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05/04/22

Qual è il ruolo effettivamente avuto da Giuda Iscariota nella Passione e nella Morte di Gesù Cristo?


Da circa duemila anni teologi e filosofi disquisiscono su quale sia stato il ruolo effettivo avuto da Giuda l'apostolo Iscariota, nell'epilogo della Passione e nella morte di Gesù.

Il suo tradimento fu "opera del diavolo" come per secoli fu sostenuto oppure anche Giuda, dotato di libero arbitrio, scelse liberamente? Oppure il tradimento di Giuda fu "voluto" da Dio e Dio scelse Giuda dandogli questo ruolo, come a Maria conferì il ruolo di generare Gesù? Giuda tradì per troppo amore, perché amava troppo Cristo e lo aveva a tal punto idealizzato, aspettandosi che capeggiasse a fil di spada la rivolta contro gli invasori romani e quando non lo fece, decise di abbandonarlo (come sostiene una vulgata assai duratura che arriva fino a Jesus Christ Superstar)? Giuda non fu piuttosto "necessario" alla Passione e quindi non fece altro che "obbedire" a quanto gli fu chiesto da Cristo stesso, come raccontano i Vangeli gnostici (e in particolare Il Vangelo di Giuda)? In questo caso, sarebbe ben immeritato il ruolo riservato al "povero" Giuda da Dante nella Commedia.
Nel 1944 Jorge Luis Borges andò ancora oltre, nel racconto "Tre versioni di Giuda", nel quale espone le tesi di un fantasioso teologo, Nils Runenberg che adddirittura ipotizza una incarnazione di Dio proprio in Giuda (contemporanea a quella di Gesù? Alternativa? Non si comprende bene).
E' ovvio che il mistero di Giuda non verrà mai risolto. Il suo tradimento fu "così necessario?" Gesù Cristo non sarebbe stato comunque, in un modo o nell'altro, catturato e comunque eliminato fisicamente? Resta il suo ruolo sacrificale nell'economia della Passione: anche Giuda infatti muore, si suicida, e la sua morte favorisce (o accelera) in qualche modo quella di Gesù.
Gesù e Giuda sono legati, il bacio nell'Orto di Getsemani è il simbolo di ogni debolezza, di ogni dubbio, di ogni ambiguità umana. E' l'inadeguatezza dell'uomo dentro il piano di prospettiva divina, che solo la morte di un "dio fattosi uomo" può rovesciare.

Fabrizio Falconi - 2022

03/11/20

Libro del Giorno: "Le cose dell'amore" di Umberto Galimberti

 


Quando dico “ti amo” che cosa sto dicendo di preciso? E soprattutto, chi parla? Il mio desiderio, la mia idealizzazione, la mia dipendenza, il mio eccesso, la mia follia? Non c’è parola più equivoca di “amore” e più intrecciata a tutte quelle altre parole che, per la logica, sono la sua negazione.

Tutti, chi più chi meno, abbiamo fatto esperienza che l’amore si nutre di novità, mistero e pericolo e ha come suoi nemici il tempo, la quotidianità e la familiarità. Nasce dall’idealizzazione della persona amata di cui ci innamoriamo per un incantesimo della fantasia, ma poi il tempo, che gioca a favore della realtà, produce il disincanto e tramuta l’amore in un affetto privo di passione o nell’amarezza della disillusione.

Qui Freud ci pone una domanda: “Quanta felicità barattiamo in cambio della sicurezza?”.

Umberto Galimberti ci consegna un volume in cui l’acutezza del pensiero penetra i meandri del sentimento e del desiderio, registrando i mutamenti intervenuti nelle dinamiche dell’attrazione, nel patto con l’amato/a, nei percorsi del piacere (dall’onanismo alla perversione). Sullo sfondo si muove, come un fantasma, continuamente evocato e rimosso, quello che propriamente o impropriamente gli uomini non smettono di chiamare amore.

In 19 capitoletti di poche pagine - originariamente articoli apparsi su La Repubblica -  densissime, la parola amore viene declinata con parole-corrispettivo, in un range che ne scandaglia ogni risvolto:  Trascendenza; Sacralità; Sessualità; Perversione; Solitudine; Denaro; Desiderio; Idealizzazione; Seduzione; Pudore; Gelosia; Tradimento; Odio; Passione; Immedesimazione; Possesso; Matrimonio, Linguaggio; Folli






Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia (12)


 

Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia (12)

Ma Chateaubriand rispose che quella proposta aveva risvegliato in lui "dolorose memorie" e che purtroppo non poteva accettarla.
Disperata, sentendo venir meno la determinazione, Juliette lasciò Roma poco dopo Pasqua e arrivò a Parigi alla fine di maggio.
Pochi giorni dopo il suo arrivo, Chateaubriand andò a farle visita nel piccolo appartamento all'Abbaye-aux-bois. Fu un incontro decisivo.
Non si vedevano da circa 20 mesi, tutti e due erano notevolmente invecchiati e dovevano essere pieni di timori. E secondo le testimonianze, non una parola di rimprovero comunque fu pronunciata da nessuno dei due.
Questo è molto credibile. Juliette aveva sempre avuto il dono di riuscire a trasformare in amicizia l'altrui desiderio e ora, rassegnandosi alla delusione permanente, si rese conto di dover applicare lo splendido incantesimo a se stessa.
Poteva essere per lui una cara amica, fargli da confidente, essere un'ame-soeur, ma nulla più: essere qualcosa di più era impossibile.
In quanto a Chateaubriand possiamo congetturare che il suo cuore fosse turbato dalla donna contenuta che gli stava davanti. Perché Juliette era ormai divenuta quello che lui amava e aveva sempre amato di più: era diventata un rudere, una rovina.
La loro vita insieme assunse dunque la sua ultima e mitica forma.
Nel frattempo Juliette era rimasta in ottimi rapporti col marito, Jacque Récamier; egli morì nel 1830, con gran dolore di lei.
Chateaubriand continuava ad andare da lei tutti i giorni alle due e mezza per prendere il tè insieme. E nel tardo pomeriggio se ne andava per cenare con la moglie.
Solo una volta Chateaubriand e Juliette furono insieme fuori di lì, il che avvenne durante l'estate del 1832 quando, all'inizio della grande epidemia di colera che si stava diffondendo per tutta Parigi, si accordano per incontrarsi in Svizzera.
(12 - segue)

Fonte: Dan Hofstadter - La storia d'amore come opera d'arte

18/10/20

Juliette Récamier, la donna più bella di Francia (3)


 Juliette Récamier, la donna più bella di Francia - 3

Il primo ammiratore degno di nota di Juliette fu Jean-Francois de La Harpe, un ometto deforme, combattivo, non più giovane, che era stato uno dei protetti di Voltaire.
Juliette benché attratta dalla sua fama e intelligenza, non sapeva nulla del suo passato movimentato. In sua presenza La Harpe faceva lo stupido in modo spettacolare e Juliette rideva di lui allegramente e non certo beffardamente. Questo era uno dei suoi doni: prendere in giro le persone senza ferirle, farle sentire onorate di farla sorridere.
Il successivo uomo che si infatuò di lei fu il giovane Lucien Bonaparte, l'imbarazzante fratello minore di Napoleone che per un anno le scrisse lettere d'amore in stile affettato, copiato dallo stile dei romanzi di Madame de La Fayette.
Al suo corteggiamento Juliette rispose in un modo classico che non ammetteva repliche - mostrò le lettere al marito.
Poi Juliette incontrò Adrien de Montmorency che era alto, biondo affabile - il fiore di una antica e nobile famiglia dell'Ile de France.
Adrien sembrava abile, assolutamente equilibrato: era reticente, ma con grazia.; eloquente e tuttavia in modo salottiero e beneducato.
Presto si sentì attratto da Juliette e la sua conversazione cominciò a presupporre un'intimità.
La coppia era sospesa in quella che la donna percepiva come "una gradevole mezza-luce" e Juliette si aspettava di innamorarsi di lui. Il che non accadde.
"Mi sarebbe piaciuta più passione", ammise più tardi, "Qualche scaramuccia sarebbe stata utile."
Il corteggiamento scemò, ma i due sarebbero rimasti sempre buoni amici.
Solo una volta Juliette arrivò quasi a concedersi a un uomo: accadde a Coppet, nel 1807 (Juliette aveva 30 anni), quando fu presentata al Principe Augusto di Prussia, un focoso nipote di Federico il Grande che la portava in barca a remi per il lago di Ginevra e la corteggiava con tutta la turbolenza di cui Juliette aveva letto nei romanzi.
3. - segue

fonte: Dan Hofstadter - La storia d'amore come opera d'arte

08/10/18

Quanto amore c'è in una passione ? Umberto Galimberti.




Il matrimonio è l'impresa più difficile che si possa intraprendere, perché in ciascuno di noi c'è un conflitto tra il nostro bisognodi "individuazione" e il nostro bisogno di "coesione", che sono tra loro in un rapporto inversamente proporzionale, perché a un aumento di individuazione corrisponde una diminuzione di coesione e viceversa. 

Se il bisogno di individuazione raggiunge una sua maturità e si emancipa dal tratto infantile di chi vuol essere semplicemente diverso dagli altri fino al punto di assumere un atteggiamento reattivo nei confronti degli altri, e se il bisogno di coesione compie lo stesso processo di maturazione, emancipandosi dal bisogno simbiotico con l'altro che ricalca il rapporto infantile che ciascuno di noi ha avuto con la madre, allora ci sono le condizioni per un felice matrimonio e una sua lunga durata, garantita dal fatto che ciascuno dei due ha bisogno dell'altro per lo sviluppo delle rispettive potenzialità. 

Tutti capiscono che una condizione del genere è un'opera d'arte.

E non tutti siamo artisti, anche se non sarebbe male che ciascuno, prima di unirsi in matrimonio, esaminasse con cura di che natura è il suo bisogno di individuazione e il suo bisogno di coesione. 

A differenza che in passato quando la famiglia, le condizioni di ceto o di classe, le condizioni economiche, le leggi dello Stato, le norme del diritto, i precetti della Chiesa avevano una notevole influenza sulla scelta matrimoniale, oggi questa scelta è del tutto individuale, come se l'amore, rispetto a tutte le leggi che governano la nostra quotidianità, reclamasse una sua assoluta autonomia e non riconoscesse altra autorità che non sia la propria decisione soggettiva. 

Ma se le cose stanno così, allora quell'esaminare se stessi prima di inaugurare una vita in comune con un'altra persona assume una rilevanza ancora maggiore. Soprattutto se questo essere padroni assoluti della propria scelta si vincola all'essere padroni assoluti della propria felicità. 

In questo caso se la felicità è misurata esclusivamente sull'intensità della passione (e questo non è difficile da riconoscere), allora è ovvio che il matrimonio, oltre a non prevederlo come una scelta irrevocabile, diventa come scriveva Tolstoj "un inferno". 

Ma la passione è l'unico modo in cui si può declinare l'amore?

La passione come diceva Stendhal "non è cieca, è visionaria". E di visione in visione si può arrivare anche all'allucinazione. E' vero che senza idealizzazione non nasce nessun amore, ma non dobbiamo dimenticare che la passione ci rende passivi, perché è lei a condurci in quella condizione caratterizzata dal "patire l'altro", mentre l'amore non si accontenta di "patire" perché vuole agire, e perciò col tempo rifiuta di declinarsi sul solo versante della passione, trascinato dalla discontinuità delle sue oscillazioni. 

E rifiutandosi di subire, l'amore crea, come un artista, la sua opera d'arte. 

Se poi l'opera d'arte non riesce e la relazione si chiude, ascoltiamo i consigli di James Hillman che ci invita ad evitare la vendetta che è una risposta emotiva che non emancipa la coscienza, a non cadere nel cinismo che nega il valore dell'altro che un tempo avevamo sopravvalutato, e ci induce a concludere che i grandi amori sono per gli ingenui.  Non ridicolizziamo i sentimenti più profondi per evitare di vergognarci di averli un giorno provati.  Ed evitiamo infine di diventare paranoici pretendendo da un nuovo amore che dovesse sorgere, prove di devozione, giuramenti di mantenere la promessa, dichiarazioni di fedeltà eterna. 

La fedeltà in sé non è un valore.

Un valore è l'amore, perché quando si è innamorati non c'è bisogno di imporsi alcuna forma di fedeltà.

Umberto Galimberti, da Lettere a Galimberti, D di La Repubblica 29 settembre 2018, p. 126

14/04/17

Hannah Arendt, Etty Hillesum, le Donne protagoniste della Via Crucis stasera al Colosseo.




Venerdì santo il Papa, come ogni anno, dopo aver assistito a San Pietro alla celebrazione della Passione del Signore, presiede a partire dalle 21.15 la Via crucis al Colosseo. 

Francesco ha voluto affidare le meditazioni alla biblista francese Anne-Marie Pelletier, laica, che nel testo, pubblicato dalla Libreria editrice vaticana (Lev), ha incentrato la sua riflessione sulle donne di tutti i tempi, il loro pianto "in un mondo in cui c`è molto da piangere", figure come Hanna Arendt e la "banalità del male", Etty Hillesum che "difese fino all'ultimo la bontà della vita" nell'inferno "che sommerge il mondo" con il nazismo. 

Un testo nel quale, tra l'altro, si fa autocritica per l'antisemitismo di matrice cristiana: "Davanti a Gesù consegnato e condannato, noi non sappiamo fare altro che discolparci e accusare gli altri. Per tanto tempo noi cristiani abbiamo addossato al tuo popolo Israele il peso della tua condanna a morte. Per tanto tempo abbiamo ignorato che dovevamo riconoscerci tutti complici nel peccato, per essere tutti salvati dal sangue di Gesù crocifisso. Donaci di riconoscere nel tuo Figlio l`Innocente, l`unico di tutta la storia".

fonte Askanews

13/08/13

Folgoranti citazioni dal "Dell'amore" di Stendhal.






Niente è interessante quanto la passione, perché tutto è imprevisto, e colui che agisce è anche quello che subisce. Niente è piatto, quanto l'amore-gusto dove tutto è calcolo come in tutti gli affari prosaici della vita.
(p.201)

A Roma, a causa del poco interesse degli avvenimenti di ogni giorno, a causa del sonno della vita esterna, la sensibilità si accumula a favore delle passioni.
(p.122)

ciò che è accidentale fa molto in amore.
(p.260)

Non si può arrestare l'amore se non agli inizi. 
(p.107)

si è quel che si può, ma si sente quello che si è.
(p.80)

a meno che non si tratti di una passione nata poco a poco e nella prima giovinezza, una donna di spirito non ama mai a lungo un uomo comune.
(p.87)

ci sono due disgrazie al mondo: quella della passione contrastata e quella del vuoto assoluto.
(pag.70)

citazioni tratte da Stendhal, Dell'amore, ediz. Garzanti, 1982, traduz. Maddalena Bertelà.