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30/07/16

L'incredibile fascino di Roncisvalle (Dieci Luoghi dell'Anima).




Quando, spostandosi da est ad ovest si attraversa la regione del Midi-Pyrénées, la più estesa dell’intera Francia, sembra che il ventaglio di creste scure, a Sud possa davvero essere impenetrabile, invalicabile. I Pirenei confondono lo sguardo, non forniscono l’adito di valli profonde, come le Alpi.  Appaiono come una muraglia compatta e severa.   Dai profumi del Mediterraneo, in pochi chilometri, sovvengono nuove e inaspettate sollecitazioni: sono i venti floreali dei Pirenei,  arricchiti da migliaia di specie che proprio un italiano, nato a Bagnocavallo, il dimenticato Pietro Bubani, detto il Botanicus Peregrinator,   passò più di vent’anni, nell’Ottocento,  a catalogare.  E’ un vento fresco ed aspro, il cui odore si mischia a quello di legna fradicia. 
  Non per questo la terra dell’immensa Occitania, che abbracciava anticamente Mediterraneo e Atlantico -  pianure verdi, spiagge sconfinate e oscure montagne -   smette di interrogare il visitatore nel cuore della sua storia personale, e insieme collettiva.  Si lasciano alle spalle le euforie zigane di Perpignan e le eresie catare di Carcassonne, i racconti che lasciano insonni,  e sembra di penetrare ancora più profondamente nel senso di un arcano che sempre chiama l’uomo a interrogarsi sulla natura di Dio.
   .....
 Senza sbagliare,  si può affermare che da qui in poi, i Pirenei diventano ancora più presenti, ancora più vivi, con la vetta del Pic d’Orhy che si può quasi toccare,  perché l’aria è diventata chiara, tersa, e il colore bruno e verde scuro delle montagne disegna un contrasto vibrante con il topazio del cielo.  Il mare, infatti, non è lontano. Poche decine di chilometri sono lontane le spiagge atlantiche decadenti e assolate di Bayonne, Biarritz, St-Jean-de-Luz.
  E allora si infittisce il mistero riguardo al destino umano, che sembra scegliere sempre – per compiersi pienamente -  la strada più ardua, quella più tortuosa. Gli uomini infatti, sia che si recassero in battaglia,  sia che fossero in cammino per il pellegrinaggio millenario sulla tomba di San Tiago, hanno privilegiato sempre, la via più impervia. Forse le coste, all’epoca, costituivano una minaccia più grande, per trappole o imboscate ? Ma queste scoscese e oscure strade che risalgono il vallone fino a Saint-Jean-Pied-de-Port non erano altrettanto pericolose ? 


  Non sarebbe stato più sicuro, o se non altro meno faticoso -  per i pellegrini delle tre vie francesi – la TuronensePodense e la Lemovicense – transitare da Hendaye, e da lì direttamente a San Sebastiàn,  per poi discendere su crinali certamente più docili verso il miraggio di Compostela ?  
  No. Il cammino degli eserciti e dei pellegrini in cerca di Dio – lo stesso, sulle stesse strade – ha preferito passare di qui, issarsi sui versanti ripidi che conducono su, da Saint-Pied-de-Port, fino a Arneguy che è chiamata anche Aduana – i nomi cominciano a indicare concretamente la direzione geografica intrapresa -  e poi ecco: inaspettatamente, la moderna e triste insegna di un  distributore di benzina Campsa è il benvenuto in terra di Spagna.  Da Valcarlos fino al passaggio dell’alto di Ibaneta, 1057 metri sul livello del mare: è qui, in questi pochi chilometri, tra questi due versanti ampi e ombrosi, che la storia di secoli, passati a rimasticare le chansons de gestes , si è tramandata attraverso l’eloquio puro dei trovatori, di bocca in bocca, di generazione in generazione.
  Valcarlos non è che un piccolo borgo, che soltanto per due giorni all’anno, la Domenica di Pasqua, e  il 25 luglio -  nella settimana che precede la festa patronale di San Giacomo - improvvisamente si anima di centinaia di Bolantes, coloratissimi ballerini e ballerine, i quali attraversano il villaggio nei costumi tradizionali, tenendosi per mano. Il rosso è il colore predominante. Rosse le gonne delle ballerine, rossi i fazzoletti degli uomini. Rosso come il sangue  che per molti secoli ha bagnato le strade della Navarra.
  A dieci chilometri da Valcarlos, proprio a Puerto de Ibaneta, ecco il punto esatto: il passo dove l’antica e  invincibile tradizione da sempre racconta la triste sorte di Orlando, uno dei massimi e più popolari eroi della cristianità,  qui dove i suoi uomini furono attesi, affrontati,  e non risparmiati, anzi, ferocemente sterminati.
  I francesi hanno sempre chiamato questo valico Col de Roncevaux,  ed in virtù della loro egemonia letteraria nei salotti d’Europa,  questo nome è diventato da tutti riconosciuto come il luogo della battaglia.
  Così, anche se oggi non v’è che un brutto monumento moderno a ricordo di un mito - alimentato e contraffatto nei secoli da una schiera sconfinata di poeti francesi, spagnoli, italiani, tedeschi -  ogni visitatore di passaggio, si ferma, cerca nell’aria una memoria o una traccia della lontana leggenda, alla quale sa in fondo - anche magari soltanto confusamente -  di appartenere,  come gli appartiene ognuno che discenda da una qualsiasi delle stirpi che abitano il  vecchio continente. 


   Non è che un sasso enorme e sformato questo monumento, e non vi sono incise che un nome e due date:  

Roldan -  778 – 1967

Neanche, dunque, l’occasione di una ricorrenza vera e propria,  eppure nessuno si sottrae al rito di  mettersi in fila per la classica foto che ritrae il pellegrino all’inizio del suo Camino, davanti al monumento a Rolando, sullo sfondo delle immense foreste di pino uncinato che ricoprono le montagne.

  Chi era Orlando, o Roldan, o Rolando, o Hruodlandus come pare si chiamasse in realtà il personaggio storico, realmente esistito, che diede origine al racconto ?  Chi era dunque ? E perché non possiamo dimenticarci di lui ? 

04/06/14

Domenica prossima pioggia di petali di rose al Pantheon per la Pentecoste.

Anche quest'anno, domenica prossima, giorno della Pentecoste, il Pantheon ospiterà una delle più suggestive meraviglie della tradizione romana: la pioggia di petali dall'oculus del glorioso Tempio di Marco Vipsanio Agrippa, considerato il monumento più perfettamente conservato dell'antichità romana. 

Chi non c'è mai stato, dovrebbe non mancare.  E propongo questo piccolo assaggio video. 

Per chi poi si troverà domenica da queste parti, suggerisco la visita al piccolo Vicolo della Spada d'Orlando, poco distante dal Pantheon, che offre sorprendenti curiosità ai visitatori.  Il brano è tratto da Fabrizio Falconi, Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton Editore, 2013. 





Il Vicolo della Spada d’Orlando. 

Tra il Pantheon e la Piazza Capranica, nel rione Colonna, c’è a Roma, una piccola strada, appena un vicolo, che ha un nome davvero singolare, soprattutto in una città la cui storia sembrerebbe lontana dalle vicende leggendarie legate all’epopea del paladino Orlando e della sua prodigiosa spada, la Durlindana – o Durendal – che secondo la Chanson de Roland sarebbe stata donata ad Orlando proprio da Re Carlo Magno. 

Eppure, proprio a Roma, a quanto pare esiste una memoria forte legata alle gesta mitiche del Paladino di Francia. Nella scena più cruenta della Chanson, Orlando si trova a fronteggiare i Saraceni sul Valico di Roncisvalle, e la sua Durlindana diventa un’arma invincibile. Con la portentosa spada, l’eroe uccide migliaia di nemici, fin quando, per paura che l’arma possa cadere nelle mani avversarie, il Paladino decide di distruggerla con un terribile colpo assestato ad una colonna (un colpo talmente forte che secondo la leggenda, avrebbe generato  la gigantesca fenditura nella roccia, alta più di cento metri, chiamata Breccia di Orlando, che si visita sul crinale dei Pirenei, non lontano da Roncisvalle).

La Durlindana però era così resistente, che non si ruppe nemmeno dopo quel poderoso impatto, e ad Orlando non rimase altro che nasconderla sotto il suo corpo, insieme all’olifante con il quale aveva tentato di richiamare Carlo Magno, soffiando così forte nello strumento fino a farsi scoppiare le vene. 

Versione che viene accanitamente negata dagli abitati della cittadina pirenaica di Rocamadour i quali sostengono che la vera Durlindana è quella che si vede ancora, incastrata in una parete rocciosa verticale del loro paese: secondo i monaci di Rocamadour, infatti, Orlando non nascose la spada, ma la gettò via, e non si sa come finì serrata in quel costone di roccia, dov’è ancora visibile, assicurata ad una pesante catena. 

Ma cosa c’entra in tutto questo il nostro vicolo romano? C’entra, perché secondo un’altra versione, la colonna contro la quale Orlando avrebbe cercato di spezzare la sua spada, sarebbe stata, non si sa per quali misteriosi motivi, trasportata a Roma. E’ stata forse semplicemente la fantasia popolare a partorire questa storia, vista la presenza nel vicolo di un  tronco di colonna di marmo bianco cipollino, che sembra in effetti colpita dal fendente di un’arma bianca.



C’è anche poi chi ha voluto fantasticare, ipotizzando anche una presenza a Roma del Paladino di Francia, del tutto leggendaria. 

 Il Vicolo però, oltre al tronco di colonna, possiede altri motivi di interesse, per la presenza di particolari sedili, in realtà sporgenze di un antico muro laterizio che attiene al cosiddetto Tempio di Matidia, costruito dall’imperatore Adriano nel 119 d.C. e dedicato alla suocera, Matidia, madre di Sabina, che era anche la nipote diretta di Traiano; e per la fontanella che eroga Acqua Vergine, anticamente collocata dalla vicina Via de Pastini e qui traslocata nel 1869, come si legge nella iscrizione muraria posizionata alla sua sommità.



tratto da Fabrizio Falconi, Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton Editore, 2013.