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27/11/14

E' l'amore che obbliga (Ricoeur).



Nel 1996 intervistai per la radio italiana Paul Ricoeur, uno dei più grandi filosofi del Novecento, nella sua casa a Parigi.

Il pensiero di Ricoeur mi aveva molto colpito per la sua limpidezza. Non è facile trovare infatti un pensiero filosofico che non sia almeno in parte oscuro, poco chiaro. 

Ricoeur confermò questa semplicità del pensiero, con i gesti della sua persona.

Parlammo per quasi un'ora, soprattutto dell'amore, dell'amore nella filosofia del cristianesimo e nella complessità delle dinamiche studiate da Freud.

A un certo punto gli chiesi ragione di quella sua celebre frase, che Ricoeur aveva ripetuto spesso nei libri e nelle conferenze.  C'est l'amour qui oblige.  E' l'amore che obbliga.

Gli chiesi di spiegarlo, se poteva, nuovamente.

Mi rispose sorridendo che quel che aveva scritto era una cosa semplice, semplicemente sperimentabile, anche se piena di conseguenze.

Viviamo, disse, sempre più in un mondo che rifugge dalle responsabilità, dal coraggio vero, da un senso e una direzione. Ed è solo il legame con l'altro che genera un senso. Il quale non può mai arrivare dall'alto.

L'amore, mi spiegò, è l'unica condizione umana in cui si sperimenta l'obbligo spontaneo, non coercitivo, non imposto dall'altro.

Chi ama è legato per sempre.

E questo legame è precisamente ciò che obbliga. Senza condizioni e senza condizionamenti.  L'unica via che in fondo porta veramente dentro se stessi. Perché solo chi si conosce, sa amare.  E solo chi riesce ad amare, attraverso l'obbligo verso l'altro, ritrova se stesso.

Fabrizio Falconi





08/05/14

Essere fratelli non si sceglie, lo si diventa (Joaquin e River Phoenix).


Joaquin (sotto) e River (sopra) Phoenix fotografati nel 1985. 


Essere fratelli non lo si sceglie. Lo si diventa. 

Quel che accomuna due esseri umani, l'essere venuti al mondo dalla stessa donna, dallo stesso codice genetico, non è scelto da nessuno, tanto meno da chi si ritrova nella condizione di essere fratello di qualcuno. 

Ma non esiste forse relazione che rende meglio il concetto di responsabilità umana di quello di fratello (non casualmente questo è il termine a cui si ricorre più spesso nei libri sapienziali e nelle parole pronunciate dal Messia nei Vangeli). 

Sono il fratello di qualcuno, non l'ho scelto.  

Ma il destino mi chiama, sotto questa forma, anche se io non so cosa sia il destino. 

Sono chiamato a farmi carico (o a scegliere di non farmi carico, che è la stessa cosa), sono chiamato direttamente in causa, sono interrogato nel profondo di me stesso. 

Un legame misterioso avvolge noi due e non so trovare altro termine più appropriato di relazione

Fratelli non abbiamo scelto di essere.  Ma possiamo diventarlo, e certe volte siamo chiamati drammaticamente ad esserlo, senza nemmeno poterlo sceglierlo. 

Emblematico, fortissimo di significati è il destino dei cinque fratelli Phoenix.  River è morto tragicamente. Joaquin, che ha assistito alla sua morte, che lo ha visto morire tra le sue braccia, è oggi uno dei migliori attori di Hollywood, in virtù, forse, anche di quel dolore che si legge ancora sulla sua faccia. 

Fabrizio Falconi

Joaquin Phoenix, noto per un periodo anche come "Leaf Phoenix" appartiene a una famiglia di artisti, di cui il più noto è il fratello maggiore River, morto tragicamente nel 1993 all'età di 23 anni.

Suo padre è John Lee Bottom, carpentiere, cattolico proveniente da Fontana in California, mentre la madre è Arlyn Dunetz, segretaria, nata nel Bronx da genitori ungherese e russo e di religione ebraica. 

I due s'incontrarono a Los Angeles: John diede un passaggio in auto a Arlyn che stava facendo l'autostop dopo aver abbandonato il primo marito. Vissero per qualche tempo nelle comuni hippie. Divennero quindi missionari della setta religiosa dei Bambini di Dio, in Sud America. 

Ebbero cinque figli: River (deceduto nel 1993), Rain, Joaquin, Liberty e Summer. Joaquin è l'unico che non porta un nome ispirato alla natura; sentendosi escluso, a quattro anni decise di farsi chiamare Leaf ("foglia"), nome che tenne anche come attore fino all'età di 15 anni. Delusi dalla setta dei Bambini di Dio, i genitori di Joaquin rientreranno negli Stati Uniti nel 1978 dove cambiarono il cognome in "Phoenix" (in onore alla Fenice che risorge sempre dalle proprie ceneri). 

Rientrato negli Stati Uniti, Joaquin Phoenix sarà uno dei testimoni della morte del fratello River, avvenuta per overdose di droghe al Viper Room, un club alla moda in parte di proprietà di Johnny Depp, la notte di Halloween del 1993. 


Johnny Depp era presente quella sera nel locale, così come la fidanzata di River Samantha Mathis, il cantante degli Slipknot Corey Taylor, il bassista dei Red Hot Chili Peppers, Flea, e il chitarrista John Frusciante, entrambi amici da tempo. Dopo essere stato visto a colloquio con alcuni spacciatori, River uscì dal locale in condizioni preoccupanti mentre Flea e Depp stavano suonando sul palco; i due si precipitarono fuori, mentre Joaquin chiamava il numero di soccorso pubblico 911. 

I soccorsi però non poterono arrivare in tempo, e quando un'ambulanza giunse sul luogo River era già morto sul marciapiede. La corsa al Cedars-Sinai Medical Center e i tentativi di rianimazione furono inutili e River fu dichiarato morto alle ore 1:51 L'autopsia rivelò in seguito un'overdose di eroina e cocaina, sotto forma di speedball, oltre a tracce di cannabis,Valium e un altro anti-influenzale per il quale non era necessaria la ricetta medica. Tuttavia sul suo corpo non furono ritrovati segni di aghi. 

La drammatica telefonata di Joaquin al 911 fu registrata e ritrasmessa da varie trasmissioni radio e tv. A seguito del decesso di River e dell'atteggiamento invasivo e irrispettoso dei media nella sua vita privata, Joaquin si allontanò da Hollywood per la seconda volta fino al 1995, quando parteciperà a Da morire (To Die For), prova d'autore diretta da Gus Van Sant.

tratto da Wikipedia.



Joaquin Phoenix

24/07/11

RI-COMINCIARE . Da dove ? (12 cose da cui ripartire) – 5 - RESPONSABILITA'



Dovrò ricordare che niente nasce e cresce senza responsabilità.

La cura è ciò che mi distingue dall’indistinto essere.

Curare vuol dire vivere due vite: la mia e quella ci ciò che curo.  Non potrò mai farmi scudo della stanchezza, né cercherò di obiettare ‘così fan tutti.’

Cercherò di dimostrare che la mia vita ha un senso, non sperperando il mio talento, ricco o misero che sia.

C’è un filo rosso che lega la presenza della mia vita a quella dei miei predecessori: senza di loro io non sarei esistito, senza la loro cura io nemmeno avrei mosso un piede su questa terra.

La stessa cura io la eserciterò fino alla fine per ciò che ha diritto a crescere e prosperare grazie alla mia esistenza.

Non dirò ‘non mi riguarda’, ‘non mi appartiene’, ‘non mi interessa’.  

Non butterò via il ramo con il frutto. Senza curare il ramo, nessun frutto potrà mai crescere.

Io invecchierò portando il peso del mondo, e questo peso, nel confine della mia ombra terrestre, cercherò di alleggerire.  Incontrando, visitando, ascoltando.

Ognuno, come scrisse Saint-Exupéry – è responsabile di tutti. Ognuno da solo è responsabile di tutti. Ognuno è l’unico responsabile di tutti.

Fabrizio Falconi

foto di Francesco Rosa - 2011.