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07/03/23

"L'albergo della via maestra", un magistrale racconto di Turgenev, da recuperare !

Ivan Sergeevič Turgenev

Considero Turgenev uno dei massimi nell'arte del racconto, insieme a Maupassant, Tolstoj, Henry James, Hem, Katherine Mansfield e pochi altri.
Se ne ha conferma leggendo "L'albergo della via maestra", nel quale in una sessantina di pagine, Turgenev racconta la storia di un uomo probo e amato, Akim, che con molte difficoltà riesce a diventare gestore di un Albergo su una via di comunicazione per mercanti, nel folto del bosco, proprietà di una avara vedova.
Sposatosi ad Anna, una giovane annoiata, che non lo ama, Akim manda avanti l'albergo e sale di gradino nella scala dei servitori della vedova, raggiungendo rispettabilità.
La sua vita viene però sconvolta dall'arrivo all'albergo di un mercante, e soprattutto dei suoi servitori, uno dei quali, Nuam Ivanic, ventenne bello e senza scrupoli, seduce Anna, riesce a farsi consegnare da lei i risparmi di una vita di Akim - duemila rubli nascosti nelle assi del pavimento - e con quel denaro va a comprare l'Albergo dalla vedova.
In 24 ore il povero Akim si vede derubato della moglie, dell'albergo, di tutta la sua vita.
Nuam, nel suo cinismo sfrontato, è uno dei più disinvolti cattivi della letteratura russa, che pure ne abbonda. Akim è un Giobbe, cui tocca il fardello di una rovina assoluta, che non merita in nessun modo. Anna è la sprovveduta incantata dalle piccole e maliziose seduzioni, la vedova, l'impietrito ritratto del potere.
Un ritratto ferocemente crudo - e allo stesso tempo totalmente poetico - della brutale natura umana e della pazienza santa dell'umile, della vittima innocente (viene in mente la figura biblica di Giobbe).
Superlativo.

Fabrizio Falconi - 2023

22/01/23

La forza di un racconto: "Open" di Andre Agassi

 


Ci è voluto "Open" il libro autobiografico di Andre Agassi, che ho letto soltanto ora, per sentirmi per una volta del tutto d'accordo con una affermazione di Baricco.

Il quale scrive a proposito di questo libro: "Se parti, non scendi più fino all'ultima pagina."

Ha pienamente ragione. "Open" è più avvincente di un romanzo, specie di una gran parte di quelli che oggi vengono sfornati.

Il merito è della vicenda personale di Agassi, certo, della sua vita piena di cose curiose e memorabili da raccontare, ma soprattutto delle capacità di scrittore di J.R. Moehringer (di famiglia italiana, nonostante il suo cognome), che ha materialmente scritto il libro, "montando" letterariamente ore e ore di registrazione.

Moerhinger del resto, dopo aver vinto il Pulitzer per il giornalismo, ha scritto un romanzo, Il Bar delle Grandi Speranze, che ha vinto molti premi importanti e che è stato ottimamente portato sullo schermo da George Clooney con il titolo di The Tender Bar (2021), protagonista Ben Affleck.

La forza di Open - che può essere tranquillamente letto anche da chi non capisce un'acca di tennis - è nella descrizione di un "processo di individuazione", come direbbe Jung. Quel percorso, cioè, attraverso il quale ciascuno conosce (dovrebbe cercare di conoscere) se stesso, che è poi lo scopo per cui si sta al mondo.

Agassi a cinque anni si ritrova con una racchetta da tennis in mano, ferocemente in mano a un padre pazzo, esule armeno trapiantato nel deserto di Las Vegas. Il padre pazzo ha deciso per lui il suo destino. Sarà, costi quel che costi, un tennista. Ma non uno qualsiasi, un campione.

La "vocazione" di Agassi non è la "sua" vocazione dunque, ma la vocazione che qualcun altro gli ha messo indosso e che lui, per molti motivi che sono l'ossatura del libro, non può fare a meno di non indossare.

Ciò gli provoca un costante sentimento di scissione: amore-odio per il tennis, amore-odio per (quel)la vita, che durerà fino al giorno in cui - dopo aver conquistato ben otto titoli slam - deciderà di smettere.

E' quindi una vicenda che parla a tutti. Perché tutti, più o meno, nella incertezza del nostro destino, ci siamo trovati a dover scegliere tra quello che gli altri o un altro pensavano fosse il giusto per noi e quello che noi, confusamente o no, sentivamo invece che fosse "più" giusto.

La confessione di Agassi è bella, dolorosa e sa di autentico (è questa la bravura di Moeringher). Quando un libro autobiografico di 500 pagine, scritto tutto in prima persona, senza pause, e al tempo presente, ti tiene inchiodato - anche se tu sai già tutto di cosa accadrà perché quel tennista lo hai visto decine e centinaia di volte in televisione per tutti gli anni '90 e anche dopo) - vuol dire che il libro è più che ottimo.

La trasformazione del "Kid di Las Vegas", ranocchio che si veste con orrende tute fucsia e ha al posto dei capelli un parrucchino biondo leopardato (un boro, lo si sarebbe definito a Roma), in un principe della racchetta, gentleman, marito romantico e benefattore con una evolutissima scuola di formazione per bambini disagiati, è oggettivamente ben scritta e soprattutto credibile.

Agassi, dopo aver tanto sofferto, si è anche trovato. Ed è questa la cosa più bella. Ha avuto la capacità di aiutarsi e di farsi aiutare. Ha capito che non sapeva chi era perché non gli era stato permesso né di conoscere le cose del mondo, né di conseguenza, se stesso.

E' una bella parabola di vita, un inno al sacrificio (parola che oggi suscita allergia), un racconto vero, come devono essere i racconti. 

Fabrizio Falconi - 2023

25/04/22

"L'uomo dimentica l'unica cosa che lo distingue dall'animale". Una pagina meravigliosa e terribile di Cechov


La casa col mezzanino
, che ha il sottotitolo Racconto di un artista, scritto nel 1896, è uno dei racconti più famosi di Anton Cechov. 

Due sorelle, Zenja timida e dolce e Lida forte e dura, conoscono un pittore (chiamato Monsieur N., ovvero il Narratore). Le convinzioni idealistiche di progresso di Lida, tra le quali la costruzione di un nuovo ospedale, si scontrano violentemente con quelle pessimistiche e mistiche del pittore, convinto assertore del bene dell'anima. Quando Zenja si innamora dell'uomo, Lida la manda lontano ed il pittore non le vedrà mai più.

In questo racconto, dove si incontrano e si scontrano due diverse concezioni del mondo, che si potrebbero far risalire a Marta e Maria del racconto evangelico (In Luca, 10,28) c'è una meravigliosa e terribile pagina in cui il pittore descrive con poche e definitive parole la brutalità della condizione umana che ahimé - nonostante sia passato più di un secolo - non sembra cambiata, almeno in molte parti del mondo.

L'importante non è che Anna sia morta di parto, ma che tutte queste Anne, Mavre, Pelageje, debbano curvare la schiena dalla mattina alla sera, ammazzarsi di fatica, tremare per i loro bambini affamati e ammalati, vivere nel terrore delle malattie e della morte, che imbruttiscano e invecchino presto, che muoiano nella sporcizia e nel fetore; e i loro figli, crescendo, ricominciano la stessa musica, e così per centinaia di anni: miliardi di uomini vivono nel terrore, peggio delle bestie, solo per conquistarsi un pezzo di pane.

La cosa più spaventosa della loro situazione è che non hanno un minuto per ricordarsi che hanno un'anima, che sono esseri umani fatti a immagine e somiglianza di Dio; la fame, il freddo, il terrore animale, la fatica, come valanghe di neve, hanno chiuso loro tutte le strade verso qualsiasi forma di vita spirituale, ossia verso l'unica cosa che distingue l'uomo dall'animale e per cui vale la pena vivere.

Voi credete di aiutarli con scuole e ambulatori, ma non li liberate dalle catene, anzi, peggiorate la loro condizione di schiavitù, introducendo nuovi pregiudizi e di conseguenza nuovi bisogni, senza parlare poi del fatto che per medicine e libri devono pagare e quindi curvare la schiena ancora di più. 

Tratto da Anton Cechov, Racconti, 2004 Gruppo Editoriale L'Espresso, p.243 

17/03/22

Putin e il Monaco Nero - una chiave per capire la psicologia di questa guerra

Anton Cechov in una foto del 1903 colorizzata da Klimbim


Credo che chiunque voglia capire un po' di più dello spirito russo, della psicologia di questa guerra e di colui che l'ha scatenata, farebbe bene a riprendere o prendere per la prima volta in mano uno dei più grandi racconti Anton Cechov, Il Monaco Nero, pubblicato nel 1894.

Il racconto ha per protagonista Andrej Vasil'ič Kovrin, un giovane professore universitario di psicologia, stanco e oberato dal lavoro, che decide perciò di trascorrere qualche mese in campagna presso il suo ex tutore Egor Pesockij, un orticultore che vive con la figlia Tanâ in una tenuta ricca di giardini e frutteti meravigliosi. 

La trama, come quasi sempre nei grandiosi testi di Cechov, è piuttosto semplice e può essere descritta così: 

Andrej è affascinato da una leggenda riguardante le apparizioni soprannaturali un monaco nero, e finisce per vederlo. 

Dapprima si preoccupa, sapendo che le allucinazioni sono segno di malattia mentale. Il monaco tuttavia gli parla, mette a tacere i suoi timori e lo convince di dover svolgere un compito importante per il progresso dell'umanità. 

Andrej si sente un eletto destinato a «servire la verità eterna, annoverarsi fra quelli che con migliaia d'anni d'anticipo avrebbero reso l'umanità degna del regno di Dio». 

Andrej sposa Tanâ e ritorna in città con la moglie. Costei si accorge però della malattia del marito e lo convince a farsi curare. Andrej guarisce, le allucinazioni sono scomparse, ma con esse è scomparsa anche la gioia di vivere, essendo Andrej convinto che senza il monaco nero come guida sarà destinato alla mediocrità («Come furono fortunati Buddha, Maometto e Shakespeare che i buoni parenti e i medici non li avessero curati dall'estasi o dall'ispirazione! (...) I dottori e i buoni parenti tanto faranno che alla fin fine l'umanità rimbecillirà, la mediocrità sarà considerata genio e la civiltà perirà»). 

Insofferente Andrej si separa da Tanâ e si unisce a Varvara Nikolaevna, una donna «che aveva due anni più di lui e lo accudiva come un bambino». 

Intanto Andrej si ammala di tubercolosi polmonare. Per giovare alla propria salute si reca in Crimea con Varvara. La malattia progredisce e nelle fasi finali appare nuovamente il monaco nero il quale rimprovera Andrej di non aver avuto fiducia nella sua missione di genio. 

«Quando Varvara Nikolaevna si svegliò e uscì da dietro il paravento, Kovrin era già morto, e sul suo volto si era fissato un sorriso di beatitudine».

Perché è grande questo racconto e perché ha qualcosa di così attuale che riguarda da vicino quello a cui stiamo assistendo in queste settimane di guerra?

Perché nello spirito umano - e particolarmente nello spirito russo, così incline alle perturbazioni dell'anima e alla esaltazione - è insito questo desiderio di grandezza, questo istinto di megalomania che la coscienza e la ragione tengono normalmente a bada in limiti considerati sociali, ma che sono pronti a esplodere quando una psicologia si "ammala". 

Il Monaco Nero è suadente perché dice a Andrej quello che lui vuole sentirsi dire: che lui non è nato per caso, che è venuto al mondo per uno scopo molto preciso e per un compito grandioso. Lui non sarà un mediocre, lui influirà nella storia, addirittura preparerà il cammino al regno di Dio! 

Andrej intuisce di essere pazzo, ma lentamente si lascia convincere che quel che il monaco ha da dirgli sia la cosa più importante, il motivo stesso per cui vive. Senza quella visione, e cioè "guarito", Andrej è profondamente infelice, nel suo ritorno alla "normalità". 

In fondo, un qualche Monaco Nero sussurra sicuramente anche alle orecchie di Putin, gli suggerisce che c'è per lui un posto privilegiato nella storia, un compito fondamentale da portare avanti prima di morire, e che gli garantirà forse, perfino una vita dopo la morte. 

Non c'è nulla di più irresistibile - e di più pericoloso - di una pazzia che si trasforma in ragione di vita e di autoaffermazione. 

Fabrizio Falconi . 2022




02/03/22

Le domande a un cane che sta per morire. Il meraviglioso "questionario" immaginato da David Leavitt

 



E' una delle cose più belle e alte e toccanti che abbia letto a riguardo dei rapporti con l'animale più amato, il cane, il proprio cane. David Leavitt lo ha scritto, e in italiano lo ha tradotto Fabio Cremonesi. 

Sei settimane fa a Toby, il nostro adorato Bedlington terrier, è stata diagnosticata una massa tumorale nell'addome con metastasi ai polmoni. Dato che Toby ha nove anni e il cancro è in uno stadio così avanzato, abbiamo deciso di risparmiargli un'operazione e la chemioterapia e passare direttamente alle cure palliative

Ci è stato detto che sarebbe morto nel giro di poche settimane, forse di giorni. Mentre sto scrivendo, sta bene, molto meglio rispetto al momento della diagnosi. 

Come percepisci il tempo? 
Percepisci il tempo? 
Pensi di doverci proteggere? 
Pensi che siamo noi a dover proteggere te? 
Se la tua risposta è sì a entrambe le domande, questo ti provoca angoscia esistenziale? 
Quando andavamo allo stagno a vedere le anatre e tu abbaiavi, come le vedevi? Come amiche? Nemiche? Prede? (Di solito tu gli uccelli non li guardi nemmeno). E ora che le anatre sono partite e nello stagno non ce ne sono più, senti la loro mancanza? 

Perché abbai quando l'automobile di un estraneo si ferma nel vialetto di casa, ma quando è la mia macchina a fermarsi nel vialetto non abbai? 
È perché riconosci il rumore del motore della mia macchina? O perché la mia macchina ha un odore tutto suo? 
È per il ritmo dei miei passi quando mi avvicino alla porta? 
Cosa ti passa per la testa quando senti le parole «giro in macchina»? 
Cosa ti passa per la testa quando senti la parola «bocconcino»? 

Perché quando sei nel nostro letto, dormi rivolto nella direzione opposta rispetto a noi? 
Come hai fatto a scoprire come si apre la maniglia della porta del bagno? 
Perché bevi l'acqua dal water anziché dalla tua ciotola? 
Pensi che il water sia una fonte? 
Come fai a sapere quando manca un'ora al momento della pappa? 

Lo capisci dalla luce che cambia? Dal mio umore che cambia? Dalla posizione del sole e della luna che cambia? Com'è per te la sensazione di fame? 
Perché sradichi sempre i gigli? È qualcosa che ha a che fare con i gigli in sé? È qualcosa che ha a che fare con il cane che c'è dall'altra parte della recinzione accanto a cui sono piantati i gigli? È qualcos'altro? 

Capisci che la mia mente è dentro la testa? 
Mi consideri assurdamente lungo? Ti consideri più proporzionato di me? Come percepisci l'età? Sai quanto sei invecchiato rispetto alla prima volta che ci siamo visti? Sai quanto sono invecchiato io rispetto alla prima volta che ci siamo visti? 

Capisci che siamo destinati a invecchiare a velocità diverse? Ti confonde il fatto che, dopo essere stato più giovane di me per tutta la vita, adesso ti ritrovi a essere più vecchio di me? 
Ti sembro tragico? Comico? Volgare? Intelligente? Indolente? Noioso? Poco collaborativo? Affettuoso? Negligente? Patetico? Capisci cos' è la morte? 

Capisci che tra chi hai conosciuto, ci sono persone che rivedrai e altre che non vedrai più, in certi casi perché sono morte? Quando hai ucciso quello scoiattolo, hai capito di averlo ucciso? 
Quando hai strappato dal tuo scoiattolo-giocattolo il meccanismo che produceva il suono, hai capito di non averlo ucciso? 

Ricordi tua madre? 
Perché quando c'è un temporale vai sempre a nasconderti dietro la sedia sul lato destro della stanza e mai dietro a quella che c'è a sinistra? 

Cosa pensi quando vedi un altro cane? Dipende dal cane? Se sì, da quale aspetto del cane dipende se lo considererai un amico o un nemico? Ho ragione a supporre che non ti piacciano i cani neri? Questo fa di te un razzista? 

La prima volta che hai tirato fuori la soletta da una mia scarpa e l'hai lanciata all'altro capo della stanza, ti sei divertito a farlo? È perché quella prima volta ti sei divertito così tanto che da qual momento in poi l'hai fatto altre centinaia di volte? È corretto che io chiami «gioco» quel tuo tirare fuori le solette dalle mie scarpe? Posso dire agli altri: «Il mio cane si è inventato un gioco?». Perché tiri fuori le solette solo dalle mie scarpe sinistre? 

Secondo te perché sogno spesso di fare le valigie all'ultimo momento? Perché spesso in quei sogni tu sei una delle cose che devo mettere in valigia? Perché in quei sogni quando salgo sul taxi per l'aeroporto, all'improvviso mi ricordo di essermi dimenticato di prendere qualcosa? Perché in quei sogni sei così spesso tu la cosa che ho dimenticato di prendere? 

Perché nei miei sogni l'aeroporto è sempre Malpensa? Perché quando mi sveglio da quei sogni e ti vedo dormire accoccolato accanto a me, mi sento addolorato? Tu cosa sogni? Capisci cosa vuol dire «abbastanza»? Capisci cosa vuol dire «troppo»? 

Capisci di essere malato? La prospettiva della tua morte ti spaventa quanto spaventa me? Come farò a vivere senza di te?

22/04/21

Libro del Giorno: "Racconti spirituali" - a cura di Armando Bonaiuto con uno scritto di Gabriella Caramore

 


Accade talvolta, nella vita cosí come fra le pagine di un libro, che si schiuda qualcosa di potente e inatteso: per un momento la maglia del quotidiano si allenta, un barlume filtra e illumina la realtà che ci circonda

Per far scintillare un simile mistero, la letteratura è una chiave unica e preziosa. Questi diciotto racconti ci ricordano l'esistenza di un filo teso tra umano e divino: facendoci sfiorare da una forza antica quanto l'uomo stesso, ci catturano e insieme ci liberano. 

Ecco cosa accade ai personaggi che abitano i racconti di questa raccolta. Cosí Maupassant ci mostra un prete dal cuore di pietra ammorbidito da una notte di luna, Hermann Hesse il sacrificio di un uomo mite che forse ha parlato con Dio, Giovannino Guareschi un professore trafitto dalla saggezza nascosta del suo peggiore studente. E mentre Olga Tokarczuk racconta come si possa continuare a prendersi cura anche di chi non c'è piú, Vasilij Grossman ci narra l'epopea di un mulo capace d'amore in un mondo in guerra, fino a Natalia Ginzburg che intravede il divino sotto una coperta sudicia, piena di cimici

E' questo un libro prezioso. Con una scelta di autori originale e insolita e i commenti di Buonaiuto, direttore di Torino Spiritualità, che raggruppa i diversi racconti per temi e assonanze. 

Splendida la prefazione di Gabriella Caramore, saggista e storica conduttrice di Uomini e Profeti, su Radio Tre, che invita a riflettere sul significato dello Spirito e dello Spirituale, all'epoca della società palliativa - come la definisce Byung-Chul Han - fondata sulla sparizione del senso del dolore (e quindi anche del sacro). 

2020 Supercoralli pp. XX - 244 

15/10/19

Libro del Giorno: "Bugie e altri racconti morali" di J.M.Coetzee




Il nuovo libro di J.M. Coetzee appena pubblicato dai Supercoralli di Einaudi è una raccolta di sette racconti sette (alcuni consistenti di pochissime pagine), che si riduce a una novantina di pagine e rappresenta probabilmente un bottino piuttosto modesto (considerando anche il prezzo del volume, 15 euro) per i numerosi appassionati della letteratura del Premio Nobel sudafricano (ricevuto nel 2003). 

E però, c'è da dire subito, la qualità di Coetzee, la sua qualità di scrittura e la sua qualità morale (visto che egli stesso definisce nel titolo della raccolta questo appellativo per i sette racconti) è sempre altissima.  Anzi, il tono estremamente distillato di questi racconti, ha il pregio di rendere ancora più nitida, essenziale, la prosa di Coetzee. 

Di cosa parlano questi racconti ?

Una donna che va e torna dal lavoro in bicicletta, ogni giorno facendo la stessa strada, avverte tutta la ferocia del mondo nel ringhiare di un cane che puntuale la minaccia. Provata da questa quotidiana, ingiustificata esplosione di violenza decide di bussare alla porta dei padroni del cane: ma negli esseri umani troverà una violenza ancora piú profonda e impenetrabile di quella animale. Una madre e nonna, in cui i lettori di Coetzee riconosceranno Elizabeth Costello, decide nel giorno del suo sessantacinquesimo compleanno di accogliere figli e nipoti con un taglio alla moda e i capelli tinti di un biondo sgargiante. Poi ancora Elizabeth, qualche anno piú avanti, che vive ritirata in una casa nella campagna spagnola. Sola con i suoi gatti e l’amara consapevolezza che a regolare la vita non sia tanto l’amore quanto il dovere. E infine suo figlio, che la va a trovare per cercare di farle accettare la verità ultima, quella da cui, a un certo punto, non potrà piú nascondersi… 

Sette storie esemplari dunque, che hanno l’asciuttezza della parabola e l’intensità della rivelazione, J. M. Coetzee affronta tutti i temi della sua letteratura: il rapporto tra l’umano e l’animale, l’ipocrisia che cela l’ingiustizia, l’universale bisogno di perdono. 

Sono «racconti morali» perché non sono mai moralisti, e alla consolazione di una «morale della favola» oppongono sempre il turbamento del dubbio

09/08/19

Libro del Giorno: "Amore" di Inoue Yasushi



Tre racconti, tre perle.

L'arte di raccontare usando parole distillate, essenziali, come insegna la grande tradizione della letteratura giapponese. 

Non si finisce di meravigliarsi, leggendo queste poche pagine pubblicate da Adelphi, dell'arte di Yasushi (1907-1991), uno dei massimi scrittori giapponesi che i lettori italiani hanno già conosciuto per lo splendido romanzo breve Il fucile da caccia, pubblicato sempre da Adelphi  nel 2004.

Amore riunisce tre racconti collegati dall'amore che da il titolo al volume, scritti tra il 1950 e il 1951 e poi raccolti e pubblicati nel 1959. 

I titoli dei tre racconti, sono già suggestivi: Giardino di rocce (Sekitei), Anniversario di matrimonio (Kekkon kinenbi), e il più lungo, La morte, l'amore, le onde (Shi to koi to nami to). 

Nel primo, Giardino di rocce,  Uomi Jirō, sposato con Mitsuko, decide di andare a Kyōto per il viaggio di nozze, poiché in quella località aveva trascorso molto tempo, negli anni degli studi. Giunti sul posto, i due decidono di andare a visitare il giardino delle rocce del Ryōanji, dove Uomi e Mitsuko affrontano le loro ombre individuali, fino a una inattesa separazione. 

In Anniversario di matrimonio Kanako e Shunkichi decidono di festeggiare la vincita alla lotteria di  diecimila yen e decidono di spendere la metà della somma di denaro per una notte in un lussuoso albergo a Hakone. 
L'idea del costoso soggiorno abortisce nel corso di una tortuosa passeggiata e i due decidono di tornare a casa, di comune accordo, tutto sommato felici di essere a casa, andando a letto come in una normale giornata. 

La morte, l'amore, le onde infine racconta la storia di Sugi Sennosuke che decide di pernottare in un hotel, che si affaccia su una ripida scogliera, con l'idea di suicidarsi al termine del soggiorno.
Durante la permanenza però fa conoscenza dell'unico altro soggiornante dell'albergo, una ragazza,  Nami, e al termine di una cena con lei, apprende che anche Nami è lì per lo stesso motivo. 
Misteriosamente i destini dei due si intrecciano, fino alla notte fatale. 

Sono tre piccole grandi lezioni di scrittura, ma anche tre storie universali che molto raccontano di noi, delle nostre paure, delle nostre ansie più sottili, della nostra incapacità di essere realmente padroni delle nostre vite.

Fabrizio Falconi


Yasushi Inoue
Amore
Traduzione di Giorgio Amitrano 
Adelphi, Milano
2006 
Pagine: 117 Euro 8.50

09/10/18

Libro del Giorno: "Bartleby lo scrivano e altri racconti" di Herman Melville.



Tornano, in nuova e bellissima edizione, nella traduzione di Alessandro Roffeni, 5 racconti di Herman Melville, tra cui il famosissimo Bartleby, pubblicato per la prima volta nel 1853 sul "Putnam's Monthly Magazine", due anni dopo il clamoroso insuccesso si Moby Dick che, uscito nel 1851, non portò al suo autore né vendite né riconoscimenti. 

Prossimo alla rovina finanziaria e dopo che un incendio aveva distrutto molte copie dei suoi libri nella sede della casa editrice di New York, Melville a 33 anni avvertiva la propria carriera di scrittore già volta al termine.

Eppure, non interruppe del tutto la sua produzione, tornando a lavorare in solitudine ai racconti e a L'uomo di fiducia, l'ultimo romanzo (pubblicato nel 1857) che avrebbe visto le stampe mentre l'autore era in vita, cioè fino al 1911, anno della morte di Melville. 

Lo scrittore dunque decise, pochi anni dopo averlo creato, di imitare il suo Bartleby, il protagonista del suo celebre racconto: come lo scrivano "preferisce" non scrivere più scegliendo in pratica il suicidio, così lo scrittore deluso - come scrive Alessandro Roffeni  nella nota alla traduzione - "preferisce anch'egli sottrarsi allo sguardo dei lettori, scegliendo di suicidarsi come figura pubblica".

Anche Melville terminerà i suoi anni da vecchio brontolone: come uno dei personaggi di questi racconti. 

Rileggere oggi Bartleby ci fa apprezzare ancora di più il manifesto esistenziale di Melville, quello di un rifiuto sostanziale e radicale dei meccanismi di complicità e di sottomissione su cui si basa la società civile.  Ma una lettura ancora più attenta, oggi, ci aiuta a sfrondare questo gigantesco racconto dalla prosopopea "politica" che gli è stata attribuita nel corso dei decenni: quella cioè di un semplice proclama a favore della disubbidienza (politica).  In realtà il finale patetico del racconto, con la "voce" raccolta dal narratore, a proposito del misterioso Bartleby prima del suo apparire sulla scena, prima perciò di essere assunto a servizio come scrivano dall'avvocato-narratore, ci illumina sul fatto che Bartelby è sostanzialmente un tragico deluso dalle cose del mondo: la sua occupazione (precedente) all'ufficio postale delle "lettere smarrite" (vero colpo di genio di Melville), ci fa intuire che Bartleby  ha sperimentato grazie a quel surreale impiego, l'inutilità di ogni cosa - passioni, interessi, faccende, litigi, ecc.. - umana.  Tutte quelle cose incompiute e perse, mai consegnate, mai recapitate, mai portate a termine, suggellano il fallimento di ogni aspettativa umana.  

La sua protesta dunque - "preferisco di no" - è dunque una ribellione nei confronti della condizione umana tout-court piuttosto che una ribellione/rivendicazione sociale. 

Meno fulminanti, ma ugualmente magistrali sono gli altri quattro racconti presenti nel volume: Il tavolo di melo, dove il narratore è un uomo sconvolto dall'apparizione di un elemento misterioso e inesplicabile:  il rumore di un ticchettio proveniente da un vecchio tavolo in legno di noce trovato in una soffitta, dal quale scaturirà un insetto meraviglioso; anche in Io e il mio camino si parla di mistero, perché c'è chi vuole sondarlo, violarlo e metterlo a nudo: cioè un presunto scomparto segreto nel vecchio camino della casa, che invece l'anziano proprietario vuole difendere a ogni costo; infine ne Il violinista e in Jimmy Rose Melville torna sui temi del successo e del fallimento e della decadenza, di cui i due rispettivi protagonisti sono in diversi modi l'incarnazione.

Si tratta comunque di cinque perle di grande valore, che meritano di essere riscoperte e ammirate nuovamente. 

04/07/17

"Direzione inversa" - la delicata e intensa prosa poetica di Letizia Dimartino in un nuovo libro.



Esce per il piccolo ed elegante editore Il seme bianco uno dei libri più interessanti della stagione.

L'ha scritto Letizia Dimartino che è nata a Messina nel 1953 e vive a Ragusa. Poetessa che ha già alle spalle diversi volumi, da Verso un mare oscuro (Ibiskos, Empoli),  a  La voce chiama (Archilibri, Comiso 2010), fino al suo ultimo Stanze con case, uscito nel 2015 per Giuliano Ladolfi Editore, la Di Martino è quella che si può considerare una vera outsider della scena letteraria italiana,  nel senso più nobile che si può dare a questa parola: quello di autore appartato, che non ha mai frequentato i salotti giusti e che vive semplicemente della sua sofferta ispirazione. 

Il libro della Dimartino è prezioso innanzitutto perché frequenta un genere molto raro per l'editoria italiana, quello della prosa poetica, del racconto poetico.  Quel territorio proficuo e ambiguo dove la parola si fa sfuggente, non definisce interamente, non racconta e basta, ma spezza un ordine preesistente, rompe i piani del lettore, costringe ad un continuo ri-pensamento. 

E' così in questo insieme di 12 racconti (numero forse non casuale), che racchiudono in fondo un'unica storia, un unico flusso di voce. 

L'altro genere che questo libro frequenta è il memoir, il racconto auto-biografico che riannoda momenti della propria vita in una sorta di vortice ruminante.  Frammenti che si sovrappongono e si chiamano uno che l'altro, componendo il caleidoscopio di una esistenza.

E' come se anche qui, i ricordi non possano dipanarsi secondo un ordine, secondo una logica, ma soltanto attraverso la personale sensibilità dell'autrice, che questi ricordi vede vorticare sopra il suo letto, sopra la sua stanza, entro la quale ha scelto di recludersi per tentare di essere - come sosteneva Pascal - in pace con se stessi.

E però nessuna pace è in fondo veramente possibile, finché si è vivi.  I ricordi aiutano, fanno pensare, fanno bene e fanno male, ma non salvano. Perché ciò che è perduto, non torna mai definitivamente.

Lo avverte, il libro, già dall'epigrafe, riportando una dura sentenza dai Tristia di Ovidio:
Se mai qualcuno ci sarà che chieda della mia vita, gli dirai che vivo, ma non gli dirai che sono salvo.

La Dimartino è in queste pagine, senza difesa. Racconta e si racconta in ogni stagione della vita, a volte sovrapponendo i tempi e i luoghi.  Ma con la consapevolezza di un carattere-destino che si annuncia già precoce. Scrive nel primo racconto - Caro Diario :

Camminavo già poco, ero giovane ero triste avevo una figlia piccola con i riccioli chiari l’amore stavo perdendolo, guardavo e tutto mi scappava. Avevo solo la sofferenza nuova che pervadeva un corpo bloccato, i pensieri non liberi, i giorni sciupati. Ero a Ginevra, anni ’80, splendidi. I colori della notte che non arrivava mai nel suo cielo cristallino. Non sapevo cosa volesse dire essere adamantina. Non sapevo nulla. La poesia mai immaginata. Né lo scrivere tutto. I medici vedevano le mie lacrime. Mi meravigliavo di averle. Tutto cominciava. Non sapevo il mio ancora. Ginevra celeste.

E' un diario che a volte assume il carattere di agenda.  L'agenda della vita esteriore che scandisce il passaggio di tempi interiori infinitamente dilatati, o angosciosamente ristretti. Come scrive in Ore:

Alle 10:20 penso al mio amico poeta che scrive: «Il mondo comincia ogni quaranta minuti esatti». Ne rido divertita. Anche a me succede, a me che sto ferma e non attraverso strade e città. Che non prendo treni e aerei, che non vedo più stazioni e non posseggo valigie. A me cui tutto non gira. Ogni quaranta minuti tutto cambia. Sarà perché lo voglio sarà perché forse è vero sarà perché la poesia non toglie il sospiro e dona parole sconosciute e giorni e ore.

Ritornano, fra queste pagine, amori perduti, amori viscerali, incontri casuali, figli, mariti, e soprattutto case.  Poi storie:

E Santino si inventa un amore immediato. Quando la giovane donna lo condurrà al mare lui le terrà la mano. Non guida, ha paura. Ma la mano di lei è maschia e porta conforto. Non parlano. Santino non parla quasi più. Ha un regalo per lei. Ne avrà tanti. Lei accetta. Ha la città nel cuore, ha un figlio da crescere. Ha una casa vuota e Santino potrebbe salvarla. Chissà.

Figure che non si dimenticano, come quella descritta in Marta:

Non ha amiche, ama solo una persona. Che non ha occhi belli, che non ha una vita semplice, che cambia umore spesso. Marta ha nausea, ha pure paura. Lui si abbassa e la guarda. Stringe le sue dita.altri amori io? Avrò una vita? Ancora e ancora?».

L'impressione di uno scialo, di quello scialo che è la vita, trova contrasto nella forma inafferabile del ricordo personale, che è nervo, muscolo, cuore, arteria, sangue, pelle, segno, ruga.   E' solo questo presente che testimonia l'importanza del vissuto e quindi anche i ricordi. Quel che non è stato non tornerà. Così come quel che è stato.  Ma è proprio questo vortice di possibilità, di incontri, di straniamento, di avventura esteriore e interiore, il senso di questa leggera e dolorosa cosa che chiamiamo vita. Che non si finisce mai di ri-scrivere. Come dice l'autrice nelle ultime parole del suo bellissimo libro:

Tanti anni fa scrissi un romanzo. Ogni pomeriggio delle pagine. Erano complete e belle. Sì belle e ben scritte. In quel tempo stavo leggendo Kundera. Era estate. Lasciavo il suo libro e iniziavo il mio. Solo che era tutto nella mente, mai una parola sul foglio. E così l’ho perso, l’ombra del pomeriggio me la ricordo ancora, il letto dalle lenzuola fresche e la trama e tutto ciò che era diverso e inusuale. E l’ho perso, per sempre. Peccato. Non ricordo più neanche di cosa parlasse, forse di me in quadri singoli, c’era la mia prima casa, chi mi aveva amato. Forse sto rifacendolo il romanzo.


Fabrizio Falconi 

12/09/16

"Olalla" di Robert Louis Stevenson (Recensione).




Un prezioso racconto lungo di 100 pagine, che Robert Louis Stevenson scrisse in poche settimane alla fine del 1885, nello stesso periodo in cui compose Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mr. Hyde.

Ambientato nella Sierra spagnola, il racconto narra le vicende di un anonimo narratore inglese, reduce dalla guerra iberica, che ferito e convalescente, si trova ad essere ospitato nella residencia, un sinistro maniero in mezzo alle montagne, dove abita una famiglia nobile, caduta in disgrazia. 

Il narratore ne conosce i proprietari, uno dei figli, Felipe, e la Senora madre che vive come ibernata, insensibile agli avvenimenti intorno a lui, perennemente assorta a fianco di una colonna nel cortile. 

Nei suoi giorni di permanenza ha anche modo di fare conoscenza con gli antenati di famiglia, immortalati in grandi tele appese alle pareti, che sembrano tutti posseduti dalla stessa luce, attraente e sinistra. 

Conosce infine anche Olalla, la ragazza del titolo, la seconda figlia della Senora, e se ne innamora - e lei di lui - a prima vista, anche se è proprio da lei che il protagonista apprende la terribile verità riguardo la residencia: un morbo o una tendenza macabra, che sembra trasmettersi di generazione in generazione e che Olalla è pienamente decisa a non perpetuare, rifiutandosi di sposarsi e avere famiglia, e rifugiandosi nella fede. 

Magistralmente scritto, Olalla parla direttamente dell'autore, di Stevenson e delle sue fobie. In particolare quella della tara familiare, che lo affliggeva: sia il nonno che la madre dello scrittore infatti erano già prematuramente malati di petto, come lo stesso Stevenson che combatté con la tubercolosi per buona parte della sua vita, fino alla morte che lo colse, come è noto, nelle Isole Samoa, dove si era trasferito nella illusione di trovarvi un clima più favorevole. 

Gotico e calibratissimo, Olalla è una piccola perla che non si dimentica. 



Robert Louis Stevenson

17/03/16

"Rotta delle civiltà" di Fabrizio Falconi.




Rotta delle Civiltà


Non so come questa vecchiaia sia arrivata. Non me ne rendo proprio conto. Il mio nome – Yeronimus -  e il mio mestiere – Grande Viaggiatore – sono stampigliati a lettere d’oro sulla copertina di una pubblicazione che odora di cuoio fresco. 
 Sono io quello. E’ il mio nome. E mi domando come abbia fatto quel me stesso ad arrivare fin qui. E come possa essere io, il medesimo di allora.
  Eppure ogni volta, ogni volta, ogni volta che il cuore pensa, ritrova lo stesso frutto dei desideri, e tremori, follie: rinasce. Anche se sono soltanto un vecchio, una energia sempre nuova discende dal cielo, e mi bagna ancora. Quintessenza, materia oscura, ghiaccio che scotta, esiste dall’inizio dei tempi, e io ne faccio parte, finché mi è dato.
  Quando la prima nave staccò la prua dal porto, mi dissi: “il mondo ti appartiene“ e invece ora so che mi aspettava soltanto un viaggio di trasformazione. Tutto è cambiato, anche se io sono lo stesso di allora.
  Anche se sono lo stesso di allora, adesso mi specchio nella paura di una notte infinita.
  A quale scopo, mi chiedo,  il terrore si diverte ? Davvero la parvenza della mia vita, come quella di chiunque altro, è destinata a sciogliersi, come si scioglievano le vele nell’azzurro dei tropici ? Davvero dietro ad ogni miraggio appare l’ombra di una resa ?
  Il viaggio sta per chiudersi, l’ancoraggio è vicino, e dai venti invernali stavolta non mi salverà nessuno. Eppure guardo dalla finestra il lento spegnersi delle luci al confine della foresta, e so che domani, forse,  tornerò a rivederle spegnersi un’altra volta. Mi rimarrà questo conto scarno di giorni, e non sarò io a decidere quando fermare la testa sul cuscino, per lasciare che la mano bluvenosa della morte carezzi i miei capelli.
  Voglio dire quel che ho visto. Voglio liberare ancora una volta il cuore: se chiudo gli occhi, sento gli stessi profumi di allora, il canto dolce e amaro del mare sul viso. Le corde di canapa ruvide intorno alla vita, il silenzio disperato di pomeriggi infiniti.  Le amanti accarezzate, il destino che ho letto nel loro fuggirmi, alla fine di ogni sosta.  Lo rivedo come se fosse adesso, e lo posso raccontare:
  ero libero, ero io.
  Ero, nei pomeriggi infiniti.
  Ero al centro di tutto. Ero in piedi sulla rocca più alta della città, ero sotto un cielo che non ho più visto. Pieno di colori e ombre, di portenti e silenzi.
  Ero io quello che si immerse nel mare.
  Ero io quello che restò a galleggiare, sospeso tra cielo e mare.
  Ero il misterioso essere che mi contiene.
  Ero il contenuto pulsante che viveva, e pensava. E sognava.
  Ero io, come sono io ora.
  Ma ora, che le tenebre avanzano, l’uomo col messale legge i Suoi decreti. E davanti a lui c’è il me stesso che sono: il vecchio che non dorme e preferirebbe il sonno alle parole, e finisce per disperarsi, che aspetta il Tempo, che non ha tempo, che aspetta un morbo lontano, che lo ipnotizzi. Il vecchio che si abbandona al soffio di una melodia, e senza certezze dilania i suoi discorsi a furia di morsi amari. Il vecchio appeso a un filo che  ha imparato persino a pregare.
  Alla mia età, che ho visto tutto, non ho visto ancora niente.
  Non ho visto il meglio e non ho visto il peggio. E sulla prima pagina del libro c’è scritto:


  Attraversi il mare con un guscio di noce, guardi le stelle, ti affidi al vento, e non sai niente della nera tempesta che avanza. Sei chiamato a scavalcarla un’altra volta, affidandoti al coraggio del cuore, affidandoti soltanto…  


Fabrizio Falconi (C) - 2010 riproduzione riservata

immagine in testa tratta da : Il vecchio e il mare (Старик и море), cortometraggio d'animazione del 1999, diretto da Aleksandr Konstantinovič Petrov, vincitore dell'Oscar al miglior cortometraggio d'animazione nel 2000.

30/08/14

'Kafka e il digiunatore', un libro prezioso di Raoul Precht.





Sono davvero molti i modi nei quali, dagli anni successivi alla sua morte, gli scrittori - fino ai giorni nostri - si sono misurati col genio di Franz Kafka, quasi del tutto misconosciuto nel breve volgere della sua vita. 

Come ricorda Raoul Precht, in questo prezioso libretto - Kafka il digiunatore, appena uscito per Nutrimenti editore - tra il 1908 anno di pubblicazione del suo primo libro (all'editore di allora, Wolff ci vollero ben quindici anni per esaurirne la tiratura di sole ottocento copie !) e il 1924, quando uscì l'ultimo, proprio questo racconto, Il digiunatore, Kafka pubblicò appena sette volumetti di racconti, con una scarsissima eco di critica e pubblico, al quale il suo nome resta sostanzialmente sconosciuto. 

La gloria postuma di Kafka iniziò dunque soltanto dopo il 3 giugno del 1924, cioè dopo la morte di Kafka, avvenuta nel sanatorio di Kierling, nei pressi di Vienna, all'età di soli quarantuno anni. 

E iniziò grazie alle opere che furono salvati dal fuoco dall'amico Brod (Kafka aveva lasciato disposizioni molto severe che prevedevano la distruzione tra le fiamme di gran parte della sua produzione), tra questi anche uno degli ultimissimi racconti di Kafka, o forse l'ultimo in assoluto, questo Il digiunatore, che Raoul Precht traduce direttamente dal tedesco in una nuova edizione. 

Due testi accompagnano poi il racconto, nelle pagine del quale Kafka descrive le peripezie di uno di quei famosi digiunatori che nei primi anni del secolo si esibivano nelle piazze e nei circhi d'Europa e d'America, chiusi in gabbie ermetiche per dimostrare al pubblico (pagante) accorrente che riuscivano a fare completamente a meno del cibo per trenta o quaranta giorni. 

Non è un caso, sottolinea Precht, che Kafka, al termine della sua infelice vicenda terrestre, accudito dalla giovanissima compagna Dora, conosciuta un anno prima, abbia scelto proprio questo tema e questa figura, quella del digiunatore, colui che si ritira da tutto, che è schifato dal cibo - da quello che amano tutti gli altri - e che si lascia scivolare in un oblio dove anche la sua bizzarra, ambigua arte verrà del tutto dimenticata. 

Un finale amarissimo per un uomo e un artista che si era sentito sempre - anche orgogliosamente - fuori posto tra i (gusti dei) suoi conterranei e in definitiva anche nel (crogiolo di convenzioni e di cinismi del) mondo. 

Il suo occhio scrutatore, per molti versi implacabile, non poteva non restare così attratto dal fenomeno parossistico e paradossale dei digiunatori dell'epoca, un mondo che Precht ricostruisce con alcune foto dell'epoca e molta, accurata ricerca bibliografica, nell'ultimo capitolo del suo libro: l'affresco di un'epoca per alcuni versi ingenua (anche se non innocente), ma giunta ormai alla fine, che sarebbe stata spazzata via dall'orrore azzerante dei totalitarismi europei e del secondo conflitto mondiale. 

Fabrizio Falconi

16/01/14

L'anello di cristallo (da "Prima di Andare") - di Fabrizio Falconi (racconto).






L’anello di cristallo



Il muro della casa si attacca alle mani, la pianta rampicante si districa a fatica, sale; il suo verde nell’oscurità è nero pesante.
La finestra aperta. Sul vetro si specchia la luna. Gli alberi intorno cantano la notte, le mie scarpe sporche di fango sono immerse nell’erba e insetti invisibili esplorano le mie gambe nude.
Nella casa con Bruna.
Bruna siede davanti a me e fissa la finestra aperta, piena di notte. Celeste ansia di possederla e gettare in terra gli scarti del mio odio.
Guadagnerò quintali d’oro per comprarti e ti sentirai mancare quando busserò alla tua porta.
Bruna piange. Come può piangere ? Piange, un unico lamento, le sue labbra avvolte dal silenzio. Tu e il silenzio accanto alla mia nuda solitudine.
Unica catena che stringe i miei polsi ai tuoi fianchi, legame senza il quale non potrei sopravvivere. Ore di mani, di profumi e rivoltarsi nel lenzuolo sudato, scendere dal letto e toccarsi il petto per baciare, fermarsi a rovistare tra le pieghe inconsolabili del cuore. Contraddizioni sospese come ragni sul filo esile.
Bruna dorme. I suoi occhi sono tornati dopo anni di migrazioni, dalla finestra potrebbe entrare l’urlo accecante di un dubbio con cui la mente ha imparato a far compromessi.
Mi alzo e i piedi nudi sentono il freddo, cammino senza poter indovinare dove sono e le mie mani sono disperatamente alla ricerca dell’anello di cristallo che avevo smarrito.
E’ lì. Splende in un angolo, il tuo maglione di spine l’aveva ricoperto. Raccoglierlo. E ora guardarlo roteare nel buio, senza che il palmo della mia mano lo sorregga.  Splende come il cuore che ho indovinato in te e volteggia in aria come un tuo sguardo languido, lasciato scendere giù.
Mentre dormi, splendo anch’io di riflessi abbaglianti e .. stai perdendo i miei occhi. Piangono vendetta e cristalli senza luce che cadono nel buio della notte. Ora si accendono ed esplodono, la loro luce è splendente e fredda come ghiaccio.
Questo anello...
Bruna è sveglia. Sorseggia lentamente. Vorrebbe buttar via la sua angoscia e vederla sparire senza storia.
“Oh, Bruna, lo sai che la notte non finirà mai, mai più… Nascondi la faccia e prega, tutto ciò non avrà alcun senso, anche se accanto a te c’è la mia figura che si inginocchia e prega come te.”
Bruna è salva e scappa via, scivolando sul pavimento, si muove strisciando, mi tiene in pugno.
“Non avresti dovuto farmi del male…” le sue labbra, costruzione divina, “le mie mani valgono più delle tue e per comprarle non ti ci è voluto molto. Potevi piangere, disperarti, io te le avrei date comunque, o forse lo hai fatto ma non me ne sono accorta, te ne rendi conto, vero ?”
Bruna non ha cervello
o lo usa male
o ne ha troppo
“Sei un bambino e ami infilarti nei buchi come fanno i bambini, anche se per te ammetterlo significherebbe morire.”
“Dammi il tuo seno ora e io ti darò quel che vuoi. Ti ho aspettato senza saperlo e chiederti ora è facile come per un bambino richiedere l’incoraggiamento della madre.”
“Sei confuso. Forse per questo susciti tenerezza.”
“Quando la smetterai di dire ‘sei’ ?”
“Quando potrò nuovamente dire ‘sono’ “
Bruna sorride. Non ha capito affatto. Se parlerò ancora lei continuerà a non capirmi.
“Quanto aspetterai prima di bruciare il tuo maglione di spine e coprirti di me ?”  La mia domanda serpeggia in aria e sta per uscire, è quella di Bruna a fermarla:
“Quanto dureranno i miei pochi anni, i nostri pochi anni?”
Uff… si sta perdendo il senso dell’ordine e la noia sopprime il sonno. C’è stanchezza nel mio chiederti. Farei meglio a lasciare le mie mani abbandonate sul cuscino, raccolte. Dormi e io ti sveglierò quando la mia sete si esaurirà.
C’è un chiarore fuori. Potrebbe essere un’alba improbabile o la pioggia calda e luminosa dell’estate, o potrebbero essere gli occhi di Bruna che stanno tornando.

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 





14/04/13

Annapaola Cancogni, ovvero Quentin Clewes: 'Lei', un libro straordinario.






Ci sono scrittori da cento libri.  Scrittori bulimici, la cui opera somiglia alla pianta della mangrovia, che attecchisce nelle paludi con il clima umido e si ramifica all'infinito, senza soluzioni di continuità.

Ci sono scrittori, invece, la cui opera è fragile come un fiore notturno, che la mattina è già appassito e il suo profumo intenso ha inebriato così intensamente l'aria da permanere a lungo nonostante la sua brevissima vita. 

E' il caso dell'opera di Annapaola Cancogni, la figlia del grande Manlio Cancogni, morta a soli cinquant'anni nel 1993 a New York, dove viveva e insegnava letteratura italiana, traduceva (Eco, Pontiggia), scriveva saggi.

La morte prematura di Annapaola svelò all'epoca un'autore vero, raffinato e pienamente formato. 

Un solo romanzo scritto  e pubblicato - Jetlag. 

Più quattro straordinari brevi racconti, che nel 1998 furono pubblicati in Italia dall'editore Fazi - con testo inglese a fronte - per l'iniziativa meritoria di Simone Caltabellota.



Il libro si intitola Lei, ed è firmato con lo pseudonimo maschile di Quentin Clewes.

E, come scrisse Giulia Borgese per il Corriere della Sera, in questi racconti si sente un'aria di autobiografia: nel primo, Lapsang Souchong, il giovane uomo che e' l'io narrante parla della ragazza arrivata chissa' da dove: La prima volta che la vidi mi parve uno di quei gigli bianchi dal collo lungo che si slancia in su e poi s'arriccia agli orli. Ma sbagliavo. Per un giglio, era troppo riservata... Aveva il collo lungo e orgoglioso del giglio ma insieme la modestia e la dignita' della fresia

Un chiaro indizio di quell'interesse per la duplicita' (maschile/ femminile; il giglio/la fresia), che viene rinforzato da questo altro passo: Rammentava come a quattordici anni, infastidita del fatto che l'identita' delle persone fosse per forza determinata da qualcosa di relativamente irrilevante come il loro sesso, aveva deciso che da quel momento in poi sarebbe stata "it".

Un tentativo cioè inedito di uscire dalla terza persona, da "she" e da "he", dall'essere per forza "lei" o "lui", per ritrovare - o almeno tentare di ritrovare - l'io.

Ma a parte questo, i quattro racconti in questione: Salammbo, Erie-Lackawanna e Lei, sono autentici gioielli di sintetica forza emotiva espressi in uno stile limpido ed essenziale che incide e tocca lasciando il segno. 

Si pensa ad Alice Munro, si pensa a Anne Tyler, ma si pensa anche ai grandi maestri del racconto breve, a Fitzgerald o all'immenso Maupassant.  

Eppure, il fiore Annapaola ha seminato il suo profumo nell'aria soltanto per una notte...

Fabrizio Falconi. 

30/12/12

Le tre risposte meravigliose - Tolstoj.




Tolstoj scrisse un racconto bellissimo, che forse pochi conoscono e che è il mio modo per augurarvi un buon anno nuovo, il 2013.

In questo racconto c'è un imperatore che un giorno pensò che se avesse avuto la risposta a tre domande, avrebbe avuto la chiave per risolvere qualsiasi problema:

Qual'è il momento migliore per intraprendere qualcosa ?
Quali sono le persone più importanti con cui collaborare ?
Qual è la cosa che più conta sopra tutte ?

L'imperatore emanò un bando per tutto il regno annunciando una lauta ricompensa per chi avesse saputo rispondere alle tre domande.

Ma le risposte che i centinaia di avventori gli diedero, non lo convinsero in nessun modo.

Per la prima domanda risposero nei modi più vari. La cosa migliore era secondo alcuni la costituzione di un Consiglio di esperti, per altri era rivolgersi a maghi e indovini.

Per la seconda domanda, gli consigliarono di riporre la sua fiducia negli amministratori, un altro gli consigliò di affidarsi al clero o ai monaci.

Per la terza domanda, qualcuno disse che l'attività più importante era la scienza, altri dissero l'arte militare, o la religione.

Insoddisfatto, l'imperatore decise di rivolgersi a un eremita, un sant'uomo che si riteneva molto saggio,  che la mattina dopo decise di andare a trovare, scalando la montagna sulla quale si era ritirato a vivere.

Ma giunto al cospetto dell'eremita, questi non rispose a nessuna delle sue domande. Era intento a vangare il suo orto.  "Devi essere stanco, " disse l'imperatore, "lascia che ti aiuti".  L'eremita lo ringraziò , gli diede la vanga e si sedette per terra a riposare.

L'imperatore vangò per due ore, poi mise giù l'attrezzo, e disse all'eremita: "Sono venuto per rivolgerti tre domande. Ma se non sai darmi la risposta, ti prego di dirmelo, così me ne torno a casa mia."  

Ma l'eremita alzò la testa e disse: " Non senti qualcuno che corre verso di noi ?" L'imperatore si voltò di scatto e vide un uomo insanguinato che correva verso di loro, e che si accasciò a terra, a pochi metri.