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09/12/22

Vito Mancuso compie oggi 60 anni: il suo libro "L'anima e il suo destino" rimarrà

 


Compie oggi 60 anni Vito Mancuso.

Ex docente di Teologia moderna e contemporanea presso la Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano dal 2004 al 2011; dal 2022 è editorialista del quotidiano La Stampa. Attualmente insegna al master di Meditazione e neuroscienze dell’Università di Udine.

I suoi scritti hanno suscitato notevole attenzione da parte del pubblico, in particolare "L’anima e il suo destino" (Raffaello Cortina, 2007), destinato a restare a lungo. 

Nato il 9 dicembre 1962 a Carate Brianza da genitori siciliani, dopo il liceo classico statale a Desio (Milano), ha iniziato lo studio della teologia nel Seminario arcivescovile di Milano dove al termine del quinquennio ha conseguito il Baccellierato, primo grado accademico in teologia, ed è stato ordinato sacerdote dal cardinale Carlo Maria Martini all’età di 23 anni e sei mesi. 

A distanza di un anno ha chiesto di essere dispensato dalla vita sacerdotale e di dedicarsi solo allo studio della teologia

Dietro indicazione del cardinal Martini ha vissuto due anni a Napoli presso il teologo Bruno Forte. 

Ha quindi iniziato a lavorare in editoria (Piemme, Mondadori, San Paolo, ancora Mondadori) proseguendo lo studio della teologia per il terzo e conclusivo grado accademico, il Dottorato.

Ricevuta la dispensa papale, si è sposato in una parrocchia milanese con Jadranka Korlat, ingegnere civile. Dal matrimonio sono nati Stefano nel 1995 e Caterina nel 1999.

L'anima e il suo destino è un magnifico saggio sull’anima, “la cosa più eterea, più imprendibile che ci sia”, secondo la definizione del Cardinale Carlo Maria Martini, ed ha come obbiettivo di “sostenere l’esistenza di un futuro di vita personale oltre la morte”, problema che tocca cruciali questioni dottrinarie. 

Il teologo indaga con coraggio il delicato argomento alla luce della coscienza laica presente in ogni uomo e che “cerca la verità per se stessa” e vuole aderirvi senza alcuna “forzatura ideologica” e senza nulla derogare alla ragione intesa come “intelletto e coscienza morale”.

In tal modo dà un’impostazione nuova alla sua teologia che chiama universale. "Con teologia universale intendo un discorso su Dio e la nostra reale relazione con lui, quindi vera e propria teologia, ma tale da essere condotta a partire dai dati della ragione." 

Il suo argomentare “si basa sulla filosofia e sulla scienza oltre che sulle fonti tradizionali della teologia” nella coscienza che nessuna opposizione e incompatibilità può esserci tra le affermazioni della teologia e quelle della scienza. 

Il saggio è un viaggio avventuroso e intenso che si svolge nella delineazione dell’interessante teoria dell’anima a partire dalla natura-physis, dal basso, dove, attraverso il lavoro dell’energia, avviene la trasformazione di forme di vita sempre più ampie ed ordinate fino al livello superiore dell’essere che diviene consapevole e giunge ad un superiore grado di ordine, lo spirito, “la punta dell’anima”, capace di attuare tutte le sue potenzialità, di ordinarsi liberamente e creativamente e disciplinarsi “verso il bene”, che genera una mutazione più alta verso la pienezza dell’essere. 

A questo punto è plausibile pensare che questo livello possa produrre uno stadio superiore dell’essere a noi ignoto che dopo la morte continui nella stessa direzione. Su questa base si ripensa l’intera soteriologia. Il destino di vita immortale della persona viene strappato alla religione e consegnato all’etica, di cui la religione deve essere al servizio. L’etica a sua volta però non si fonda su se stessa, ma rimanda all’ordine naturale, all’essere del mondo, e si spiega come traduzione, al livello cosciente delle relazioni umane, della medesima logica simmetrica e ordinata che è alla base del cammino dell’essere, dagli informi gas primordiali fino alla ricca informazione dell’intelligenza




22/04/18

Il Libro del Giorno: "Conoscenza, Ignoranza, Mistero" di Edgar Morin.




E' uno dei libri più intensi e meravigliosi che mi sia stato dato di leggere negli ultimi decenni. 

Quasi centenario (l'8 luglio compirà 97 anni), Edgar Morin ha scritto lo scorso anno questo breve saggio (148 pagine) di incredibile lucidità e profondità di sguardo. 

Con la sua celebre prosa asciutta e densa, il nobile vegliardo della filosofia contemporanea riesce ad offrire un testo-compendio, o testo-testamento, summa del suo percorso di conoscenza, durato quasi 70 anni tra studi, cattedre, onorificenze, seminari, convegni internazionali, pieno di folgoranti illuminazioni e di profonda consapevolezza. 

Con gli occhi lucidi di chi si avvicina alla morte, Morin distilla un percorso lungo l'attuale panorama delle conoscenze umane più estreme: cosa è la realtà, cosa è l'universo immane che ci circonda, cosa è la vita biologica, come sia nata e come sia possibile l'evoluzione, cosa sia la creatività della vita vivente, cosa quella umana e che cosa sia l'umano, che è sconosciuto a se stesso, cosa siano il cervello e la mente, cosa sia l'orizzonte post-umano che sembra attenderci tutti.

La constatazione, l'elencazione di queste conoscenze, rende evidente ciò che già avevano intuito i nostri padri. Chi aumenta la sua conoscenza aumenta la sua ignoranza, scriveva Friedrich Schlegel.  E San Giovanni della Croce: E la sua scienza aumenta mentre rimane senza sapere.

Queste due frasi sono portate in ex ergo insieme a diverse altre e riassumono lo spirito del libro: La conoscenza - che Morin ama smisuratamente, al punto di averne fatto il centro della propria esistenza - è problematica, perché, come scrive nelle prime pagine, Tutto ciò che è evidente, tutto ciò che è conosciuto diventa stupore e mistero. 

L'essere umano, infatti vive gettato (Heidegger) in una realtà misteriosa nella quale armonia e disarmonia si combinano e ciò che concorda e ciò che discorda si uniscono (Eraclito).

Più sappiamo del nostro universo, dell'universo che abbiamo intorno e che esploriamo con i nostri mezzi tecnologici sempre più potenti, sempre meno ne sappiamo, sempre maggiore diviene il mistero. Basti pensare che il 95% del nostro universo è formato di massa oscura ed energia oscura che non sappiamo ancora cosa siano. Per non parlare di come esso si sia formato e da cosa, di cosa vi fosse prima, di cosa ci sia oltre, di quale sia il destino dell'universo stesso. 

Più sappiamo della vita biologica, attraverso le nostre conoscenze, e meno ne sappiamo, sempre maggiore diviene il mistero. Basti pensare a come e perché la vita si sia sviluppata da sostanze inerti, del come essa si sia evoluta, di come in quel filamento di DNA siano contenute le informazioni contenute in 2 miliardi di anni di evoluzione dal primo organismo unicellulare alla macchina infinitamente complessa che è il corpo umano. 

Più sappiamo del cervello e della mente, attraverso indagini sempre più affrofondite, meno sappiamo di una macchina formata da cento miliardi di neuroni (dieci alla undicesima) collegati tra di loro e intrecciati in centomila miliardi di connessioni sinaptiche immerse in bagni di cellule gliali, meno sappiamo di cosa sia la coscienza, di come essa si sia formata, meno sappiamo del confine che esiste - ammesso che esista - tra la mente e il cervello. 

Più sappiamo del mondo atomico, e meno sappiamo, meno riusciamo a capire come sia possibile che tutta la realtà che noi vediamo sia formata essenzialmente da vuoto e da minuscole cariche elettriche, da particelle che sono anche onde e da quanti di energia. 

Insomma, il libro di Morin è una sublime  e informatissima cavalcata attraverso le estreme frontiere della scienza e della conoscenza, attraverso quello che hanno rivelato e quello di ancora più grande che nascondono, attraverso il mistero sconfinato che ci circonda e ci abita. 

Il fiammifero che accendiamo nel buio, scrive Morin, nelle ultime pagine, non solo rischiara un piccolo spazio, rivela anche l'enorme oscurità che ci circonda.

E' però un libro mirabile perché non vi è in esso una abiura della conoscenza, una rinuncia delle sue facoltà. Il Mistero non sminuisce per nulla la conoscenza che conduce ad esso, scrive anzi Morin.

Si può vivere, come fanno in tanti, quasi tutti, ignorando, banalizzando, razionalizzando l'ignoto e l'inconoscibile, in definitiva rimuovendolo e facendo finta che non esista.

Ma non servirebbe e non serve a niente: Morin ci impartisce invece una lezione definitiva. Il Mistero va affrontato, il mistero ci incoraggia a decidere e ad agire nell'incertezza, ci pungola a partecipare all'avventura umana,  una avventura che mischia il sublima e l'orribile, ci spinge ad accettare consapevolmente e con pienezza, la nostra aspirazione alla gioia e all'estasi che ci dà il senso (illusiorio? veritiero?) di unirci a un'innominabile sublimità che ci trascende. 

Un libro che è una esperienza. Anzi che E' esperienza. E che non si dimentica.



12/11/13

"Era morta mia madre - La mia Hiroshima personale." Una straordinaria intervista a Edgar Morin.




Domanda: oggi che lei ha 93 anni… Risposta: «Ah no, sono 92!». 

Edgar Morin siede quieto in giardino e ride solo con gli occhi, che sono di un azzurro infantile così incantevole da sgominare subito ogni tentazione d’imbalsamarlo come monumento vivente, di congelarlo nella deferenza dovuta a uno dei massimi pensatori del secolo. Nel suo caso non c’entra tanto una vita lunghissima, ma la straordinaria densità che l’ha segnata in ogni punto, come la sezione d’uno stagionato tronco d’albero a cerchi concentrici, dove quelli successivi dilatano i precedenti. L’infanzia nella famiglia di ebrei sefarditi («ma volevo fare il pompiere») e la Resistenza con Mitterrand («ammiratissimo per la temerarietà dai suoi fedeli, come un padrino… »). 

L’amicizia con Marguerite Duras in perenne competizione con Simone de Beauvoir («entrambe pensavano di essere l’una migliore dell’altra») e l’espulsione dal Partito comunista francese («un’esperienza necessaria per capire cosa possono diventare gli uomini»). L’incontro con Herbert Marcuse («incredibile, viveva in America, odiando quasi tutto dell’America: non aveva tivù, non andava al cinema») e le quattro mogli, l’ultima sposata due anni fa, senza mai diluire la costante fascinazione verso le donne: «Tranne ora… Sono stato il contrario di un seduttore: uno sedotto in permanenza. Magari da un viso intravisto per caso, come la faccia luminosa della luna. E il tempo va così veloce che non ce n’è mai abbastanza per vedere quella oscura».

Perciò, forse, per il teorico del “pensiero della Complessità” che con i sei volumi del suo Metodo ha rivoluzionato le scienze mettendo insieme biologia, cibernetica, sociologia, nulla quanto la propria vita è convincente per dimostrarne la tesi: tutto va visto cercando relazioni anziché dividendo le conoscenze. 

«Non c’è mai stata separazione tra me e le mie idee. Gioia, tristezza, amore sono le cose fondamentali della vita. Oggi gli economisti pensano che si possa ridurre tutto a numeri. Ma i calcoli sono una parte piccolissima degli umani: non possono misurare né capire la passione, il dolore, il piacere. In definitiva, non possono capire nulla». 

Anche nel suo delizioso memoir La mia Parigi, i miei ricordi (appena uscito, edito da Raffaello Cortina), tutto si mescola cercando nelle pietre della capitale gli umori di una vita. Eppure, dice Morin, nonostante un’avventura che si estende per quasi un secolo, tutto può essere racchiuso in un momento decisivo che ne spiega il segreto. Come il pezzo mancante per decifrare un alfabeto sconosciuto, e non importa la quantità di tempo impiegato a cercare: quando le lettere sono al loro posto ogni parola diventa trasparente. «Ho 10 anni quel 26 giugno 1931 quando esco da scuola e vedo mio zio davanti a un taxi. Ha un mezzo sorriso:i tuoi sono partiti per una stazione termale, per un po’ vieni a stare da noi. M’invade un’onda di allegria, in macchina per Boulevard de la Chapelle! Due giorni dopo sto giocando con mio cugino Freddy in un giardino vicino al cimitero Père-Lachaise. Sono accoccolato, perciò con lo sguardo che corre dal basso verso l’alto, vedo un paio di scarpe nere, pantaloni neri, una giacca nera e infine la faccia: l’uomo a lutto è mio padre. Mi sta guardando fisso e dice: non stare sull’erba, ti sporchi. E mentre lo dice, capisco tutto, capisco che mia madre è morta».

di Raffaela Carretta - 07 novembre 2013 per Io Donna - Il corriere della Sera. 

24/02/13

La poesia della domenica - 'Su Parigi piove' di Edmund Jabès.








Su Parigi piove.
Un passante - è lui - solleva il bavero dell'impermeabile e continua il cammino.
 Amare, malgrado tutto.
"Non so chi tu sia - diceva un saggio - ma so che mi somigli.
"Ma non è per questa somiglianza che mi sei caro: è perché tu non hai ancora un nome.
"Domani è il nostro primo giorno."





Edmund Jabès - da Il libro dell'Ospitalità, Raffaello Cortina Editore, 1991.