Visualizzazione post con etichetta pierre hadot. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta pierre hadot. Mostra tutti i post

30/10/16

Pierre Hadot, "La filosofia come modo di vivere" (Recensione).



Pierre Hadot (1922-2010), uno dei filosofi più importanti del Novecento, è soltanto un ragazzo quando il cielo stellato gli regala un'esperienza indimenticabile, in cui più tardi riconosce ciò che lo scrittore e drammaturgo Romain Rolland chiama "il sentimento oceanico".

Comincia da quel punto una parabola di vita straordinaria: i tempi della guerra nella Francia occupata dai nazisti, l'avvicinamento alla Fede e l'ordinazione come sacerdote dopo i lunghi anni passati in seminario, il dopoguerra, l'allontanamento dalla fede, lo sviluppo dello studio filosofico fino a giungere ai massimi livelli nei riconoscimenti delle massime accademie non solo di Francia.  

Ma per Hadot la filosofia non è - e non è mai stata - soltanto una disciplina intellettuale. La filosofia è invece esperienza vissuta. E anche i discorsi filosofici degli antichi sono "esercizi spirituali"  che non mirano a informare, ma a "formare", cioè a formare noi stessi.  

E quindi filosofare vuol dire "esercitarsi a morire", non nel senso di praticare un mero e semplice memento mori, ma invece esercitandosi a vivere con piena lucidità, staccandosi dal proprio io per aprirsi ad una prospettiva universale, con un itinerario di saggezza e di consapevolezza personale.

Questo libro è, per questi motivi, molto importante.  

Si tratta di una lunghissima intervista a tre voci - Jeannie Carlier, Arnold I. Davidson e lo stesso Hadot - che consentono al maestro francese di ripercorrere l'intero suo percorso di vita, e riannodare i fili di una esperienza umana, prima che filosofica, in grado di risalire agli insegnamenti delle grandi scuole della tradizione greca - stoicismo ed epicureismo in primis - fino all'esperienza delle grandi menti dell'ottocento e novecento, da Nietzsche a Wittgenstein, di cui Hadot è stato uno dei primi a studiare e a rendere pubblica l'opera.

Hadot propugna - e mette in pratica nella sua vita - una conversione completa della nostra relazione con il tempo: Vivere solo nel momento in cui viviamo, cioè il presente, non vivere nel futuro, ma invece come se non ci fosse un futuro, come se avessimo solo questa giornata e cercando di vivere nel miglior modo possibile.

Vivere è la più nobile delle occupazioni, come scriveva Montaigne (altro punto di riferimento continuo di Hadot). 

Ed è l'istante presente - come diceva Marco Aurelio - a metterci in contatto con il cosmo nella sua totalità. A ogni istante posso pensare all'indicibile evento cosmico di cui faccio parte.

Una elevazione del pensiero - o come si diceva anticamente il punto di vista di Sirio - che consente di sollevare lo sguardo dagli affanni del presente e percepire la propria presenza nel mondo, nel mistero del mondo, in tutta la sua grandezza. E' questo, il sentimento oceanico. 

Sforzarsi di vedere il mondo come se lo si vedesse per la prima volta, con quello stupore di cui parla Seneca quando tutto appare nuovo, lo splendore del mondo che usualmente ci sfugge.

Il mondo è forse splendido, spesso atroce, ma soprattutto enigmatico. E questo carattere enigmatico è, secondo Goethe - la parte migliore dell'uomo, essendo una intensificazione della coscienza che abbiamo del mondo.

Wittgenstein scriveva proprio questo, della sua esperienza di meravigliarsi per l'esistenza del mondo, dicendo: è l'esperienza di vedere il mondo come un miracolo. 

La vera filosofia è questo, dunque. Teoria di pratiche esistenziali, che servono a vivere, a vivere meglio. In modo più consapevole e costruttivo.  Come Pierre Hadot ha saputo fare, e come ci ha trasmesso, nella sua grande lezione di vita.

Fabrizio Falconi

01/10/16

L'unica felicità possibile è nel presente - La Musica Brasiliana (Roberta Sà, Chico Buarque e il Samba).



L'unica felicità possibile è nel presente. 

Espressione di saggezza. Come sostiene Pierre Hadot, se si rincorre il passato, se si pensa di trovare la felicità nel passato, si è destinati all'infelicità; allo stesso modo se si insegue il sogno di una felicità futura, significa che si è infelici e quel sogno e quella possibilità sono continuamente spostati oltre, in un'altra dimensione. 

Non esiste al mondo musica più adatta ad esprime questo concetto che quella tradizionale brasiliana.

Quando ho visitato quel paese, in un lungo viaggio, ho capito come nella storia di quel paese - per molti motivi antropologici e perfino climatici - si è inscritto nei geni l'amore per la vita com'è

L'amore cioè per il tempo presente, per la vita che si vive momento per momento, per la meraviglia continua di essere partecipi di questo miracolo che scorre. 

Il Brasile di oggi certo è un paese ormai  civilizzato e globalizzato con mille problemi. E la vita delle persone è durissima come altrove.  Ma questo senso ancestrale è rimasto nella tradizione musicale. 

Lo si percepisce nei due minuti di video in testa un duetto tra Roberta Sà, una delle più dotate cantanti-autrici della nuova generazione e il maestro Chico Buarque de Hollande.

Un duetto vissuto soprattutto nella complicità degli sguardi (cui partecipa anche il chitarrista accompagnatore): sguardi pieni di gioia, luminosità, gioco seduttivo. 

Il Samba è la più completa espressione di questa joie de vivre: l'eterno Samba, che è lo spirito autentico della musica brasiliana.  Al Samba qualche tempo fa David Byrne ha dedicato una collezione di brani tradizionali al Samba degli anni '60 '70 e '80. 

Ripropongo qui una di queste meravigliose, semplici canzoni. Ascoltatela. C'è dentro tutta la felicità del presente, l'unica possibile in questa vita.

Fabrizio Falconi