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05/09/20

5 Settembre 1960 - 60 anni fa a Roma nasceva il mito di Cassius Clay/Mohammed Alì, il più grande



Cinque settembre 1960, la nascita di un mito universale

Anche se un giornalista locale, vedendo in azione Cassius Clay durante quell'Olimpiade romana, disse avventatamente "io quel negretto li' lo vedo male". Una caduta di tono, peraltro bilanciata dalla previsione di Sport Illustrated ("Clay e' il miglior candidato per una medaglia d'oro americana") e smentita da quel match per l'alloro dei mediomassimi in cui il 18enne statunitense, che due anni prima aveva annunciato che avrebbe vinto ai Giochi e gia' strafottente e sfrontato, alle parole fece seguire i fatti e sul ring distrusse il polacco Zbigniew Pietrzykowski. 

Questi, 'dilettante di Stato', aveva dieci anni piu' del rivale e ai Giochi si era gia' preso il bronzo nel '56 a Melbourne. Aveva anche vinto tre volte l'oro agli Europei e in semifinale a Roma aveva battuto l'azzurro Giulio Saraudi, ma contro Clay non ci fu nulla da fare. 

Dopo una prima ripresa equilibrata, il mancino Pietrzykowski venne annientato: uno sul quadrato 'scherzava' col destro e faceva il doppio passo, l'altro perdeva sangue dalla bocca e dal naso, e alla fine del terzo round il verdetto fu unanime. 

 All'Olimpiade romana il giovanissimo Clay era arrivato battendo nei Trials americani Henry Hooper per ko, Fred Lewis ai punti e Allen Hudson per ko, ma soprattutto il rivale piu' insidioso: la paura di volare.

Lo racconto' lui stesso: dopo aver fatto tanto, stava per rinunciare proprio perche' non se la sentiva di prendere l'aereo, e i dirigenti di Team Usa dovettero sudare sette camicie per fargli capire che non era il caso di viaggiare verso l'Italia in nave.

Continuava a ripetere che "se Dio avesse voluto farci volare, ci avrebbe fatto le ali" e lo imbarcarono sul volo per Roma quasi a forza. 

Nella sua autobiografia Clay racconta che "viaggiai indossando un paracadute che avevo comprato a un svendita militare, col cavo stretto in pugno: ero pronto a lanciarmi se l'aereo avesse cominciato ad agitarsi". 

 Alla fine arrivo' e in breve divenne uno dei 'sindaci' del Villaggio Olimpico, non smettendola mai di parlare: stringeva decine di mani, si presentava dicendo che avrebbe vinto l'oro, parlava in continuazione e nei primi giorni al Villaggio aveva gia' posato per foto ricordo con una trentina delegazioni e firmato centinaia di autografi

Quando usciva, lo faceva con altri pugili e con un gruppo di quelli dell'atletica, fra i quali una ragazza, anzi una 'gazzella', per la quale sembra che avesse preso una cotta: la sprinter Wilma Rudolph, ventesima di 22 fratelli e altra stella di quelle Olimpiadi. 

Ma lei gli preferi' l'azzurro Livio Berruti, e poi Eduard Crook junior, un altro pugile, con il quale si sarebbe sposata. 

Del giovane Clay in libera uscita qualcuno a Roma ancora ricorda che cercava delle t shirt con l'immagine del Colosseo in un bar-souvenir shop dalle parti di piazza Venezia. 

Nel villaggio Olimpico viveva con gli altri nelle stanze con letti a castello della delegazione Usa. Clay racconta nella sua biografia che prima di allora non aveva mai visto un bidet e la prima volta, li' a Roma, lo aveva scambiato per una fontanella. 

Si era meravigliato, poi aveva cercato di bere.

McClure, con cui divideva la camera, non aveva piu' smesso di ridere. Dopo la vittoria del 5 settembre non si toglieva mai la medaglia d'oro dal collo, nemmeno quando andava a dormire. Rimase al villaggio, incontro' il campione del mondo dei massimi Floyd Patterson, in visita di cortesia, e promise a se stesso che un giorno lo avrebbe battuto. 

Poi avendo gia' a quei tempi inclinazioni letterarie scrisse la sua prima poesia: "il mio scopo e' rendere l'America piu' grande, quindi ho battuto i russi (Gennady Shatkov , nei quarti n.d.r.) e i polacchi, e ho vinto la medaglia d'oro per gli Usa. Gli italiani mi hanno detto 'sei piu' grande dell'antico Cassio. Ci piace il tuo nome e come ti batti, se vorrai Roma sara' la tua casa. Io risposi che apprezzavo ma che gli Usa sono ancora il mio paese". 

Che poi lo tradi', rendendolo l'uomo capace di gettare la sua medaglia olimpica "che non perdevo d'occhio neanche per un momento", nel fiume quando, tornato a casa, gli impedirono di entrare in un bar perche' di colore. Penso' che a Roma, dove quel 5 settembre il mondo si accorse di lui, non gli sarebbe successo e comincio' a diventare The Greatest. 

07/04/08

Il Sacro Fuoco di Olimpia e le contestazioni.


Fa una gran tristezza assistere in questi giorni a quel che avviene al passaggio della sacra fiaccola olimpica, in viaggio verso Pechino: contestazioni ovunque, a Londra tentativi di spegnimento con l'estintore, da ultimo a Parigi le autorità costrette a caricare la fiaccola a bordo di un pullmino, per oltrepassare i gruppi di protesta.

Protesta sacrosanta, sia bene inteso.

Come sarebbe possibile non indignarsi per quello che sta accadendo in Tibet in questi giorni ?

Ma la tristezza assale ugualmente, pensando a quel che dovrebbero essere i Giochi Olimpici, a quel che rappresentano simbolicamente, all'ideale perduto di uguaglianza, fraternità tra i popoli, amicizia, pace.

Che è rimasto di questi ideali, nel mondo ?

Stiamo vivendo, mi sembra, tempi sempre più difficili, contrassegnati da una evidente schizofrenia degli uomini, specie in Occidente:

un Occidente che pensa da pessimista e vive da ottimista. Crede che la vita sia brutta e che tutto finisca con la morte, che nulla abbia senso, che siamo solo un insieme di molecole in movimento e materia in disgregazione; ma pretende di vivere allegramente circondandosi di benessere economico, salutismo, diavolerie tecnologiche, divertimenti, distrazioni.

Come è possibile non diventare schizofrenici, vivendo e pensando in questo modo ?

E' chiaro che anche il simbolo Olimpico sia vissuto - allo stesso modo, oggi.

Da una parte si pensa tutto il peggio possibile di questa fiamma Olimpica che potrebbe rappresentare e rappresenta, la legittimazione del potere di Pechino. Dall'altra vorremmo tutti goderci lo spettacolo sano dei Giochi, vissuti come momento di competizione, di svago e anche - in Italia soprattutto - di vanto nazionale.

Come se ne esce ? Non se ne esce.