Visualizzazione post con etichetta papa. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta papa. Mostra tutti i post

14/04/17

Hannah Arendt, Etty Hillesum, le Donne protagoniste della Via Crucis stasera al Colosseo.




Venerdì santo il Papa, come ogni anno, dopo aver assistito a San Pietro alla celebrazione della Passione del Signore, presiede a partire dalle 21.15 la Via crucis al Colosseo. 

Francesco ha voluto affidare le meditazioni alla biblista francese Anne-Marie Pelletier, laica, che nel testo, pubblicato dalla Libreria editrice vaticana (Lev), ha incentrato la sua riflessione sulle donne di tutti i tempi, il loro pianto "in un mondo in cui c`è molto da piangere", figure come Hanna Arendt e la "banalità del male", Etty Hillesum che "difese fino all'ultimo la bontà della vita" nell'inferno "che sommerge il mondo" con il nazismo. 

Un testo nel quale, tra l'altro, si fa autocritica per l'antisemitismo di matrice cristiana: "Davanti a Gesù consegnato e condannato, noi non sappiamo fare altro che discolparci e accusare gli altri. Per tanto tempo noi cristiani abbiamo addossato al tuo popolo Israele il peso della tua condanna a morte. Per tanto tempo abbiamo ignorato che dovevamo riconoscerci tutti complici nel peccato, per essere tutti salvati dal sangue di Gesù crocifisso. Donaci di riconoscere nel tuo Figlio l`Innocente, l`unico di tutta la storia".

fonte Askanews

26/11/13

Auschwitz, 28 maggio 2006 (VIDEO) - un ricordo.





Questo video è stato girato il 28 maggio del 2006, intorno alle sette del pomeriggio.

Quel giorno si verificò uno strano cortocircuito della storia.  Un papa tedesco, Joseph Ratzinger, il primo papa tedesco della storia, visitò il campo di Birkenau-Auschwitz, in territorio polacco, durante la visita in Polonia (dal 25 al 28 del 2006), quasi esattamente un anno dopo la sua elezione al soglio papale. 

Polacco era il papa che aveva preceduto Ratzinger sullo stesso soglio.

Karol Wojtyla era infatti nato nel 1920 a Wadowice. Esattamente a 34,8 km dal luogo - nella cittadina di Oświęcim - dove i tedeschi, ventitre anni dopo crearono il campo di sterminio di Birkenau-Auschwitz.

Durante la guerra Karol era entrato nel seminario clandestino diretto dal cardinale Sapieha, arcivescovo di Cracovia.  Nel 1944, Wojtyla scampò due volte alla morte: il 29 febbraio 1944, tornando a casa dal lavoro nella cava, fu investito da un camion tedesco, perse coscienza e passò due settimane in ospedale. Nell'agosto, durante il "lunedì nero", la Gestapo rastrellò la città di Cracovia, deportando i giovani maschi per evitare un'analoga sollevazione. Quando la Gestapo perquisì la sua casa, Wojtyła riuscì a scampare alla deportazione nascondendosi dietro una porta e si rifugiò nell'Arcivescovado, dove rimase fino a guerra finita, nel seminario ridotto in rovine.

Joseph Ratzinger, che in quegli anni era stato arruolato, nel programma del Luftwaffenhelfer, pur non partecipando mai ad azioni di guerra. Nel 1945 aveva disertato, come molti altri, con l'esercito tedesco ormai in rotta, rischiando la fucilazione e aveva fatto ritorno a casa. 

Questa giornata assunse dunque un significato particolare. Un papa tedesco (fino a qualche tempo prima inimmaginabile) visitava la fossa delle Marianne della Storia, partorita dai suoi connazionali in territorio polacco, per riconciliarsi con il passato, per pregare sulle tombe dei sommersi e degli sterminati, idealmente insieme al suo predecessore polacco, che questo luogo aveva visitato anch'egli l'anno dopo la sua elezione (1979). 

Ratzinger, che era atteso alle 13, arrivò quel giorno in ritardo rispetto alla tabella di marcia.  Si era trattenuto più del previsto ad Auschwitz, nelle celle dei sotterranei. E quando giunse a Birkenau, dove era stato allestito lo stand della stampa che vedete nelle immagini, erano le 18 e 20. 

Sul campo di sterminio, poco prima che lui arrivasse, dopo una mattinata ventosa e magnifiche nuvole bianche sul cielo azzurro (un cielo di quelli della campagna parigina che dipingeva Boldini), il cielo all'improvviso si fece scurissimo, in pochi minuti. 

In pochi minuti, una tempesta non si sa venuta da dove, oscurò tutto e cominciò a piovere a dirotto. Un vero diluvio con un vento fortissimo che costrinse chi poteva a trovare riparo ovunque fosse possibile. 

Il Papa provò ad attraversato il piazzale delle lapidi, protetto da un ombrello bianco, ma le sue vesti svolazzarono al vento, insieme ai suoi capelli. Sembrava che la visita dovesse interrompersi subito, impossibile andare avanti. 

Poi, all'improvviso, altrettanto rapidamente di come era venuto, il temporale si spostò.  In un baleno.

Il cielo in pochi minuti ridiventò completamente azzurro, e il grande nuvolone nero fu spostato ad un angolo del cielo da una pressione invisibile. 

Rimasero nubi bianche e la luce declinante del tramonto. 

E proprio di fronte agli occhi di chi era lì si formò un arcobaleno luminosissimo, che le immagini del mio video amatoriale non rendono (ma testimoniano proprio mentre si stava formando). 

Impressionò la rapidità di questo mutamento, impressionò l'arcobaleno, il cui arco ad un certo punto divenne doppio, proprio dirimpetto al palco dove si trovava il Papa.

I giornalisti presenti avevano avuto in anticipo - in embargo - il discorso che il papa avrebbe pronunciato. Il discorso fu pronunciato.  Era tutto incentrato sul tema della riconciliazione dell'uomo con Dio (e di Dio con l'uomo). 

Tutti pensarono ai passi dell'Antico Testamento nei quali l'arcobaleno è il simbolo di questa riconciliazione, di questo perdono (basti pensare all'episodio di Noè e del diluvio universale). 

L'arcobaleno durò alcuni lunghissimi minuti, e fece da teatro alla scena che si svolgeva di fronte al Monumento di Birkenau, dove c'era il Papa e i capo-rabbini delle comunità di  mezza europa. 

Il Papa citò i Salmi, ma anche  l'Antigone di Sofocle. 

Il corteo lasciò il campo alle otto. C'era ancora la luce. Così tanta luce che era difficile tenere gli occhi aperti. 



Fabrizio Falconi

11/11/13

Presentazione del nuovo libro di Fr. MichaelDavide Semeraro - con Massimo Cerofolini, Fabio Colagrande e Fabrizio Falconi.




E' un bellissimo libro, questo di Fr. MichaelDavide Semeraro, che spicca nel novero numerosissimo delle pubblicazioni sul Papa Francesco, spuntate ovunque in questi mesi.

Se vorrete, ne parleremo insieme,  Giovedì prossimo, come leggete nella locandina qui sopra.

F.

11/09/13

La Lettera del Papa Francesco, Jorge Mario Bergoglio a Eugenio Scalfari, pubblicata oggi su "Repubblica."

ecco il testo della Lettera che Jorge Mario Bergoglio ha inviato a Eugenio Scalfari, e che Repubblica pubblica oggi in prima pagina, sui temi della fede e della ragione.




PREGIATISSIMO Dottor Scalfari, è con viva cordialità che, sia pure solo a grandi linee, vorrei cercare con questa mia di rispondere alla lettera che, dalle pagine di Repubblica, mi ha voluto indirizzare il 7 luglio con una serie di sue personali riflessioni, che poi ha arricchito sulle pagine dello stesso quotidiano il 7 agosto.

La ringrazio, innanzi tutto, per l'attenzione con cui ha voluto leggere l'Enciclica Lumen fidei. Essa, infatti, nell'intenzione del mio amato Predecessore, Benedetto XVI, che l'ha concepita e in larga misura redatta, e dal quale, con gratitudine, l'ho ereditata, è diretta non solo a confermare nella fede in Gesù Cristo coloro che in essa già si riconoscono, ma anche a suscitare un dialogo sincero e rigoroso con chi, come Lei, si definisce "un non credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth". Mi pare dunque sia senz'altro positivo, non solo per noi singolarmente ma anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù. Penso vi siano, in particolare, due circostanze che rendono oggi doveroso e prezioso questo dialogo.

Esso, del resto, costituisce, come è noto, uno degli obiettivi principali del Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII, e del ministero dei Papi che, ciascuno con la sua sensibilità e il suo apporto, da allora sino ad oggi hanno camminato nel solco tracciato dal Concilio. La prima circostanza - come si richiama nelle pagine iniziali dell'Enciclica - deriva dal fatto che, lungo i secoli della modernità, si è assistito a un paradosso: la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell'uomo sin dall'inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d'ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d'impronta illuminista, dall'altra, si è giunti all'incomunicabilità. È venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro.

La seconda circostanza, per chi cerca di essere fedele al dono di seguire Gesù nella luce della fede, deriva dal fatto che questo dialogo non è un accessorio secondario dell'esistenza del credente: ne è invece un'espressione intima e indispensabile. Mi permetta di citarLe in proposito un'affermazione a mio avviso molto importante dell'Enciclica: poiché la verità testimoniata dalla fede è quella dell'amore - vi si sottolinea - "risulta chiaro che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l'altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall'irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti" (n. 34). È questo lo spirito che anima le parole che le scrivo.

La fede, per me, è nata dall'incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto e grazie a cui ho trovato l'accesso all'intelligenza della Sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso i Sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, immagine vera del Signore. Senza la Chiesa - mi creda - non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell'immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d'argilla della nostra umanità.

Ora, è appunto a partire di qui, da questa personale esperienza di fede vissuta nella Chiesa, che mi trovo a mio agio nell'ascoltare le sue domande e nel cercare, insieme con Lei, le strade lungo le quali possiamo, forse, cominciare a fare un tratto di cammino insieme. Mi perdoni se non seguo passo passo le argomentazioni da Lei proposte nell'editoriale del 7 luglio. Mi sembra più fruttuoso - o se non altro mi è più congeniale - andare in certo modo al cuore delle sue considerazioni. Non entro neppure nella modalità espositiva seguita dall'Enciclica, in cui Lei ravvisa la mancanza di una sezione dedicata specificamente all'esperienza storica di Gesù di Nazareth.

Osservo soltanto, per cominciare, che un'analisi del genere non è secondaria. Si tratta infatti, seguendo del resto la logica che guida lo snodarsi dell'Enciclica, di fermare l'attenzione sul significato di ciò che Gesù ha detto e ha fatto e così, in definitiva, su ciò che Gesù è stato ed è per noi. Le Lettere di Paolo e il Vangelo di Giovanni, a cui si fa particolare riferimento nell'Enciclica, sono costruiti, infatti, sul solido fondamento del ministero messianico di Gesù di Nazareth giunto al suo culmine risolutivo nella pasqua di morte e risurrezione.

Dunque, occorre confrontarsi con Gesù, direi, nella concretezza e ruvidezza della sua vicenda, così come ci è narrata soprattutto dal più antico dei Vangeli, quello di Marco. Si costata allora che lo "scandalo" che la parola e la prassi di Gesù provocano attorno a lui derivano dalla sua straordinaria "autorità": una parola, questa, attestata fin dal Vangelo di Marco, ma che non è facile rendere bene in italiano. La parola greca è "exousia", che alla lettera rimanda a ciò che "proviene dall'essere" che si è. Non si tratta di qualcosa di esteriore o di forzato, dunque, ma di qualcosa che emana da dentro e che si impone da sé. Gesù in effetti colpisce, spiazza, innova a partire - egli stesso lo dice - dal suo rapporto con Dio, chiamato familiarmente Abbà, il quale gli consegna questa "autorità" perché egli la spenda a favore degli uomini.

18/03/13

Papa Francesco - Intervista a Leonardo Boff: "Bergoglio, il vento della primavera che scioglie il freddo inverno della Chiesa."




Ha incontrato personalmente il cardinale Jorge Maria Bergoglio solo una volta negli anni ’70, durante un ritiro spirituale. Ma il brasiliano Leonardo Boff, tra i fondatori della Teologia della liberazione, ripone nel nuovo Papa molte speranze. Vede in lui il vento della «primavera» che scioglie il «freddo inverno della Chiesa». E la traghetta nel terzo millennio. «È sempre stato dalla parte dei poveri e degli oppressi, come noi teologi della liberazione». E questo gli basta. Del brand non si preoccupa, e non crede alla complicità con la dittatura militare. (*** Leonardo Boff, classe 1938, ex frate francescano ed ex presbitero brasiliano. Filosofo, teologo, e autore di più di 60 libri anche sui temi della spiritualità, dell’antropologia, dell’etica, dell’ecologia e della mistica (tradotti in tutto il mondo e premiati con numerosi riconoscimenti), è stato professore emerito di Etica, Filosofia della Religione e Ecologia alla Università dello stato di Rio de Janeiro. È ritenuto, insieme al peruviano Gustavo Gutiérrez, il fondatore della Teologia della Liberazione. Nel 1985 è stato condannato a un anno di silenzio da parte dell’ex Sant’Uffizio per le tesi espresse nel libro «Chiesa: carisma e potere» (Record edizioni). Negli anni ’80 ha cominciato ad approfondire la questione ecologica come un’estensione della Teologia della liberazione, e successivamente ha partecipato alla stesura della Carta della Terra con Gorbacev, Rockfeller e altri. È stato assessore nella presidenza dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel biennio 2008-2009, e attualmente partecipa al gruppo di riforma dell’Onu. In particolare sta lavorando alla Dichiarazione Universale del Bene Comune della Terra e dell’Umanità. Nipote di immigrati italiani venuti dal Veneto alla fine del XVIII secolo per installarsi nel Rio Grande do Sul, entrò nel 1959 nell’ordine dei frati francescani minori. Da sempre impegnato nelle comunità cristiane di base e vicino al movimento Sem Terra brasiliani. Attualmente vive con la sua compagna Marcia Maria Monteiro de Miranda (attivista per i diritti umani ed ecologista) e con i loro sei bambini adottati.)

Che uomo è Jorge Maria Bergoglio, e che Papa sarà Francesco I?

Per me l’importante adesso non è l’uomo ma la figura di una Papa che ha scelto di chiamarsi Francesco, che non è solo un nome ma un progetto di Chiesa. Un Chiesa povera, popolare, che chiama tutti gli esseri della natura con le dolci parole «fratello» e «sorella». 

Una Chiesa del Vangelo distante dal potere e vicina al popolo. Secondo lei il cardinale Bergoglio ha le carte giuste per portare questo rinnovamento nella Chiesa?

Francesco ricevette da San Damiano questo messaggio: ricostruire la Chiesa che è in rovina. Oggi siamo dentro un rigoroso inverno e lo stesso castello che gli ultimi due papi hanno creato è in rovina. E adesso un nuovo Papa arriva da fuori le mura di Roma, quasi dai confini del mondo, come dice egli stesso, esterno a quei circoli di potere. E credo che prima di tutto lavorerà internamente alla curia per riscattare la credibilità della Chiesa, macchiata dagli imbrogli, dagli scandali dei pedofili e della banca vaticana… E dopo farà un’apertura al mondo moderno, perché sia Benedetto XVI che Giovanni Paolo II hanno interrotto il dialogo con la modernità. Un errore rinunciare a capire e a dialogare con la cultura moderna. Diffamarla e considerarla puro relativismo e secolarismo, non riconoscerne i valori, è una blasfemia contro lo Spirito Santo. Gli uomini cercano una verità più ricca e più ampia di quella di cui la Chiesa crede di essere l’esclusiva portatrice. Piuttosto invece la sua è un’istanza di potere. Mentre il senso evangelico del papato è unire i fedeli cristiani nella fede, nel corso della storia invece si è creata una monarchia assolutista che pensa alle cose in una prospettiva giuridica. Questo Papa ha detto subito di voler presiedere la Chiesa nella carità. Questo è il senso della più vecchia tradizione, della funzione di Pietro. Penso che questo Papa sia il volto nuovo della Chiesa, umile e aperta, che può portare l’esperienza del “Grande Sud”, dove vive il 70% dei cattolici.

L’esperienza latinoamericana, in particolare?

La nostra non è più lo specchio della Chiesa europea. È una Chiesa fonte, che ha sviluppato un volto e una teologia proprie, una pastorale con radici nelle culture locali. Francesco I porterà questa vitalità nella Chiesa universale, per far finire l’inverno rigoroso ed entrare in una prospettiva di primavera. Bergoglio offre questa speranza, e la promessa che il papato può essere vissuto differentemente.

Negli anni ’70 il gesuita Bergoglio ebbe, secondo alcuni osservatori argentini, un atteggiamento controverso verso la dittatura militare. Ancora più condivisa l’opinione che lo vuole decisamente avverso alla Teologia della liberazione. Qual è il suo giudizio?

Recentemente Pérez Esquivel (premio Nobel per la Pace nel 1980, ndr) ha smentito che Bergoglio fosse complice della dittatura argentina spiegando che invece ha salvato tanti perseguitati dal regime militare. Quel che è certo è che ha sempre preso la posizione dei poveri e degli oppressi anche nel suo stile di vita: è una persona semplice che si sposta in autobus, che vive in un piccolo appartamento, cucina da solo… Viene dal popolo e lo si vede anche nella sua azione pastorale. Su youtube c’è un video bellissimo di Bergoglio che parla del debito che tutti abbiamo verso i poveri perché la diseguaglianza è frutto di una società anti-etica e anti-umana. E il marchio registrato della Teologia della liberazione è l’opzione verso i poveri e contro la povertà.


12/03/13

Diretta dal Conclave 8./ Se non passa Scola, l'outsider potrebbe essere il brasiliano Braz de Aviz.




A poche ore dall'Extra Omnes, che verrà pronunciato dal Maestro delle celebrazioni liturgiche Guido Marini e dalla chiusura del portone della Sistina affidata al Cardinale Harvey, l'ultimo degli eletti, i giochi del Conclave appaiono ancora incerti. 

E' soltanto il Corriere della Sera, oggi ad attribuire a Angelo Scola addirittura 50 voti già sicuri, a partire dal primo scrutinio di oggi pomeriggio. 

Tutti gli altri vaticanisti concordano invece in un quadro al momento molto più frammentato. Scola non supererebbe, per ora, i 35 consensi - lontana quindi il quorum di 77 - così come si fermerebbe al massimo a una trentina di voti il Cardinale Scherer, arcivescovo di San Paolo del Brasile, cui fanno riferimento diversi esponenti della Curia. 

Altri voti andrebbero, nel primo scrutinio all'arcivescovo di New York Dolan e al cardinale canadese filo-ratzingeriano Ouellet.

Se le cose stessero veramente così - scontata la fumata nera di stasera - sarebbero decisivi i quattro scrutini di domani, due la mattina e due il pomeriggio.  Sapremo alla fine della giornata se uno di questi quattro candidati  - e Angelo Scola, superfavorito, in primis - avrà sfondato oltre il muro del pacchetto di voti già consolidato. 

Se invece avremo fumata nera anche domani sera, a partire da giovedì mattina, con il sesto scrutinio, si potrebbe aprire uno scenario completamente diverso, con l'uscita a sorpresa di un outsider, in grado di catalizzare i voti dei due schieramenti. 

Nelle ultime ore si è fatto avanti un nuovo nome, quello del Cardinale brasiliano Joao Braz de Aviz,  Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, 66 anni, nato a Mafra. 

Durante le congregazioni preparatorie, nei giorni scorsi, Braz de Aviv si è reso protagonista di uno degli interventi più applauditi dai Cardinali (anzi, una specie di standing ovation), di forte e radicale critica nei confronti della Curia e di alcuni metodi divenuti prassi a Roma. 

Questo intervento - e la risposta che Bertone si è sentito in dovere di dare - hanno fatto subito levitare le quotazione di Braz de Aviz, che del resto è considerato un cardinale illuminato e anche pragmatico: è lui il grande organizzatore delle prossime Giornate Mondiali della Gioventù che si terranno a Rio de Janeiro dal 23 al 25 luglio 2013.

Ed è inutile dire che sarà il primo viaggio in assoluto, fuori dell'Italia del prossimo Papa..


Fabrizio Falconi


10/03/13

Diretta dal Conclave 6./ Un Papa governatore o un Papa "pastore" e rinnovatore ?





Un Papa governatore o un Papa pastore ? Un Papa autorevole o un Papa capace di parlare al cuore ? Un Papa rigoroso con chi sbaglia e trama o uno capace di credere in una una Chiesa penitente, rinnovata, che abbia il coraggio di cambiare pagina e ricominciare dal messaggio evangelico ? 

E' questa, in fondo, la partita che si gioca nel prossimo Conclave che sta per iniziare tra poche ora. 

Tutto si deciderà nelle prime due sedute, martedì pomeriggio e mercoledì mattina.   Se uno dei papabili che all'ingresso nella Sistina appaiono come favoriti, riuscirà a sfondare il muro dei suoi voti, dei voti già acquisiti, il Conclave potrebbe essere molto breve.

Nel caso contrario, i tempi allungati potrebbero favorire un outsider. 

I porporati che ad oggi possono contare su un buon numero di voti appaiono tre o forse quattro.

Angelo Scola, il favorito numero uno, che però, non ha per ora convinto tutta la numerosa compagine degli italiani, molto frammentata.   

Il brasiliano Odilo Scherer, nome gradito alla Curia e alla nutrita pattuglia dei sudamericani. 

E poi uno degli americani: il cappuccino O'Malley, di cui abbiamo parlato ieri,  o gli altri accreditati Dolan o Wuerl. 

Forse il canadese Marc Ouellet. 

Oggi diversi Cardinali hanno celebrato la messa nelle rispettive parrocchie romane, di cui hanno il titolo. 

Per molti di loro però questo è il primo Conclave. Il rischio di una frammentazione c'è, anche se in queste ora sono al lavoro pontieri e mediatori. 

Staremo a vedere. 

Quel che però appare evidente è che prima di scegliere il nome, bisognerebbe capire COSA si vuole fare, cosa a questo nome è richiesto o sarebbe richiesto di fare. Insomma, quale strada intraprendere. 

La Chiesa cattolica si trova di fronte ad un bivio drammatico: da una parte c'è il rischio concreto di una sempre maggiore irrilevanza e di una scomparsa dall'orizzonte non solo dei riferimenti etici ma anche di quelli spirituali.   Dall'altra c'è un duro cammino di rinnovamento, quello che porterebbe al ri-ascolto di quello Spirito, di quella voce di Dio della quale parlava appassionatamente Etty Hillesum nei suoi diari,  dalla quale ci si è progressivamente allontanati, in nome dei nuovi idoli - controllo, potere, ricchezza, corruzione - dall'adorazione dei quali molti uomini di questa Chiesa non si sono dimostrati e non si dimostrano immuni. 

Fabrizio Falconi



09/03/13

Diretta dal Conclave 5./ Potrebbe essere la volta di 'Francesco I'.




Un Papa Francesco, come è noto, non c'è mai stato

Ma nel mare aperto di questo Conclave - in caso si concretizzasse lo stallo tra le due compagini che sembrano attualmente convergere intorno a due candidati principali, l'italiano Angelo Scola e il brasiliano Odilo Scherer - il gioco degli outsiders potrebbe anche portare a questa sorpresa. 

Tra i cardinali accreditati ad ereditare il Soglio di Pietro, c'è in queste ore infatti, anche l'arcivescovo di Boston, Sean O' Malley, nato in Ohio da genitori irlandesi, appartenente all'Ordine dei Frati minori cappuccini che nella sua esperienza religiosa è stato anche diacono nella lontanissima Isola di Pasqua, in mezzo al Pacifico. 

La nomina di O'Malley a Papa sarebbe per molti versi rivoluzionaria. 

I Papi francescani nella storia sono stati soltanto quattro.   E nessuno di loro ha mai scelto il nome del Fondatore dell'Ordine.

Ma non è solo questo, ovviamente. 

O'Malley, 68 anni, è stato cappellano per i latinos a Washington, dove insegnava letteratura ispanico e portoghese all'Università Cattolica) e questo potrebbe rappresentare un fattore di consenso al Conclave anche da parte dei Cardinali di provenienza centro e sud-americana. 

Ma O'Malley è stato anche uno dei più intransigenti nella lotta al cancro della pedofilia nella Chiesa.  Dopo gli scandali nella diocesi, il frate cappuccino ed ex missionario ha venduto l'episcopio andando a vivere in un piccolo appartamento per pagare i debiti della diocesi di Boston. 

La penitenza per la pedofilia e l'energia e il coraggio che ha messo in questa battaglia lo hanno reso un esempio per molti.  

E il coraggio è davvero ciò che sembra mancare di più in una Chiesa cattolica che sembra spesso e da molto tempo paralizzata dalla paura.  Dalla paura, dal terrore di ogni cambiamento. 

La sua eventuale nomina sarebbe un segnale di speranza e di rinnovamento molto profondo. 

Il segno di una Chiesa che dopo 2.000 anni trova la forza di ricominciare veramente dal basso, e prima di tutto dal riconoscimento delle proprie grandi, estese ombre; della grande lontananza, in molti casi, dalla luce originaria del messaggio evangelico (così spesso contraddetto, tradito e offeso nel corso di questi due millenni, anche da coloro che si pretendevano suoi propagatori). 

Chissà se sarà davvero la volta di un Francesco I. 

Un Papa ispirato allo Spirito di quel Francesco che ottocento anni fa cambiò radicalmente la storia della Chiesa. 

Sono in molti, e noi per primi, ad augurarselo. 

Fabrizio Falconi


08/03/13

Diretta dal Conclave 4./ Lo scoop dell'Associated Press.





Agli esami di giornalismo, per l'accesso all'ordine professionale, si insegnava fino a poco tempo fa che la notizia più importante che si può dare nel corso di una carriera giornalistica è la morte di un Papa (seguita dalla elezione del nuovo). 

E' fin troppo ovvio che la nuova sensibilità post-moderna dominante ha scosso non poco questa ritenuta importanza, e la morte di un Papa o l'elezione di un nuovo è diventata agli occhi di molti del tutto irrilevante, o quasi. 

E' però fin troppo evidente che l'interesse mondiale per questi eventi è ancora larghissimo. In questi giorni a Roma ci sono già 5.000 (cinquemila) operatori dei media accreditati da tutto il mondo, e ogni giorno se ne aggiungono di nuovi. Provengono davvero da tutte le parti del mondo, anche le più remote. 

Nell'ultimo Conclave, quello che elesse Joseph Ratzinger, il pomeriggio del 19 aprile del 2005, ero lì. 

E in quella occasione, quello che è il segreto più impenetrabile per ogni giornalista - ovvero il nome e l'identità del futuro Pontefice nell'intervallo di tempo che separa la fumata bianca dalla proclamazione dalla Loggia delle Benedizioni -  fu violato, seppure per pochi secondi,  da una agenzia americana, l'Associated Press. 

Ma come avevano fatto ? Nessuno dei Cardinali in processione, dal tracciato che va dalla Sistina alla Casa di Santa Marta poteva aver comunicato la notizia. 

Si scoprì più tardi come era stato possibile. 

Un fotografo dell'AP, posizionato su uno dei due Propilei prospicienti la Piazza, con ottima visuale diretta sulla facciata della Basilica, dotato di un potente teleobiettivo, era riuscito a intravedere, attraverso le tende scostate sulla Loggia,  nella penombra, in fondo, dietro il corteo e la croce, il volto di Ratzinger, e aveva dato immediatamente la notizia, prima che il Cardinale eletto fosse nominato dal protodiacono con l'Habemus Papam

Uno scoop im-prevedibile e un po' avventuroso che ha dato all'Agenzia americana il singolare primato di aver per la prima volta nella storia bruciato  il nome del nuovo Papa. 

Fabrizio Falconi

05/03/13

Diretta dal Conclave 2. - Profezia di Malachia e "Pietro II".




E' inevitabile, per i cultori del genere, ripensare in questi giorni di avvicinamento al Conclave, alla Profezia di Malachia (sulla quale anche i giornali e i media si eserciteranno non poco in questi tempi, magari anche a sproposito), il testo medievale pubblicato per la prima volta nel 1595 e attribuito a San Malachia, vescovo e monaco benedettino irlandese vissuto nel XII secolo. 

E', come si sa, un testo molto discusso e la cui autenticità è stata messa in dubbio molte volte nel corso dei secoli, nel quale sono indicati 111 papi per altrettanti pontefici a partire da Celestino II che fu eletto nel 1143. 

Facendo i debiti conti, Benedetto XVI è l'ultimo papa della lista.  

O meglio il penultimo. Perché la profezia si conclude non con un motto, ma con una frase enigmatica e terribile che descrive l'avvento dell'ultimo Papa, indicato come "Pietro II", in questi termini:

In persecutione extrema Sanctae Romanae Ecclesiae sedebit Petrus Romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibus transactis, civitas septicollis diruetur, et Judex tremendus iudicabit populum suum. Finis. 

ovvero: 

Durante l'ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa siederà (un/il?) Pietro (il?) Romano, che pascerà il gregge fra molte tribolazioni; passate queste, la città dai sette colli sarà distrutta ed il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine.

QUI si può leggere l'elenco completo dei motti relativi ai diversi papi della storia alcuni dei quali, come i recenti de medietate lunae per Giovanni Paolo I e de labore solis per Giovanni Paolo II sono veramente impressionanti per i significati simbolici ai quali possono essere associati. 

Qualche anno fa poi, uno scrittore indiano Schmeig Maria Olaf, ha messo in relazione - in uno dei libri più interessanti sull'argomento, sotto forma di romanzo, pubblicato dall'editore Fazi  - la profezia con i tondi papali cioè i ritratti dei Papi esposti nella trabeazione interna della Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma. 

E' un tema sempre pieno di fascino, quello della profezia.  E non è un caso che torni di attualità oggi, un periodo in cui tornano a scorrere istanze millenaristiche o pre-apocalittiche, in diversi ambiti contemporanei. 

Potrà allora sembrare suggestivo constatare che sono almeno CINQUE i cardinali elettori - quelli che parteciperanno al prossimo Conclave, che saranno in tutto 115 -  i quali hanno, come nome di battesimo all'anagrafe, il nome di PIETRO. 

Eccoli.

Peter Kodwo Appiah Turkson, ghanese.
Péter Erdő, ungherese
Tarcisio Pietro Evasio Bertone, attuale Cardinale Camerlengo
Christoph Maria Michael Hugo Damian Peter Adalbert Schönborn, arcivescovo di Vienna.
Odilo Pedro Scherer, brasiliano.

La cosa interessante è che non si tratta di 5 Cardinali qualsiasi, ma di 5 tra i più 'quotati' in assoluto, in queste ore.

Vedremo dunque, se sarà eletto proprio un nuovo 'Pietro'.

Nel qual caso, qualcuno forse comincerà a interrogarsi..

Fabrizio Falconi.


04/03/13

Diretta dal Conclave. 1. Irrilevanza della Chiesa, morbosità dei media.





Ho seguito lo scorso Conclave, seguirò anche questo. 

E una cosa che mi colpisce molto e mi fa pensare è questa clamorosa attenzione mediatica internazionale nei confronti di tutto ciò che in generale riguarda il Papa della Chiesa Cattolica e il Vaticano. 

A fronte cioè di una progressiva perdita di rilevanza della Chiesa Cattolica - almeno in Occidente, in Europa e nel Nord America, ma anche nel Sud america dove ormai le chiese evangeliche sono ben più forti e rilevanti della vecchia Chiesa di Roma - nei comportamenti, nei costumi sociali, nella moralità pubblica, ecc.. corrisponde una sempre crescente febbre mediatica, che non smette mai. 

Ad ogni Conclave, anzi, è sempre più forte.   

Basta vedere lo schieramento delle televisioni di tutto il mondo che coprirà l'evento: in ogni parte del pianeta si vende molto e sempre bene il rituale della elezione del Pontefice di Roma, si vendono sempre e molto bene le cose dei Palazzi Vaticani, anche le minime cose che dovrebbero restare di interesse specifico di una - seppur grande - comunità/istituzione religiosa. 

Sarà perché la Chiesa Cattolica di Roma è l'istituzione vivente umana più antica del mondo - nessuna istituzione di nessun tipo dura da duemila anni, ininterrottamente, e ha attraversato ogni fase storica - sarà perché c'è quel gusto esotico/medievale che sempre affascina, o chissà cosa.

Forse semplicemente il bisogno dell'uomo contemporaneo di trovare qualcosa di solido, o di quasi eterno su cui contare, in un mondo in cui tutto appare provvisorio, precario, caduco, fluido, inconsistente. 

Il Vaticano c'è.  Almeno finché non si avvereranno le profezie di sventura.  E finché c'è, si può dire tutto e il contrario di tutto, si può occuparsene anche soltanto per divertimento o per compatire. 

Ma forse questo vecchio rito millenario parla, in modi più o meno nascosti o riconosciuti, ancora oggi a ciascuno: è il confronto con una storia, una storia lunga duemila anni dalla quale - volenti o no - tutti quelli che sono nati in questa parte del mondo provengono,  al termine di una infinita serie di generazioni. 

Fabrizio Falconi


02/03/13

Marco Guzzi sulle dimissioni del Papa.




Vi propongo qui di seguito - nel contesto delle riflessioni che stiamo pubblicando negli ultimi giorni - un intervento di Marco Guzzi sulle dimissioni di Benedetto XVI. 

Dal 28 di febbraio, alle ore 20, Benedetto XVI non è più Papa, la Santa Sede è vacante, anche se Joseph Ratzinger è ancora vivo

Questo evento è sostanzialmente un unicum nella storia bimillenaria della Chiesa, in quanto gli antichissimi e rarissimi precedenti non sono comparabili a questo evento mediatico mondiale del 2013.

Gli effetti di queste dimissioni saranno immensi e duraturi nei prossimi decenni, anche se da più parti si tenta invano di normalizzare una situazione evidentemente eccezionale, e di sminuirne la portata storica. Paradossalmente proprio questo Papa, che tanto ha insistito sulla necessità di ribadire la “continuità” nella storia della Chiesa, ha compiuto uno dei gesti di più radicale discontinuità che potessimo immaginare, un gesto che sarà ricordato come una rottura senza precedenti, una cesura epocale, un punto finale e un nuovo inizio.

Questo gesto si pone d’altronde nel novero dei grandi momenti di assoluta novità che segnano la storia della Chiesa dalla seconda metà del XX secolo in poi. Che il Concilio abbia determinato un punto di svolta e di ricominciamento, all’interno ovviamente della stessa storia del cristianesimo, ma che comunque abbia avviato processi anche caotici e ambigui che stanno tuttora mettendo in crisi e rigenerando forme secolari della liturgia come della catechesi, della pastorale come dell’intero assetto giuridico ecclesiale, è del tutto evidente. Che la richiesta di perdono, compiuta da Giovanni Paolo II, durante la prima domenica di Quaresima del 2000, sia stata un evento anch’esso unico e sconvolgente lo ribadì lo stesso documento Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato, redatto dalla Commissione teologica internazionale: “In nessuno dei giubilei celebrati finora c’è stata una presa di coscienza di eventuali colpe del passato della Chiesa, né del bisogno di domandare perdono a Dio per comportamenti del passato prossimo o remoto. E’ anzi nell’intera storia della Chiesa che non si incontrano precedenti di richieste di perdono relative a colpe del passato, che siano state formulate dal magistero”.

Questi eventi, come il gesto di Benedetto, indicano la direzione ineluttabile di un vero e proprio punto di svolta, esplicitano il bisogno di una conversione radicale della Chiesa, di una purificazione seria e progressiva da tutte quelle forme distorte che ne hanno deturpato il volto e indebolito la testimonianza e quindi l’azione salvifica nella storia per secoli.

Un bisogno di conversione/trasformazione che d’altra parte tocca l’intera umanità contemporanea, giunta tutta insieme ad un punto estremo, ad un bivio sempre più evidente e allarmante tra autodistruzione e rigenerazione profonda.

16/02/13

Claudio Magris sulle dimissioni del Papa.



Vi riporto l'articolo di Claudio Magris, comparso sul Corriere della Sera il 13 febbraio 2013, sulle dimissioni del Pontefice. 


QUANDO IL NO SERVE AD AFFERMARE LA LIBERTÀ E LA DIGNITÀ DELLA PERSONA

È più facile prendere che lasciare, dire di sì che dire di no. Quasi tutto ci spinge, quasi sempre, a dire di sì dinanzi a ciò che ci viene offerto e alla condizione in cui ci troviamo: la paura di offendere o di far restar male qualcuno, il timore di rimanere fuori gioco, lo sgomento davanti a cambiamenti della nostra vita, antichi e radicati imperativi morali, spesso sacrosanti, che impongono il dovere di agire, di combattere, di restare al proprio posto come i capitani di Conrad al comando di una nave in gran tempesta. È dunque comprensibile che il grande e fermo no detto da Benedetto XVI abbia sconcertato tante persone, fedeli e no, prese alla sprovvista da una rinuncia alla più alta carica e responsabilità del mondo. È comprensibile che ci sia chi ammiri e chi deplori la risoluta decisione del Papa, anche se il legittimo sentimento di consenso o di smarrimento non autorizza nessuno ad ergersi comodamente e arrogantemente a giudice di quella drammatica risoluzione, sofferta ma portata con straordinaria fermezza, una fermezza che forse mai prima questo Pontefice, problematico e talora esitante, aveva dimostrato con altrettanta intensità.


È più facile, in generale, dire di sì, esplicitamente dinanzi a una nuova richiesta o implicitamente restando nella condizione in cui ci si trova. Ma è soprattutto con il no che si affermano la libertà e la dignità di un individuo: rifiutare e dunque mutare ciò che appare immutabile, sfatare la pretesa di ogni situazione consolidata che si crede salda e indiscutibile, non bruciare l'incenso agli idoli, talora mascherati da dei. Il gesto di Joseph Ratzinger è certo un gesto rivoluzionario, che stravolge le regole, le consuetudini e le aspettative felpate e prudentissime della Curia romana, cautele circospette radicate nei secoli e divenute talora Dna, spesso stampate nei lineamenti e nelle facce ineffabili di molti suoi alti e interscambiabili esponenti. Prendere atto, apertamente, di una propria debolezza e inadeguatezza è una delle più alte prove di libertà e di intelligenza. Lukács, il filosofo marxista, non è forse mai stato così grande come quando, ultraottantenne, si è dichiarato incompetente a giudicare l'opera che stava scrivendo e l'ha affidata ai suoi scolari. Il vecchio eschimese che, sentendosi inutile, lascia l'igloo e sparisce nella notte artica dimostra una lucidità e una forza superiori a quelle dei suoi compagni. Proprio per questo, c'è chi sostiene che Benedetto XVI avrebbe potuto - secondo alcuni, dovuto - restare al suo posto, per il bene di tutti. Ma ci si può sostituire a chi vive quel dramma, sul quale noi tranquillamente dissertiamo? Sostituirsi a chi sente nelle sue vene, nelle sue fibre, nelle sue fantasie anche fugaci prima ancora che nei suoi articolati pensieri la propria forza o la propria debolezza e avverte nel suo respiro, nel suo sudore la realtà della sua vita?

Come ha ineguagliabilmente chiarito Max Weber, c'è un'etica della convinzione e c'è un'etica della responsabilità. La prima impone di agire secondo principi assoluti, non discutibili: se sta scritto «non uccidere», non si snuda la spada, qualsiasi cosa possa accadere. La seconda impone di agire pensando alle sue conseguenze: se nessuno avesse snudato la spada davanti a Hitler, bombardando e uccidendo pure tanti innocenti bambini tedeschi, il nazismo sarebbe stato padrone del mondo e Auschwitz sarebbe stata la regola. Entrambe le etiche sono altissime ed entrambe possono degenerare, rispettivamente nel cieco fanatismo impermeabile alla realtà e nella giustificazione di ogni compromesso.

Non sappiamo se Ratzinger abbia agito secondo l'etica della convinzione o secondo quella della responsabilità, ritenendosi inadeguato - cosa più che comprensibile per un uomo della sua età cui il vicariato di Cristo non risparmia alcun decadimento comune a tutti gli uomini - a guidare la Chiesa. Se è così, ha fatto il suo dovere, cosa che era difficile fare. Si possono avanzare tutte le illazioni possibili sui fattori che possono averlo spinto a quella decisione: qualche imminente grave crisi della Chiesa che egli non si sentiva capace di dominare, amarezze, incomprensioni o peggio subite da chi gli stava intorno o chissà quali altri motivi. Ma sulle illazioni, finché restano tali, non si può fondare alcun giudizio. Certo la sua rinuncia al soglio supremo fa specie soprattutto in Italia in cui non c'è quasi nessuno capace di rinunciare al più misero seggiolino - forse perché quel seggiolino è la sua unica realtà, è tutto il suo Io, che senza il seggiolino o la seggetta svapora come un cattivo odore, mentre Joseph Ratzinger non è solo un Papa, è - prima ancora - Joseph Ratzinger.

Il suo gesto rende concreta, umana, la figura di chi si proclama vicario di Cristo ma non per questo, nella dura e opaca vita d'ogni giorno, ne sa più degli altri. Ha portato due croci, due destini pesanti. Il primo è stato il percorso che lo ha condotto, da innovatore fra i più audaci all'inizio del Concilio Vaticano II - fortemente avversato, come altri cardinali e vescovi tedeschi, da conservatori della Curia come Ottaviani - a un ruolo che, soprattutto grazie alle semplificazioni mediatiche, lo ha fatto apparire, per lo più ingiustamente, un conservatore retrogrado. Ha vissuto il doloroso dramma di chi apre arditamente una porta al nuovo e, turbato da tante cose confuse e cattive che si mescolano alla bontà del nuovo, si trova spinto a chiudere quella porta, come un insegnante che giustamente faccia leggere ai suoi allievi Baudelaire o de Quincey e poi, vedendo che molti goffamente si ubriacano di assenzio e di oppio, toglie quelle letture dal programma. È divenuto, ingiustamente, bersaglio di tanti stolti e supponenti dileggi, un bersaglio obbligato del tiro a segno nel grande circo in cui viviamo. È stato ad esempio fischiato e vilipeso per la sua contrarietà al matrimonio omosessuale, ma i suoi fischiatori, stranamente, non sono andati a fare pernacchie e a tirare uova marce alle finestre delle ambasciate di Paesi in cui gli omosessuali vengono decapitati. È divenuto Papa e sul suo pontificato sarà la Storia a giudicare.

Ma si vedeva subito che non era felice di fare il Papa, diversamente dal suo predecessore. Non era, non è a suo agio in quel ruolo, che probabilmente esige una vitalità diversa, una sanguigna e brusca capacità di scuotere la polvere degli eventi dai propri calzari, cosa che era naturale a Giovanni Paolo II, che poteva soffrire - e ha sofferto molto - ma non dava mai l'impressione di essere a disagio. Negli stessi panni, Joseph Ratzinger si è trovato invece forse a disagio e perciò ha dato talora l'impressione di essere indeciso e soprattutto di soffrire troppo il peso della sua responsabilità, cosa che non è sempre un bene per chi esercita il potere.

Ho avuto la fortuna di incontrarlo e di poter parlare liberamente con lui, in un'udienza privata, in occasione della pubblicazione del secondo volume - il più grande - del suo Gesù di Nazaret , che avevo presentato a Roma la sera prima. C'era un'atmosfera di tristezza, nell'aria ovattata di quelle splendide sale e corridoi; dava l'idea di una dorata prigionia. Abbiamo parlato, in italiano e in tedesco, di città care ad entrambi, come Monaco o Regensburg, e di alcuni passi straordinari di quel suo libro su Gesù, ad esempio là dove egli dice, con grande coraggio, che la vita eterna non è una specie di tempo infinitamente prolungato bensì la vita autentica e piena di significato, il kairòs greco, l'istante assoluto della verità. «Ma allora - mi disse quasi con incantevole ingenuità - Lei ha veramente letto il mio libro!», al che gli risposi che non ero un impostore e che, in ogni caso, se proprio avessi deciso di imbrogliare, non avrei scelto per questo il suo libro. Forse l'altissimo ufficio non si confà alla sua natura. Se è così, il suo gesto di rinuncia è anche un riappropriarsi della propria persona, un gesto di libertà che come pochi altri fa di un Papa un uomo, secondo il detto di Shakespeare, che esorta, qualsiasi cosa si faccia, a farla secondo la propria natura.

Claudio Magris

14/02/13

Zygmunt Bauman sulle dimissioni di Benedetto XVI.




Bauman: «Ha portato il papato a un livello umano»
intervista a Zygmunt Bauman
a cura di Alberto Guarnieri e Massimo Pedretti
in “Il Messaggero” del 13 febbraio 2013

Un Papa che getta la spugna, come dice lui stesso «per il bene della Chiesa», è un gesto totalmente nuovo che si pone l’ambizioso obiettivo di restituire dignità morale a una Chiesa in crisi. Così pensa Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo polacco che dal 1971 vive e insegna in Inghilterra. Bauman è divenuto celebre per la teoria della “società liquida”, con cui spiega una “postmodernità” diventata sempre più preda del consumismo e di una vita frenetica quasi priva di valori che le istituzioni in crisi non sanno più tenere vivi.

Professore, le dimissioni di Benedetto XVI sono state lette anche come il sacrificio di un pontefice intellettuale probabilmente sconfitto, oltre che dall’età e dagli acciacchi, dalla crisi di identità della Chiesa-istituzione. È d’accordo?

«Quella della Chiesa è una realtà istituzionale molto importante, che si differenzia da tutte quelle laiche, in quanto funge da mediatrice tra Dio e uomo. Benedetto XVI con la scelta di dimettersi ha portato il papato a un livello umano, confessandosi pubblicamente e ammettendo che ogni essere umano, anche se Papa, ha dei limiti».

Ma recuperando individualmente questa umanità, Joseph Ratzinger non mette a rischio la sacralità della Chiesa e della figura del vicario di Cristo?

«La grandezza del gesto di Benedetto XVI si può anche spiegare così: l’uomo che è erede di San Pietro ha deciso di spogliarsi della sacralità del suo essere riconoscendo il conflitto, in questo caso specifico tra il ruolo e l’uomo (anziano, debole, forse malato). Papa Wojtyla scelse il ruolo, Papa Ratzinger, a conclusione di una lunga riflessione, ha scelto l’uomo».

Molte delle sue teorie richiamano l’insegnamento della Chiesa. Parlando di crisi della speranza lei mette in risalto l’eccessiva fiducia nel progresso tecnologico e i danni che provoca l’economia capitalistica priva di regole.

«Esatto. Spesso ci si chiede se l’umanesimo, categoria in cui rientra l’insegnamento della Chiesa, abbia un futuro. Io domando: il futuro ha un umanesimo?».

Se quella del Papa è una resa, non teme che la crisi che lei denuncia si aggravi?

«Essere umani vuol dire avere speranza. Gli animali avvertono la fine prima di noi, ma solo per istinto. Se legassimo la cultura alla mortalità non avrebbe avuto senso creare la cultura. La scelta del Papa è socratica? Anche fosse, non significherebbe certo la fine dei valori della Chiesa».

Lei rifiuta di definire pessimistiche le sue analisi. Dove sta la possibilità di un cambiamento? 

«Sperare significa coltivare la solidarietà umana. Istituzioni e individuo sono in crisi, è vero. Va riaperto un dialogo che passo dopo passo rinforzi la cooperazione sociale, un gioco dove non ci sono vincitori e vinti ma vantaggi per tutti».

Quindi è ottimista?

«Conosco bene il vostro Gramsci: l’ottimismo della volontà contro il pessimismo dell’intelligenza».

12/02/13

Le dimissioni di Benedetto XVI - Una riflessione di fr. MichaelDavide Semeraro.




Vi riporto qui una riflessione di fr. MichaelDavide Semeraro sulle clamorose dimissioni di Benedetto XVI. 


Tantum aurora est! 
Le dimissioni di Benedetto XVI

L’annuncio così semplice e scarno delle dimissioni del Vescovo di Roma ha scosso l’opinione pubblica, ma soprattutto ha zittito i nostri ambienti ecclesiali troppo abituati – sarebbe meglio dire rassegnati – al fatto che non ci si possa più aspettare nulla di nuovo. È successo qualcosa di molto simile a ciò che avvenne nella sagrestia della Basilica di San Paolo quando Giovanni XXIII annunciò – più di cinquant’anni fa – l’indizione del Concilio Vaticano II creando non poco subbuglio tra i prelati presenti e tra quelli di tutto il mondo. 

Eppure quell’annuncio, tanto inaspettato quanto profondamente atteso, è stato capace di ridare a molti credenti la speranza di poter ritrovare le vie di una doppia fedeltà al Vangelo eterno che è Cristo Signore e al suo incarnarsi nella concretezza mutevole e amabilissima della storia.

Il gesto tanto inatteso quanto profondamente gradito di Benedetto XVI di rinunciare al suo ministero di Vescovo di Roma, ci stupisce nel senso più bello e profondo del termine. Infatti, questo gesto rompe le nostre abitudini a non aspettarci più nulla e a rinchiuderci in una sorta di pessimismo spirituale che si fa, troppo facilmente, abitudine ad una critica che talora, senza volerlo, rischia di cedere alla lamentela. Invece no, aldilà, anzi al cuore stesso delle nostre fragilità personali ed ecclesiale vi è una dynamis che continua a far crescere la Chiesa come segno, sacramento e primizia di un’umanità in cammino di cui i credenti, non solo sono parte, ma di cui sono appassionati artefici.

Il motivo per cui Giovanni XXIII sentì l’ispirazione di indire il Concilio Vaticano II fu proprio il bisogno di ritrovare la strada di una co-spirazione profonda tra la Chiesa e il mondo contemporaneo rinunciando così all’idea di essere il modello stabile e immobile di un mondo che rischia di non esistere se non tra la polvere delle biblioteche e degli archivi. Così pure il motivo per cui Benedetto XVI ha scelto di lasciare il posto di nocchiero della barca di Pietro è proprio l’umile riconoscimento che il mare in cui questa barca deve gioiosamente e seriamente navigare si è fatto ancora più vasto e, per questo, attraversato da correnti diverse. 


Casualmente la Liturgia del giorno in cui Benedetto XVI ha annunciato le sue dimissioni ci offriva come testo l’inizio della Genesi: In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque (Gn, 1, 1-2). Quasi un monito per ricordarci che se noi siamo parte di questa creazione voluta e amata da Dio, al contempo essa è il frutto di un amore e di una forza che ci precedono sempre e sono capaci di portarci più lontano poiché lo spirito di Dio non smette di aleggiare e di gonfiare le vele della storia e, prime fra tutte, le purpuree vele della Chiesa di Cristo tinte dal sangue dei martiri di ogni tempo.


Il Vescovo di Roma si ritira nella preghiera e, come tutti, accetta di prepararsi alla morte raccogliendo il frutto delle sue fatiche e riposandosi come ogni uomo della sua età. Come tutti anche il Papa ha diritto a giorni tranquilli che siano intensamente segnati da una tenerezza donata e ricevuta senza che questa divenga un alibi per permettere ad altri di abusare della fragilità e della debolezza. In questi anni abbiamo visto il Vescovo di Roma sopravvestirsi sempre di più creando non poco imbarazzo per il ritorno di simboli e forme di cui sembravamo esserci liberati per sempre. All’imbarazzo oggi segue uno stupore grato perché Benedetto XVI consegnerà il servizio del ministero petrino al suo successore in punta di piedi e senza i consueti faraonici funerali papali in cui sopravvivono ancora simboli estranei allo spirito del Vangelo e al ministero proprio del Servo dei servi di Dio. 


Nello stesso anno in cui ricordiamo il 1700° anniversario dell’Editto di Costantino, con tutto ciò che ha significato per la storia della Chiesa, un Papa riconosce con semplicità di essere come tutti: chiamato ad un grande servizio che non lo rende immune da nessuna debolezza e che lo obbliga a riprendere il suo posto tra i servi inutili così necessari di cui ci parla il Signore Gesù nel Vangelo.


Come qualcuno ha già ricordato in queste ore, i gesti valgono più di tanti discorsi e persino talora sono capaci di dare ali alla storia più di mille documenti ed esortazioni. Il gesto di Benedetto XVI apre il cuore allo stupore: la Chiesa è in cammino e i suoi passi sono guidati da Altro. Come ricordava e si augurava Giovanni XXIII inaugurando il Concilio Vaticano II tantum aurora est di una comprensione più evangelica e incarnata del Vangelo. Siamo solo agli inizi, ma il gesto di Benedetto XVI ci conforta del fatto che stiamo camminando. Ci sono dei gesti da cui non si torna più indietro e quello di ieri è uno di questi: tutto non è più come prima e non solo per il Papa di Roma, ma per tutti!

23/04/10

Hans Kung - Papa Benedetto XVI ha fallito.


Penso ci siano molti, molti spunti di riflessione in questo articolo firmato da Hans Kung che ripercorre e sintetizza tutte le critiche mosse a questo papato, nella conduzione della Chiesa, da uno dei più grandi teologi contemporanei. Articolo che del resto ha già suscitato molte reazioni, anche da parte dello stesso Osservatore Romano.

Negli anni 1962-1965 Joseph Ratzinger - oggi Benedetto XVI - ed io eravamo i due più giovani teologi del Concilio. Oggi siamo i più anziani, e i soli ancora in piena attività. Ho sempre inteso il mio impegno teologico come un servizio alla Chiesa. Per questo, mosso da preoccupazione per la crisi di fiducia in cui versa questa nostra Chiesa, la più profonda che si ricordi dai tempi della Riforma ad oggi, mi rivolgo a voi, in occasione del quinto anniversario dell'elezione di papa Benedetto al soglio pontificio, con una lettera aperta. È questo infatti l'unico mezzo di cui dispongo per mettermi in contatto con voi.

Avevo apprezzato molto a suo tempo l'invito di papa Benedetto, che malgrado la mia posizione critica nei suoi riguardi mi accordò, poco dopo l'inizio del suo pontificato, un colloquio di quattro ore, che si svolse in modo amichevole. Ne avevo tratto la speranza che Joseph Ratzinger, già mio collega all'università di Tübingen, avrebbe trovato comunque la via verso un ulteriore rinnovamento della Chiesa e un'intesa ecumenica, nello spirito del Concilio Vaticano II. Purtroppo le mie speranze, così come quelle di tante e tanti credenti che vivono con impegno la fede cattolica, non si sono avverate; ho avuto modo di farlo sapere più di una volta a papa Benedetto nella corrispondenza che ho avuto con lui.

Indubbiamente egli non ha mai mancato di adempiere con scrupolo agli impegni quotidiani del papato, e inoltre ci ha fatto dono di tre giovevoli encicliche sulla fede, la speranza e l'amore. Ma a fronte della maggiore sfida del nostro tempo il suo pontificato si dimostra ogni giorno di più come un'ulteriore occasione perduta, per non aver saputo cogliere una serie di opportunità:



.

21/03/10

Pedofilia e Chiesa: non basta dire 'così fan tutti'.


Devo dire che mi aspettavo e mi aspetto qualcosa di più e di meglio, della autodifesa che i vertici della Chiesa hanno messo in scena nelle ultime settimane, contro le accuse che ormai in molti paesi dell'Occidente si levano a proposito degli abusi sessuali su minori.

E' davvero mortificante, a mio avviso, sentire il vecchio ritornello del Card. Ruini su "una vecchia strategia messa in campo contro la Chiesa" - in questo non si discosta dalle sindromi di complotti che ormai vanno tanto di moda da personaggi politici quando si sentono messi in discussione, o attaccati, o sotto inchiesta.

Così come è altrettanto povero sentire il Card. di stato Tarcisio Bertone risolvere la questione motivandola con il vecchio refrain che gli abusi sono diffusi egualmente anche negli ambienti laici.

Ma che significa questo ? Ma è una giustificazione, per caso ? Mi sembra che appena un po' di pudore dovrebbe consigliare di non seguire la strada - almeno in questo drammatico campo - del "così fan tutti." La strada cioè che se tutti sono colpevoli, anche io sono un po' meno colpevole.

Sarà anche sbagliato, o umano, ma è del tutto ovvio che la gente, le persone, da chi ricopre un abito sacro si aspetti qualche cosa di più e di diverso e di meglio, di quello che sente e vede in giro.

Chi indossa quell'abito ha una responsabilità doppia, tripla. Come si fa a non capirlo ?

E allora che senso ha una indulgenza per le persone e una intransigenza per il peccato come ha detto oggi il Papa ? La Chiesa - nel senso dei suoi vertici - dovrebbe dimostrare intransigenza non solo nei confronti del peccato, ma anche nei confronti di chi - indossando l'abito sacro - insozza la sua credibilità e quella di una istituzione, e soprattutto rovina per sempre la vita di persone indifese, allontanando chi ha sbagliato per sempre e in maniera chiara e netta.

Se la Chiesa continuerà a pensare di potersi difendere con le grida al complotto o le excusatio di 'responsabilità diffusa', sarà inevitabilmente travolta.


.

05/03/10

Quel Celibato da Abolire - di Hans Kung


Credo sia davvero opportuno meditare questo articolo di oggi di Hans Kung pubblicato in prima pagina su La Repubblica.

Abusi sessuali in massa ai danni di bambini e giovani ad opera di preti cattolici, dagli Usa alla Germania, passando per l´Irlanda: un enorme danno di immagine per la chiesa cattolica, ma anche segno palese della sua crisi.

Abusi sessuali in massa ai danni di bambini e giovani ad opera di preti cattolici, dagli Usa alla Germania, passando per l´Irlanda: un enorme danno di immagine per la chiesa cattolica, ma anche segno palese della sua profonda crisi.

Il primo a prendere pubblicamente posizione a nome della Conferenza episcopale tedesca è stato il suo presidente, l´arcivescovo Robert Zollitsch (di Friburgo). La sua condanna degli abusi, definiti «orrendi crimini», e la richiesta di perdono sono primi passi nel processo di assunzione di responsabilità per fare i conti col passato, ma altri devono seguire. La presa di posizione di Zollitsch mostra indubbiamente gravi errori di valutazione, che vanno contestati.

Prima affermazione: Gli abusi sessuali compiuti dai sacerdoti non hanno nulla a che fare con il celibato.
Obiezione! È indiscutibile che tali abusi si verifichino anche in seno alle famiglie, nelle scuole, nelle associazioni e anche nelle chiese in cui non vige la regola del celibato.
Ma come mai si registrano in massa proprio nella chiesa cattolica, guidata da celibatari? Chiaramente queste colpe non sono attribuibili esclusivamente al celibato. Ma quest´ultimo è la più importante espressione strutturale dell´approccio teso che i vertici ecclesiastici cattolici hanno rispetto alla sessualità. Diamo uno sguardo al Nuovo Testamento: Gesù e Paolo sono stati sì esempio di celibato a servizio degli uomini, ma lasciando ai singoli la piena libertà a riguardo. Pietro e gli altri apostoli erano sposati nell´esercizio del loro ufficio. Questa rimase per molti secoli una condizione ovvia per i vescovi e i presbiteri ed è mantenuta fino ad oggi in oriente anche nelle chiese unite a Roma, come in tutta l´Ortodossia, quanto meno per i preti. La regola romana del celibato è in contraddizione con il Vangelo e l´antica tradizione cattolica. Deve essere abolita.

Seconda affermazione: E´ «totalmente errato» ricondurre i casi di abuso a difetti del sistema ecclesiastico.
Obiezione! La regola del celibato non esisteva ancora nel primo millennio. In occidente fu imposta nell´undicesimo secolo sotto l´influsso dei monaci (volontariamente celibi) soprattutto del Papa di Canossa, Gregorio VII, a fronte della decisa opposizione del clero in Italia e ancor più in Germania, ove solo tre vescovi si arrischiarono a proclamare il decreto di Roma. I preti protestarono a migliaia contro la nuova regola. Il clero tedesco così si espresse in una petizione: «Forse il papa ignora la parola del Signore: "chi può capire, capisca"? (Mt 19,12)? In questa affermazione, l´unica sul celibato, Gesù sostiene la libera scelta di questo modo di vivere». La regola del celibato diventa così assieme all´assolutismo papale e al clericalismo forzato uno dei pilastri essenziali del «sistema romano».
Diversamente da quanto avviene nelle chiese orientali, si ha l´impressione che il clero celibatario occidentale, soprattutto attraverso il celibato, si differenzi totalmente dal popolo cristiano: un ceto sociale a sè stante, dominante, che fondamentalmente si erge al di sopra del laicato, ma è del tutto sottomesso al Papa di Roma. L´obbligo di celibato è il motivo principale della catastrofica carenza di sacerdoti, della mancata celebrazione dell´eucarestia, carica di conseguenze, e, in molti luoghi, della rovina della cura personale delle anime. Tutto questo viene dissimulato attraverso la fusione delle parrocchie in «unità di cura delle anime», con parroci costretti a operare sopra le forze. Ma quale sarebbe il miglior incoraggiamento alla nuova generazione di sacerdoti? L´abolizione della regola del celibato, radice di ogni male, e permettere l´ordinazione delle donne. I vescovi lo sanno, ma dovrebbero anche avere il coraggio di dirlo. Avrebbero il consenso della gran maggioranza della popolazione e anche dei cattolici i quali, stando a tutti i più recenti sondaggi, auspicano che ai preti sia consentito sposarsi.

Terza affermazione: I vescovi si sono assunti responsabilità sufficiente.
È ovviamente positivo che vengano ora intraprese serie misure mirate all´indagine e alla prevenzione. Ma non sono forse i vescovi stessi responsabili della prassi decennale di insabbiamento dei casi di abuso, che spesso ha condotto solo al trasferimento dei colpevoli all´insegna della massima riservatezza? Chi in precedenza ha insabbiato è credibile oggi nel ruolo di indagine? Non dovrebbero essere istituite commissioni indipendenti? Finora nessun vescovo ha ammesso la propria corresponsabilità. Ma potrebbe far rimando alle istruzioni ricevute da Roma. Al fine di garantire il più assoluto riserbo la Congregazione vaticana per la fede dichiarò di propria esclusiva competenza tutti i casi importanti di reati sessuali ad opera di religiosi, così i casi relativi agli anni 1981-2005 finirono sulla scrivania dell´allora Prefetto, il Cardinal Ratzinger. Quest´ultimo inviò non più tardi del 18 maggio 2001 una missiva solenne sui gravi reati («Epistula de delictis gravioribus») a tutti i vescovi del mondo, ponendo i casi di abuso sotto segreto pontificio («secretum Pontificium»), la cui violazione è passibile di punizione ecclesiastica.
La Chiesa non dovrebbe quindi attendersi un «mea culpa» anche da parte del Papa, in collegialità con i vescovi? E, come ulteriore riparazione, che la regola del celibato, che non fu permesso mettere in discussione durante il concilio vaticano secondo, possa essere ora finalmente presa in esame liberamente e apertamente in seno alla chiesa. Con la stessa apertura con cui oggi finalmente si fanno i conti con i casi di abuso sessuale dovrebbe essere discussa anche quella che è una delle loro cause strutturali fondamentali, la regola del celibato. È questa la proposta che i vescovi dovrebbero avanzare senza timore e con forza a Papa Benedetto XVI.

Hans Kung
(traduzione di Emilia Benghi)

17/07/09

Il Papa è stato operato dopo la caduta - ora sta meglio.


Papa Benedetto XVI è stato dimesso nel pomeriggio dall'ospedale di Aosta, dopo un piccolo intervento chirurgico seguito alla frattura accidentale di un polso nella sua casa di vacanze. Lo riferiscono testimoni.

Il Pontefice era scivolato nella vasca da bagno.

"Il Santo Padre, cadendo accidentalmente nella sua residenza, ha riportato una frattura scomposta del polso destro", ha detto in una nota il professor Patrizio Polisca, medico personale del Pontefice.

"E' stato pertanto sottoposto ad un intervento di riduzione ed osteosintesi in anestesia locale con applicazione di tutore gessato", ha spiegato Polisca, precisando che le condizioni generali di Papa Ratzinger sono buone e che non è caduto a seguito di un malore.

Il Pontefice 82enne di origine tedesca, è entrato sulle sue gambe nella clinica della città di Aosta, dove si trovava in vacanza in uno chalet di Les Combes, per sottoporsi all'intervento durato 20 minuti, al termine del quale gli è stato applicato un gesso che -- come ha spiegato Polisca -- dovrà tenere per un mese.

Il Papa proseguirà comunque la sua vacanza, ha detto il medico. "L'intervento è finito, è andato bene. Stiamo predisponendo il suo ritorno a Les Combes", ha detto Augusto Rollandin, presidente della regione Valle D'Aosta. Turisti e fedeli in Vaticano hanno espresso preoccupazione per la salute del Pontefice, e il canadese Joey Shreider ha detto a Reuters Television: "Grazie a Dio non è niente di serio".

"Mi dispiace molto sapere che il Santo Padre si è fatto male, pregheremo per una sua rapida guarigione", ha detto l'arcivescovo irlandese Dermot Clifford, in visita alla Santa Sede.

fonte Reuters -


Altre notizie qui:


http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/italia/news/2009-07-17_117385973.html


http://www.agi.it/news/notizie/200907171530-cro-rt11138-papa_il_chirurgo_nessun_problema_funzionale


http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200907articoli/45607girata.asp


http://www.apcom.net/newspolitica/20090717_153401_2708841_66456.html


http://www.asca.it/news-PAPA__BOLLETTINO_MEDICO__DOPO_INTERVENTO_CONDIZIONI_GENERALI_BUONE-846754-ORA-.html