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19/10/22

Oggi, 19 ottobre, nasceva il grande Vinicius De Moraes: il racconto di quando la dittatura lo mise alle porte

 


Ricorre oggi l'anniversario della nascita del grande Vinicius de Moraes, nato a Rio de Janeiro il 19 ottobre 1913. 

Il grande poeta e musicista brasiliano ebbe - come molto colleghi all'epoca, compresi i "tropicalisti" Gilberto Gil, Caetano Veloso, Chico Buarque de Hollanda - molti problemi con la dittatura militare. tra gli anni '60 e '70. 

Nel 1968, Vinicius de Moraes partecipò a spettacoli a Lisbona, in compagnia di Chico Buarque e Nara Leão. In seguito, invitato dal critico Ricardo Cravo Albin, Vinicius fece una dichiarazione storica al Museu da Imagem e do Som (dove era membro del Consiglio Superiore del MPB). Ma quell'anno segnò la fine della sua carriera diplomatica.

Dopo 26 anni di servizio al MRE, il Ministero delle Relazioni Esterne, Vinicius fu mandato in pensione con la legge istituzionale n. 5, creata dalla dittatura militare brasiliana, un fatto che lo ha ferì profondamente. 

Il giorno della pubblicazione dell'atto, Vinicius si trovava in Portogallo per un concerto con Baden Powell. Venne a conoscenza del provvedimento grazie ai giornalisti che lo stavano cercando per un commento dopo pranzo, quando Vinicius amava fare un sonnellino. 

Di fronte al nuovo paradigma che si stava installando in patria, Vinicius pensò di esiliarsi, di suicidarsi o di contattare i colleghi di Rio. 

Nell'esibizione successiva con Baden, Vinicius recitò la sua poesia "Minha pátria" mentre il suo partner strimpellava l'inno nazionale brasiliano alla chitarra.

Dopo questa rappresentazione, gli studenti salazaristi (seguaci del dittatore portoghese Salazar) si affollarono alla porta del teatro per protestare contro il poeta. 

Avvertito di ciò e consigliato di uscire dal retro del teatro, il poeta preferì affrontare le proteste e, in piedi davanti ai manifestanti, iniziò a recitare "Poética I" ("De manhã escureço/De dia tardo/De tarde anoiteço/De noite ardo"). 

Poi successe qualcosa di incredibile: uno dei giovani si tolse il mantello accademico e lo appoggiò a terra, in modo che Vinicius potesse passarci sopra - un gesto imitato dagli altri studenti e che, in Portogallo, è una forma tradizionale di omaggio accademico. 

Secondo un'intervista pubblicata da Veja il 12 gennaio 2000, l'ex presidente João Figueiredo ha spiegato le vere ragioni dell'allontanamento del poeta dall'Itamaraty: "Dice addirittura che molte persone dell'Itamaraty sono state allontanate per corruzione o pederastia. È vero. Ma nel suo caso si trattava di vagabondaggio. Ero il capo dell'Agenzia Centrale del Servizio e ricevevamo continuamente segnalazioni che lui, in servizio al consolato brasiliano di Montevideo, che guadagnava 6.000 dollari al mese, non si faceva vedere da tre mesi. Abbiamo consultato il Ministero degli Affari Esteri, che ha confermato l'accusa. Abbiamo controllato e abbiamo scoperto che non ha lasciato i bar di Rio de Janeiro, suonando la chitarra, esibendosi, con un bicchiere di whisky al suo fianco. Non abbiamo battuto ciglio. Mettiamo le cose in chiaro. Il promemoria diceva infatti "licenziate quel barbone". Tuttavia, i militari riconobbero il valore del suo lavoro e non menzionarono nemmeno le sue posizioni politiche nel documento.

La sua riabilitazione al corpo diplomatico brasiliano è avvenuta solo trent'anni dopo la sua morte, grazie alla legge 12 265 del 21 giugno 2010.

In una cerimonia a Palazzo Itamaraty, Vinicius de Moraes è stato elevato al rango di ministro di prima classe, una posizione spesso associata a quella di ambasciatore.




04/03/22

Come nacque il meraviglioso discorso di Chaplin nel "Grande Dittatore" ?


Specialmente in questi tempi di ansia e di guerra, torna alla mente il monologo finale del Grande Dittatore, uno dei più famosi monologhi cinematografici di sempre, nel capolavoro scritto, diretto, prodotto e interpretato da Charlie Chaplin. 

Come si sa, uscito negli Stati Uniti nel 1940, dunque all'inizio della Seconda Guerra Mondiale, il film rappresenta una geniale parodia dei regimi nazi-fascisti che a quel tempo imperversavano in Europa, mettendo alla berlina i dittatori e i loro aiutanti  di quel tempo, da Hitler a Mussolini, da Goebbels a Goering. 

Si tratta del primo lungometraggio interamente parlato di Chaplin: il regista sapeva che far parlare il suo personaggio più famoso, Charlot, avrebbe potuto snaturarlo fino a ucciderlo, ma sentiva anche di vivere in un contesto storico in cui parlare era diventato un dovere

Ciò che ancora oggi colpisce del monologo pronunciato da Chaplin, nei panni del barbiere ebreo scambiato per la sua somiglianza con il dittatore, è la sua universalità, il suo messaggio umanista e pacifista, che non è mai invecchiato. 

Il testo del monologo è interamente opera di Chaplin che scrisse interamente da solo la sceneggiatura del film. 

Nel discorso finale, il barbiere, nei panni di Hynkel, adotta un tono radicalmente diverso dal resto del film (per lo più una serie di gag visive ) per una sequenza genuinamente seria e piena di dramma, un messaggio politico profondo, apparendo in un'inquadratura statica  per più di sei minuti, un tempo eccezionalmente lungo, durante i quali Chaplin si rivolge direttamente allo spettatore e il personaggio del barbiere lascia il posto allo stesso Charles Chaplin. 

Nella celebre scena, Chaplin sbatte le palpebre meno di dieci volte durante l'intero discorso finale.

Charlie Chaplin ebbe l'idea del film quando un amico, Alexander Korda, notò che il suo personaggio sullo schermo e Adolf Hitler sembravano in qualche modo simili. 

Chaplin, in seguito, apprese che lui e il dittatore erano nati entrambi a una settimana di distanza e avevano più o meno la stessa altezza e peso ed entrambi hanno lottato nella povertà, fino a raggiungere un grande successo in campi diametralmente opposti: quello del potere assoluto politico e quello artistico. 

Quando Chaplin venne a conoscenza delle politiche di Hitler di oppressione razziale e aggressione nazionalista, usò le loro somiglianze come ispirazione per attaccare Hitler mediante la pellicola. 

Il cineasta - originariamente - intendeva chiamare il film The Dictator, ma ricevette un avviso dalla Paramount Pictures che, qualora avesse scelto questo titolo, gli avrebbero addebitato 25.000 dollari: Chaplin accettò le imposizioni della Paramount Pictures e inserì Great nel titolo.

Il regista raccontò in seguito che indossare il costume di Hynkel lo aveva fatto sentire più aggressivo e quelli a lui vicini ricordano che era più difficile lavorare con lui nei giorni in cui stava girando nei panni del personaggio.

Fabrizio Falconi -2022 

12/10/21

La violenza nelle strade, la tracotanza dei novax: Le parole profetiche di Dietrich Boenheffer su cosa è la stupidità e su come sia inutile combatterla

 


Il nemico del bene


Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodissoluzione, perché dietro di sé nell’uomo lascia almeno un senso di malessere. Ma contro la stupidità non abbiamo difese. Qui non si può ottenere nulla, né con proteste, né con la forza; le motivazioni non servono a niente. Ai fatti che sono in contraddizione con i pregiudizi personali semplicemente non si deve credere - in questi casi lo stupido diventa addirittura scettico - e quando sia impossibile sfuggire ad essi, possono essere messi semplicemente da parte come casi irrilevanti. Nel far questo lo stupido, a differenza del malvagio, si sente completamente soddisfatto di sé; anzi, diventa addirittura pericoloso, perché con facilità passa rabbiosamente all’attacco. Perciò è necessario essere più guardinghi nei confronti dello stupido che del malvagio. Non tenteremo mai più di persuadere lo stupido: è una cosa senza senso e pericolosa.


Stupidità e potere

Se vogliamo trovare il modo di spuntarla con la stupidità, dobbiamo cercare di conoscerne l’essenza. Una cosa è certa, che si tratta essenzialmente di un difetto che interessa non l’intelletto, ma l’umanità di una persona. Ci sono uomini straordinariamente elastici dal punto di vista intellettuale che sono stupidi, e uomini molto goffi intellettualmente che non lo sono affatto. Ci accorgiamo con stupore di questo in certe situazioni, nelle quali si ha l’impressione che la stupidità non sia un difetto congenito, ma piuttosto che in determinate situazioni gli uomini vengano resi stupidi, ovvero si lascino rendere tali. Ci è dato osservare, inoltre, che uomini indipendenti, che conducono vita solitaria, denunciano questo difetto più raramente di uomini o gruppi che inclinano o sono costretti a vivere in compagnia. Perciò la stupidità sembra essere un problema sociologico piuttosto che un problema psicologico. E’ una forma particolare degli effetti che le circostanze storiche producono negli uomini; un fenomeno psicologico che si accompagna a determinati rapporti esterni.

Osservando meglio, si nota che qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l’istupidimento di una gran parte degli uomini. Sembra anzi che si tratti di una legge socio-psicologica. La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri. Il processo secondo cui ciò avviene, non è tanto quello dell’atrofia o della perdita improvvisa di determinate facoltà umane - ad esempio quelle intellettuali - ma piuttosto quello per cui, sotto la schiacciante impressione prodotta dall’ostentazione di potenza, l’uomo viene derubato della sua indipendenza interiore e rinuncia così, più o meno consapevolmente, ad assumere un atteggiamento personale davanti alle situazioni che gli si presentano. Il fatto che lo stupido sia spesso testardo non deve ingannare sulla sua mancanza di indipendenza. Parlandogli ci si accorge addirittura che non si ha a che fare direttamente con lui, con lui personalmente, ma con slogan, motti, ecc. da cui egli è dominato. E’ ammaliato, accecato, vittima di un abuso e di un trattamento pervertito che coinvolge la sua stessa persona. Trasformatosi in uno strumento senza volontà, lo stupido sarà capace di qualsiasi malvagità, essendo contemporaneamente incapace di riconoscerla come tale. Questo è il pericolo che una profanazione diabolica porta con sé. Ci sono uomini che potranno esserne rovinati per sempre.

Liberazione esteriore

Ma a questo punto è anche chiaro che la stupidità non potrà essere vinta impartendo degli insegnamenti, ma solo da un atto di liberazione. Ci si dovrà rassegnare al fatto che nella maggioranza dei casi un’autentica liberazione interiore è possibile solo dopo essere stata preceduta dalla liberazione esteriore; fino a quel momento, dovremo rinunciare ad ogni tentativo di convincere lo stupido.

In questo stato di cose sta anche la ragione per cui in simili circostanze inutilmente ci sforziamo di capire che cosa effettivamente pensi il "popolo", e per cui questo interrogativo risulta contemporaneamente superfluo - sempre però solo in queste circostanze - per chi pensa e agisce in modo responsabile. La Bibbia, affermando che il timore di Dio è l’inizio della sapienza (Salmo 111, 10), dice che la liberazione interiore dell’uomo alla vita responsabile davanti a Dio è l’unica reale vittoria sulla stupidità.

Del resto, siffatte riflessioni sulla stupidità comportano questo di consolante, che con esse viene assolutamente esclusa la possibilità di considerare la maggioranza degli uomini come stupida in ogni caso. Tutto dipenderà in realtà dall’atteggiamento di coloro che detengono il potere: se essi ripongono le loro aspettative più nella stupidità o più nell’autonomia interiore e nella intelligenza degli uomini.

 Dietrich Bonhoeffer, carcere di Tegel - 1943 - Della stupidità

05/06/21

La bellissima e misconosciuta Giovanna d'Arco nei giardini dell'Aventino

 


In un giardino pubblico appartato all'Aventino a Roma, tra la Basilica di Santa Sabina e quella di Sant'Alessio c'è, tra due giovani alberi una preziosa scultura che passa del tutto inosservata e che ritrae Giovanna d'Arco, soggetto piuttosto poco rappresentato nella capitale. 

La firma dell'autore di questa scultura dallo stile inconfondibilmente liberty è ben visibile alla base del piedistallo (sulla destra) ed è del francese Maxime Real del Sarte.  

Chi era costui? 

Nato a Parigi nel 1888, Maxime Real del Sarte fu personaggio poliedrico che nella prima metà del Novecento raccolse una certa celebrità sia come artista-scultore, sia come politico. 

Era nato in una famiglia di artisti: figlio di uno scultore,  Louis Desire Real e di Magdeleine Real del Sarte, cugino della pittrice Thérèse Geraldy, e perfino imparentato con il compositore Georges Bizet.

Del Sarte si laureò alla École des Beaux-Arts e prese parte alla prima e alla seconda guerra mondiale; nel 1916, a seguito dei combattimenti in cui si trovò coinvolto, gli fu amputato un braccio, il sinistro, come si vede anche da questa foto d'epoca. 


Per le sue opere, realizzate usando soltanto il braccio destro, nel 1921, vinse il Grand Prix national des Beaux-Arts.

Realizzò oltre cinquanta medaglie per le onorificenze di guerra e anche varie statue di Giovanna d'Arco, tra cui quella all'Aventino.

In politica militò nell'Action française, vicino alle posizioni monarchiche di Charles Maurras, Léon Daudet, Jacques Bainville, Maurice Pujo, Henri Vaugeois e Léon de Montesquiou. 

Era un devoto e fervente Cattolico romano e un profondo ammiratore di Giovanna d'Arco, fondando in suo onore l'associazione "Les Compagnons de Jeanne d'Arc".  

Morì a Saint-Jean-de-Luz il 15 febbraio 1954.


Fabrizio Falconi - (foto realizzate dall'autore)






08/09/20

Caetano Veloso: "I diritti e la libertà sono sotto minaccia"



"Ho sempre avuto una memoria micidiale, alla mia testa piace molto ricordare, figuriamoci quei giorni li', ma quando ho avuto tra le mani quei fogli, il verbale del mio interrogatorio e gli appunti della mia detenzione, di cui ignoravo l'esistenza, non nascondo di essermi emozionato molto", e anche se con il filtro freddo del collegamento zoom da Rio de Janeiro l'emozione prosegue a distanza per Caetano Veloso quando racconta il film che lo vede protagonista. 

Si tratta di Narciso Em Ferias, Narciso in vacanza, evento speciale fuori concorso a Venezia 77.

Diretto da Renato Terra e Ricardo Calil, fa leva sui ricordi e sulle riflessioni di Veloso su quei 54 giorni di carcere sotto la dittatura militare brasiliana, nel 1969, con il pretesto di aver cambiato le parole di una canzone

Raccontando nel dettaglio quei giorni scolpiti nella sua memoria, il musicista, tra i fondatori del Tropicalismo che e' stato un movimento non solo musicale ma anche culturale d'avanguardia, ricorda e interpreta le canzoni di quegli anni e le storie molto spesso simili di altri artisti, tra cui Gilberto Gil, che fu arrestato lo stesso giorno.

"Fare memoria per me e' stato catartico, sono uscito di casa pensando di fare un'intervista e invece mi sono ritrovato indietro di 50 anni con un racconto rimasto per tanto tempo segreto e sono stato sopraffatto dall'emozione".

Erano anni, quelli della dittatura militare di Humberto de Alencar Castelo Branco, meno nota dei vicini Cile e Argentina ma certo non meno traumatica, in cui anche una canzone poteva portare in carcere. 

E oggi? Gli intellettuali incidono ancora nella societa' rappresentando un pericolo per il potere? "Dietro una parvenza di democrazia c'e' una minaccia piu' subdola, meno chiara, all'epoca c'era una struttura autoritaria, ora invece c'e' quasi una contaminazione, una trama che cerca di infiltrarsi tra le maglie della democrazia, impedendo di fatto la circolazione delle idee, l'affermazione dei diritti e per la cultura e' piu' difficile incidere, anche se ha sempre la possibilita' di mettere in scacco e in crisi l'establishment se vuole. La situazione e' diversa dal '68, ma il modo di gestire la cosa pubblica spesso nel mio Paese non e' democratico. Oggi poi le nostre paure sono legate al timore di perdere i diritti acquisiti, allora non ne avevamo proprio". 

La quarantena, la situazione attuale ancora nella pandemia, anche per motivi sanitari, ha accentuato in Brasile, ma anche in tutto il mondo, il potere di controllo sui cittadini cosa ne pensa? "C'e' il tentativo di controllo totale, il Covid 19 suggerisce fantasie di dominio sulle persone, ma per me non e' una sorpresa, era gia' nell'aria e la comunicazione, i media, in questo hanno grande responsabilita'. Ma non voglio essere catastrofico ne' complottista, la situazione e' in evoluzione, dobbiamo imparare a convivere con lo sviluppo della scienza, l'intelligenza artificiale e la gestione degli algoritmi cercando di conservare autonomia delle coscienze". 

Caetano Veloso, mettendo a nudo il suo passato di 50 anni fa, spera di arrivare ai giovani e far conoscere quel desiderio di liberta' che avevano i ragazzi come lui, sottolineato da quell'Hey Jude, la canzone immortale dei Beatles, che ha riarrangiato per il documentario Narciso Em Ferias in uscita anche come album. 

Italia per Veloso infine significa cinema, Michelangelo Antonioni, "un'amicizia durata anni sull'onda del mio amore per i film italiani, da La Strada di Fellini che vidi a 15 anni, alle opere di Rossellini. Tutte cose che sono state importantissime per la mia formazione". 

Fonte: Alessandra Magliaro per ANSA

23/01/20

La sopravvalutazione - tutta italiana - della politica




In questo anno in cui si celebrano i 100 anni (dalla morte) di Modigliani, i 100 (dalla nascita) di Fellini, i 500 (dalla morte) di Raffaello Sanzio, i 100 (dalla nascita) di Benedetti Michelangeli, l'Italia preferisce crogiolarsi nella Craxitudine.

Il che conferma quello che ho sempre pensato: che in questo paese c'è da sempre una super-eccessiva importanza data alla politica, che da noi è spesso - e oggi più che mai - farsa, commedia, intrattenimento, chiacchiera becera, operetta. Eppure la politica - specie quella italica - conta molto poco alla fine.

Nella economia di una vita contano o conterebbero molto molto di più le felicità, le ricchezze, le consapevolezze donate alle nostre anime e all'anima complessiva del paese che abitiamo, dagli spiriti illuminati che nei più diversi settori hanno dimostrato cosa può dare e fare l'indole umana creativa.

Invece preferiamo arrotolarci nel piccolo nostro cortile di torti e ragioni, di battaglie perse sugli scranni e vendette o riscatti. Che, dico io, lasceranno flebilissima, impalpabile traccia nella storia collettiva e ancor di più individuale.

Fabrizio Falconi
gennaio 2020 

05/11/19

"E' tempo di un'insurrezione delle coscienze" - Una intervista a Enzo Bianchi


"Sopra una quercia c’ era un vecchio gufo. Più sapeva e più taceva, più taceva e più sapeva". Scolpita sulla pietra, la frase accoglie chi arriva a Bose, la comunità di monaci e monache di chiese cristiane diverse in provincia di Biella diventata un centro di spiritualità di livello internazionale. «Parole di saggezza popolare che ho scoperto in Puglia -in una casa abbandonata in mezzo alla campagna - e ho fatto copiare: è nel silenzio che la parola diviene autorevole e intelligente, sennò è chiacchiera» spiega Enzo Bianchi, che ha fondato il monastero nel 1965. Però ai nostri tempi si addice di più una presa di posizione. «È l’ ora di un ’insurrezione delle coscienze. Dobbiamo assumerci responsabilità, impegnarci in una concreta resistenza alla cattiveria, al disprezzo, altrimenti la barbarie andrà al potere. La storia ci insegna che la violenza verbale può diventare violenza fisica» spiega lui, che aggiunge: «Qui mi chiamano Enzo, in giro c’ è chi mi chiama fratel Enzo o padre Enzo... Dipende da cosa sentono in me». E certo non si sottrae, come dimostrano i suoi impegni pubblici di settembre , dove parlerà di umanità, di luce e tenebre... 

Già, che significa “restare umani” oggi? 
Significa coltivare la fraternità, la mitezza, l’accettazione della diversità, la cura e l’aiuto, il perdono e la misericordia. Ogni persona - di qualunque sesso, etnia, religione - è davvero mio fratello o mia sorella. Abbiamo la stessa dignità e gli stessi diritti, dobbiamo esser rispettati nella rispettiva unicità. All’interno della visione cristiana, l’uomo per eccellenza è proprio Gesù: la sua figura è lo specifico della nostra religione rispetto alle altre. “Dio ” è una parola assolutamente insufficiente, si presta a connotazioni molto differenti. 

Da cosa ha origine questo rischio di barbarie? 
La crisi economica ha portato a un ’invidia, a una guerra fra poveri, che ha fatto aumentare la diffidenza. Poi la paura è stata fomentata anche per ragioni politiche, utilitaristiche e ha incattivito tanta gente che fino a qualche anno fa si sarebbe vergognata di certe espressioni, di certi atteggiamenti. 

Lei invoca spesso la “sapienza del cuore”. In epoche storiche tanto complesse, non sarà assolutamente insufficiente? 
Il cuore deve sempre essere accompagnato dalla ragione, che ci dà la possibilità di discernere, pesare il bene e il male e deve quindi avere il primato: cosa sarebbe la religione senza l’uso della ragione? Solo emozione che potrebbe infiammarsi fino all’intolleranza, al fanatismo . 

Come si spiega che tanti cattolici siano attratti da politici razzisti o ultra nazionalisti? 
Con la schizofrenia tra religiosità e Vangelo, assai più attestata di quanto sipossa immaginare. Una volta c’ erano da una parte gli atei e da una parte i religiosi. Oggi fra i religiosi ci sono quelli che seguono il Vangelo e quelli che chiamo “cristiani del campanile”. Il Vangelo divide, non unisce affatto. I peccati commessi per debolezza vengono perdonati (bisogna accoglierli senza disprezzare se stes-si o essere coperti di imbarazzo), ma non quelli per malvagità. 

Magari si sarebbe più convincenti suggerendo qualche vantaggio egoistico del “restare umani”... 
Una certa gioia, serenità di fondo. Da anziano (ormai ho 76 anni), guardando al mio passato, capisco che ciò che conta è l’aver amato e l’ essere stato amato. Tutto il resto sfiorisce. Ecco, il vero senso della vita è: amare ed essere amati. L’unica cosa che ci salva. 

Sta venendo meno la speranza nell’ aiuto divino, non le pare? 
Sì, ma perché c’ è meno speranza nell’aiuto umano. Se non si riesce ad aver fiducia, a credere in chi si vede, come si può sperare in un Dio invisibile? Però , se manca la speranza, l’ esistenza diventa solo un duro mestiere senza possibilità di felicità. 

Mestiere durissimo, pensando a tutto il dolore che ci tocca. 
Il dolore resta un enigma pure per il cristiano , che può limitarsi a dire: finché siamo qui su questa terra insieme, cerchiamo di vivere quella gioia e quella pienezza che ci è consentita pur con le contraddizioni della malattia, del male e della morte. Non si tratta di dare un significato alla sofferenza, bensì di dare significato alla vita persino quando si soffre. 

A proposito di terra, a Bose c’è un’altra iscrizione che colpisce: «Dio perdona sempre, gli uomini talvolta perdonano, la terra si vendica e non perdona mai...
...e conclude: «Ama la terra come te stesso». È nostra madre, da cui Dio ci ha creati, dobbiamo rispettarla e renderla addirittura più bella. 

Non a caso lei è fedele da sempre all’orto fuori dalla sua cella. Un orto fu persino il regalo (originalissimo) chiesto a 11 anni per l’ ammissione alle scuole medie... 
Non solo l’ orto... Amo il bosco (sono nato nel verde del Monferrato), amo la tavola, gli amici, la compagnia e tutto questo lo vivo nella mia fede cristiana ma senza dissociazione tra le due cose, anzi: l’una potenzia l’altra. Sovente la spiritualità oppone anima a carne, cielo a terra... Noi siamo l’insieme, non possiamo dimenticare una delle dimensioni. 

Da dove le arriva questa visione “concreta”? 
Sono per carattere aderente alla realtà e, probabilmente, per vicende personali: mia madre è morta quando avevo otto anni, sono rimasto con mio padre in una condizione di povertà e precarietà... Quel che mi ha sempre sorretto è stato sentire il Vangelo come una stella polare che poteva guidarmi. La fede cristiana è stata il dono più grande di mamma, molto religiosa. 

Però non si è mai identificato nella chiesa di Roma, ha mantenuto apertura e curiosità 
Credo sia il risultato di aver avuto una madre cattolica e un padre comunista che mi ripeteva: «Enzo resta libero, gira, ascolta tutti, incontra tutti. Fa’ la fame ma compra libri!» Non ho mai considerato nessuno nemico o avversario . Ho avuto la fortuna di conoscere, giovanissimo, il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Atenagora. Sono stato segnato dall’incontro con Frère Roger , il priore di Taizé. Ho passato mesi alla periferia di Rouen con l’abbé Pierre, facendomi straccione con lui e con i suoi ultimi... Mi considero privilegiato. 

E adesso, lo stato d’animo? 
Fondamentalmente sereno, benché la vecchiaia spaventi. Proprio stamattina ho visitato un coetaneo con l’Alzheimer e sono rimasto turbato: perdere l’autosufficienza è il timore più profondo. E poi c’ è la paura della morte, parte integrante della nostra identità umana. Ci sembra ingiusta, ci interroghiamo sul dopo...Questo rende fragili. In compenso, dalla vecchiaia sto imparando la pazienza. Con me stesso e con gli altri. 

Qualche rimpianto? 
Il rimpianto è una tentazione, ma non ne soffro. Se arriva, so spegnerlo presto. 

Maria Laura Giovagnini 
Io Donna 
14 settembre 2019

15/09/19

"Ragazzi senza scopo e Genitori non più autori delle loro azioni", La decadenza moderna (finale?) secondo Umberto Galimberti intervistato oggi dal Corriere della Sera



Filosofo. Antropologo. Psicologo. Psicoanalista. Sociologo. Dal professor Umberto Galimberti ti aspetteresti un eloquio iniziatico all’altezza delle materie che ha insegnato, compendiate nelle 1.637 pagine del Nuovo dizionario di psicologia, psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze (Feltrinelli), alla cui stesura ha faticato per 15 anni. Invece parla ancora come «il numero 8» — si definisce così — dei 10 figli di Ernesto, ex partigiano, venditore di cioccolato Theobroma improvvisatosi impiegato bancario, che in un paio di locali aprì a Biassono la prima agenzia del Credito artigiano e morì di tumore il giorno dell’inaugurazione. «Da bambino andavo in ufficio ad aiutarlo: mi faceva timbrare gli assegni. Avevo 14 anni quando mancò. Sognavo di diventare medico. Ma due borse di studio mi spalancarono le porte di Filosofia alla Cattolica di Milano. Lì trovai i miei maestri: Gustavo Bontadini, Sofia Vanni Righi ed Emanuele Severino, con il quale mi laureai. C’erano anche Gianfranco Miglio e Francesco Alberoni. Poi lavorai per tre anni nel manicomio di Novara, dove conobbi il primario Eugenio Borgna. Fui io a obbligarlo a scrivere, prima non lo conosceva nessuno. Li sento ancora, Severino e Borgna. Ci vogliamo molto bene. Non ho mai capito il parricidio».
Fortunato ad avere dei padri così.
«Aggiunga Karl Jaspers, che frequentai a Basilea e che mi avviò alla psicopatologia. E Mario Trevi, con cui feci il percorso psicoanalitico. Oggi l’analisi non è più possibile. L’ultimo che ho accompagnato per cinque anni è stato il regista Luca Ronconi. Ma solo perché lì c’era un uomo. Capace di riflettere, incuriosito dalla sua vita».
Eppure qui nello studio vedo che c’è ancora il lettino dello psicoanalista.
«Non ho mai smesso di ricevere. La gente mi chiede di risolvergli i problemi. Invece la psicoanalisi è conoscenza di sé: sapere chi sei è meglio che vivere a tua insaputa. Quanto al dolore, non lo puoi cancellare con i farmaci».
L’angoscia più frequente qual è?
«Quella provocata dal nichilismo. I ragazzi non stanno bene, ma non capiscono nemmeno perché. Gli manca lo scopo. Per loro il futuro da promessa è divenuto minaccia. Bevono tanto, si drogano, vivono di notte anziché di giorno per non assaporare la propria insignificanza sociale. Nessuno li convoca. Non potendo fare nulla, erodono la ricchezza accumulata dai padri e dai nonni».
Stanno male anche i genitori?
«Eccome. Senza che lo sappiano, non sono più autori delle loro azioni. Nell’età della tecnica sono diventati funzionari di apparato. Vengono misurati solo dal grado di efficienza e produttività. Nel 1979, quando cominciai a fare lo psicoanalista, le problematiche erano a sfondo emotivo, sentimentale e sessuale. Ora riguardano il vuoto di senso».
La mia è la prima generazione che consegna ai suoi figli un futuro ben peggiore di quello lasciatoci in eredità dai nostri padri, spesso nullatenenti.
«Fino a 37 anni ho insegnato storia e filosofia nei licei. Guadagnavo 110.000 lire al mese. Un appartamento ne costava 75.000 al metro quadro. In famiglia abbiamo tutti studiato. Le mie cinque sorelle frequentavano l’università e intanto facevano le colf. Oggi mi tocca aiutare la mia unica figlia, che ha tre bambini».



15/07/19

Intervista a Roberta De Monticelli: "Asserviti al progetto russo di distruzione dell'Unione Europea" (Huffington Post)



A parte il versamento dei rubli, ancora da dimostrare: “Le trattative degli uomini di Salvini con la Russia di Putin rappresentano un tradimento dell’Italia ideale, un’infedeltà alla collocazione occidentale del nostro paese e un’asservimento al progetto russo di distruzione dell’Unione Europa: una cannonata contro l’orizzonte comunitario”. Sul palcoscenico del giallo russo-leghista, Roberta De Monticelli scorge il fantasma della questione morale: “Questa storia – dice, parafrasando Enrico Berlinguer – dimostra che i partiti politici sono diventati delle macchine d’affari senza confini”. Filosofa, docente all’università San Raffale di Milano, per definire l’era politica che viviamo, De Monticelli pesca dalle pagine de La Repubblica di Platone il modello della khakistocrazia:Così il pensatore greco definiva governo dei peggiori, e noi siamo di fronte all’internazionalizzazione di questo schema. Mi riferisco anche a Donald Trump. Ma nel caso di Putin il richiamo al governo dei peggiori è spaventoso.La sua ideologia illiberale è riuscita fondere i residui del bolscevismocon le venature naziste del suo patriottismo esasperato.Un miscuglio ignobile, che pure hatrovato uno spazio notevole nel dibattito politico globale”.
Tutto è cominciato una trentina d’anni fa: “Quando le democrazie liberali occidentali sono entrate in un circolo vizioso che ha alimentato la sfiducia verso le istituzioni. Specialmente, in Italia. Il governo dei peggiori – che è sempre una possibilità della democrazia – ha pian piano preso il sopravvento. Il vero problema è che già Platone considerava questo stadio come l’ultimo gradino prima dell’avvento della tirannia. E purtroppo il Novecento ha dimostrato che la sua analisi ha ancora una corrispondenza con la realtà”.
È una torsione inevitabile?
No, non è inevitabile. Però il rischio c’è: forte, consistente e sostanziale.
C’è anche un rimedio?
Già negli anni Quaranta Altiero Spinelli aveva previsto che gli stati nazionali non sarebbero stati più in grado di alimentare il circolo virtuoso della democrazia, perché troppo schiavi degli interessi particolari. Il rimedio è dunque una sovranità europea realmente sovranazionale, l’unica cosa che potrebbe riaprire la partita.
Il populismo non si nutre proprio delle lacune europee?
Lei di quale Europa sta parlando?
Dell’Europa che c’è.
Ce ne sono almeno due. C’è l’Unione Europea embrionale, ossia l’Europa delle istituzioni veramente comuni, che ha limitato le grandi multinazionali, ha approvato delle norme ambientali decenti, ha investito moltissimo sulla ricerca; e poi c’è l’Europa degli stati, che solitamente si occupa di disfare quel tanto di buono che la commissione e il parlamento sono riusciti a concludere.
Salvini confonde le due cose?
Salvini alimenta il più orribile equivoco, perché definisce europee delle scelte che sono in realtà dei singoli stati, come, per esempio, le politiche sull’immigrazione di Macron.
Sull’immigrazione il vero antagonista di Salvini è il Papa?
Le parole di Francesco dimostrano una grande fedeltà alla tradizione cattolica. L’invito a salvare le persone disperate non è solo un appello a proteggere la vita dalla morte. È un richiamo a portare in salvo la fioritura di ogni singola persona, la felicità che ogni essere è chiamato a realizzare su questa terra.
Eppure, alcuni sondaggi certificano che molti cattolici condividono le idee di Salvini.
Dal punto di vista della teologia cristiana, l’idea delle radici, dei confini, delle patrie fisiche, è una dissacrazione del vero concetto di sacralità.
Perché?
Sono andata per anni, da laica, alla ricerca della spiritualità cristiana, quella che è rimasta sepolta nei conventi, ignorata persino dalla gerarchia ecclesiastica. Ho incontrato Cristina Campo e Margherita Pieracci Harwell, due grandi interpreti di Simone Weil. Mi hanno insegnato che la vera esperienza spirituale è apertura agli infiniti orizzonti dell’anima, inclusi gli abissi che ci attraversano. Basta leggere un trattato spirituale. È un percorso infernale, altro che quiete contemplativa. È un viaggio nella vastità del nostro mondo interiore, che ha le sue estasi e i suoi traumi, le sue esaltazioni e i suoi precipizi. Può offrire tutto, fuorché protezione, riparo, sicurezza.
Ma le persone non hanno diritto anche a questo?
Certo che ne hanno diritto, ma indurli a barattare la libertà con la tranquillità è diabolico. La gran parte delle persone nemmeno conosce tutte le possibilità che offre la vita umana. E non c’è nulla di più criminale che tenere gli uomini lontani da questa conoscenza, offrendogli come riparo una prigione.
L’esperienza spirituale che ha descritto è davvero possibile a tutti?
Sì, lo è. Anzi, è proprio questo il punto in cui si incontrano la grande tradizione umanistica da cui nasce la democrazia e il cristianesimo: la vocazione al risveglio delle coscienze, il richiamo a vivere l’esperienza morale in prima persona, con tutto il proprio cuore.
Perché allora lei ha creduto nei 5 stelle, che sono protagonisti dell’oscurità che denuncia?
Non lo nego, ho nutrito simpatia per i 5 stelle. Credevo che avrebbero potuto immettere nel circuito della politica corrente una spinta all’idealità, diventando un antidoto alla crisi di rappresentanza della democrazia liberale.
Quando si è accorta che sbagliava?
L’allarme è suonato quando ho visto che molti parlamentari erano incapaci di contestare la decisioni che venivano calate dall’alto, ai tempi in cui ancora Grillo impartiva ordini a destra e a sinistra. Quando poi è stato siglato l’accordo con la Lega, sono rimasta semplicemente esterrefatta. La delusione più cocente l’ho provata quando hanno votato sì a uno dei più grandi condoni che siano mai stai fatti, quello di Ischia. Lì le anime belle si sono rivelate per quello che veramente erano: delle anime brutte.
Non crede che si potesse capire già ieri ciò che le è così chiaro oggi?
Forse sì, un occhio politico più attento del mio avrebbe potuto capirlo. Per questo, nella vita, io mi occupo di filosofia.
E però si è spesa molto per un governo Pd-5 stelle.
Direi che mi sono spesa disperatamente per evitare la guerra tra due forze che avevano molti più valori in comune di quelli che erano disposti ad accettare.
Sarebbe ancora possibile, quell’accordo, dopo il governo 5 stelle-Lega?
I valori conservano sempre una trascendenza rispetto alla realtà concreta. Ecco perché la rigenerazione e la rinascita sono sempre possibili. Anche per i 5 stelle, dopo questa tremenda esperienza. Ma l’altro interlocutore, il PD, dove sarebbe?
È lì, con un nuovo segretario.
Le confesso che non ho ancora capito che idee abbia, Nicola Zingaretti.
Per questo non rifarebbe quell’appello?
Il punto non è questo o quell’accordo. Il punto è che tutte le persone hanno un’anima e un corpo, e sono pronte a seguire il meglio, oppure il peggio, a seconda di ciò che gli si offre. Se non gli si prospetta mai niente per cui valga la pensa esaltarsi, è logico che il populismo sarà più difficile da battere. E sarà un male.
Anche Salvini è il male?
Salvini non è il male in assoluto. Però funziona esattamente al contrario di ciò che suggerirebbe l’ideale. Comunica senza articolare un pensiero. Usa le più basse tecniche di comunicazione. Incarna perfettamente la degenerazione della democrazia in atto.
Perché allora ha così tanto consenso?
Questo non deve chiederlo a me.
Però se lo sarà chiesto, immagino.
Sì, certo, che me lo sono chiesto.
E che risposta si è data?
Che quando il circolo virtuoso di una democrazia si inverte, i molti, i più, smettono di accedere alla maturità morale – che è il fine del welfare e dell’istruzione. Ma una democrazia muore senza cittadini maturi, che capiscano cosa sono i valori universali. Gli umani vengono prima degli italiani.


20/02/19

Il Discorso agli Ateniesi di Pericle. Una pagina che bisogna rileggere oggi.






Pericle - Discorso agli Ateniesi, 461 a.C.


Qui ad Atene noi facciamo così.

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.

Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.

Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.

E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.

Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.

Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.

Qui ad Atene noi facciamo così.