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09/05/22

Krishnamurti e la Guerra. Che fare?



In questi tempi così complessi, è utile rileggere le parole di Krishnamurti (1895-1986) sulla guerra, le cause e ciò che l'uomo, ogni singolo uomo può fare. In particolare, queste furono pronunciate a Ojai, California, il 27 maggio 1945, nella imminenza della fine della Seconda Guerra Mondiale. 

Domanda: Sicuramente la maggior parte di noi ha visto al cinema o sui giornali le immagini degli orrori e delle barbarie dei campi di concentramento. Che cosa bisognerebbe fare, secondo lei, a coloro che hanno perpetrato tali mostruose atrocità? Non dovrebbero venire puniti? 

Krishnamurti: Chi li punirà? Il giudice non è spesso colpevole come l’accusato? Ciascuno di noi ha creato questa civiltà, ha contribuito alla sua infelicità, è responsabile delle sue azioni. Noi siamo il risultato delle azioni e reazioni reciproche, questa civiltà è un prodotto collettivo. Nessun paese e nessun popolo è separato da un altro, siamo tutti interrelati, siamo tutti uno. 

Che lo riconosciamo o no, partecipiamo alla sfortuna di un popolo come partecipiamo alla sua fortuna. Non potete prendere le distanze per condannare o elogiare. 

Il potere che opprime è male, e qualunque gruppo abbastanza grande e organizzato diventa una fonte potenziale del male. Strillando sulle crudeltà di un altro paese, pensate di poter trascurare quelle del vostro. Non solo la nazione vinta, ma tutte le nazioni sono responsabili degli orrori della guerra. 

La guerra è una delle massime catastrofi; il male più grande è uccidere un’altra persona. Se lasciate entrare questo male nel vostro cuore, spianerete la strada a un numero infinito di atrocità più piccole. Non condannerete la guerra in se stessa, ma colui che in guerra commette atrocità. 

Voi siete i responsabili della guerra, voi l’avete provocata con le vostre azioni quotidiane segnate dall’avidità, dalla cattiveria, dalla passione. 

Ognuno di noi ha costruito questa civiltà spietata e competitiva in cui l’uomo è contro l’uomo. Volete sradicare le cause della guerra e della barbarie negli altri, mentre dentro di voi continuate ad alimentarle. Ciò conduce all’ipocrisia e ad altre guerre. 

Dovete sradicare le cause della guerra, della violenza, dentro di voi, il che richiede pazienza e gentilezza, non questa maledetta condanna degli altri. L’umanità non ha bisogno di altra sofferenza per poter capire, ma ciò che occorre è che voi siate consapevoli delle vostre azioni, che vi risvegliate alla vostra ignoranza e al vostro dolore, per far nascere in voi stessi la compassione e la tolleranza. Non dovete preoccuparvi di punizioni e ricompense, ma di sradicare in voi stessi quelle cause che si manifestano nella violenza e nell’odio, nella rivalità e nell’ostilità. Uccidendo l’uccisore diventate come lui, diventate voi i criminali. Ciò che è sbagliato non viene raddrizzato con mezzi sbagliati, solo con giusti mezzi si può raggiungere un giusto fine. 

Se volete la pace, dovete usare mezzi pacifici; mentre lo sterminio di massa e la guerra conducono solo a ulteriore sterminio, ulteriore sofferenza. Non si raggiunge l’amore con lo spargimento di sangue, un esercito non è uno strumento di pace. Solo la benevolenza e la compassione possono portare pace nel mondo, non la forza, l’inganno, e neppure le leggi. Voi siete i responsabili per l’infelicità e i disastri, voi che nella vostra vita quotidiana siete crudeli, avidi, ambiziosi, oppressori. La sofferenza continuerà finché non avrete sradicato dentro di voi le cause che generano la passione, l’avidità, la crudeltà. Abbia pace e compassione nel cuore, e troverà la giusta risposta alla sua domanda.

Ojai, 27 maggio 1945

A qualcuno o a tanti, potrà sembrare del tutto utopistico. Ma, a ben guardare è così: ogni possibile cambiamento dell'umanità dipende solo ed esclusivamente dal cambiamento dei singoli. 

21/04/22

"L'uomo è un distruttore": La profezia della "Terra Desolata" di Eliot


 

Aprile è il più crudele dei mesi: uno dei più celebri incipit della poesia mondiale è anche - non del tutto stranamente, viste le capacità profetiche di T. S. Eliot - incredibilmente attuale. 

Lo sono i versi che introducono La Terra Desolata (The Waste Land) e tutto il poemetto pubblicato nel 1922, una delle pietre miliari della poesia del Novecento. 

Eliot compose il poemetto tra il dicembre del 1921 ed il gennaio del 1922 mentre era con la moglie in Svizzera, a Losanna, dove fu ricoverato per problemi di instabilità psichica, in seguito ad un forte esaurimento nervoso

Il poeta veniva da un periodo durissimo: alla crisi personale - e relazionale con la moglie - si legava la sofferenza psichica conseguente agli eventi catastrofici del primo conflitto mondiale. 

La "terra desolata" è contemporaneamente la terre gaste (terra guasta) dei poemi epici medievali, cioè un territorio privo di vita, sterile e mortale che devono attraversare i cavalieri per arrivare al Graal (uno dei simboli centrali del poemetto), e il mondo moderno, contrassegnato dalla crisi e dalla sterilità della civiltà occidentale, giunta forse al termine del suo percorso: la prima guerra mondiale, terminata neanche quattro anni prima della pubblicazione del poemetto, era stata vissuta da Eliot come un'inutile e folle strage che aveva dilapidato milioni di vite e portato quasi alla bancarotta le grandi nazioni europee. 

La "terra desolata" è infine anche Londra, città dove Eliot risiedeva, e nella quale ha ambientato alcune scene del poemetto 

Tra le molte voci narranti che intervengono nel poeta, quella di Tiresia, che funge da alter ego del poeta, ma è al tempo stesso il personaggio ripreso dall'Odissea di Omero: Tiresia, che tutto ha visto e tutto sa, funge in più punti da disincarnato e distaccato narratore. 

L'epigrafe in apertura del poema doveva essere “The horror! The horror!” ("L'orrore, l'orrore!"), da Cuore di tenebra di Joseph Conrad, ma Ezra Pound, che non stimava affatto Conrad e che intervenne drasticamente a "tagliare" The Waste Land su richiesta dell'amico, dissuase il poeta: fu così che il poemetto si aprì con un frammento dal Satyricon, in ogni caso assai adatto.

La Sibilla di cui parla la citazione è naturalmente la profetessa greca che risiedeva a Cuma, celebre per gli oracoli enigmatici. La sua aspirazione più profonda era quella di invecchiare senza mai morire: il dio Apollo esaudì il suo desiderio, ma la sua vita - secondo Petronio - divenne un'agonia di noia, poiché essa, rinsecchita e chiusa in un'ampolla, veniva tormentata da gruppi di ragazzi fastidiosi. 

La citazione dal Satyricon recita, in un misto di latino e greco:

«Nam Sibyllam quidem Cumis ego ipse oculis meis vidi in ampulla pendere, et cum illi pueri dicerent: “Σίβυλλα, τί θέλεις;” respondebat illa: “ἀποθανεῖν θέλω”». 

E cioè: «Infatti ho visto la Sibilla con i miei occhi, a Cuma, pendere in un’ampolla, e quando quei ragazzi le chiedevano: “Sibilla, cosa desideri?”, ella rispondeva: “Morire”».

Se il mondo è una Terra Desolata - per causa principale dell'uomo, che è un distruttore (distruttore peraltro anche della natura, nonostante la natura possa vivere benissimo senza uomo, ma non viceversa) - la scelta estrema è quella di non giocare al gioco degli uomini, quindi morire. 

Eliot, già l'anno dopo, prenderà le distanze da una interpretazione così cupa del suo poemetto, ma quel che è certo che in The Waste Land sono configurate con esattezza insuperabile - perché poetica - i frutti velenosi piantati dalle guerre passate e presenti e di quelle future, nel cuore della Terra degli uomini.


in testa: una illustrazione di Noah Reagan 

04/03/22

Come nacque il meraviglioso discorso di Chaplin nel "Grande Dittatore" ?


Specialmente in questi tempi di ansia e di guerra, torna alla mente il monologo finale del Grande Dittatore, uno dei più famosi monologhi cinematografici di sempre, nel capolavoro scritto, diretto, prodotto e interpretato da Charlie Chaplin. 

Come si sa, uscito negli Stati Uniti nel 1940, dunque all'inizio della Seconda Guerra Mondiale, il film rappresenta una geniale parodia dei regimi nazi-fascisti che a quel tempo imperversavano in Europa, mettendo alla berlina i dittatori e i loro aiutanti  di quel tempo, da Hitler a Mussolini, da Goebbels a Goering. 

Si tratta del primo lungometraggio interamente parlato di Chaplin: il regista sapeva che far parlare il suo personaggio più famoso, Charlot, avrebbe potuto snaturarlo fino a ucciderlo, ma sentiva anche di vivere in un contesto storico in cui parlare era diventato un dovere

Ciò che ancora oggi colpisce del monologo pronunciato da Chaplin, nei panni del barbiere ebreo scambiato per la sua somiglianza con il dittatore, è la sua universalità, il suo messaggio umanista e pacifista, che non è mai invecchiato. 

Il testo del monologo è interamente opera di Chaplin che scrisse interamente da solo la sceneggiatura del film. 

Nel discorso finale, il barbiere, nei panni di Hynkel, adotta un tono radicalmente diverso dal resto del film (per lo più una serie di gag visive ) per una sequenza genuinamente seria e piena di dramma, un messaggio politico profondo, apparendo in un'inquadratura statica  per più di sei minuti, un tempo eccezionalmente lungo, durante i quali Chaplin si rivolge direttamente allo spettatore e il personaggio del barbiere lascia il posto allo stesso Charles Chaplin. 

Nella celebre scena, Chaplin sbatte le palpebre meno di dieci volte durante l'intero discorso finale.

Charlie Chaplin ebbe l'idea del film quando un amico, Alexander Korda, notò che il suo personaggio sullo schermo e Adolf Hitler sembravano in qualche modo simili. 

Chaplin, in seguito, apprese che lui e il dittatore erano nati entrambi a una settimana di distanza e avevano più o meno la stessa altezza e peso ed entrambi hanno lottato nella povertà, fino a raggiungere un grande successo in campi diametralmente opposti: quello del potere assoluto politico e quello artistico. 

Quando Chaplin venne a conoscenza delle politiche di Hitler di oppressione razziale e aggressione nazionalista, usò le loro somiglianze come ispirazione per attaccare Hitler mediante la pellicola. 

Il cineasta - originariamente - intendeva chiamare il film The Dictator, ma ricevette un avviso dalla Paramount Pictures che, qualora avesse scelto questo titolo, gli avrebbero addebitato 25.000 dollari: Chaplin accettò le imposizioni della Paramount Pictures e inserì Great nel titolo.

Il regista raccontò in seguito che indossare il costume di Hynkel lo aveva fatto sentire più aggressivo e quelli a lui vicini ricordano che era più difficile lavorare con lui nei giorni in cui stava girando nei panni del personaggio.

Fabrizio Falconi -2022 

08/12/20

40 anni senza John Lennon - "Happy Xmas (War is Over)" Storia di una canzone leggendaria

 


40 anni fa  John Lennon veniva ucciso a New York.  Il mondo lo celebra e noi lo celebriamo con una delle sue canzoni immortali, particolarmente adatta a questo momento che l'umanità vive, dove a pochi giorni dal Natale si combatte una guerra fatta non con le armi e tra popoli (per fortuna), ma contro un aggressore  virale, biologico.  E' l'occasione comunque per riascoltarla e per ricostruirne la storia. 

Happy Xmas (War Is Over) fu composto da John Lennon e Yoko Ono, pubblicato come singolo natalizio, il 6 dicembre del 1971, con la melodia del brano tratta da uno standar folk: Stewball.

La canzone fu incisa ai Record Plant (East) Studios di New York il 28 e 29 ottobre 1971, sotto la produzione di Phil Spector, e nacque come brano di protesta contro la guerra in Vietnam, diventando in seguito uno tra i più noti classici natalizi.

Il pezzo venne accreditato alla Plastic Ono Band insieme al coro gosperl Harlem Community Choir, che partecipò all'incisione, pubblicata in USA in concomitanza con le festività natalizie del '71, e l'anno successivo in Europa. Lennon compose il pezzo all'inizio dello stesso mese, registrandone anche una versione demo, con il testo ancora incompleto, soprattutto nella contromelodia che utilizzava il sottotitolo, slogan usato per la sua campagna per la pace della fine del '69.

All'inizio del brano, Lennon e la Ono augurano un buon Natale ai loro due figli,rispettivamente Julian e Kyoko, dai quali all'epoca vivevano separati.

Il brano folk che servì d'ispirazione a Lennon  è una tipica canzone-racconto circa un cavallo da corsa che beve sempre troppo vino, un "canto di lavoro" dei neri americani con parole provenienti dalla Gran Bretagna, "derivante rispettivamente dalla ballata The Noble Skewball con un nuovo testo di epoca Elisabettiana intitolato Go from My Window." 

Anche negli anni successivi alle pubblicazioni ufficiali, in occasione del  Natale, il brano è più volte entrato nella classifica britannica.



Così questo è il Natale,
e cosa hai fatto?
un altro anno è passato
ed uno nuovo è appena iniziato
e così questo è il Natale
spero che ti diverta
con il più vicino e il più caro
col più vecchio e il più giovane

un felice Natale
e un meraviglioso anno nuovo
speriamo che sia davvero un buon anno
senza alcuna paura

e così questo è il Natale (la guerra è finita)
per i deboli e per i forti (se lo vuoi)
per i ricchi e per i poveri (la guerra è finita)
il mondo è così sbagliato (se lo vuoi)
e così buon Natale (la guerra è finita)
per i neri e per i bianchi (se lo vuoi)
per i gialli e per i neri (la guerra è finita)
fermiamo tutte le guerre (adesso)

un felice Natale
e un meraviglioso anno nuovo
speriamo che sia davvero un buon anno
senza alcuna paura

così questo è il Natale (la guerra è finita)
e cosa abbiamo fatto? (se lo vuoi)
un altro anno è passato (la guerra è finita)
ed uno nuovo è appena iniziato (se lo vuoi)
e così questo è il Natale (la guerra è finita)
spero che ti diverta (se lo vuoi)
con il più vicino e il più caro (la guerra è finita)
col più vecchio e il più giovane (adesso)

un felice Natale
e un meraviglioso anno nuovo
speriamo che sia davvero un buon anno
senza alcuna paura

la guerra è finita, se lo vuoi
la guerra è finita, adesso

testo originale:

So this is Christmas
And what have you done
Another year over
A new one just begun
I hope you have fun
The near and the dear ones
The old and the young

And a happy New Year
Let's hope it's a good one
Without any fears

So this is Christmas
For weak and for strong
The rich and the poor ones
The war is so long
For black and for white
For yellow and red ones
Let's stop all the fights

So this is Christmas
And a happy New Year
Let's hope it's a good one
Without any fears

So this is Christmas
And what have we done
Another year over
A new one just begun
We hope you have fun
The near and the dear ones
The old and the young

So this is Christmas
(And a happy New Year)
Ooh, oh
(Let's hope it's a good one)
It's a good, it's a good one
Without any fear

War is over, if you want it
War is over, now


10/03/14

Wim Wenders - "La ragione smarrita".







Wim Wenders (1945) scrisse questo testo il 28 maggio del 1999 nei giorni drammatici della Guerra del Kosovo (pubblicata sul quotidiano La Repubblica di quel giorno).  "Ogni volta che una guerra, con la sua brava etichetta geografica, entra nell'archivio della memoria collettiva," scriveva Guido Davico Bonino, "speriamo tutti che sia l'ultima. Putroppo non è così." 


La ragione smarrita.

Sono tante le cose
che non comprendo
di questa guerra
e così poche
quelle che afferro.
Una sola mi sembra
abbastanza certa:
ogni guerra
è una guerra.
Ogni guerra
finisce per mangiarsi
le sue ragioni
quand'anche fossero le migliori.
E continuo a pensare
che combattere il male
con altro male
non può, alla fine,
essere un bene.


Wim Wenders, 1999.

15/04/11

Restiamo Umani - l'addio a Vittorio Arrigoni.



Il Mantello di Bartimeo si unisce al dolore per la morte di Vittorio Arrigoni, un uomo coraggioso. Ma forse varrebbe la pena definirlo semplicemente: un uomo.

Visto che il motto con il quale chiudeva ogni sua corrispondenza da Gaza era 'restiamo umani'.

Diamo l'ultimo saluto a questo compagno di viaggio, con le parole appena battute dalle agenzie dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano scritte alla signora Egidia Beretta, madre di Vittorio: ''Questa barbarie terroristica suscita repulsione nelle coscienze civili. Ho appreso con sgomento - afferma - la terribile notizia della vile uccisione di suo figlio Vittorio a Gaza. Questa barbarie terroristica suscita repulsione nelle coscienze civili. La comunita' internazionale tutta e' chiamata a rifiutare ogni forma di violenza e a ricercare con rinnovata determinazione una soluzione negoziale al conflitto che insanguina la Regione. Esprimo a lei e alla sua famiglia, in quest'ora di grande dolore, i sensi della mia piu' sincera e affettuosa vicinanza e del piu' grande rispetto per il generoso impegno di suo figlio''.

.

24/01/10

Tutti abbiamo nel cuore questo desiderio: che cresca il dialogo. Il Card. Carlo Maria Martini.


Può esserci pace laddove c'è paura ? Scopro, andando avanti con gli anni, che molti sapienti, di diversi credo e di diverse confessioni religiose, sono unanimi nel considerare la paura, la paura individuale e quella che si tramuta in paura sociale come il maggior ostacolo alla costruzione della pace, della convivenza felice e costruttiva tra gli uomini.


"Il dialogo in Italia è difficile, perché oggi la gente vive di paure".

Queste parole le ha pronunciate ieri il cardinale Carlo Maria Martini visitando a Milano la mostra Giusti dell'islam.

"Fate bene a impegnarvi con tenacia sulla via del dialogo, senza spaventarvi delle difficoltà. La gente oggi vive di paure, di episodi singoli amplificati dall'opinione pubblica; e invece bisogna portarli a conoscere le situazioni concrete, le persone di buona volontà", ha detto il cardinale a quanto riferito dal 'Sir', il Servizio informazione religiosa della Cei.

"Tutti abbiamo nel cuore questo desiderio che cresca il dialogo, la mutua comprensione", ha aggiunto il porporato che ha ricordato i suoi anni a Gerusalemme: "Là ho potuto vedere dal vivo le sofferenze, le difficoltà e anche alcune realizzazioni molto belle. Tra queste 'Parents circle', persone che hanno perduto un loro caro ucciso o per il terrorismo o per la guerra. Invece di pensare alla vendetta si cercano e dialogano sulla pace".

La mostra Giusti dell'islam, promossa dal centro Pime di Milano, in questi giorni, su iniziativa delle Acli di Varese e della locale comunità islamica, ha fatto tappa all'Aloisianum di Gallarate, la casa dei gesuiti dove l'arcivescovo emerito di Milano vive.

06/04/08

Martin Luther King - Voler bene all'Umanità.




E' così difficile voler bene all'Umanità.
Perchè è così difficile voler bene alle persone che abbiamo intorno, figuriamoci all'Umanità. Eppure, quella promessa smisurata - vita eterna - di Gesù è direttamente proporzionata ad una richiesta smisurata - amare gli altri, amare tutti, amare anche i nemici.

Ma come si fa ?

Martin Luther King (1929 - 1968) una volta, intervistato da Ruggero Orlando, disse: "quando morirò mi piacerebbe che fosse scritto sul mio epitaffio: un uomo che ha amato l'Umanità."
Non v'è dubbio che nella vita di King vi sia un profilo di santità molto forte, che lo portò a realizzare veramente quel che ha sostenuto in quell'intervista.

Ma come si fa ad amare tutti, ad amare l'Umanità intera ?? Qualche volta ci riusciamo, quando siamo ben disposti, quando tutto appare girare al meglio, e siamo felici per qualcosa, in quel momento ci sentiamo di poter abbracciare il mondo intero.
Ma il più delle volte è un sentimento effimero, che mai o quasi mai si traduce in atti concreti.

Ci penso e ci ripenso in questi giorni in cui vedo i muri delle mie città tappezzati di facce che mi ispirano sentimenti opposti all'amore.

Non amo questa umanità, no non la amo proprio. Non amo queste persone che mi chiedono fiducia per poter avere potere, riconoscibilità, successo, vanità, denaro.
Non amo loro, non amo le loro facce.
Eppure, Gesù ci chiederebbe questo. Amare tutti, amare gli estranei.

Nel Vangelo di questa domenica apprendiamo che le prime persone con cui Gesù Risorto spezza il pane non sono i suoi Discepoli - quelli che lo hanno amato sempre - ma due estranei incontrati in cammino. Due povere anime che non sanno niente di Lui, se no qualche piccola cosa per sentito dire.
Dovremmo spezzare il pane con gli estranei. E poi anche con i nemici.

Chiediamo alla grande anima di Martin Luther King di insegnarci come si fa, comprendendo pienamente la natura di cui siamo pienamente parte :

La luce è venuta nel mondo. Una voce che grida attraverso la prospettiva del tempo invita gli uomini a camminare nella luce. La vita terrestre dell'uomo diventerà una tragica elegia cosmica, se egli non ascol­terà quest'invito. «Questa è la condanna” - dice Giovanni - « che la luce è venuta nel mondo, e gli uomini hanno amato le tenebre piú della luce ».
Gesú aveva ragione riguardo agli uomini che lo cro­cifissero: essi non sapevano quello che facevano: erano afflitti da una terribile cecità.
Ogni volta che guardo la croce, io mi ricordo della grandezza di Dio e della potenza redentrice di Gesú Cristo; mi ricordo della bellezza dell'amore di immola­zione e della maestà dell'incrollabile devozione alla verità. E questo mi fa dire con John Bowring: « Della croce di Cristo io mi glorio ( torreggiante sulle rovine del tempo; i Tutta la luce della storia sacra i Si raccoglie intorno alla sua vetta sublime ».
Sarebbe meraviglioso se io, guardando la croce, pro­vassi solo una cosí sublime reazione; ma, in un modo o in un altro, non posso mai distogliere gli occhi dalla croce senza rendermi conto anche che essa simboleggia una strana mescolanza di grandezza e di meschinità, di bene e di male. Contemplando quella croce innalzata, io mi ricordo non solo dell'illimitato potere di Dio, ma anche della vile debolezza dell'uomo; penso non solo allo splendore del divino, ma anche al tanfo dell'umano; mi ricordo non solo di Cristo nel suo momento piú alto, ma dell'uomo in ciò che ha di peggio.
Noi dobbiamo vedere la croce come il meraviglioso simbolo dell'amore che vince l'odio e della luce che vince le tenebre. Ma, in mezzo a quest'ardente affer­mazione, non dimentichiamo mai che il nostro Signore e Maestro fu inchiodato a quella croce a causa dell'u­mana cecità. Quelli che lo crocifissero non sapevano quello che facevano.