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28/03/20

L'integrale della Omelia pronunciata ieri dal Papa in Piazza San Pietro per l'emergenza da Coronavirus

pubblico qui di seguito il testo dell'Omelia pronunciata ieri sera dal Papa in Piazza San Pietro, nel Momento di Preghiera per l'emergenza del Coronavirus nel mondo, prima di concedere l'Indulgenza Plenaria

«Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.
È facile ritrovarci in questo racconto. Quello che risulta difficile è capire l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa, nella parte della barca che per prima va a fondo. E che cosa fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel Padre – è l’unica volta in cui nel Vangelo vediamo Gesù che dorme –. Quando poi viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v. 40).
Cerchiamo di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (v. 38). Non t’importa: pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro. Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.
La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.
Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermieri e infermiere, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.
Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale. Abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore. In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi. Il Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la grazia che ci abita. Non spegniamo la fiammella smorta (cfr Is 42,3), che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza.
Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità e di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Cari fratelli e sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non abbiate paura» (Mt 28,5). E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi” (cfr 1 Pt 5,7).

05/12/19

La Culla di Gesù torna a Betlemme - Storia di una reliquia antichissima.




Ha raggiunto Betlemme, in concomitanza con le celebrazioni per l'inizio dell'Avvento, la reliquia della Sacra Culla donata da papa Francesco alla Custodia di Terrasanta

Secondo la tradizione si tratta di assi di legno prese dalla mangiatoia che fece da culla al neonato Gesu', finora custodite nella Basilica romana di Santa Maria Maggiore tanto cara a Papa Bergoglio. 

Ultima tappa, la Chiesa francescana di Santa Caterina - riferisce Vatican News -, adiacente la Basilica della Nativita' a Betlemme. 

Si e' concluso qui, il viaggio della reliquia donata da san Sofronio, patriarca di Gerusalemme, a papa Teodoro I (642-649) e conservata finora in una cappella sotterranea della Basilica liberiana a Roma. 

Una piccola parte di quella che, secondo la tradizione, fu la mangiatoia di legno dove nacque il piccolo Gesu' e' tornata dunque attraverso il Mediterraneo al luogo natio, Betlemme, affidata ai frati minori della Custodia di Terra Santa. 

Tutto e' iniziato per volere del Papa, quando lo scorso 22 novembre, durante un rito presieduto a Roma dal cardinale Stanislaw Rylko, arciprete di Santa Maria Maggiore, alcuni incaricati dei Musei vaticani hanno aperto l'urna posta sull'altare della cappella ipogea dedicata alla Culla e hanno tratto un frammento inserendolo nel reliquiario.

Prima, l'arrivo a Gerusalemme, presso il Centro Notre Dame, accompagnato da una messa presieduta dal nunzio apostolico in Israele e Cipro, delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina monsignor Leopoldo Girelli, nella cappella intitolata a Nostra Signora della Pace, in cui anche i fedeli hanno potuto venerare la reliquia. 

Nel pomeriggio - secondo quanto riporta il sito della Custodia - i francescani hanno raggiunto il Centro Notre Dame per la consegna. Mons. Girelli ha tra l'altro dato lettura della lettera che il card. Rylko ha indirizzato al Custode di Terra Santa Francesco Patton, con la ricostruzione storica del valore del dono delle reliquie per la Basilica romana che papa Gregorio III fece Santuario, non solo della Madre di Dio ma anche della Nativita'. 

"Papa Francesco accompagna questo dono con la sua benedizione", recita la lettera, "e col fervido augurio che la venerazione di questa insigne reliquia apra il cuore di tanti uomini e donne, adulti e giovani, anziani e bambini, ad accogliere con rinnovato fervore di fede e di amore il mistero che ha cambiato il corso della storia". 

Il Papa augura, in particolare, "che il messaggio di pace annunciato dagli angeli la notte di Natale agli uomini amati da Dio, che da duemila anni risuona da Betlemme, porti il dono di pace e riconciliazione di cui il nostro mondo ha sempre grande bisogno". 

Dopo la lettura, la consegna della Reliquia al Padre Custode: "non ci limiteremo a Custodire questa Reliquia", ha detto, "ma faremo in modo che rappresenti la Chiesa in uscita e che essa porti la gioia del Vangelo, pellegrinando tra le varie comunita' cristiane di Terra Santa per ravvivare la fede in Gesu'". Poi il trasferimento in processione alla chiesa di San Salvatore, presso la sede centrale della Custodia di Terra Santa, per la celebrazione dei Vespri solenni.

10/06/16

Il ruolo decisivo di Maria Maddalena nel Cristianesimo, simbolo di tutte le donne. Finalmente una festa in suo onore nel Calendario Romano. (Lucetta Scaraffia)




Dalla "restituzione del posto" che a santa Maria Maddalena "spetta nella tradizione cristiana" da parte di Papa Francesco, che ha stabilito che dal 22 luglio di quest'anno la memoria liturgica di questa "apostola" sia elevata al grado di festa nel Calendario romano generale, "può finalmente partire il riconoscimento del ruolo delle donne nella Chiesa".

E' l'analisi di Lucetta Scaraffia sulla prima pagina dell'Osservatore Romano. 

"Da quasi duemila anni era sotto gli occhi di tutti la presenza decisiva davanti al sepolcro vuoto di Maria Maddalena, la prima a dare la buona notizia della resurrezione: proprio lei, una donna", scrive la storica. "Nessuno però sembrava essersene accorto veramente. Nei secoli si sono persino formate storielle misogine, come quella che Gesù fosse apparso innanzi tutto a una donna perché le donne chiacchierano di più e così la notizia si sarebbe diffusa più in fretta. Inoltre, alcuni autorevoli commentatori si erano domandati come mai il risorto avesse trascurato sua madre, giungendo perfino a immaginare un'apparizione a Maria prima dell'incontro con la Maddalena, in modo da ristabilire una gerarchia che si considerava alterata. 

Su Maria di Magdala, proprio per la sua evidente vicinanza con Gesù, erano sorte addirittura voci inquietanti, tanto da farla diventare simbolo della trasgressione sessuale, rilanciato da leggende tenaci, vive ancora oggi: molti ricordano la Maddalena del film di Martin Scorsese L'ultima tentazione di Cristo, e certo molti di più hanno letto Il codice da Vinci, best seller fondato proprio sul presunto segreto del matrimonio fra lei e Gesù". 

 "Tanto è stata lunga e difficile la strada che ha portato all'accettazione della verità, una verità semplice ma espressiva di un messaggio che molti non volevano ascoltare: e cioè che per Gesù le donne erano uguali agli uomini dal punto di vista spirituale, avevano lo stesso valore e le stesse capacità", scrive ancora l'editorialista dell'Osservatore Romano. 

"Per questo era così difficile ammettere che Maddalena era un'apostola, la prima fra gli apostoli a cui si è manifestato il Signore risorto. Per questo proprio da lei, cioè dalla restituzione del posto che le spetta nella tradizione cristiana, può finalmente partire il riconoscimento del ruolo delle donne nella Chiesa. Papa Francesco l'ha capito chiaramente, e ha avviato in questo modo un processo che non si potrà più fermare". 

Scaraffia conclude: "Grazie allora a Papa Francesco da parte di tutte le donne cristiane del mondo, perché con la creazione della nuova festa di santa Maria Maddalena rende loro merito".

La decisione del Pontefice vuole spingere la Chiesa a "riflettere in modo più profondo sulla dignità della donna, la nuova evangelizzazione e la grandezza del mistero della misericordia divina", si legge nell'apposito decreto in latino della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, pubblicato con la data del 3 giugno, solennità del Sacro Cuore di Gesù, e reso noto stamane. 

Nota "come colei che ha amato Cristo ed è stata molto amata da Cristo", definita da san Gregorio Magno "testimone della divina misericordia" e da san Tommaso d'Aquino "apostola degli apostoli", la Maddalena "può essere oggi compresa dai fedeli come paradigma del compito delle donne nella Chiesa"

Nel sottolinearlo il decreto mette in evidenza la volontà del Pontefice di proporre "più convenientemente" ai fedeli il suo esempio di "prima testimone ed evangelista della risurrezione del Signore".

in testa Maria Maddalena, Perugino, 1500.  

04/12/13

Papa Francesco - Non abbiate paura della tenerezza .




Ho curato per l'editore Newton Compton questo volume: Non abbiate paura della tenerezza, in uscita domani in tutte le librerie. 

E' una raccolta delle omelie di Papa Francesco dal giorno del suo insediamento al soglio pontificio.

Riporto qui la bandella:

Le parole del papa che sta cambiando la Chiesa di Roma A cura di Fabrizio Falconi È bastato poco perché papa Francesco diventasse popolare, e la chiave del suo successo è in buona misura legata alle sue omelie, spesso pronunciate a braccio. Omelie nelle quali il papa, con l’umiltà che lo contraddistingue, espone pensieri e concetti comprensibili a tutti: l’odio, l’invidia e la superbia sporcano la terra, la bontà e la tenerezza non devono fare paura. Se nel nostro cuore non albergano la misericordia e la gioia del perdono, non siamo in comunione con Dio. Osservare solo i precetti della Chiesa non basta: è l’amore che salva. Questo libro raccoglie le parole del papa dai giorni immediatamente successivi alla sua elezione al Soglio pontificio, fino a oggi. Una testimonianza diretta di un nuovo modo di intendere la missione che lo attende e di una diversa via per arrivare al cuore dei fedeli. Molte sono ormai, dopo neppure un anno di pontificato, le parole di papa Francesco che hanno fatto innamorare i fedeli di questo uomo semplice, profondo e vicino alle persone in modo toccante. Questo libro racconta, attraverso le sue omelie, qual è la strada che papa Francesco ci indica, quali siano gli insegnamenti da fare nostri in questo lungo e meraviglioso cammino che è la vita terrena.


11/11/13

Presentazione del nuovo libro di Fr. MichaelDavide Semeraro - con Massimo Cerofolini, Fabio Colagrande e Fabrizio Falconi.




E' un bellissimo libro, questo di Fr. MichaelDavide Semeraro, che spicca nel novero numerosissimo delle pubblicazioni sul Papa Francesco, spuntate ovunque in questi mesi.

Se vorrete, ne parleremo insieme,  Giovedì prossimo, come leggete nella locandina qui sopra.

F.

11/09/13

La Lettera del Papa Francesco, Jorge Mario Bergoglio a Eugenio Scalfari, pubblicata oggi su "Repubblica."

ecco il testo della Lettera che Jorge Mario Bergoglio ha inviato a Eugenio Scalfari, e che Repubblica pubblica oggi in prima pagina, sui temi della fede e della ragione.




PREGIATISSIMO Dottor Scalfari, è con viva cordialità che, sia pure solo a grandi linee, vorrei cercare con questa mia di rispondere alla lettera che, dalle pagine di Repubblica, mi ha voluto indirizzare il 7 luglio con una serie di sue personali riflessioni, che poi ha arricchito sulle pagine dello stesso quotidiano il 7 agosto.

La ringrazio, innanzi tutto, per l'attenzione con cui ha voluto leggere l'Enciclica Lumen fidei. Essa, infatti, nell'intenzione del mio amato Predecessore, Benedetto XVI, che l'ha concepita e in larga misura redatta, e dal quale, con gratitudine, l'ho ereditata, è diretta non solo a confermare nella fede in Gesù Cristo coloro che in essa già si riconoscono, ma anche a suscitare un dialogo sincero e rigoroso con chi, come Lei, si definisce "un non credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth". Mi pare dunque sia senz'altro positivo, non solo per noi singolarmente ma anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù. Penso vi siano, in particolare, due circostanze che rendono oggi doveroso e prezioso questo dialogo.

Esso, del resto, costituisce, come è noto, uno degli obiettivi principali del Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII, e del ministero dei Papi che, ciascuno con la sua sensibilità e il suo apporto, da allora sino ad oggi hanno camminato nel solco tracciato dal Concilio. La prima circostanza - come si richiama nelle pagine iniziali dell'Enciclica - deriva dal fatto che, lungo i secoli della modernità, si è assistito a un paradosso: la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell'uomo sin dall'inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d'ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d'impronta illuminista, dall'altra, si è giunti all'incomunicabilità. È venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro.

La seconda circostanza, per chi cerca di essere fedele al dono di seguire Gesù nella luce della fede, deriva dal fatto che questo dialogo non è un accessorio secondario dell'esistenza del credente: ne è invece un'espressione intima e indispensabile. Mi permetta di citarLe in proposito un'affermazione a mio avviso molto importante dell'Enciclica: poiché la verità testimoniata dalla fede è quella dell'amore - vi si sottolinea - "risulta chiaro che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l'altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall'irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti" (n. 34). È questo lo spirito che anima le parole che le scrivo.

La fede, per me, è nata dall'incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto e grazie a cui ho trovato l'accesso all'intelligenza della Sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso i Sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, immagine vera del Signore. Senza la Chiesa - mi creda - non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell'immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d'argilla della nostra umanità.

Ora, è appunto a partire di qui, da questa personale esperienza di fede vissuta nella Chiesa, che mi trovo a mio agio nell'ascoltare le sue domande e nel cercare, insieme con Lei, le strade lungo le quali possiamo, forse, cominciare a fare un tratto di cammino insieme. Mi perdoni se non seguo passo passo le argomentazioni da Lei proposte nell'editoriale del 7 luglio. Mi sembra più fruttuoso - o se non altro mi è più congeniale - andare in certo modo al cuore delle sue considerazioni. Non entro neppure nella modalità espositiva seguita dall'Enciclica, in cui Lei ravvisa la mancanza di una sezione dedicata specificamente all'esperienza storica di Gesù di Nazareth.

Osservo soltanto, per cominciare, che un'analisi del genere non è secondaria. Si tratta infatti, seguendo del resto la logica che guida lo snodarsi dell'Enciclica, di fermare l'attenzione sul significato di ciò che Gesù ha detto e ha fatto e così, in definitiva, su ciò che Gesù è stato ed è per noi. Le Lettere di Paolo e il Vangelo di Giovanni, a cui si fa particolare riferimento nell'Enciclica, sono costruiti, infatti, sul solido fondamento del ministero messianico di Gesù di Nazareth giunto al suo culmine risolutivo nella pasqua di morte e risurrezione.

Dunque, occorre confrontarsi con Gesù, direi, nella concretezza e ruvidezza della sua vicenda, così come ci è narrata soprattutto dal più antico dei Vangeli, quello di Marco. Si costata allora che lo "scandalo" che la parola e la prassi di Gesù provocano attorno a lui derivano dalla sua straordinaria "autorità": una parola, questa, attestata fin dal Vangelo di Marco, ma che non è facile rendere bene in italiano. La parola greca è "exousia", che alla lettera rimanda a ciò che "proviene dall'essere" che si è. Non si tratta di qualcosa di esteriore o di forzato, dunque, ma di qualcosa che emana da dentro e che si impone da sé. Gesù in effetti colpisce, spiazza, innova a partire - egli stesso lo dice - dal suo rapporto con Dio, chiamato familiarmente Abbà, il quale gli consegna questa "autorità" perché egli la spenda a favore degli uomini.

02/04/13

La Necropoli Vaticana - (Dieci Luoghi dell'Anima).


       


Ieri un Papa - Papa Francesco/Bergoglio - è per la prima volta sceso all'interno della Necropoli Vaticana, e ha sostato in preghiera di fronte alla tomba dell'apostolo Pietro, nel luogo dove - secondo le acquisizioni archeologiche di M.Guarducci e altri - sono custodite da due millenni le sue ossa.  Riporto qui un brano dal capitolo che ho dedicato alla Necropoli Vaticana nel volume 'Dieci Luoghi dell'Anima'  (Cantagalli - 2009).

  L’esperienza di discendere nella Necropoli, sotto la Basilica, è una esperienza raccomandabile se si vuole capire meglio l’origine della fede cattolica, proprio perché – come scriveva Maria Zambrano – Roma non è soltanto viva e divoratrice, a Roma i morti parlano.  Ma non è impresa facile: i recenti restauri e i continui scavi hanno indotto i responsabili della Fabbrica (di S.Pietro) a limitare gli accessi a un numero di persone al giorno che non supera le poche centinaia. E considerando che le richieste arrivano da tutto il mondo, può anche capitare di aspettare mesi e mesi, prima che si offra la possibilità di visitare il sotterraneo.
           Quando accade, si è accompagnati da una guida autorizzata e da un gruppo che non supera le venti unità.  Si accede al piano degli scavi da una entrata laterale, sul fianco sinistro della basilica, proprio di fronte alla lapide interrata che ricorda il luogo esatto dove si ergeva l’obelisco neroniano, prima dello spostamento cinquecentesco.
           Per entrare nel corpo della basilica si attraversa un pertugio che fora il muro perimetrale della basilica, spesso diversi metri.   Poi si scende una ripida scala, fino ad una doppia porta a vetri elettrica che mantiene sigillato l’ambiente della necropoli. 
           Uno alla volta, in fila indiana, si entra trovandosi subito di fronte il primo dei mausolei, quello degli Aebutii.
           A questo punto ci si trova a circa 9 metri al di sotto del pavimento della Basilica Odierna, e circa 4 metri sotto il piano delle Grotte Vaticane, che è ad esso sottostante. 
           La ricostruzione delle vicende storiche che portarono alla scoperta e alla restituzione della Necropoli è – come ho già scritto – appassionante, e composta di diverse fasi. Perché se è vero che l’impulso definitivo e sistematico agli scavi venne dato nel secolo scorso da Papa Pacelli, in realtà sondaggi estemporanei al di sotto della Basilica erano stati fatti più volte nel corso dei secoli, specialmente in occasione della costruzione della nuova Basilica nel Cinquecento, che sostituì quella costantiniana.
          E in una di queste perlustrazioni, attraverso di un buco grezzo nel pavimento delle Grotte, si era intravista proprio una porzione del Mausoleo M, quello di Maximus e di sua moglie Iulia.  
            Era esattamente il 1547. E si lavorava alla realizzazione di un piccolo portico davanti all’altare maggiore dell’antica San Pietro. Da un anno architetto della Basilica era stato nominato Michelangelo Buonarroti.
            Il primo ritrovamento del sepolcro degli Iulii avvenne per opera di Tiberio Alfarano, chierico beneficiario di San Pietro, di origini calabresi, archeologo, letterato ed architetto che in undici anni realizzò una monumentale opera, il De Basilicae Vaticanae antiquissima structura, dove con certosina passione annotò minuziosamente ogni arredo, epigrafe, lapide, fregio o iscrizione contenute all’interno della Basilica, accumulate nel corso di più di un millennio di vita.
           Alfarano, dunque,  descrisse anche cosa era stato ‘visto’, mentre si scavava per trarre la fondazione di quel portico: un antichissimo sepolcro, decorato riccamente, con una epigrafe sepolcrale – oggi purtroppo perduta – che doveva trovarsi sopra la porta d’ingresso, ed era appunto proprio quella che faceva menzione dei coniugi Iulii e del loro figlio prematuramente scomparso.
           Per giungere oggi al Mausoleo M, bisogna invece seguire il percorso indicato dalla guida, che si snoda lungo la fila dei sepolcri (ciascuno contrassegnato da una lettera dell’alfabeto) ancora oggi allineati, com’erano all’origine, prospicienti un antico vicus divisorio,  che doveva essere, all’epoca del suo interramento,  lungo centinaia di metri .
           E’ bene non dimenticare infatti, la guida lo ricorda ai visitatori, che la Necropoli oggi restituita alla luce, e quindi scavata,  è soltanto una piccola porzione di quella che esisteva fino al IV secolo dopo Cristo. Originariamente, i sepolcri correvano a valle, fin quasi al Tevere, e ancora oggi molto ci sarebbe da scavare, al di sotto dell’attuale Piazza San Pietro e  di Via della Conciliazione.
           Il Mausoleo M è, come detto, il più piccolo tra quelli visitabili, e per accedervi, o meglio, per poterlo osservare da vicino, i visitatori devono entrare uno alla volta in uno stretto cunicolo, dal soffitto assai basso, che termina davanti ad una vetrata.
           Si ha modo soltanto attraverso il cristallo protettivo di ammirare il minuscolo interno, a pianta quadrata, con la decorazione disposta su due ordini, com’era consuetudine di allora.


18/03/13

Papa Francesco - Intervista a Leonardo Boff: "Bergoglio, il vento della primavera che scioglie il freddo inverno della Chiesa."




Ha incontrato personalmente il cardinale Jorge Maria Bergoglio solo una volta negli anni ’70, durante un ritiro spirituale. Ma il brasiliano Leonardo Boff, tra i fondatori della Teologia della liberazione, ripone nel nuovo Papa molte speranze. Vede in lui il vento della «primavera» che scioglie il «freddo inverno della Chiesa». E la traghetta nel terzo millennio. «È sempre stato dalla parte dei poveri e degli oppressi, come noi teologi della liberazione». E questo gli basta. Del brand non si preoccupa, e non crede alla complicità con la dittatura militare. (*** Leonardo Boff, classe 1938, ex frate francescano ed ex presbitero brasiliano. Filosofo, teologo, e autore di più di 60 libri anche sui temi della spiritualità, dell’antropologia, dell’etica, dell’ecologia e della mistica (tradotti in tutto il mondo e premiati con numerosi riconoscimenti), è stato professore emerito di Etica, Filosofia della Religione e Ecologia alla Università dello stato di Rio de Janeiro. È ritenuto, insieme al peruviano Gustavo Gutiérrez, il fondatore della Teologia della Liberazione. Nel 1985 è stato condannato a un anno di silenzio da parte dell’ex Sant’Uffizio per le tesi espresse nel libro «Chiesa: carisma e potere» (Record edizioni). Negli anni ’80 ha cominciato ad approfondire la questione ecologica come un’estensione della Teologia della liberazione, e successivamente ha partecipato alla stesura della Carta della Terra con Gorbacev, Rockfeller e altri. È stato assessore nella presidenza dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel biennio 2008-2009, e attualmente partecipa al gruppo di riforma dell’Onu. In particolare sta lavorando alla Dichiarazione Universale del Bene Comune della Terra e dell’Umanità. Nipote di immigrati italiani venuti dal Veneto alla fine del XVIII secolo per installarsi nel Rio Grande do Sul, entrò nel 1959 nell’ordine dei frati francescani minori. Da sempre impegnato nelle comunità cristiane di base e vicino al movimento Sem Terra brasiliani. Attualmente vive con la sua compagna Marcia Maria Monteiro de Miranda (attivista per i diritti umani ed ecologista) e con i loro sei bambini adottati.)

Che uomo è Jorge Maria Bergoglio, e che Papa sarà Francesco I?

Per me l’importante adesso non è l’uomo ma la figura di una Papa che ha scelto di chiamarsi Francesco, che non è solo un nome ma un progetto di Chiesa. Un Chiesa povera, popolare, che chiama tutti gli esseri della natura con le dolci parole «fratello» e «sorella». 

Una Chiesa del Vangelo distante dal potere e vicina al popolo. Secondo lei il cardinale Bergoglio ha le carte giuste per portare questo rinnovamento nella Chiesa?

Francesco ricevette da San Damiano questo messaggio: ricostruire la Chiesa che è in rovina. Oggi siamo dentro un rigoroso inverno e lo stesso castello che gli ultimi due papi hanno creato è in rovina. E adesso un nuovo Papa arriva da fuori le mura di Roma, quasi dai confini del mondo, come dice egli stesso, esterno a quei circoli di potere. E credo che prima di tutto lavorerà internamente alla curia per riscattare la credibilità della Chiesa, macchiata dagli imbrogli, dagli scandali dei pedofili e della banca vaticana… E dopo farà un’apertura al mondo moderno, perché sia Benedetto XVI che Giovanni Paolo II hanno interrotto il dialogo con la modernità. Un errore rinunciare a capire e a dialogare con la cultura moderna. Diffamarla e considerarla puro relativismo e secolarismo, non riconoscerne i valori, è una blasfemia contro lo Spirito Santo. Gli uomini cercano una verità più ricca e più ampia di quella di cui la Chiesa crede di essere l’esclusiva portatrice. Piuttosto invece la sua è un’istanza di potere. Mentre il senso evangelico del papato è unire i fedeli cristiani nella fede, nel corso della storia invece si è creata una monarchia assolutista che pensa alle cose in una prospettiva giuridica. Questo Papa ha detto subito di voler presiedere la Chiesa nella carità. Questo è il senso della più vecchia tradizione, della funzione di Pietro. Penso che questo Papa sia il volto nuovo della Chiesa, umile e aperta, che può portare l’esperienza del “Grande Sud”, dove vive il 70% dei cattolici.

L’esperienza latinoamericana, in particolare?

La nostra non è più lo specchio della Chiesa europea. È una Chiesa fonte, che ha sviluppato un volto e una teologia proprie, una pastorale con radici nelle culture locali. Francesco I porterà questa vitalità nella Chiesa universale, per far finire l’inverno rigoroso ed entrare in una prospettiva di primavera. Bergoglio offre questa speranza, e la promessa che il papato può essere vissuto differentemente.

Negli anni ’70 il gesuita Bergoglio ebbe, secondo alcuni osservatori argentini, un atteggiamento controverso verso la dittatura militare. Ancora più condivisa l’opinione che lo vuole decisamente avverso alla Teologia della liberazione. Qual è il suo giudizio?

Recentemente Pérez Esquivel (premio Nobel per la Pace nel 1980, ndr) ha smentito che Bergoglio fosse complice della dittatura argentina spiegando che invece ha salvato tanti perseguitati dal regime militare. Quel che è certo è che ha sempre preso la posizione dei poveri e degli oppressi anche nel suo stile di vita: è una persona semplice che si sposta in autobus, che vive in un piccolo appartamento, cucina da solo… Viene dal popolo e lo si vede anche nella sua azione pastorale. Su youtube c’è un video bellissimo di Bergoglio che parla del debito che tutti abbiamo verso i poveri perché la diseguaglianza è frutto di una società anti-etica e anti-umana. E il marchio registrato della Teologia della liberazione è l’opzione verso i poveri e contro la povertà.


14/03/13

Diretta dal Conclave 10./ La novità grande di Bergoglio - Francesco.




E' una bella notizia, quella della elezione di Jorge Mario Bergoglio a 266mo pontefice. 

E' una bella notizia anche perché inaspettata. Ieri, quando è comparsa la fumata bianca, alle 19.10 dal comignolo della Sistina, tutti abbiamo pensato che il nome pronunciato dal Protodiacono dalla Loggia delle Benedizioni, sarebbe stato quello del Cardinale Angelo Scola. 


Non è stato così. Come è stato ricostruito oggi, Scola NON è entrato in Conclave con 50 voti già acquisiti come qualcuno - Il Corriere della Sera - aveva dichiarato, il giorno stesso dell'apertura della Sistina. 


Scola era fermo a 30-35. E probabilmente, anzi sicuramente, nei primi 3 scrutini NON è riuscito ad aggiungere voti.   Pesavano e pesano le divisioni degli Italiani e della Curia. 

Archiviata la candidatura di Scola, si è guardato oltreoceano. Sono stati soprattutto i porporati statunitensi a lanciare la proposta di Bergoglio.  Che ha riscosso l'immediato consenso dei sudamericani, ma anche di africani, asiatici e di una parte degli italiani. 

Così, il nome più inaspettato, è quello risultato vincente. 

Nessuno aveva pensato a Bergoglio, tra gli addetti ai lavori.  Troppo in là con l'età, bruciato nel Conclave precedente dal confronto con Ratzinger, gesuita (e nessun Papa era mai stato gesuita, prima di ieri, nella intiera storia della Chiesa) e unico gesuita in tutto il collegio cardinalizio. 

E invece, ogni pronostico è stato smentito. 

Bergoglio è una scelta felice.  Per diversi motivi. Consiglierei in queste ore di evitare il superficiale e inutile tiro al piccione che sempre si mette in moto ad elezione di Pontefice. Per Ratzinger c'era la sua divisa della Wehrmacht quando aveva 17 anni, per Bergoglio la sua presunta connivenza con il regime dittatoriale argentino. Le cose sono molto più complesse e consiglierei di documentarsi bene. 

Ciò che conta davvero è la portata del tutto innovativa di questo Pontificato, che si è percepita già, interamente, ieri, in quei 15 minuti nei quali Bergoglio è apparso per la prima volta con i paramenti papali. Semplicità, umiltà, franchezza.   Pochi gesti, però davvero rivoluzionari:  un Papa che chiede di essere benedetto dai fedeli prima di impartire la benedizione urbi et orbi ???   Un Papa che piega la testa davanti ai fedeli. Un Papa che resta in silenzio per 32 interminabili secondi, un Papa che recita semplicemente il pater noster insieme ai fedeli.  Un Papa che oggi nella prima messa del pontificato, in Cappella Sistina dice: "senza Gesù Cristo, saremmo semplicemente una ONG".

Presto si capirà la portata - per tutti, non soltanto per i credenti - di un Papa come questo, che si è scelto un nome impegnativo, anche se molto, molto semplice, ma che finora nessun erede di Pietro aveva opzionato: Francesco. 

Fabrizio Falconi