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12/11/15

Oltre la Mente - La vita a scartamento ridotto.





Due cose realizzano la vita: la consapevolezza e la pienezza. 

Si possono vivere grandi emozioni, grandi sensazioni (ancora più epidermiche), ma se non si è consapevoli di ciò che (si) vive, tutto scorre senza lasciare traccia, tutt'al più pallidi ricordi. 

Ciò avviene perfino per le sofferenze.  Nella nostra vita ce ne sono di molte inautentiche. Crediamo di star male per quel motivo, molto spesso banale. Invece l'origine del malessere è di tutt'altra natura.  Le sofferenze inautentiche infatti, sono definite da Carl Gustav Jung, come nevrosi. 

Anche discernere una vera sofferenza, dunque, si può fare soltanto se si è consapevoli di essa.  Di cosa è che la fa scaturire, di cosa e perché (ci) provoca quella reazione. 

Allo stesso modo avviene con la pienezza.  Sono molti gli stati d'animo della vita, che rimangono tali. Sono stati dell'animo, appunto.  Che vanno e vengono, che piegano a sinistra e a destra la bandierina della nostra anima, come fa la rosa dei venti. 

Ma noi non siamo (solo) stati d'animo.  L'essere umano è fatto di ben altra profondità, che lo rende grave nella sua condizione terrestre, ovvero pesante, radicato al suolo, bisognoso di trovare (e di rendere consapevoli) le sue radici. 

In questo senso, la pienezza è qualcosa che trascende la vita, rendendola degna di essere vissuta, e non soltanto attraversata. Più leggo i pessimisti, più amo la vita, scriveva Cioran (in Lacrime e santi). E se c'è uno che si intende di pessimismo, questo è lui. 

Questo amore per la vita, per la follia della vita, per la imprevedibilità della vita, per la sua forza trascinante è appunto la pienezza.   Anche la sofferenza contribuisce a questo.  La sofferenza, scrive anzi Dostoevskij, è la causa unica e sola della coscienza. 

Ed è molto velleitario pensare di poter raggiungere la pienezza della vita, senza conoscere la (vera) sofferenza.  La sofferenza, anzi, è la stessa misura della pienezza. Come una cartina di tornasole, infatti, la sofferenza rende vero, per contrasto, il piacere, rende vero, per contrasto, lo stare bene, il sentirsi in sintonia con l'onda della vita. 

Senza sofferenza, senza autenticità, e quindi senza consapevolezza e senza pienezza, si vivono vite a scartamento ridotto.  Si vive funzionando, come una macchina, un puro corpo biologico. 

Su questo binario a scartamento ridotto, il panorama è monotono, è sempre uguale: quel che vediamo scorrere dal finestrino, non ci appassiona e non ci scuote. Ci lascia indifferenti. 

Per questo bisogna avere il coraggio di scegliere il binario più veloce, quello che rischia di scaraventarti fuori e di perderti, ma che scuote e incoraggia, dispone prove e concede la forza per superarle. 


Fabrizio Falconi
(C) -2015 riproduzione riservata.
foto in testa dell'autore


25/02/15

Quel che resta del giorno.




Intervistato subito dopo aver ricevuto il Premio Oscar 2015 per la regia per il film Birdman, il regista Alejandro Gonzalez Inarritu alla domanda:  "Cosa rappresenta questo Oscar nella sua carriera? " ha risposto: Io non ho una carriera, ho una vita. E cerco di viverla pienamente, felicemente, intensamente.

E' una risposta esemplare, su cui bisognerebbe meditare. 

Uno dei più grandi titoli di romanzi degli ultimi anni è Quel che resta del giorno (è il noto libro dello scrittore giapponese naturalizzato inglese Kazuo Ishiguro, adattato a sua volta a film da James Ivory nel 1993).

Già: cosa resta del giorno, al termine delle nostre infaticabili giornate ?

La vita piena, felice o intensa, come quella che descrive Inarritu come orizzonte, non è data, non è il prodotto delle cose che si aggiungono alla propria vita (la carriera, in questo caso, i riconoscimenti, i premi, le incombenze, le attività, gli impegni). 

Non funziona così, anche se quasi sempre per combattere l'horror vacui ci illudiamo che sia così. 

E' in quel che resta del giorno (dopo tutto quello che nel giorno facciamo, occupiamo quasi militarmente) che è il senso. 

In quel vuoto che lasciamo, in quello spazio che facciamo, scorre la nostra vita interiore e ogni cosa importante. 

Una bottiglia piena non può contenere nulla. 

Solo un recipiente vuoto può ospitare.. quel che resta del giorno. 


Fabrizio Falconi -  (C) riproduzione riservata - 2015.


11/12/14

Eccoci, soli nel mondo (ce l'abbiamo fatta, io e te).





Il vento è leggero e freddo.

La neve ti spolvera il viso. Ce l'abbiamo fatta, io e te.  Eccoci, soli nel mondo.
Non avremmo del resto, bisogno di nient'altro adesso.

Il sole è sceso rapido e silenzioso, teatrale ci ha invitato a rallentare ogni gesto.  Tutto sembrava così difficile.  La montagna non sembrava aggirabile. Il valico era impervio. Il ghiaccio crudele.

Ce l'abbiamo fatta, io e te.
Eccoci soli nel mondo.

La fatica di esserci arrivati sarà ripagata da una lunga veglia friabile, fatta dai tuoi gesti e dai miei, al lume delle candele.  Sussurreranno adesso le nostre voci, rimarrà flebile il respiro, sospeso, e poi sarà libero, e per sempre come questa nostra doppia anima che s'era spersa per il mondo senza un motivo e ora è riunita nella perfezione del cerchio.

Liberi come siamo, come ogni cosa deve essere.

Liberi d'essere uno, per sempre. liberi di trovarci ogni volta.  La mia cura silenziosa, il tuo sorriso lento e pieno, senza ombre.

Le ombre giocano con noi, tutto il cielo diventa un immenso mare di delizie.  Quello che era stato promesso, esiste. Quello che ci eravamo promessi, esiste.


Fabrizio Falconi

17/09/11

RI-COMINCIARE. Da dove ? (12 cose da cui ripartire): 10. TEMPITERNITA'




Non aspetterò che la felicità scenda di me come una epifania o come una grazia inaspettata.

Soprattutto non farò in modo di pensare che solo creando certe condizioni, la mia felicità potrà arrivare in questa vita.

 Non farò l’errore di pensare che soltanto trovando la persona giusta, il modo giusto, il denaro giusto, la casa giusta, il lavoro giusto, io potrò finalmente essere felice.

E’ un modo naturale di pensare, ma porta fuori strada.

E’ un modo di proiettare la felicità fuori di me. Di farla dipendere unicamente da cause oggettive, come un bimbo che vuole o pretende uno zuccherino. E' anche l'alibi mediante il quale io potrò continuare a lamentarmi sempre, nella mia vita: "non ho quel che voglio, non è quel che voglio".

La felicità non è questo. 

La felicità raggiunta in questo modo, evapora come la nebbia al sole appena raggiunta.

L’unica felicità che conti, dovrò ricordarlo, è quella che deriva dalla pienezza. Pienezza interiore, non esteriore. Noi non siamo otri che debbano essere riempiti. Siamo già riempiti, e lo siamo sin dall’inizio.

La felicità che deriva dalla consapevolezza di sé, e dalla pienezza, è reale e concreta, e finalizza il senso della vita, lo rende tangibile e prezioso oltre che durevole, ci avvicina a un tempo eterno.

Si tratta allora di scoprire la felicità che si nasconde – eternizzata – in un solo attimo.

Magari apparentemente insignificante della nostra vita.

Se sarò capace di riconoscere in quell’attimo, la sospensione esatta e in perfetto equilibrio tra ogni aspettativa futura e ogni rimpianto passato, io sarò realmente felice.

Come scrisse il grande Raimon Panikkar, La realtà non si esaurisce nella temporalità; non è ora temporale e dopo eterna, ma al contempo tempiterna. L’esperienza di tempiternità è vivere il presente come esperienza intensa dell’istante senza riferimento al passato che fu o al futuro che sarà. E’ il presente sempiterno nel quale si realizza un’azione veramente tale, ovvero autentica e, quindi, unica.

Fabrizio Falconi