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16/01/14

L'anello di cristallo (da "Prima di Andare") - di Fabrizio Falconi (racconto).






L’anello di cristallo



Il muro della casa si attacca alle mani, la pianta rampicante si districa a fatica, sale; il suo verde nell’oscurità è nero pesante.
La finestra aperta. Sul vetro si specchia la luna. Gli alberi intorno cantano la notte, le mie scarpe sporche di fango sono immerse nell’erba e insetti invisibili esplorano le mie gambe nude.
Nella casa con Bruna.
Bruna siede davanti a me e fissa la finestra aperta, piena di notte. Celeste ansia di possederla e gettare in terra gli scarti del mio odio.
Guadagnerò quintali d’oro per comprarti e ti sentirai mancare quando busserò alla tua porta.
Bruna piange. Come può piangere ? Piange, un unico lamento, le sue labbra avvolte dal silenzio. Tu e il silenzio accanto alla mia nuda solitudine.
Unica catena che stringe i miei polsi ai tuoi fianchi, legame senza il quale non potrei sopravvivere. Ore di mani, di profumi e rivoltarsi nel lenzuolo sudato, scendere dal letto e toccarsi il petto per baciare, fermarsi a rovistare tra le pieghe inconsolabili del cuore. Contraddizioni sospese come ragni sul filo esile.
Bruna dorme. I suoi occhi sono tornati dopo anni di migrazioni, dalla finestra potrebbe entrare l’urlo accecante di un dubbio con cui la mente ha imparato a far compromessi.
Mi alzo e i piedi nudi sentono il freddo, cammino senza poter indovinare dove sono e le mie mani sono disperatamente alla ricerca dell’anello di cristallo che avevo smarrito.
E’ lì. Splende in un angolo, il tuo maglione di spine l’aveva ricoperto. Raccoglierlo. E ora guardarlo roteare nel buio, senza che il palmo della mia mano lo sorregga.  Splende come il cuore che ho indovinato in te e volteggia in aria come un tuo sguardo languido, lasciato scendere giù.
Mentre dormi, splendo anch’io di riflessi abbaglianti e .. stai perdendo i miei occhi. Piangono vendetta e cristalli senza luce che cadono nel buio della notte. Ora si accendono ed esplodono, la loro luce è splendente e fredda come ghiaccio.
Questo anello...
Bruna è sveglia. Sorseggia lentamente. Vorrebbe buttar via la sua angoscia e vederla sparire senza storia.
“Oh, Bruna, lo sai che la notte non finirà mai, mai più… Nascondi la faccia e prega, tutto ciò non avrà alcun senso, anche se accanto a te c’è la mia figura che si inginocchia e prega come te.”
Bruna è salva e scappa via, scivolando sul pavimento, si muove strisciando, mi tiene in pugno.
“Non avresti dovuto farmi del male…” le sue labbra, costruzione divina, “le mie mani valgono più delle tue e per comprarle non ti ci è voluto molto. Potevi piangere, disperarti, io te le avrei date comunque, o forse lo hai fatto ma non me ne sono accorta, te ne rendi conto, vero ?”
Bruna non ha cervello
o lo usa male
o ne ha troppo
“Sei un bambino e ami infilarti nei buchi come fanno i bambini, anche se per te ammetterlo significherebbe morire.”
“Dammi il tuo seno ora e io ti darò quel che vuoi. Ti ho aspettato senza saperlo e chiederti ora è facile come per un bambino richiedere l’incoraggiamento della madre.”
“Sei confuso. Forse per questo susciti tenerezza.”
“Quando la smetterai di dire ‘sei’ ?”
“Quando potrò nuovamente dire ‘sono’ “
Bruna sorride. Non ha capito affatto. Se parlerò ancora lei continuerà a non capirmi.
“Quanto aspetterai prima di bruciare il tuo maglione di spine e coprirti di me ?”  La mia domanda serpeggia in aria e sta per uscire, è quella di Bruna a fermarla:
“Quanto dureranno i miei pochi anni, i nostri pochi anni?”
Uff… si sta perdendo il senso dell’ordine e la noia sopprime il sonno. C’è stanchezza nel mio chiederti. Farei meglio a lasciare le mie mani abbandonate sul cuscino, raccolte. Dormi e io ti sveglierò quando la mia sete si esaurirà.
C’è un chiarore fuori. Potrebbe essere un’alba improbabile o la pioggia calda e luminosa dell’estate, o potrebbero essere gli occhi di Bruna che stanno tornando.

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 





07/01/13

E' morta Giovanna Bemporad - Un ricordo personale.





Ho conosciuto Giovanna Bemporad nell'estate del 1983.  

Ero un ventitreenne che aveva appena esordito con un libro di racconti - Prima di Andare - e su suggerimento dell'editore - nella persona di Maria Cristina Becattelli - inviai una copia del volume ad alcuni scrittori (come si faceva un tempo). 

Giovanna Bemporad mi rispose quasi subito. Una lunga lettera, compilata con una scrittura obliqua regolare, in una lingua perfetta, esatta, non distante, prodiga di suggerimenti (e anche di elogi). 

Le telefonai al numero che mi aveva lasciato e lei - una voce esile, minuta, dai riflessi apparentemente rallentati - mi invitò a casa sua. Abitava in Via dell'Umanesimo, all'Eur, in un bell'appartamento (suo marito era il senatore Giulio Romano Orlando, non avevano figli). 

Suonai al campanello, la voce esile mi disse di salire. Al pianerottolo il portone dell'appartamento era socchiuso. Dall'interno, la voce mi disse di accomodarmi nel salone.   Entrai, lei non c'era.  La aspettai per qualche minuto. Quando comparve - erano le sei di sera, l'orario in cui, lo scoprii solo più tardi, abitualmente cominciava la sua giornata - rimasi colpito dall'aspetto: magrissima, con folti capelli neri (sembravano quasi una parrucca), pallida, la pelle del volto liscia come quella di una bambola.  Profumata (di talco?), leggermente incipriata, vestita con abiti maschili - pantaloni scuri, un gilet di raso, camicia bianca e la giacca di velluto.  

Fu un incontro speciale. Che - posso dirlo ora che non c'è più - mi cambiò la vita. 

Era la prima volta che mi si palesava di fronte l'essenza vera di un poeta. Di un poeta vero, di un vero poeta.  

Parlammo a lungo, lei era molto interessata a quel che aveva da dire e da scrivere un giovane come me. Era affascinata dal fatto che fossi figlio di operai, e che avessi scoperto il piacere di scrivere a dieci anni quando i miei mi regalarono per la Befana, una macchina per scrivere Olympia Carrera. 

Cominciò quel giorno una lunga amicizia.  Telefonate lunghissime - Giovanna era una affabulatrice, ma nello stesso tempo si interessava ad ogni questione dell'attualità o dei problemi, delle vicissitudini personali dell'interlocutore -  letture dei suoi Esercizi (praticamente il suo unico libro di poesia, che scrisse e riscrisse molte volte),  riletture ad alta voce, in pubblico, degli amati classici che traduceva - Eneide, Odissea, ma anche Novalis, Mallarmé, Valery, Rilke.   

Lei viveva di notte. Ritmi circadiani completamente invertiti.  Si coricava alle otto del mattino.  Fu lei a portarmi in giro in quella Roma, dove di notte incontravi tutti, all'inizio degli anni '80.  E le sue storie erano piene di meravigliosi aneddoti:  l'amicizia giovanile - fraterna - con Pasolini, Ungaretti che era stato il suo testimone di nozze, Eliot a Roma...  

Trascorrere il tempo con lei voleva dire, per uno come me, sognare: entrare in un mondo che consideravo precluso e che invece in qualche modo era accessibile, il mondo dei poeti, osservarlo di soppiatto, cercare di carpirne i misteri. 

Quando pubblicai L'Ombra del Ritorno, qualche anno più tardi, mi incoraggiò molto. Mi aiutò non poco nel rivedere i testi, minuziosamente, fino alla fine. 

Per lei la poesia era soprattutto questo: riflessione, meditazione, approfondimento, sempre e sempre. Una lenta discesa negli strati più profondi dell'essere umano. 

Stamattina, aprendo i giornali, ho appreso che Giovanna, a 83 anni ci ha lasciato. 

Da tempo, si era isolata da tutti. Ma lei, in fondo, come scrive oggi il Corriere della Sera, era sideralmente distante dal cosiddetto 'mondo letterario' :non aveva mai veramente frequentato nessuno, se non quelli che considerava amici poeti.   Nessun salotto, nessun bel mondo, nessuna televisione, nessun premio letterario, nessuna congrega (o consorteria o corporazione) di scrittori .

Lei era semplicemente la sua anima.  

E da oggi, io mi sento più orfano. 


Ciao, Giovanna.

Fabrizio Falconi  





03/05/12

'Prima di Andare', 1983.




Era molto tempo fa.

Nel 1983 l'occasione di un esordio importante per me che davvero ero molto molto giovane.  Dell'occasione devo ancora oggi ringraziare Maria Cristina Beccattelli, che insieme a un ristretto gruppo di amici, sognatori, realizzò il progetto dell'Editoriale Sette, a Firenze. 

La nuova casa editrice esordì proprio quell'anno con due collane - Racconti per una notte e Poesie per una notte -  e una originale proposta di distribuzione, oltre che nelle librerie, nelle catene alberghiere italiane,  presso le quali i libri venivano offerti come cadeau in segno di ospitalità. 

Il catalogo fu subito di alta qualità, con proposte raffinate:  Elin Pelin, Restif de la Bretonne,  Yuri Tynjanov...

La collana dei Racconti per una notte era diretta da Milena Milani (qui sotto nella celebre foto di Gianni Berengo Gardin, a Venezia durante la Biennale del 1968 insieme a Giuseppe Ungaretti).

Il privilegio fu per me di far parte, come autore, di quella ristretta schiera di autori scelti per aprire una nuova avventura editoriale.

Erano altri tempi: tempi nei quali, forse, il coraggio e la passione (e perfino l'incoscienza), l'amore per la parola scritta, in questo Paese, erano in grado di sovvertire le regole non scritte dell'editoria e della distribuzione e di compiere piccoli miracoli come questo.