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20/03/12

Pasolini, il professore a Ciampino a cui non passavamo la palla. Di Vincenzo Cerami.



Ho avuto Pier Paolo Pasolini come insegnante di Lettere alle scuole medie, dalla prima al secondo trimestre della terza, quando venne a sostituirlo il cugino Nico Naldini, anche lui poeta. Siamo nei primi anni Cinquanta, quando la terra italiana ha ancora la faccia di mille anni prima. 

La scuola, un minuscolo istituto privato, stava a Ciampino, non lontano dalla chiesa ed era intitolata a Francesco Petrarca. La gestiva una giovane coppia di insegnanti, marito e moglie, Anna e Gennaro Gullotta. Dalle finestre della nostra classe potevamo intravedere, tra le piccole case, alcune in vago stile liberty, la grande costruzione del Sacro Cuore di Gesù, un ex collegio distrutto dai bombardamenti e popolato di sfollati, quasi tutti provenienti da Cassino, dalle zone disastrate dalla guerra e dalla miseria. 

Nel taglio dei nostri sfilatini, le mamme mettevano la pastasciutta avanzata la domenica, oppure olio e sale. Malgrado tanti stenti non mancavano l’allegria e la speranza del futuro. 

L’aeroporto di Ciampino era internazionale e dalle recinzioni in ferro spinato potevamo ammirare i progressi dell’aeronautica. Nel giro di pochi anni ho visto apparire e scomparire i Dakota, i Vampire, i Constellation, fino all’irruzione dei turboelica, degli F84, del Comet (primo aereo di linea a reazione). Tutti segnali che dicevano a noi ragazzini con le scarpe bucate e le magliette tinte, che si poteva guardare avanti con fiducia. 

Infatti molti dei miei amici di classe non facevano in tempo ad iscriversi alle superiori che venivano chiamati a lavorare dalle aziende o anche dalle compagnie aeree. Proseguivano gli studi i più sfortunati o i figli dei piccoli borghesi che puntavano a salire la scala sociale in grazia del pezzo di carta. 

In quell’eremo campagnolo, tra macerie e crateri aperti dalle bombe, a 14 chilometri da Roma, paracadutato dal Friuli, il destino ha fatto arrivare un professore di 29 anni, a insegnare italiano, latino, storia e geografia, povero come noi, malgrado l’obbligo di giacca e cravatta, non importa se sgualcite e consumate. 

Solo che aveva una voce dolcissima e un sorriso timido, e, al contrario degli altri insegnanti, sapeva dare calci al pallone come un professionista. Era maestro anche nei tiri in porta, sempre di collo pieno. La prima cosa che abbiamo scoperto è che il Friuli stava in Italia. E poi che a scuola si va per diventare grandi insieme. Conoscersi era per Pasolini il passo necessario alla scoperta del mondo. Quando, in un mio momento difficile, gli chiesi: «Scusi, professore, ma cosa dovrò fare per stare bene nella vita», lui, dopo un attimo, mi rispose: «Basta che non fai quello che fanno tutti!». Fu per me la frase meno ideologica che abbia mai ascoltato.