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19/11/18

Libro del Giorno: "L'io e l'inconscio" di Carl Gustav Jung.




L'Io e l'inconscio, pubblicato nel 1928 da Carl Gustav Jung è uno dei suoi lavori più celebri e importanti.  

Si tratta del primo tentativo di esporre in modo sistematico l'insieme di ipotesi sulla natura, struttura e dinamica della vita cui aveva dato il nome di "psicologia analitica".

Vengono definiti per la prima volta da Jung i concetti di inconscio "personale" e "collettivo" oltre ai concetti - chiave per le teorie di Jung - di "Animus" e di "Anima", insieme a quelli, già emersi, di "Archetipo" e di "Ombra".

Con questo libro Jung avvia il lungo dibattimento speculativo sul processo di individuazione del Sé, vero obiettivo di ogni cammino di consapevolezza e di "psicologia analitica".  Il Sè è infatti il centro della persona, quella entità che rispecchia e contiene i caratteri del trascendente, dell'oltre (del divino, se si vuole) e che 'galleggia' tra la coscienza e l'inconscio (sia quello personale che quello collettivo).  L'emersione dei contenuti inconsci nel e attraverso il Sé e la sua integrazione con i contenuti consci è l'obiettivo della individuazione e quindi anche della vita psicologica.

Una lettura straordinariamente affascinante, con pagine memorabili che parlano ancora ad ognuno di noi, in quanto esseri umani, in quanto individui.



30/07/17

L'introduzione da "Le rovine e l'ombra", in vendita in libreria.





Introduzione tratta da Le rovine e l'ombra, in tutte le librerie in questi giorni (edizioni Castelvecchi)


Ho letto un giorno tra centinaia di notizie trascurabili, che durante la ferocissima Guerra Civile in Siria è accaduto anche un piccolo miracolo: gli abitanti di Dārayyā, quartiere alla periferia di Damasco, ridotto in poltiglia dopo cinque anni di bombardamenti e l’assedio del regime, hanno salvato 15 mila libri dagli appartamenti e dalle scuole distrutte trasportandoli al sicuro in un grande scantinato sottoterra, trasformato in biblioteca. 

A questo sotterraneo è stato dato anche un nome – Fajr, ovvero ‘alba’ – e gli uomini che lo gestiscono – il loro capo si chiama Ahmad – lo tengono aperto, bombardamenti permettendo, dalle 11 del mattino alle 5 del pomeriggio. 

Così, ogni giorno, venti, venticinque persone si fermano a leggere al riparo dei barili-bomba, prendono un libro in prestito e lo portano al fronte, la prima linea dietro casa, la casa che non c’è più e che ora è soltanto un ammasso di rovine. Fuori dal romanticismo che una notizia del genere può inspirare, mi ha incuriosito l’istinto primitivo che sembra aver mosso questi uomini, pressati da ben altre urgenze. Se hanno sentito il bisogno di preservare qualcosa così gelosamente e di farne una sorta di simbolo di sopravvivenza o di rinascita significa che anche sotto (o dentro) le rovine è possibile trovare vita. 

Che anzi le rovine sono quel luogo dove la vita torna a scorrere. Le rovine infatti sono luoghi deputati a nascondere, a preservare ciò che non è stato completamente distrutto e può tornare a nascere. Le rovine – proprio per la loro attitudine al nascondimento – sono anche i luoghi dell’ombra. È facile, come hanno fatto i ribelli siriani, nascondere il loro sotterraneo-biblioteca sotto cumuli di rovine dove presumibilmente oggi nessuno ha più voglia di spingersi. 

Nel sottosuolo, nell’ombra, come anticamente accadeva nelle arcaiche catacombe romane, la vita – e lo spirito che essa alimenta – ha potuto preservarsi, conservarsi, rinnovarsi. Anche l’ombra, infatti, è propizia alla vita. Come accade in natura, nelle estensioni dei sottoboschi, nel folto delle foreste, nel fondo degli oceani. Mi sembra che rovine e ombra siano due connotati sempre più precisi della contemporaneità. Del futuro non so dire. Molto dipenderà, naturalmente, da come si sapranno affrontare e gestire ombra e rovine. La cosa certa è che nessuno più può fare finta di nulla e fingere che il mondo sia un luogo pulito, sicuro, senza rovine e senza ombra. Ombra e rovine sono, anzi, territori sempre più estesi, e qualsiasi rinascita, personale o collettiva, dipenderà per forza – come per i dannati di Dārayyā  dalla capacità che si avrà di attraversare le rovine, di attraversare l’ombra.


22/07/15

L'elogio dell'Ombra di Tanizaki. Un prezioso libro.


Un piccolo gioiello  di sole novanta pagine, Libro d'ombra è un mormorante inno alla preziosità di tutto quello che non è in luce, a ciò che è in penombra, a quello che metaforicamente è segreto, non è dato di essere scoperto, dalla luce violenta del sole. 

In questi giorni di dura canicola estiva, il libro di Jun'Ichiro Tanizaki (Bompiani 1995/2015,  a cura di Giovanni Mariotti, traduzione di Atsuko Ricca Suga) offre conforto poetico e una lenta e pacifica meditazione.

Il titolo originale del libro è Elogio dell'Ombra. L'editore italiano non ha potuto sceglierlo perché esiste un famoso saggio poetico con lo stesso titolo, di cui abbiamo parlato qui nel blog.

E' un saggio sulla civiltà giapponese, e un elogio della cultura orientale, così in antitesi alla nostra. Se infatti in Occidente si è privilegiato e si continua a privilegiare sempre più il senso della vista (razionale, analitica, estetica), e tutto vuole essere illuminato (e pulito e asettico e formalmente compiuto), in Oriente tutto è stato funzionalmente costruito e adattato per curare l'ombra, per proteggere lo sguardo dalla dittatura della luce e privilegiare gli altri sensi. 

Tanizaki passa in rassegna in brevi poetici capitoli i mobili e i sistemi di riscaldamento e illuminazione, i gabinetti e i ristoranti, le pietre preziose e le stoviglie, le ricette di cucina e i generi teatrali: tutto viene misurato dall'occhio e dalla sensibilità aumentata dell'osservatore. La vita è ancora più preziosa e fragile, ancora più densa e misteriosa. 

In verità. non esistono né segreti, né misteri: tutto è magia nell'ombra, scrive Tanizaki. 

Nel bizzarro mondo d'ombra (per esempio quello del Teatro no descritto negli ultimi capitoli, c'è un mondo di bellezza e di intrinseca oscurità.  

Le case antiche giapponesi, le suppellettili di legno laccato scuro, fatte apposta per assorbire la luce, ogni angolo, ogni oggetto ha un suo posto, nella misericordia della penombra.

Fabrizio Falconi


02/06/15

Elogio dell'Ombra - di Jorge Luis Borges.






Elogio dell’ombra

La vecchiaia (è questo il nome che gli altri le danno)
può essere il tempo della nostra felicità.
l’animale è morto o è quasi morto.
nimangono l’uomo e la sua anima.
Vivo tra forme luminose e vaghe
che non sono ancora le tenebre.
Buenos Aires,
che prima si lacerava in suburbi
verso la pianura incessante,
è diventata di nuovo la Recoleta, il Retiro,
le sfocate case dell’Once
e le precarie e vecchie case
che chiamiamo ancora il Sur.
Nella mia vita sono sempre state troppe le cose;
Democrito di Abdera si strappò gli occhi per pensare;
il tempo è stato il mio Democrito.
Questa penombra è lenta e non fa male;
scorre per un mite pendio
e assomiglia all’eternità.
I miei amici non hanno volto,
le donne sono quel che erano molti anni fa,
gli incroci delle strade potrebbero essere altri,
non ci sono lettere sulle pagine dei libri.
Tutto questo dovrebbe intimorirmi,
ma è una dolcezza, un ritomo.
Delle generazioni di testi che ci sono sulla terra
ne avrò letti solo alcuni,
quelli che continuo a leggere nella memoria,
a leggere e a trasformare.
Dal Sud, dall’Est, dall’Ovest, dal Nord,
convergono i cammini che mi hanno portato
nel mio segreto centro.
Quei cammini furono echi e passi,
donne, uomini, agonie, resurrezioni,
giorni e notti,
dormiveglia e sogni,
ogni infimo istante dello ieri
e di tutti gli ieri del mondo,
la ferma spada del danese e la luna del persiano,
gli atti dei morti, il condiviso amore, le parole,
Emerson e la neve e tante cose.
Adesso posso dimenticarle. Arrivo al mio centro,
alla mia algebra, alla mia chiave,
al mio specchio.
Presto saprò chi sono.

Tratto da: Jorge Luis Borges, Poesie (1923-1976), traduzione di Livio Bacchi Wilcock, Bur.

18/09/14

La cosa più preziosa che un albero produce è la sua ombra (la mia vita precedente, un albero).




Cedrus atlantica glauca.

Nella mia vita precedente dovevo essere un albero e se ero un albero, dovevo essere un cedro del libano. 

Sotto le mie fronde altissime a raggiera, alcune chinate fino a terra dal loro peso, rifornivo d'ombra il bosco, la terra ed ogni organismo che voleva trovarvi riparo. 

Non era poi così faticoso. 

Il sole mi inebriava, lo cercavo ricevendone giovamento, ma io stesso finivo per ritrarmi: nell'intrico di maestosi rami trovavo ristoro. 

Solo nell'ombra, sapevo, la vita può crescere. Nulla sorge nel deserto, se non la voce del profeta. Che non potrà mai germogliare se non troverà l'eco di un'ombra dove risuonare. 

Quando smisi di cercare il sole, divenni pura ombra. Lentamente si dissolse il mio fogliame, scavandosi il tronco divenne cavo, poi ripiegandosi su se stesso si spezzò e divenne rifugio per i vermi. 

All'ombra del tronco interrato molta vita continuò a scorrere. Per intere generazioni. 

E se oggi qualcuno dovesse chiedermi cosa son stato, direi questo: che all'ombra son cresciuto, e nell'ombra ho lasciato il mio mondo terrestre, senza lacrime umane e senza rimpianto. 



Fabrizio Falconi



11/01/14

Perdono e assoluzione non sono la stessa cosa.




C'è una ragione anche quando si sbaglia.  Ma puoi sapere che hai sbagliato solo se riconosci dentro di te l'errore. 

Ogni crescita umana si basa sul perdono.  Quando riconosci l'errore non l'hai ancora riconosciuto veramente come tale: lo riconoscerai soltanto quando qualcuno potrà perdonarti.  Avrai bisogno di quel perdono e potrai averlo se troverai qualcuno generoso, disposto ad accogliere il tuo errore e il tuo sbaglio. 

Dopo che sarai stato perdonato dall'esterno, dovrai perdonarti tu.  E sarà un lavoro molto più lungo, che potrà durare anche per l'intera tua vita. 

Per questo perdonare (e ancora di più perdonar-si) è così difficile. 

Ma il perdono è l'unica cosa che permette di ri-conoscere l'errore o lo sbaglio (è in termini psico-analitici l'attraversamento dell'Ombra, che unicamente, permette il processo di individuazione del Sé). 

Altra cosa è la pratica, diffusissima, della assoluzione. L'assoluzione non costa nulla. L'assoluzione è un colpo di spugna: nulla è mai successo, il fatto non sussiste. 

Per questo è così facile auto-assolversi. Ti dai la benedizione e ti dici che tutto il mondo sbaglia e dunque è perfettamente legittimo che anche tu sbagli.  Anzi, lo sbaglio nemmeno esiste perché tutti sbagliano. E lo sbaglio dunque, dov'è ?

L'assoluzione è la nostra scolorina dell'anima. L'uomo lo fa dai tempi del Neolitico.  Per vivere e sopravvivere deve costruir-si per forza una quantità di inganni, raccontarsi parecchie frottole alle quali far finta di credere, ogni giorno.

E per questo scopo, l'auto-assoluzione è fondamentale.   Si evitano le verità che si incontrano dentro se stessi, si tengono al sicuro, sotto chiave.   

Le verità, poi, prima o poi si impongono. Le verità sono evidenti, eclatanti, vogliono sempre venir fuori.  Ma si può sempre far finta di niente, anche quando la vita sta per finire. Darsi l'assoluzione, cancellare tutto.  

"I'm imperfect guy in imperfect world," ha twettato pochi giorni fa Lance Armstrong dopo aver ucciso per anni e anni la verità, lo sport, la dignità sua e dei colleghi, aver mentito al mondo intero nel più cinico dei modi.

Il mondo è imperfetto e nessuno mi perdonerà. E anche se dovesse perdonarmi, faccio prima io a darmi l'assoluzione. E buonanotte.

Un mondo di non-perdonati e di in-consapevoli, felici di esserlo.


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.