Visualizzazione post con etichetta ponte milvio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ponte milvio. Mostra tutti i post

28/09/21

Libro del Giorno: "Ponte Milvio 312 d.C." di Ross Cowan

 


Edito in Italia dalla casa editrice LEG e recentemente ristampato dalle edizioni de Il Messaggero, arriva nel nostro paese questo libro scritto dal britannico Russ Cowan, che insegna all'Università di Glasgow ed è esperto di storia e archeologia romana. 

Il libro è particolarmente interessante perché racconta con grande completezza di informazioni e di illustrazioni ad hoc, uno degli eventi decisivi della storia romana antica e più in generale della storia dell'Occidente: la battaglia di Ponte Milvio del 28 ottobre 312 d.C. che segnò la vittoria di Costantino imperatore contro le truppe dell' "usurpatore" Massenzio, che occupava Roma da sei anni. 

Più in generale si ripercorrono le complesse vicende della cosiddetta Tetrarchia, il periodo nel quale, alla cessione del potere di Diocleziano, il potere (e l'Impero) si ritrovò frammentato in quattro parti. 

Tuttavia, il sistema della tetrarchia, ideato per rinnovare l'architettura istituzionale dell'Impero, si rivelò da subito fragile: ed è in questo contesto che si svolse l'ardua e irresistibile ascesa al potere di Costantino, figlio dell'augusto Costanzo Cloro. 

Costantino, nel corso degli anni successivi alla sua acclamazione al potere (che avvenne a Eburacum, l'odierna York, immediatamente dopo la morte del padre di Costantino, Costanzo, il 25 aprile del 306) affrontò uno ad uno i suoi avversari e pretendenti al trono di imperatore unico: Galerio, Massimino Daia, Licinio, Massimiano e Massenzio. 

Questo libro è incentrato proprio sul contrasto tra Costantino e Massenzio, il quale signoreggiava sull'Italia e l'Africa e aveva stabilito la sede del suo regno proprio a Roma, la vecchia capitale che seppure sospinta ai margini nella geografia del potere alla fine del IV secolo d.C., rappresentava pur sempre il simbolo eterno dell'Impero. 

La posta in gioco per i due rivali dunque era la più significativa per l'Occidente e per tutto l'Impero: Roma, l'antica capitale, dove Massenzio si era asserragliato dopo aver rinnovato e ampliato le fortificazioni cittadine. 

In una veloce e straordinaria campagna militare, Costantino passò dalla Gallia al Nord Italia: presi i maggiori centri urbani da Torino a Verona, ad Aquileia, discese verso l'Urbe; alle sue porte, presso il Ponte Milvio, si sarebbe svolta la battaglia determinante per le sorti imperiali. 

Non si trattava solo di politica: anche la religione giocò un ruolo determinante. Si trattasse di fede o di propaganda, Costantino si dichiarò destinatario di un messaggio di Cristo, che gli ordinò di adottare come vessillo il suo monogramma. 

Con la successiva vittoria, il suo percorso verso il trono era destinato a intrecciarsi sempre più con il cristianesimo, mentre allo sconfitto Massenzio sarebbe spettata la damnatio memoriae. 

Tutti questi aspetti sono trattati nelle pagine del libro, che rispetto ai molti altri scritti sull'argomento, affronta con specificità il tema bellico: le strategie, la composizione degli eserciti, le mansioni assegnate alle singole legioni, gli armamenti, la tempistica e i precedenti storici. 

Il tutto grazie a un ampio corredo illustrativo: immagini, ricostruzioni, mappe: la battaglia, seppur breve (sembra che si consumò nel giro di poche ore) ma imponente, è così restituita compiutamente all'attenzione dei lettori, che potranno conoscere nel dettaglio questo momento essenziale per la storia di Costantino e dell'Impero romano.

Fabrizio Falconi

14/07/18

L'Enigma di Ponte Milvio - Aperti al pubblico gli stupefacenti scavi di Via Capoprati.



Davvero una specie di rompicapo, per gli esperti, il ritrovamento archeologico di Via Capoprati, a due passi da Ponte Milvio, proprio lungo il tratto della Pista Ciclabile che dal ponte discende lungo il fiume. 

In questo Blog abbiamo raccontato le circostanze dell'eccezionale ritrovamento nell'autunno scorso (2017) quando alcuni tecnici di Acea, la municipalizzata che gestisce l'energia elettrica a Roma, al lavoro nella zona, segnalarono che durante lavori di scavo erano emersi reperti archeologici.  

Un primo sondaggio aveva evidenziato la presenza di magnifici mosaici, ma lo scavo fu subito interrotto per ragioni climatiche - la zona infatti è compresa infatti in quella cosiddetta gonale, interessata cioè da possibili alluvioni del Tevere - e ripreso un mese fa grazie anche a nuovi finanziamenti da parte della Soprintendenza. 

E adesso si può dire che davvero ne è valsa la pena e Roma non tradisce mai le aspettative: sì perché quello che sta emergendo dalla terra è un complesso stratigrafico che comprende quattro ambienti più un'area sepolcrale dove sono visibili ancora anfore e resti umani. Il tutto sviluppato appunto su due strati, uno più antico risalente al I e II secolo dopo Cristo e probabilmente afferente a un edificio con funzione commerciale - quasi sicuramente un magazzino - giustificato dalla vicinanza al fiume e a due vie consolari, la Cassia e la Flaminia; e uno più recente, risalente al III e IV sec. dopo Cristo, cioè dopo la Battaglia di Ponte Milvio, con decorazioni con marmi ricercatissimi e mosaici che impreziosiscono mura e pavimenti, che fanno pensare ad una ricca villa suburbana oppure a un luogo di culto cristiano. 


"Questo edificio," ha detto la direttrice scientifica dello scavo, Marina Piranomonte, "è straordinario perché è lussuosissimo, costruito dopo Costantino, dopo che i cristiani hanno vinto e questo dimostra che ancora in epoca di pieno quarto secolo a Roma si costruiva con grande lusso e grande spreco di soldi anche sulle sponde del fiume: una cosa straordinaria perché non siamo nel centro della città, ma nel suburbio di Roma".

Tra le ipotesi per sciogliere l'Enigma vi è anche quella che si tratti di un luogo di culto cristiano, con annessi mausolei, forse un cimitero con una piccola chiesetta cristiana. I romani infatti non seppellivano mai i morti vicino a casa loro, ma in aree ben identificate. 


Insomma, per saperne di più, bisognerà aspettare. Gli scavi resteranno aperti al pubblico solo per il breve periodo estivo, poi verranno richiusi, anche per scongiurare il rischio di possibili danni provocati dal fiume  e perché - dicono gli esperti -  il miglior modo per preservarli è quello di mantenerli interrati. 

Fabrizio Falconi 



06/06/18

Scavi a Ponte Milvio: spunta edificio imperiale !






Sprint negli scavi archeologici a Ponte Milvio che si sono ampliati negli ultimi venti giorni. 

Gli archeologi sono al lavoro sulle rovine di un edificio residenziale di eta' imperiale, forse una villa, ritrovati lungo l'argine del fiume grazie all'archeologia preventiva in un cantiere di sotto servizi Acea-Areti

La Soprintendenza Speciale di Roma aveva annunciato la scoperta lo scorso autunno, ma poi lo scavo e' stato temporaneamente richiuso per il rischio che l'innalzamento stagionale del livello Tevere danneggiasse i reperti. 

Dopo lo stop invernale, l'indagine e' ripartita con uno sprint ed in maniera estensiva in primavera. I risultati potrebbero essere presentati alla comunita' scientifica e ai media entro il mese di luglio. Al momento, a quanto si apprende, gli archeologi stanno facendo un accertamento su materiali dell'edificio. 

Gli scavi lasciano intravedere una vasta porzione di pavimento in "opus sectile", decorato con straordinari marmi policromi che disegnano motivi floreali. 

La bellezza del pavimento fa supporre che l'edificio fosse comunque ornato in maniera preziosa, ma l'ubicazione appare inconsueta vista la vicinanza al fiume. 

28/11/17

A Ponte Milvio spunta una casa di età imperiale con marmi bellissimi!


L'antica Roma non smette di stupire. 

Nelle scorse settimane sono emersi nuovi reperti vicino Ponte Milvio: si tratta di resti di un edificio residenziale di eta' imperiale, ritrovati grazie all'archeologia preventiva in un cantiere di sotto servizi Acea-Areti, lungo l'argine del fiume. 

A ritornare alla luce è una vasta porzione di pavimento in "opus sectile", decorato, cioè, con straordinari marmi policromi. Tarsie marmoree rosse e verdi che disegnano splendidi motivi floreali (non così comuni) intorno ad un quadrato centrale con doppia cornice. Secondo i funzionari della Soprintendenza speciale di Roma responsabili dell'area, potrebbe trattarsi di una porzione di un ricco edificio a carattere residenziale risalente alla piena età imperiale. La bellezza del pavimento echeggia indubbiamente la preziosità di un complesso abitativo. Resta ancora da sciogliere l'enigma della posizione.


Lo annuncia la soprintendenza speciale di Roma Archeologia belle arti paesaggio. 

In vista dell'innalzamento stagionale del livello Tevere atteso a giorni e che potrebbe danneggiare i reperti - spiega la soprintendenza - lo scavo sara' richiuso temporaneamente nelle prossime ore.


In primavera l'indagine archeologica sara' ripresa in maniera estensiva e i risultati verranno presentati alla comunita' scientifica e ai media.

fonte ANSA e Il Messaggero


14/12/13

Un incredibile piccolo luogo sconosciuto di Roma (davanti al quale si passa tutti i giorni): l'Oratorio di Sant’Andrea a Ponte Milvio e la testa dell’Apostolo.


un estratto dal Libro Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, uscito da pochi giorni in libreria. 


Un piccolo edificio, sotto l’ombra dei cipressi passa quasi del tutto inosservato sulla sponda sinistra del Tevere, proprio alla fine del tratto della Via Flaminia prima di Ponte Milvio, compresso com’è dalle due carreggiate e dai binari della linea del tram che la cingono d’assedio. Eppure si tratta di un piccolo gioiello che custodisce una lunga e nobile storia: è il cosiddetto Oratorio di Sant’Andrea, costruito accanto ad una edicola, poggiata su quattro colonne con la statua raffigurante l’apostolo Andrea.

Sia la statua che l’edicola risalgono al 1463, quando furono commissionate dal papa di allora, Pio II Piccolomini, all’architetto toscano Francesco Del Borgo, per rendere eterna memoria di un evento storico avvenuto proprio in quel luogo, l’11 aprile dell’anno precedente, il 1462. In quel giorno di primavera, a Roma, accadde qualcosa di notevole: il Cardinale Bessarione (di lui parliamo anche in un capitolo a parte, nelle pagine sul Rione di San Saba), grande erudito e umanista, mediatore e ambasciatore tra le chiese di Bisanzio e quella di Roma, arrivò nella capitale portando con sé una reliquia preziosissima: la testa dell’apostolo di Gesù, Andrea. L’arrivo nell'Urbe di questo sacro reperto assumeva in quegli anni un significato particolarmente importante, in una città che già vantava ovviamente un gran numero di insigni reliquie della cristianità: la testa dell’Apostolo Andrea era sfuggita alla massiccia operazione di recupero seguita alla occupazione da parte dei Crociati del trono imperiale di Bisanzio, nel 1204. Grazie alla riconquista della antica Costantinopoli, infatti, un gran numero di reliquie della prima cristianità, custodite nella capitale dell’Impero Romano d’Oriente, erano state riprese e riportate in Occidente, non solo a Roma, ma nelle principali cattedrali e chiese di Francia, di Germania, di Spagna, d’Italia, compreso il corpo dell’Apostolo Andrea (che la tradizione vuole morto nell’anno 60 d.C. in Grecia, nella città di Patrasso, dopo il celebre martirio per crocefissione sulla cosiddetta croce decussata, cioè a forma di X).


A quel corpo – che era stato spostato, dopo la sepoltura, a Costantinopoli (città di cui Sant’Andrea divenne patrono), mancava però la testa, che continuò ad essere conservata a Patrasso e che lì resto, in mano ai bizantini, anche dopo l’ingresso dei Crociati a Bisanzio.

Dopo due secoli e mezzo da allora, la testa del santo fu dunque finalmente donata, insieme ad altre reliquie del martirio dell’Apostolo, dal re di Morea, Tommaso Paleologo a Papa Pio II. Tommaso, che era stato spodestato dai Turchi (ed era riuscito miracolosamente a mettere in salvo la reliquia) sperava in questo modo di ingraziarsi il papa cattolico visto che Bisanzio era stata nuovamente riconquistata dagli Ottomani e soltanto una nuova iniziativa da Roma, con l’indizione di una nuova Crociata poteva restituire Costantinopoli ai cristiani.

La reliquia della preziosa testa fu dunque affidata al Cardinale Bessarione, che fungeva da vero e proprio ambasciatore, il quale in un lungo viaggio per nave era giunta fino ad Ancona e di qui trasportata fino a Narni e poi, via fiume, attraverso le acque del Tevere fino a Roma, a Ponte Milvio, dove, appena disceso dal battello, il Cardinale aveva trovato ad accoglierlo il Papa in persona. Fino al Cinquecento la memoria del fausto avvenimento fu consegnato soltanto all’edicola e alle colonne. In seguito fu realizzata la chiesa di Sant’Andrea (a pianta quadrata con cilindro, che si trova nei pressi) e l’Oratorio che nel 1566 Papa Pio V concesse all’arciconfraternita della Trinità dei Pellegrini. Il luogo infatti, era una delle mete privilegiate, e delle soste obbligate dei pellegrini che percorrendo la Via Francigena, da Nord, giungevano nella Città Santa. 

L’edificio di culto fu dotato anche di un cimitero destinato proprio ad accogliere i pellegrini morti durante il loro viaggio di avvicinamento a Roma. Il cimitero, che doveva essere molto esteso, è ormai ridotto ad un piccolo recinto, nel quale restano soltanto alcune lapidi con iscrizioni e l’erma marmorea del cardinale Piccolomini, nipote del Papa.


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. Tratto da Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton Editore

06/03/12

La visione di Costantino e L’Arco di Malborghetto sulla Via Flaminia - 8 - Conclusioni.




8. Conclusioni.


Al termine di questa relazione, vogliamo esporre qualche breve conclusione che ci sembra di poter trarre dalle considerazioni precedentemente esposte:

Non sembra esservi plausibile dubbio che il cosiddetto Arco di Malborghetto, al 19mo chilometro della Via Flaminia, alle porte di Roma, sia stato edificato in stretta relazione all’episodio della Battaglia di Ponte Milvio. 

La lontananza però dell’arco stesso dal luogo dove la Battaglia ebbe luogo – una distanza di circa 12 km. -  autorizza a immaginare che l’Arco stesso non sia stato edificato a ricordo della Battaglia, ma per commemorare il luogo dove avvenne la misteriosa visione del segno nel cielo, riferita da diverse fonti coeve e posteriori alla vita dell’Imperatore Costantino.  Nella raffigurazione artistica più famosa dell’episodio in questione – quella di Piero della Francesca ad Arezzo – l’artista dipinse, sullo sfondo della scena, un cielo stellato che i recenti studi hanno dimostrato rispettare fedelmente la riproduzione esatta del planisfero celeste boreale.   

L’esperimento di puntatura di un normale programma astronomico sul cielo di Malborghetto - compiuto per la prima volta da Bruno Carboniero e illustrata nel suo libro (scritto a quattro mani con Fabrizio Falconi, In Hoc Vinces, Edizioni Mediterranee, 2011) -  durante la notte della visione, conferma a grandi linee il quadro astronomico riprodotto da Piero, con in più il particolare che l’artista di San Sepolcro inserisce nel quadrante di cielo al posto dove avrebbe dovuto trovarsi la Costellazione del Cigno: un angelo con in mano una croce. 

Peraltro la raffigurazione dell’angelo di Piero risulta assai somigliante all’immagine della costellazione così come è riprodotta nelle antiche tavole di astronomia. La dimostrazione che abbiamo riferito – riproducibile con i normali programmi di simulazione astronomica in commercio, non è, ovviamente dimostrativa.  

Propone semplicemente una ipotesi di lavoro, e cioè che Piero della Francesca, studioso appassionato dei principi matematici e alchemici, abbia avuto conoscenza della particolare luminosità della Costellazione del Cigno – che appare in cielo con forma di croce – nel periodo dell’anno in cui avvenne il Sogno di Costantino (cioè la fine del mese di Ottobre) , e che abbia inserito questo velato  riferimento, nelle forme e nei volumi dell’angelo (con le ali di cigno) che scende dal cielo per portare il Segno al primo imperatore cristiano.  I molti studi, le molte ricerche fiorite negli ultimi anni intorno al Piero esoterico offrirebbero numerosi spunti a questa pista interpretativa. 

Ma ci fermiamo qui, convinti come siamo che l’episodio della battaglia di Ponte Milvio debba continuare ad essere argomento di prioritaria competenza da parte degli storici, considerata la complessità degli effetti che quel rapido conflitto portò come conseguenza durante i secoli a venire sui destini dell’intero Occidente. 
Fabrizio Falconi
 (C)(riproduzione riservata)
Clicca qui per leggere le puntate precedenti

06/02/12

La visione di Costantino e l'Arco di Malborghetto - 5. Il casale di Malborghetto.


5. Il casale di Malborghetto.

Ma dove avvenne esattamente questa Visione ?

Per rispondere dobbiamo spostarci un po’ fuori dell’Urbe. Risalire l’antica Via Flaminia, e raggiungere il chilometro 19.

Come abbiamo visto precedentemente, l'armata di Costantino, proveniente dal Nord Italia si accampò, in quella fine di ottobre del 312 d.C. sulla Via Flaminia, prima del combattimento finale con le truppe di Massenzio.

Considerando l’inizio dei combattimenti, il quale avvenne nella piana di  Saxa Rubra, è presumibile che gli uomini di Costantino si fossero accampati qualche chilometro prima, un po' più a monte, e non è difficile ipotizzare che il luogo scelto dovesse essere prima della collina di Prima Porta, dove oggi sorge il grande cimitero comunale, il più esteso di Roma.

Il Casale di Malborghetto è un edificio rurale medievale, che passa quasi inosservato agli occhi di chi transiti sulla Via Flaminia, seminascosto com’è dalla vicina linea ferroviaria.  Si presenta come un comune palazzo alto e quadrato in mattoni di travertino adiacente ad una piccola chiesa.  Ma guardando appena più attentamente non è difficile riconoscere il nucleo originale della costruzione, rivelato dal diverso colore e dal diverso materiale usato nnella struttura dell’edificio. Ben visibile si identifica il disegno di un imponente arco quadrifronte romano, eretto, come risulta da vari indizi (tra i quali mattoni con i bolli dell'età di Diocleziano) all'inizio del IV secolo a.C.



Eppure l’arco di Malborghetto, curiosamente,  non è ricordato da alcun documento fino alla fine del Duecento, quando viene citato in un atto di compravendita della costruzione, ormai trasformata in un fortilizio.

Dopo vari trascorsi, tra cui una devastazione attribuita agli Orsini nel 1485 (che a quanto pare determinò il toponimo di Malborghetto), l'edificio (quel che ne restava) risulta affittato verso la metà del 1500  da un farmacista milanese che viveva a Roma,  in Via della Scrofa. Questo personaggio portava il cognome Pietrasanta, e il nome di battesimo proprio Costantino, circostanza davvero curiosa.  Ma all'epoca non vi era nessuno, ovviamente,  che mettesse in relazione l'edificio con l'Imperatore romano.
Il Pietrasanta fece restaurare la costruzione sotto il pontificato di Pio V, lasciandone  futura memoria in una scritta di brutte maioliche, ancora visibili, sul frontone sotto il tetto.

In seguito ci furono altri restauri, finché ai primi del secolo, un archeologo tedesco -  Fritz Toebelmann - studiò finalmente a fondo, per cinque lunghi anni, il monumento giungendo alla conclusione che esso fosse stato eretto per commemorare la vittoria di Costantino su Massenzio, trattandosi dell'unico evento storico significativo accaduto nella zona in quel determinato periodo storico.  Toebelmann, prima di morire ancora giovane nelle trincee della Grande Guerra, arrivò a tale convinzione dopo aver minuziosamente esaminato i materiali di costruzione dell’edificio, e aver rinvenuto, incassati nei muri, alcuni mattoni con impresso il bollo dell’imperatore Diocleziano, circostanza che rese possibile datare con precisione la costruzione del primo arco, come manufatto del IV. secolo dopo Cristo (6).

Del resto le stesse dimensioni monumentali dell’Arco (m.14,86 X 11,87 X 7) con i basamenti rapportabili a quelli dell'unico quadrifronte sopravvissuto a Roma, quello del  Velabro, testimoniavano che l’Arco stesso dovesse essere stato costruito in quel luogo a ricordo di un evento memorabile, e non poteva non collegarsi alla Battaglia di Ponte Milvio.  
Ma se un Arco avesse dovuto commemorare quella Battaglia, questa è la nostra opinione, tale Arco monumentale avrebbe avuto molte più ragioni di essere edificato proprio a Ponte Milvio (luogo della morte di Massenzio), o nella zona di Saxa Rubra, dove la battaglia ebbe effettivamente inizio.

Perché invece l’edificazione proprio in quel punto, distante diversi chilometri sia da Ponte Milvio che da Saxa Rubra ?

Discende come conseguenza logica, a nostro avviso, proprio dagli studi di Toebelmann l’ipotesi che l’arco abbia  invece una stretta relazione con la VISIONE di cui parlano Lattanzio e Eusebio di Cesarea.


 QUI le precedenti puntate

 (C)(riproduzione riservata)

03/02/12

La visione di Costantino e l'Arco di Malborghetto - 4. Il Labarum.


4. Il Labarum.  


Ma come era fatto esattamente questo simbolo, il Labarum ?

Ripartiamo dal racconto di Eusebio di Cesarea, nel brano della Vita di Costantino I, 30-31, e leggiamo:

" La sua foggia era la seguente. In un'alta asta ricoperta d'oro s'innestava un braccio trasversale in modo da formare una croce; in cima a tutto era fissata una corona intessuta di pietre preziose e oro.        Su questa corona due segni, indicanti il nome di Cristo, mostravano per mezzo delle prime lettere  ( con il rho che si incrociava giusto nel mezzo ), il simbolo della formula salvifica:     l'imperatore prese poi anche in seguito questo monogramma inciso sul suo elmo.       Al braccio trasversale che era infisso nell'asta, si trovava sospesa una tela di gran pregio...    Di questo segno salvifico l'imperatore si servì sempre contro tutte le forze avversarie e nemiche, e ordinò che altri oggetti simili ad esso fossero messi alla testa di tutti i suoi eserciti.    "

Sappiamo, non soltanto da questa descrizione, ma soprattutto dalle centinaia di riproduzioni su monete, e monumenti che la foggia del Labarum era questa:



Un simbolo realizzato con le prime due lettere dell'alfabeto greco della parola Cristo: Chi (χ) e Rho, (ρ).

Ma il Labarum ha sempre comportato per gli storici un piccolo grande rompicapo.  Per vari motivi:  Innanzitutto Lattanzio, nonostante la descrizione particolareggiata della Visione, ignora il Labaro, e non lo cita nel suo racconto. Lattanzio parla di un monogramma, ma non specifica che si tratti del Labaro, così come è pervenuto fino a noi.  In secondo luogo nelle molte scene raffigurate sull'Arco di Costantino al Foro Romano, che venne eretto soltanto tre anni dopo la battaglia, il Labarum non compare, né è presente alcun indizio della miracolosa affermazione di quella particolare protezione divina che era stata testimoniata, dice Eusebio, da così tanti.  Ciò può essere spiegato in parte con il fatto che, come è risultato da recenti e approfonditi studi, l'Arco è un'opera ricavata da pezzi di altri monumenti più antichi.  

Nell'Arco di Costantino al Foro Romano, come è noto,  esiste in realtà una famosa iscrizione nella quale si dice che l'imperatore ha salvato la res publica INSTINCTU DIVINITATIS MENTIS MAGNITUDINE ("per grandezza della mente e per istinto [o impulso] della divinità").  Questo riferimento così generale, non indicante un simbolo specificatamente cristiano, ha fatto ritenere da alcuni studiosi che la divinità in questione fosse nient'altro che il Sol Invictus — il Sole Invincibile (identificabile anche con Apollo o Mitra)— inscritto anche sul conio costantiniano del periodo.  E’ del resto stato avanzato con molte ragioni l’argomento che Costantino, da abile uomo politico, seppure fosse stato sinceramente convinto di aver avuto contatto con una divinità nuova rispetto al parco degli dei pagani adorati nell’Impero, ben difficilmente avrebbe osato sfidare la benevolenza e il potere dei pretoriani romani, esponendo questa divinità nuova, cristiana – del tutto invisa – in un arco monumentale appena eretto.

Oltretutto, il Labarum fu sicuramente adottato in età costantiniana come simbolo assai diffuso, al punto che Giuliano l'Apostata, fautore del ripristino ad ogni livello del paganesimo, eliminò il segno sospetto dalle insegne militari, cosicché il Labarum  ricomparve soltanto durante il regno degli imperatori successivi.

In conclusione:   sembra certo, storicamente plausibile, che la Visione (o Sogno) sia avvenuta. L'imperatore Costantino vide o credette di vedere un segno divino.   Ciò risulta dal raffronto di tutte le fonti, tra le quali anche il celebre panegirico dell'Imperatore letto a Treviri nel 313, dopo che Costantino ebbe incontrato Licinio a Milano, nel quale si parla di una 'mente divina' rivelatasi soltanto a Costantino, e di una suggestione divina (divino instinctu), che lo rese indifferente alle superiori forze di Massenzio.

Questa Visione (o Sogno) coincide con l'avvento della concezione monoteistica, la quale irrompe nel mondo romano, raccogliendo l'eredità del culto del Sol Invictus, ma identificandosi ben presto con il Cristo dei Cristiani.    

E' certo inoltre, che sul destino della celebre Visione ebbe grande importanza la propaganda compiuta da Eusebio di Cesarea e dei suoi successori.   Eusebio scrive la sua Vita di Costantino parecchi anni dopo la Battaglia di Ponte Milvio, e mosso sostanzialmente dalla esigenza di sistematizzare la vicenda del "più grande degli Imperatori" in un quadro teologico-divino che avrebbe trovato compiutezza con il battesimo e la conversione al cristianesimo dello stesso Costantino avvenuta in punto di morte. (4 - segue)

 QUI le precedenti puntate

 (C)(riproduzione riservata)

25/01/12

La visione di Costantino e l'Arco di Malborghetto - 2.



2. Costantino, un predestinato. 

Uomo d’armi, cresciuto sui campi di battaglia, fiero e pratico, geniale stratega, uomo duro e generoso. Figlio di uno dei migliori generali di Roma (Costanzo Cloro), educato con il gladio e l’acciaio, capace comunque di raccogliere, già giovanissimo, l’eredità che il padre gli aveva consegnato, quella cioè di divenire il monarca assoluto (e illuminato) della Roma più gloriosa, al termine di un periodo di spaventose lotte familiari, e di potere infinitamente diviso.   Questo era Costantino.

Anche qui non possiamo permetterci di approfondire ulteriormente, rimandando alla vasta letteratura biografica esistente (3). Quello che preme sottolineare, premettendo una inevitabile semplificazione, è che:  Costantino  apparve sempre cosciente del proprio ruolo di predestinato. La figura dell'Imperatore, com’è noto, a Roma era equiparata a quella di una divinità.  E Costantino crebbe in un ambiente pagano che identificava l’imperatore  romano come un essere allo stesso tempo umano e divino. In questa concezione, era naturale, per Costantino l'auto-identificazione con quel Sol invictus , la divinità del Sole, che Roma aveva ereditato insieme ad altre – assorbendone il culto spesso in forme traslate -  dalle grandi civiltà orientali con cui era entrata in contatto, prime fra tutte quella egiziana con il Dio Horus, e quelle indo-iraniane con il culto di Mitra.  E all'indomani della vittoria di Ponte Milvio – come vedremo – in seguito alla apparizione del misterioso Labaro-croce, Costantino cominciò a identificarsi anche con la nuova divinità con la quale sentiva di essere entrato in qualche modo in contatto. Cominciò in altre parole un lento processo di adesione (forse non pienamente consapevole) alla figura del Salvatore, cioè di Gesù Cristo.  


Testimonianze di questo processo sarebbero ad esempio:  


il grande mosaico nella Basilica Lateranense. Secondo alcuni studiosi il volto del Salvatore potrebbe essere stato modellato sui lineamenti di Costantino, che fu, com’è noto il costruttore di quella prima Basilica romana (4);

la tomba dell’Apostoleion, a Costantinopoli, immaginata e preparata da Costantino per le sue spoglie, formata da dodici sepolcri, per le reliquie dei dodici apostoli, più un tredicesimo, centrale, quello nel quale avrebbero riposato per sempre le ossa dell'Imperatore: dunque, Costantino al centro, tra i dodici apostoli;  


la stessa morte di Costantino, secondo quanto racconta Eusebio, avvenuta il 22 maggio del 337 in Ancirona, presso Nicomedia, giorno della domenica di Pentecoste: anche questo servì ad alimentare post-mortem il mito di quell'identificazione di cui parliamo; il fatto infine che prima di morire, Costantino avesse immaginato una sontuosa cerimonia per ricevere il battesimo nelle acque del fiume Giordano. Questa ulteriore 'emulazione' non poté aver luogo per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute, circostanza che lo obbligò  a ricevere il sacramento pochi giorni prima di morire, a Nicomedia. Queste sono le parole pronunciate da Costantino, secondo il racconto di Eusebio, parole  che manifestano il rimpianto per questa mancata realizzazione di intenti ( Vita di Costantino, IV, 62,2): " Finalmente è giunto il tempo in cui anche noi potremo godere del suggello che dà la vita eterna, il tempo della impronta salvifica, che una volta pensavo di poter ricevere nelle acque del fiume Giordano, nelle quali si ricorda che anche il Salvatore venne battezzato per offrirci il suo esempio... "  

(segue) 

QUI la puntata n.1


(C)(riproduzione riservata)