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21/09/11

Misericordia per tutti ?



La lettura dei brani evangelici è sempre frutto di scoperte, se soltanto si ha la pazienza e la disponibilità di ascolto.  Sempre, scopriamo cose illuminanti su di noi, e sul nostro destino.


Come ognuno sa, le parole dei Vangeli sono poi anche le più abusate e le più equivocate.

Ciascuno, nel corso dei secoli le ha interpretate.  E spesso anche per fini di comodo, come è ovvio.

E però ci sono cose che sono difficilmente interpretabili.

Le ultime due domeniche del tempo ordinario ci hanno sottoposto due parabole, enunciate da Gesù, che sono celebri e sono anche fonte di numerose intepretazioni.

Io credo però che certe volte basterebbe leggere con attenzione. Ascoltare e basta.

Quella di domenica scorsa è la parabola dei lavoratori della vigna. Quella che definisce l'assunto cristiano: gli ultimi saranno i primi.
Proviamo a rileggere.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi». (Mt 20,1-16)

Qui, la cosa che vorrei far notare è una, oltre al fatto indubitabile che Cristo indica un senso di giustizia molto diverso da quello degli uomini (chi arriva per ultimo ha le stesse chances di chi è arrivato per primo): e cioè che il presupposto per ottenere il denaro (la ricompensa) è LAVORARE PER LA VIGNA. Cioè, rispondere alla chiamata. Operare per aderirvi. Farlo sul serio.   Poi, dice Cristo, se lo si fa per una vita intera, o se lo si capisce alla fine, poco conta.  Ma non è che la porta è aperta a tutti, indistintamente. Se non si risponde alla chiamata, se non si PARTECIPA al lavoro, io credo sia molto chiaro, il denaro non arriverà. Questo è quel che dice la parabola, mi sembra.

La seconda lettura, sette giorni fa, presenta la parabola sulla restituzione del debito.  Anche qui, rileggiamo.

 In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». (Mt 18,21-35)

Anche qui, la cosa che mi preme mettere in luce, è che il racconto di questa parabola, se dobbiamo far credito alle parole di Cristo nel loro senso letterale, ci dice molto chiaramente che il Regno non è aperto a tutti. Una questione che sembra contrastare molto nettamente con una versione del cristianesimo assai edulcorato che oggi sembra aver preso piede (anche in ambienti ecclesiastici, anche nelle omelie sempre più tirate via che capita di ascoltare):   Cristo dice che se non si opera cristianamente, cioè come in questo caso, se si è duri di cuore, se nella vita ci si chiude avidamente agli altri, si è incapaci di perdonare il prossimo, di essere misericordiosi, NON CI SARA' NESSUNA misericordia.  Il Signore della parabola, non accoglie il servo 'traditore' dicendogli: "non ti preoccupare, tutto a posto, verrai perdonato."   Il padrone, quel padrone (che è il Signore) è invece durissimo:  il servo ingrato viene mandato nientemeno agli aguzzini, che dovranno estirpargli il credito ricevuto.  Se non fosse abbastanza chiaro, la parabola aggiunge a chiosa finale: Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello.


Ecco, questo è quel che dice Cristo.   Poi, certo, oggi a noi fa molto comodo credere e pensare altro. Ma questo, a me non sembra affatto rispecchiare il fondamento stesso della vita cristiana così come è stato enunciato dal suo Fondatore.

Fabrizio Falconi

19/11/08

Il Vangelo della Domenica - I Talenti.


Mt 25,14-30


Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».


La pagina del Vangelo di questa domenica ripropone una delle parabole più misteriose, più 'difficile', sul cui profondo significato si discute da sempre. Cosa è il talento a cui allude Gesù ? Cosa rappresenta ? Perchè il Padrone della Vigna è così severo ? Perchè non basta custodire il proprio talento e restituirlo intatto come lo si è ricevuto, per salvarsi ? Perchè invece si è condannati a una fine durissima per questo ?

Ciascuno è chiamato a dare una sua interpretazione, ciascuno è chiamato, come sempre a sentire che cosa la Parola di Gesù gli dice, cosa gli chiede.

Quel che a me oggi appare chiaro, dopo averci pensato per molto tempo, è che Gesù Cristo non ci chiede di 'conservare', non ci chiede di 'rinchiuderci', di 'sigillare', di 'mettere al sicuro', di 'nascondere le cose preziose.' Gesù Cristo, sembra dirci l'opposto: nella fede - ma è così anche nella Vita, certamente - è essenziale rischiare, mettersi in gioco, far fruttare, aprirsi.
E' solo così, sembra dirci, che il talento può avere significato e valore. E' solo aprendosi, o meglio AFFIDANDOSI - è questa la parola chiave che Gesù usa - che qualcosa cambia. E cambia per noi in meglio, per sempre.

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13/10/08

Il Vangelo della Domenica - L'abito nuziale.


Mt 22,1-14
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, rispondendo Gesù riprese a parlare in parabole ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo e disse: "Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze.

Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo,chi ai propri affari; altri presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.

Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti".


Il Re vuole un grande banchetto per le nozze di Suo figlio. Il re è gioioso, e vuole comunicare la sua gioia. Vuole una grande festa per tutti gli invitati.

Ma gli invitati che lui ha chiamato, non vengono. Rispondono al suo invito nel peggiore dei modi.

E il Re è piuttosto vendicativo. Ripaga quella gentaglia con la stessa moneta: hanno ucciso, li fa uccidere. Hanno distrutto, fa distruggere le loro città.

Ora il Re non fa più distinzioni: non cerca più 'invitati', ma si rivolge a tutti, a chiunque. Fa reclutare gli invitati per la strada, e non fa distinzioni: buoni o cattivi, purchè rispondano all'invito.

Vengono in tanti. Ma non tutti soddisfano quel minimo/massimo che il Re pretende: che almeno indossino l'abito nuziale !

Che significa 'abito nuziale' ? Significa che se si è invitati, e se si decide di andare ad una festa alla quale si è invitati, non vi si può presentare come se si passasse lì per caso. Bisogna 'pre-disporsi', 'pre-pararsi', 'pre-sentarsi.'

Bisogna cioè, fare qualcosa. Non si può solo aspettare passivamente la chiamata e presentarsi al banchetto per mangiare e bere allegramente.

Non sono eletti tutti coloro che sono chiamati. Lo stato di elezione - la partecipazione alla vera festa, nel vero modo - si materializza soltanto se si indossa l'abito giusto, il che vuol dire 'sentire' l'evento, parteciparvi fino in fondo, davvero. Essere nell'abito giusto, vuol dire, nella nostra vita di tutti i giorni, non dare sempre tutto per scontato, ma chiedersi, ogni volta, cosa è giusto, veramente, cosa ci viene richiesto veramente. Per essere parte della festa.