Settembre, il penultimo giorno, festa di S. Michele, entrò gente straniera in città e fu sconfitta dal popolo romano, essendo Jacopo de' Ponziano capo del rione.

La dedica all’Arcangelo Michele, una delle figure più care della iconografia cristiana, nella Roma medievale era il tributo a quello che si supponeva essere stato un intervento divino, in grado di ribaltare la sproporzione delle forze in campo, nettamente a favore del Re di Napoli.

Ma sugli stipiti, a destra e a sinistra, se soltanto si esamina con attenzione – con la necessaria accortezza visto il continuo transito di automobili – sono presenti molti altri graffiti, molto semplici, con iniziali, date e croci, lasciati dai pellegrini che erano riusciti a raggiungere la città dopo viaggi che si immaginano molto molto difficili e pericolosi. 


Altrettanto interessante è notare la scanalatura della saracinesca che scendeva a chiudere ermeticamente la Porta manovrata dalla camera soprastante, assicurando, insieme al duplice battente di legno, la resistenza contro gli attacchi nemici.

In effetti, forse in pochi altri monumenti come questo, a Roma, si percepisce, attraverso il connubio tra fortificazioni e graffiti votivi, l’alternarsi delle sorti di guerra e pace che hanno contrassegnato i lunghi secoli di storia dell’Urbe.