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19/02/24

Chi è l' "Avversario" ? Carrère lo svela nelle ultime 3 righe


Il genio di scrittori come Carrère si riconosce anche dagli (apparenti) dettagli.

E' geniale, ad esempio ne "L'avversario" (pubblicato nel 2000 e suo primo grande successo), che la scoperta del significato del misterioso titolo avvenga nell'ultimissima pagina (e anzi, nelle ultime 3 righe).

La storia del libro è del resto così terribile e il meccanismo narrativo così efficace - perfetto - che il lettore si dimentica anche di chiedersi chi sia quell'avversario del titolo, pensando forse si riferisca al protagonista pluriomicida Jean-Claude Romand, mite e tranquillo borghese che in un giorno di gennaio del 1993, sterminò la sua intera famiglia: gli anziani genitori a colpi di fucile, la moglie con un mattarello, i due figli di 7 e 5 anni sempre a colpi di fucile; quasi strangolò l'amante parigina; e infine diede fuoco alla casa di famiglia, con i cadaveri dentro, sopravvivendo lui soltanto.

In questo caso quindi si sarebbe portati a pensare: Romand "è" l'avversario: l'avversario della sua famiglia, e delle vite che ha distrutto per sempre.

Ma alla fine del libro si ha la certezza che Carrère si riferisce a un "altro" avversario.

Ed è l'Avversario (la maiuscola è opportuna perché si direbbe un avversario piuttosto ingombrante e presente, cioè personificato) DI Romand. Quello che è nella sua testa, o nel suo cuore, e che lo ha spinto non tanto al massacro finale, quanto a una intera vita vissuta nell'Ombra (anche in questo caso la maiuscola, pensando a C.G.Jung, è d'uopo).

Romand infatti, da quando era un diciannovenne, e doveva iscriversi al secondo anno di medicina, ha mentito. Su tutto. Sulla sua intera vita. E per trent'anni ha ingannato tutti, comprese le persone che vivevano insieme a lui, che lo amavano, che erano la sua famiglia. Nessuno ha mai sospettato nulla, è questo il vero nucleo della storia. Come si può vivere una vita completamente doppia: non avere mai lavorato nemmeno 1 giorno della propria vita, non aver mai preso 1 stipendio nella intera vita, non aver mai passato 1 sola giornata dove gli altri credevano che lui la passasse, non aver mai investito 1 solo degli assegni che padre, madre, moglie, amici e perfino amante, gli davano perché lui li investisse in una inesistente banca, con inesistenti procacciatori di affari, mentre lui era un inesistente funzionario e un inesistente medico, prestigiosamente (e inesistentemente) assunto dalla Organizzazione Mondiale della Sanità di Ginevra? Come si può ingannare tutti per 30 anni, senza che nessuno abbia mai un dubbio, senza che l'immenso castello di menzogne, anche solo per sfiga o circostanze sfavorevoli, non venga mandato all'aria da un banalissimo riscontro di pochi secondi?

E' questo il vero mistero della storia. Un mistero insondabile che, anche secondo Carrère, non può essere, in alcun modo, spiegato.
E che forse soltanto nella evocazione di un Avversario (invisibile ma molto molto concreto), può rischiarare l'opprimente tenebra di un tale scialo di male.

Per la cronaca, 24 anni dopo la pubblicazione del libro, Jean-Claude Romand, sta per tornare un uomo libero. Gli ultimi anni li ha passati in un monastero, sotto indiretta sorveglianza. Forse lì dentro ha provato ancora una volta a cercare tracce del "suo" Avversario. E chissà se l'ha trovato.

Fabrizio Falconi - 2024

29/01/24

"Quintetto Romano" - cinque racconti di Raoul Precht che diventano un romanzo (su Roma)

 




"Roma assegna a ciascuno il proprio posto", così scriveva Ludwig Feuerbach, uno dei tanti uomini illustri stregati dalla magia di Roma, quando gli capitò di visitarla. 

E' qualcosa che viene in mente quando si legge il nuovo libro di Raoul Precht, uno dei più interessanti autori italiani (anche se vive in Lussemburgo), recentemente finalista al Premio Comisso, con il suo Stefan Zweig - L'anno in cui tutto cambiò (Bottega Errante, 2023).

Lettore accanito e studioso quasi onnivoro, Precht con questo libro - dalla classificazione piuttosto difficile - sceglie dal mazzo dei suoi autori preferiti (o inseguiti o ammirati), con gusto eterogeneo, cinque grandi, uniti da un fil rouge  "territoriale", ovvero accumunati dalla stessa esperienza di aver attraversato la Città Eterna, di averla visitata, di averci vissuto per qualche tempo o esserci semplicemente capitato per un breve viaggio, e comunque, di esserne stati trasformati, come è successo a tanti, in ogni epoca, prima di loro. 

Questo sottile fil rouge - apparentemente labile - diventa invece consistente durante la lettura perché lo "sguardo emotivo" come direbbe Wim Wenders di questi grandi scrittori, intercetta anche senza volerlo, l'essenza impalpabile di Roma, quella che - faceva notare Georg Simmel - si esprime attraverso l'accostamento "casuale" di cose e resti che come relitti si abbinano insieme, a Roma costituendo qualcosa di nuovo e di diverso rispetto alle parti singole. Qualcosa di quasi organico se è vero, come sottolineava Sigmund Freud (anche lui ammaliato da Roma), che l'Urbe assomiglia ad una entità psichica, dove ad ogni strato, ad ogni epoca, ad ogni livello di rovine, corrisponde un livello psichico, dall'esteriorità del carattere (la superficie, il caos quotidiano) fino all'inconscio più profondo delle catacombe, dei mitrei, delle cavità inesplorate. 

E' dunque un viaggio "dell'anima" quello di cui Precht si fa voce, reinventando (sempre sulla base di rigorosissimi referti "veri", cioè lettere, racconti personali, diari, biografie dei 5 diversi autori) una sorta di "romanzo collettivo" o "a più voci", che nell'ambito di racconti contingenti - le "panzane" di Stendhal sulla sua qualità di testimone del celebre e disastroso incendio di San Paolo fuori le Mura o il seppellimento di un topolino nel prato di Villa Borghese compiuto un giorno da John Cheever - costituiscono un continuum dentro il quale si finisce per abbandonarsi. 

I cinque autori scelti da Precht - ciascuno portatore della sua voce e del suo contributo - sono Stendhal, Nikolaj Gogol, Romain Rolland, Malcom Lowry e John Cheever e l'intervallo di tempo che coprono i loro soggiorni vanno, in ordine cronologico, dal 1823 (quello di Stendhal) al 1956 (quello di Cheever). 

I cinque "racconti" scritti da Precht, tutti senza dialoghi, alcuni in prima persona (Stendhal mediante una lunga lettera "inventata" ma del tutto realistica), altri in terza persona, non hanno però lo scopo di imitare lo stile e la voce degli autori (tranne forse Stendhal per la necessità di dover scrivere una lettera "come avrebbe fatto lui"), quanto di aggiungere una interpretazione, di leggere attraverso la lente di ingrandimento della Città - Roma (che Precht ama (pur odiandola, a volte, come tutti quelli che la amano) e in cui è nato - i mutamenti impercettibili, gli spostamenti interiori, subiti da queste cinque grandi anime, come una sorta di redde rationem delle loro vite. 

Nel primo racconto, dunque, Stendhal scrive una lettera apocrifa alla sua amica Clémentine Curial, descrivendo scene di vita vissuta e popolare, descrivendo l'impressione delle maestose rovine, in particolare di quelle lasciate appunto dall'incendio della Basilica di San Paolo avvenuto nel luglio del 1823; nel secondo racconto Nikolaj Gogol descrive i piaceri culinari della Roma dell'epoca, la sua frequentazione della nutrita comunità russa che lì vive o è di passaggio, le esperienze nei salotti romani dove gli capita di incontrare e di fare conoscenza con Giuseppe Gioacchino Belli; nel terzo racconto Romain Rolland è alle prese con i continui paragoni che Roma gli suscita con Parigi, mentre soggiorna nello splendido Palazzo Farnese grazie alla borsa di studio ricevuta dell’Ambasciata francese; nel quarto racconto, quello relativo a Malcolm Lowry è di scena invece la Roma del dopoguerra, misera e stracciona, che lo scrittore inglese attraversa immerso in una sorta di febbre etilica, come un antesignano del Toby Dammit felliniano; nel quinto racconto, seguiamo invece John Cheever mentre sta cercando di seppellire il cadavere di un topolino, anzi di una topolina bianca a Villa Borghese, compagna di giochi del figlio. E anche per Cheever questa strana peregrinazione finisce per diventare una sorta di bilancio personale della sua vita, dei rapporti che è stato capace di tessere con le persone che ama, con i suoi fallimenti, con le mancanze. 

Insomma, la polifonia che Precht mette in piedi, in questo romanzo lungi dall'essere dissonante, riesce a ricreare proprio quel magico, imprendibile equilibrio caratteristico di Roma, di cui parla Simmel, quello di tenere insieme, accostate le une alle altre cose che sembrano molto diverse, ma che insieme formano qualcosa di nuovo e di diverso. Proprio grazie alla linfa vitale della Città che da tremila anni non fa che produrre - e raccontare - storie. I cinque protagonisti scelti da Precht - e la voce stessa di Precht che li racconta a Roma - sono un nuovo capitolo di un romanzo più grande che non si sa dove sia cominciato e che non è ancora finito. E di cui il libro di Precht è pienamente degno. 

17/10/23

"Il Complotto contro l'America" - perché è una serie da vedere oggi


E' un'opera che tutti, specialmente oggi, dovrebbero vedere.

"Il Complotto contro l'America", miniserie HBO (un marchio di garanzia), in 6 puntate da un'ora ciascuna, disponibile su Sky e NowTv, è tratta dall'omonimo romanzo di Philip Roth, pubblicato nel 2004.
In quel romanzo, Roth metteva in scena una ucronia (o storia alternativa o allostoria o fantastoria), collocandola nel 1940, cambiando il corso degli eventi e quindi raccontando non della vittoria di Franklin D. Roosevelt, al suo terzo mandato - come è avvenuto nella realtà - ma di quella del trasvolatore Charles Lindbergh, che per primo aveva attraversato l'oceano Atlantico in solitaria con il suo aereo e che negli anni immediatamente prima della guerra godeva di enorme popolarità negli USA.
Lindbergh fu in effetti, nella sua vita, simpatizzante del regime nazista, accolto anche con mille onori da Adolf Hitler a Berlino.
La vittoria di Lindbergh a quelle elezioni, immaginata da Roth, cambia completamente il destino della storia: il Lindbergh del romanzo - e anche della serie, ovviamente - si è candidato contro Roosevelt proprio rivendicando la necessità e il diritto degli USA di rimanere neutrali nella guerra che si è scatenata in Europa e di non intervenire al fianco degli inglesi, sommersi da un diluvio di bombe naziste.
Il paese resta, così, neutrale. E addirittura il ministro degli esteri nazista Von Ribbentrop, viene ricevuto, con tutti gli onori, alla Casa Bianca.
Nel contempo nel paese, comincia una lenta e capillare discriminazione degli ebrei (americani) che vengono destinati a "programmi di inserimento" che si propongono di "integrare" gli ebrei nel modo di vita, nei costumi e nelle credenze del popolo americano.
Il tutto viene visto dalla prospettiva di una famiglia ebrea della midlle class di Newark, New Jersey, che precipita in un incubo e in un orrore pesantissimo, con il padre che non vuole per nessun motivo essere costretto ad abbandonare il paese che ritiene "il suo" e la madre che spinge per fuggire - finché è possibile - in Canada.
La zia, zitella, finisce invece per diventare l'amante del rabbino (vedovo) Bengelsdorf che in buona fede finisce per diventare il megafono del presidente Lindbergh.
La serie è prodigiosa per realizzazione tecnica (costumi, ricostruzione dell'epoca, ambienti, ecc.), di qualità cinematografica, per scrittura e per bravura degli attori: John Turturro in primis nei panni dell'ambizioso rabbino che fino alla fine non vuol vedere cosa sta succedendo, rendendosi complice; Wynona Rider, eccezionalmente brava nel ruolo della zia ingenua; Zoe Kazan (nipote del grande Elia), nei panni della madre, Morgan Spector nei panni del padre.
Si parla di una storia parallela, ma la serie parla - molto - dell'oggi, di quello che succede oggi intorno a noi, per questo va vista: perché i meccanismi umani sono sempre gli stessi e possono precipitare - come è successo sovente nella storia e come succede anche oggi - nella viltà, nell'ignavia, nell'ambizione irresponsabile, nella cecità, nell'incapacità di misurare il principio di realtà, conducendo i poteri all'orrore e gli innocenti al sacrificio.

Fabrizio Falconi - 2023

20/09/23

L'attrazione di Elsa per gli omosessuali: un "vulnus" non risolto


Tra i suoi diversi amori, Elsa Morante è attratta, in vita, anche dai maschi omosessuali. Molti sono artisti che frequenta, e di cui diventa anche confidente.

Spesso diventano protagonisti dei suoi romanzi, come il più famoso, Wilhelm Gerace, l'anaffettivo padre di Arturo, nel romanzo vincitore del Premio Strega nel 1957.
C'è una ragione, probabilmente, in questa attrazione, che ha a che fare con la vita personale di Elsa: un vulnus irrisolto e irrisolvibile, contenuto nel segreto che le viene rivelato, senza mezzi termini e con l'impiego di ogni dettaglio, quando lei ha soltanto dieci anni, dalla madre che l'ha generata: Irma Poggibonsi.
Irma le rivela che lei, e i suoi tre fratelli, non sono figli di quello che loro ritengono il loro padre e che ha dato loro il cognome, Augusto Morante, di professione sorvegliante presso il riformatorio giovanile di Trastevere, ma di un "amico di famiglia" che da sempre, i bambini hanno visto aggirarsi in casa loro, un certo Francesco Lo Monaco, portalettere siciliano, amico del padre.
La verità, come brutalmente rivela ai figli la madre, in quel giorno, è che Augusto, sin dalla prima notte di nozze si è manifestato "impotente". E questa impotenza 'coeundi', non solo 'generandi', ha fatto sì che la madre Irma, non rassegnandosi all'idea di non avere figli, abbia accettato di averne con un altro uomo, presentatole proprio dal marito, quindi con l'approvazione di lui.
Francesco Lo Monaco, anche se è già sposato e ha una sua famiglia, si prodiga nell'attività di "donatore di figli", senza mai rivelare il suo vero ruolo. Irma ne diventa perfino gelosa, perché sa che lui, oltre alla sua famiglia e a lei, frequenta anche altre donne.
Tanto per aggiungere dramma al dramma, un giorno Francesco Lo Monaco si toglie di mezzo, suicidandosi.
Augusto, invece, è rimasto sempre al suo posto, sempre più marginale, sempre più umiliato da Irma, sempre più squalificato agli occhi dei suoi stessi figli.
Elsa dirà più tardi di non aver mai avuto un padre, perché il suo vero padre era un estraneo, e quello che viveva con lei non era suo padre.
Ma chi era nella realtà Augusto? Per Elsa rimase probabilmente sempre un mistero.
Il sospetto che in realtà fosse omosessuale è molto più che un sospetto, e questa è forse l'unica versione che poteva dare una spiegazione valida a tutta la faccenda.
Sicuramente Elsa si sforzò nella sua vita adulta, e nella sua attività di scrittrice di elaborare questa figura di padre-non padre, di cercare di penetrarne la sofferenza, la negazione emotiva e sentimentale: padre in fondo non lo era mai stato, per lei. Ma di sicuro quel padre ombroso e lontano fu - nel suo modo - più "padre" di un prestatore d'opera, che davvero con il mondo di Elsa aveva poco o punto a che fare.

Fabrizio Falconi - 2023

01/07/23

"Il Dono Perfetto" - L'intervista di Giovanna Bandini a Fabrizio Falconi per il nuovo romanzo - VIDEO

 Da ieri, 30 giugno, è in libreria Il Dono Perfetto, il nuovo romanzo di Fabrizio Falconi. Qui brevi clip dall'intervista realizzata da Giovanna Bandini con Dario Pettinelli, per Il Momento Perfetto - ItaliaTv

 



   
   
 QUI SOTTO il PODCAST completo dell'intervista: 

   

Il Dono Perfetto è nelle librerie e online in vendita su Amazon e su ogni libreria online. Infine anche in vendita online sul sito della casa editrice (SANTELLI).



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11/06/23

"Via dalla Pazza Folla" di Thomas Vinterberg, una convincente trasposizione da Thomas Hardy, con una splendida Carey Mulligan

Ancora una volta ho apprezzato la grande qualità e la versatilità del regista di "Festen", "Il sospetto", "Un altro giro" (vincitore lo scorso anno dell'Oscar come miglior film straniero).
Visibile a noleggio su Google Play e Amazon Prime Video a 3.99 euro, "Via dalla Pazza Folla" è un adattamento assai scrupoloso del romanzo di Hardy, e meno ingombrante di quello che fu realizzato da John Schlesinger nel 1967, con protagonisti mostri sacri come Julie Christie, Alan Bates, Terence Stamp, Peter Finch.
L'eterna storia di Bathsheba Everdene, bellissima e intelligente, forte, fragile e desiderosa di indipendenza, prima contadina e poi fittavola in una immaginaria contea inglese, contesa da tre uomini molto diversi - naturalmente lei si concede a quello meno raccomandabile - è uno dei classici studi di Hardy che rappresentano la sua concezione totalmente pessimista del mondo.
Il mondo nel quale la natura sa essere punitiva e ingiusta, ma gli esseri umani fanno di tutto per condannarsi all'infelicità.
Bathsheba è uno splendido ritratto femminile, cui Carey Mulligan concede corpo e anima, ed intensa espressività ad ogni sguardo o gesto (del resto la Mulligan è da tempo una delle migliori attrici sulla scena del cinema internazionale).
Il colosso Matthias Schoenaerts è un perfetto Gabriel Oak, il primo a dichiararsi, respinto, a Bathsheba all'inizio della storia, e colui che le resta fedele fino alla fine.
Michael Sheen è il ricco fittavolo William Boldwood, che incastrato da un poco innocente scherzo di Bathsheba ne finisce completamente soggiogato.
Tom Sturridge è invece il famoso sergente Troy del romanzo, scapestrato e fatuo, irresistibile, dannato.
Per sceneggiare un romanzo così complesso - 600 pagine - Vinterberg si è affidato a David Nicholls che ha operato scelte radicali e coraggiose: le prime 200 pagine del libro vengono infatti risolte nei primi 10 minuti del film, che si concentra, come è giusto, nella seconda metà della storia, dove accadono i fatti più rilevanti.
La bellissima fotografia, che ricostruisce meticolosamente gli esterni e gli interni della campagna inglese dell'Ottocento, è di Charlotte Bruus Christensen (danese come il regista), mentre le musiche sono dell'inglese Craig Armstrong, compositore molto amato anche nei circoli rock e jazz.
"Via dalla Pazza Folla" di Vinterberg è insomma un convincente (e pienamente soddisfacente per lo spettatore) adattamento di un grande classico della letteratura, che indaga con fredda e appassionata lucidità gli anfratti e le ombre delle personalità umane, la loro incompletezza, i loro desideri, la speranza di poter un giorno essere felici, perché finalmente consapevoli.

Fabrizio Falconi - 2023

15/05/23

"Via dalla Pazza Folla", lo straordinario romanzo di Thomas Hardy


Thomas Hardy viene giustamente considerato uno degli scrittori in assoluto più "pessimisti", uno dei più vicini alla visione schopenhaueriana della vita: sorta di condanna che tocca vivere, lottando tenacemente, ma senza speranza, contro una volontà superiore - quella delle forze naturali - che agiscono "nonostante" noi, oltre noi, in una specie di lotta impari e senza senso, nella quale si può soltanto soccombere.
Hardy, dal profondo della campagna in cui quasi per tutta la vita si rinchiuse - la sua biografia è una delle più povere di eventi, nella storia della letteratura - immaginò storie cupe e dolorose, ma anche estremamente vitali, ambientate in una regione immaginaria chiamata Wessex, che ha molte caratteristiche dei luoghi in cui effettivamente viveva.
484 pagine vanno via nello scorrere di capitoli titolati e in genere brevi, lungo i quali si dipana la vicenda di Bathsheba (le donne sono quasi sempre le protagoniste dei suoi romanzi), bella giovane e determinata, che da semplice contadina, si ritrova fittavola e proprietaria di un grande fondo.
Tre sono i corteggiatori di Bathsheba: il leale Gabriel Oak, il primo a farsi avanti, che ne diviene poi il fattore, l'uomo di fiducia; il fittavolo benestante e misantropo Boldwood, che perde la testa completamente per Bathsheba dopo che lei gli ha tirato un crudelissimo scherzo; e il belloccio Troy, sergente dell'esercito britannico, cinico e scapestrato, del quale è innamoratissima - e fidanzata - l'ingenua Fanny.
Naturalmente, tra i 3 candidati possibili, Bathsheba sceglierà quello che di gran lunga è il peggiore, cioè Troy, garantendosi così un'infelicità grandissima, costellata di delusioni, tradimenti, disillusioni ferocissime.
Nella prima parte del romanzo e anche fino a poco oltre, ci si diverte molto. Bathsheba è uno dei personaggi femminili più riusciti della letteratura dell'Ottocento. Hardy ne tratteggia la personalità in modo vivissimo, con tutte le sue irrisolte contraddizioni, inserendo questo carattere tipicamente femminile nell'ambiente naturale selvaggio della campagna, di cui Hardy è maestro di descrizione.
Nella seconda metà del romanzo, la storia si incupisce, diventa crudele con i suoi personaggi, soprattutto con Bathsheba - chiamata ad affrontare la nemesi inevitabile - ma anche con tutti gli altri.
Hardy però risparmia almeno il finale, che una volta tanto non si chiude nel baratro della tragedia ma spalanca proprio nelle ultime pagine un possibile lieto fine.
La caduta di Bathsheba e delle sue ambizioni è in fondo molto moderna. E moderni sono i suoi desideri, le fragilità, i conflitti nascosti dietro l'apparente imperturbabilità di un personaggio "forte".
L'immaginazione e la storia si sposano felicemente - come sempre in Hardy - con l'introspezione e lo studio dei caratteri psicologici.
Una lettura magnifica.

Fabrizio Falconi - 2023

18/04/23

Come nacque "Il Giorno più bello per Incontrarti"

 



Il giorno più bello per incontrarti (Fazi Editore, 2000), nacque molti anni prima di essere scritto - e pubblicato. La vicenda al centro del romanzo infatti, fu ispirata da un fatto vero, i cui particolari avevo appreso durante un lavoro d'inchiesta, per la RadioRai, nel maggio 1988. 

Da giovane giornalista, membro di una redazione formata da giovani talenti, ero sempre alla ricerca di nuovi fenomeni da indagare. Incappai così in uno studio realizzato dal Viminale che, all'epoca, forniva i dati riguardo al fenomeno degli scomparsi - quelle persone che si allontanano da casa senza apparente motivo e sembrano sparire nel nulla. 

Si trattava - e si tratta - di un fenomeno molto più esteso di quanto pensassi e di quanto pensassero gli autori del programma. Migliaia di persone, in un solo anno. La gran parte, allontanamenti volontari (specie di giovani) che si risolvevano presto in un ritorno a casa.

Una parte considerevole di questi scomparsi però, spesso non tornava. 

E a parte i casi celebri, sui quali costruimmo delle ricostruzioni ad hoc, come quello del Professor Federico Caffè o di Ettore Majorana, v'erano diversi casi di persone assolutamente comuni, scomparse da un giorno all'altro nel nulla, per la disperazione dei familiari e degli amici. Naturalmente eravamo partiti, su questo argomento, molto prima di Chi l'ha visto, o programmi simili che sono seguiti. 

A caccia di casi ignoti ai più, mi imbattei in quello di un ragazzo veneto, la cui storia mi colpì moltissimo. Si chiamava Tiziano Zennaro, e viveva con la famiglia, in condizioni economiche piuttosto disagiate, nell'isola di Pellestrina, all'interno della Laguna Veneta, di fronte a Chioggia. Un giorno Tiziano, giovane difficile, si era allontanato da casa senza fare ritorno. Non era la prima volta, ma stavolta i genitori capirono che era diverso. Iniziarono le ricerche, sull'isola e sulla terraferma, senza esito. 

Un mese dopo, si era d'inverno, le acque della Laguna restituirono il corpo di un ragazzo. I genitori di Tiziano furono subito chiamati. Il cadavere era in condizioni di avanzato deterioramento, ma in sede di rilievi autoptici, si evidenziò che alcuni dati, come ad esempio l'altezza, corrispondevano a quelli di Tiziano. Il riconoscimento fu fatto e il caso chiuso. Il presunto Tiziano fu seppellito a Pellestrina.

Ecco che però, qualche anno dopo, arriva una cartolina a casa Zennaro. Il padre non c'è più, la madre ancora piange il figlio. La cartolina è una sorta di resurrezione di Lazzaro: è infatti firmata proprio da Tiziano, il figlio creduto morto. Scrive da una struttura psichiatrica, a Padova, dove è ricoverato.  La madre, superato lo shock, va a riprendersi Tiziano: scopre che è ricoverato nella struttura dal giorno in cui è stato trovato, in strada, senza documenti e senza che il ragazzo sapesse dire come si chiamasse. Curato per lunghi mesi, finalmente Tiziano a un certo punto ha recuperato la memoria: ha ricordato il suo nome e il nome e l'indirizzo della madre. E ha scritto.

La madre si riporta a casa il figlio, ma comunque non va a finire bene. Tiziano sta male, è insofferente: si lascia praticamente morire d'inedia, nella casa sull'isola e medici e psichiatri non riescono a salvarlo. 

Quando trovai questa storia, così letteraria, che ricordava davvero il Mattia Pascal, presi il primo treno per Venezia, e andai su quei luoghi. L'isola di Pellestrina, anche a maggio, era un luogo desolato. La vecchia madre di Tiziano viveva ora a Venezia, all'Arsenale. La trovai in una piccolissima casa, con il caffé pronto in cucina. Mi raccontò tutta la storia con una sorta di benedetta rassegnazione: Tiziano era sempre stato "un'anima inquieta" e bisognava accettarlo. 

Su quella vicenda e prendendo qualcosa di Tiziano e di quello che avevo scoperto su di lui, costruii la storia e il personaggio di Giovanni, che scompare nell'autunno del 1977 e il cui corpo - presunto - viene ritrovato sulla spiaggia di Sitges, poco dopo la sua sparizione. 

E la vicenda, in questo caso, si fa misteriosa quando la vedova, ben quattordici anni dopo, riceve una enigmatica cartolina da Giovanni, che evidentemente è ancora vivo, da qualche parte. 

La storia di Tiziano Zennaro si è in qualche modo incarnata - mentre scrivevo - in quella di Giovanni e mi piace pensare che abbia fornito una nuova casa, una casa di carta, a lui che era così insofferente ad averne una. Forse tra le pagine di questo romanzo, anche l'anima di Tiziano ha trovato un posto dove stare.

Fabrizio Falconi . 2023



26/02/23

"Atonement" ("Espiazione") - Un film da vedere o rivedere, per le vostre serate.


Atonement ("Espiazione"
)
attualmente visibile su Amazon Prime Video senza costi aggiuntivi, è un film che merita di essere visto o rivisto per tanti motivi.

E' tratto dall'omonimo romanzo di Ian Mc Ewan, sicuramente quello di maggiore successo (ma a mio avviso non il migliore: per me McEwan ha espresso il meglio con i romanzi precedenti a Bambini nel Tempo, quest'ultimo compreso, che resta il suo capolavoro).
La vicenda nasce alla vigilia dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale: per via della fantasia morbosa di una adolescente - Briony - che ha velleità di scrittrice, il figlio di una vedova che lavora alle dipendenze di una famiglia aristocratica con magione in campagna, viene ingiustamente accusato di aver violentato una ragazzina.
Dopo la prigione, la sua Espiazione si concretizza nella partenza per il fronte dove Robbie - questo il nome del ragazzo - si trova, come migliaia di altri soldati inglesi, imprigionato nell'inferno di Dunkirk (o Dunkerque).
L'accusa infamante ha interrotto sul nascere la storia d'amore con Cecilia - la bellissima sorella maggiore di Briony - che rompe con tutta la famiglia (e con la sorella of course) e aspetta il ritorno dell'amato.
Il film è spettacolare ed è la miglior prova di Joe Wright, talentuoso regista inglese che dopo la terna di film con Keira Knightley protagonista (oltre a questo, "Orgoglio e pregiudizio" e "Anna Karenina"), si è perso per strada, con film brutti o non riusciti.
Atonement è però straordinario per impegno produttivo, per le scene girate, e per gli attori che vi partecipano.
Da ricordare - ed è già materia di insegnamento nelle scuole di cinema - l'incredibile piano sequenza di ben 5 minuti, sulla spiaggia di Dunkirk con centinaia e centinaia di comparse, cavalli, rovine, carri armati e la macchina da presa che serpeggia tra di loro sinuosamente, senza mai fermarsi: un vero e proprio prodigio.
Keira Knitghley è al massimo del suo splendore, e nella prima parte del film emana potente fascino erotico e sentimento.
Il cast è completato dal meglio del cinema inglese: James Mc Avoy è Robbie, la qui giovanissima Saoirse Ronan è Briony, Brenda Blethyn è la madre di Robbie, Benedict Cumberbatch è l'infame Marshall.
Standing ovation infine, per la mitologica Vanessa Redgrave, che regala un monologo finale di una decina di minuti, da portare sull'isola deserta.

Fabrizio Falconi - 2023

06/02/23

Henry James: "L'ultimo dei Valeri", uno splendido racconto tutto ambientato a Roma

Henry James

Ho recuperato un racconto di Henry James che finora non avevo mai letto, "L'ultimo dei Valeri" (The Last of Valerii), scritto nel 1874, quando James aveva 31 anni.

Com'è noto, la produzione di Henry James, tra romanzi, racconti, romanzi brevi, è veramente sterminata. Ma ovunque si trovano gemme del suo talento sconfinato.
"L'ultimo dei Valeri" è ambientato a Roma e racconta la semplice vicenda di un pittore, la cui figlioccia, Martha, venuta in Italia, si innamora del conte Valerio, discendente della nobilissima gens Valeria, risalente alla Roma Repubblicana, che ha ricoperto per ben 74 volte la carica di Console (seconda sola ai Cornelii).
Il pittore-narratore si trova di fronte questo bellissimo italiano, che sembra uscito da un bassorilievo antico, con i capelli ricci e folti come quelli di Marco Aurelio, dal fisico massiccio e di carattere ombroso.
La narrazione prende il via quando, dopo il matrimonio, il Conte decide di esaudire il desiderio di Martha e di portarla a vivere nella sua grande villa di famiglia, da parecchio tempo lasciata andare in rovina.
Il Conte - che si chiama Camillo - fa restaurare la villa, e accoglie anche l'idea di riprendere gli scavi nei giardini, che si dice, custodiscano enormi tesori del passato.
Così è: dal primo sondaggio di scavo, emerge una meravigliosa e antica Venere (o Giunone) che sembra essere stata appena sepolta.
Con la gioia per il ritrovamento del prezioso reperto, sale però, insieme, l'improvvisa freddezza del Conte, che comincia misteriosamente a ignorare la moglie.
Il pittore ne scopre il perché: Camillo è letteralmente soggiogato dalla statua che è stata scoperta. Giunge a prostrarsi di fronte a lei, di notte, come un pagano invasato dal suo culto.
La forza del passato, del mito; i fantasmi dei morti e dell'ombra sono anche qui, come in molta della sua opera, al centro del racconto di James.
E la descrizione della Roma dell'epoca - c'è una sublime scena notturna al Pantheon - vale da sola la lettura.
Si tratta di un James ancora acerbo, non quello sontuoso della vecchiaia. Ma il suo spirito di osservazione, unico, c'è già tutto.
E sentite come disegna in due righe il tratto di questo "italiano" di così nobili discendenze:
"La mia figlioccia viveva in una felicità idilliaca ed era completamente innamorata. Ero costretto ad ammettere che anche delle regole rigide hanno le loro eccezioni e che, in qualche caso, un conte italiano è una persona onesta."
Formidabile.

Fabrizio Falconi - 2023

06/01/23

Cinema: Un film per una bella serata, "The Forgiven" con Ralph Fiennes e Jessica Chastain


Uscito in sordina in piena estate del 2022 - quella dei 45 gradi - e penalizzato già durante le riprese che furono interrotte per 6 mesi, causa pandemia, "The Forgiven", diretto da John Michael McDonagh meriterebbe una seconda chance.
Se non altro per la coppia di protagonisti, che sono Ralph Fiennes e Jessica Chastain, coppia britannica in viaggio in Marocco per raggiungere il resort in mezzo al deserto, dove un loro amico ha organizzato una festa.
Il film è in realtà tratto fedelmente dal romanzo di un notevole scrittore londinese (in Italia interamente edito da Adelphi), Lawrence Osborne, che si intitola per l'appunto "The Forgiven" e chissà perché in Italia è stato tradotto col titolo "Nella polvere".
Come gli altri romanzi di Osborne, tra cui "Cacciatori nel buio" uscito nel 2015 e finora il suo più grande successo, anche "The Forgiven" è ambientato in luoghi esotici (in "Cacciatori nel buio" era l'Indocina, dove Osborne vive), dove le vicende di viaggiatori o avventurieri occidentali si scontrano con mondi lontani, e ambiguamente ostili.
In realtà a Osborne, come a McDonagh, sta a cuore maggiormente lo smarrimento, le meschinità e il senso di colpa che anima questi transfughi occidentali alla ricerca di paradisi perduti da tempo, spesso proprio per diretta responsabilità dell'uomo bianco.
Qui la vicenda è molto lineare, semplice e parte da un incidente stradale notturno, che crea conseguenze assai pesanti per David Henniger (Fiennes, il protagonista). Tutto ruota intorno al perdono, come dice il titolo, alla capacità di perdonare, alla vendetta, al bisogno di autopunizione.
Si sta dentro atmosfere che ricordano da vicino Il Té nel deserto di Bertolucci (tratto da Bowles) o Professione Reporter, ma ovviamente McDonagh non è né Bertolucci né Antonioni.
Il film, però, specie nel panorama attuale, si fa apprezzare per coerenza di scrittura, temi indagati, interpreti, messa in scena.


Fabrizio Falconi - 2023

28/10/22

Scrittori, osate l'impossibile, non accontentatevi dell'ordinario: lo raccomandava Calvino

 


Rileggendo l'ultima delle Lezioni Americane di Calvino, l'ultima che scrisse, quella sulla Molteplicità (è la quinta, come è noto l'ultima, la sesta, dedicata alla Consistenza, Calvino non fece in tempo a scriverla), si ritrovano diversi passi che suonano come un monito agli scrittori di oggi (italiani) a ritrovare il coraggio di raccontare - e prima ancora di pensare - "in grande", ponendosi obiettivi alti, non consueti, non minimi, non minimalisti, non ordinari, non rinunciatari, non scontati. 

"L'eccessiva ambizione dei propositi" - scrive Calvino - "può essere rimproverabile in molti campi, non in letteratura. La letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche al di là di ogni possibile realizzazione. 

Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione. 

Da quando la scienza diffida dalle spiegazioni generali e dalle soluzioni che non siano settoriali e specialistiche, la grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo.

Uno scrittore che certo non poneva limiti all'ambizione dei proprio progetti era Goethe, il quale nel 1780 confida a Charlotte von Stein di star progettando un "romanzo sull'universo".  Poco sappiamo di come egli pensasse di dar corpo a questa idea, ma già l'aver scelto il romanzo come forma letteraria che possa contenere l'universo intero è un fatto carico di futuro."

Già: carico di futuro. Forse è per questa mancanza di coraggio e di ambizione che la letteratura italiana di oggi è così poco "carica di futuro". 

Fabrizio Falconi - 2022 

12/10/22

Annie Ernaux dopo il Nobel per la Letteratura compare in pubblico a New York: "Finché qualcosa non è stato scritto, non esiste davvero"

 


Da quando Annie Ernaux ha vinto il premio Nobel per la letteratura la scorsa settimana, i libri dell'autrice francese hanno conquistato un numero tale di ammiratori che molti titoli sono esauriti su Amazon.com e nelle librerie, alcuni non disponibili per un mese o più. 

Ma all'Albertine Books, nell'Upper East Side di Manhattan, la sua apparizione lunedì sera è sembrata meno una presentazione che una riunione di vecchi amici, francesi e americani. 

L'evento, raggiungibile al secondo piano attraverso una scala a chiocciola all'interno dei Servizi Culturali dell'Ambasciata di Francia, aveva registrato il tutto esaurito ben prima dell'annuncio del Nobel.

Lunedì, una prima fila di partecipanti si è estesa dietro l'angolo e alla fine centinaia di persone si sono ammassate all'interno, compresa una folla in esubero che l'ha osservata attraverso un video trasmesso dal piano inferiore. 

Accolta da un'ovazione da parte di un pubblico di sole persone in piedi, tra cui i colleghi Garth Greenwell e Rachel Kushner, l'ottantaduenne Ernaux ha parlato a lungo e con ritmo energico, attraverso la sua traduttrice, della sua carriera e del processo di scrittura. 


Le sue risposte ampie contrastavano con lo stile economico dei suoi libri autobiografici, notoriamente brevi, tra cui "Passione semplice", di 64 pagine, e "Happening", di 96 pagine, il suo candido ricordo di un aborto illegale nel 1963, che l'anno scorso è stato adattato in un film omonimo in lingua francese. 

 La serata era intitolata "L'arte di catturare la vita con la scrittura". La Ernaux, intervistata dall'autrice Kate Zambreno, ha paragonato il suo lavoro a un'esplorazione a lungo termine della sua mente, facendo eco a un sentimento comune tra gli autori: Scrivono per scoprire ciò che pensano. 

"La letteratura mi è apparsa come l'unico mezzo per raggiungere quella che io chiamo verità o realtà", ha detto. "È un modo per rendere chiare le cose, non in modo semplice, anzi, scrivere le cose le rende più complesse. È anche un modo per dire che finché qualcosa non è stato scritto non esiste davvero". 

Cresciuta nella Normandia rurale, la Ernaux è stata elogiata dai giudici del Nobel per aver mostrato "grande coraggio e acutezza clinica" nel rivelare "l'agonia dell'esperienza di classe, descrivendo la vergogna, l'umiliazione, la gelosia o l'incapacità di vedere chi si è". 

La Ernaux ha detto lunedì sera che il suo obiettivo non è mai stato quello di scrivere un "bel libro" o di far parte del mondo letterario che ora la celebra, ma di articolare i suoi pensieri e le sue esperienze e renderli riconoscibili agli altri. 

Zambreno ha ricordato un momento di "Happening" in cui Ernaux va in biblioteca per fare una ricerca sull'aborto, ma non trova nessun libro che ne parli. La Ernaux ha spiegato che i libri l'hanno "nutrita e nutrita" fin dall'infanzia e che era sensibile sia a ciò che non includevano sia a ciò che includevano. "Happening" era di per sé una sorta di correttivo, e confidava che avrebbe avuto una certa risonanza, soprattutto dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rovesciato la sentenza Roe v. Wade l'estate scorsa. 

La Ernaux ha ricordato la sua difesa del diritto all'aborto, legalizzato dalla Francia nel 1975, e la sua gratitudine per la "sorellanza" di coetanei con cui ha potuto condividere la sua storia. 

Ma nemmeno le discussioni più intime hanno avuto il potere duraturo di inserire le parole in un testo rilegato. Anni dopo, dopo aver abortito, negli anni Duemila, quando ho scelto di scrivere di quello che chiamavo un "evento" o un "fatto", la gente mi chiedeva "perché sei tornata su questo argomento?"", ha detto. "E questo perché avevo la sensazione che ci fosse qualcosa che aveva bisogno di essere annullato, di essere guardato, di essere esplorato. Ed era solo attraverso la narrazione che quell'"accadimento" poteva essere guardato in quel modo"

Fonte: AP 

24/09/22

La vera storia di "Mocha Dick" la Balena Albina che fu l'ispirazione del Moby Dick di Melville



Due avvenimenti reali costituirono la genesi del grandioso romanzo di Melville, dato alle stampe nel 1851, uno dei più grandi capolavori della letteratura di tutti i tempi: il  primo è l'affondamento nel 1820 della baleniera Essex di Nantucket, dopo l'urto con un enorme capodoglio 3 200 km dalla costa occidentale del Sud America. Il primo ufficiale Owen Chase, uno degli otto sopravvissuti, riportò l'avvenimento nel suo libro del 1821 Narrazione del naufragio della Baleniera Essex di Nantucket che fu affondata da un grosso capodoglio al largo dell'Oceano Pacifico.

Il secondo evento fu la presunta uccisione, attorno al 1830, del capodoglio albino Mocha Dick nelle acque al largo dell'isola cilena di Mocha. Si raccontava che Mocha Dick avesse venti o più ramponi conficcatigli nel dorso da altri balenieri e che sembrava attaccare le navi con una ferocia premeditata come raccontò l'esploratore Jeremiah N. Reynolds, nel maggio 1839 sul The Knickerbocker.

La fama di Mocha Dick era assai nota all'inizio del XIX secolo, a chi navigava nelle acque vicino all'Isola Mocha, al largo del Cile meridionale.

A differenza della maggior parte dei capodogli, Mocha Dick era completamente bianco,  e certamente questo fu di ispirazione per Melville.

Il cetaceo era grande e possente, capace di fare a pezzi piccole imbarcazioni con i suoi colpi di coda e si si assicurava che fosse sopravvissuto a molti scontri (secondo alcuni resoconti almeno 100) con le baleniere prima di essere ucciso.

L'esploratore Jeremiah N. Reynolds raccolse osservazioni dirette di Mocha Dick e pubblicò il suo resoconto, Mocha Dick: Or The White Whale of the Pacific: A Leaf from a Manuscript Journal ("Mocha Dick: o la balena bianca del Pacifico: un foglio da un giornale manoscritto"), nel numero di gennaio 1839 di The Knickerbocker, descrivendo la balena come "un vecchio maschio bianco, di taglia e forza prodigiose... bianco come la lana".

Secondo Reynolds, la testa della balena era coperta di cirripedi, che gli davano un aspetto duro. La balena aveva anche un metodo peculiare per soffiare: «Invece di proiettare il suo soffio obliquamente in avanti, e di ansimare con uno sforzo breve, convulso, accompagnato da un rumore sbuffante, come avviene di solito con la sua specie, lanciava l'acqua dal naso con un volume molto alto, perpendicolare, ampio, ad intervalli regolari e piuttosto distanti; la sua espulsione produceva un rombo continuo, come quello del fumo che sfugge dalla valvola di sicurezza di un potente motore a vapore.»

È molto probabile che Mocha Dick sia stato avvistato e attaccato per la prima volta in qualche periodo precedente all'anno 1810 al largo dell'Isola Mocha.

La sua sopravvivenza ai primi avvistamenti, abbinata al suo aspetto insolito, lo rese rapidamente famoso tra le baleniere di Nantucket. Molti capitani tentarono di dargli la caccia dopo aver doppiato il Capo Horn. A volte era alquanto docile, altre volte nuotava a fianco della nave, ma una volta attaccato reagiva con ferocia e astuzia ed era assai temuto dai ramponieri. Quando era agitato si tuffava in profondità e poi saltava fuori così aggressivamente che a volte tutto il suo corpo veniva completamente fuori dall'acqua.

Nel resoconto di Reynolds, Mocha Dick fu ucciso nel 1838, dopo che era parso venire in aiuto di una femmina sconvolta il cui piccolo era stato ucciso dalle baleniere. Il suo corpo era lungo 21 metri e produsse 100 barili d'olio, oltre a una certa quantità di ambra grigia. Aveva anche parecchi arpioni piantati nel corpo. 

Mocha Dick non fu l'unico caso di avvistamento di una balena albina. Una baleniera svedese sostenne di aver catturato una balena bianca molto vecchia al largo della costa del Brasile nel 1859.

Whipple riferisce che fino al 1954 c'era un uomo che viveva su Nantucket che asseriva di aver arpionato una balena bianca nel 1902. E nel 1952 Time Magazine diede la notizia dell'arpionamento di una balena bianca al largo della costa del Perù.

A partire dal 1991 ci sono avvistamenti riferiti di una megattera bianca vicino all'Australia, soprannominata Migaloo.


13/09/22

Cos'è la strana creatura scolpita da Bernini che appare nella Fontana dei Fiumi a Piazza Navona? Lo si scopre tra le pagine di "Porpora e Nero"

 



Che cos'è quella stranissima creatura che si erge dalle acque proprio al centro della meravigliosa Fontana dei Fiumi realizzata dal genio di Gian Lorenzo Bernini a Piazza Navona ? 

Le forme del tutto inconsuete hanno procurato molti grattacapi agli studiosi della storia dell'arte che soltanto in tempi recenti sono riusciti ad individuare l'animale misterioso al quale si ispirò Bernini, la cui vicende è strettamente legata al nome e al sapere sconfinato di un grande personaggio che visse a Roma negli stessi anni di Bernini (morirono anche a pochi giorni di distanza): il gesuita Athanasius Kircher, nato in Germania, vissuto a Roma, grande erudito, consigliere di principi e papi, collezionista compulsivo di rarità preziose proveniente da ogni angolo di mondo che allora veniva scoperto. 

Ne fu un esempio l’armadillo – il cui nome nella lingua degli indigeni Guaranì era Tatu un animale che nessun europeo aveva mai visto fino a quando un missionario gesuita al seguito dei conquistadores spagnoli pensò bene di spedirne un esemplare a Kircher. Il gesuita lo imbalsamò e lo appese al soffito, proprio all’entrata del suo Museo del Mondo: i visitatori ne restarono così impressionati, che perfino Gian Lorenzo Bernini prese ispirazione da quella strana creatura per immaginare e realizzare il drago che oggi si può ammirare tra le diverse sculture ornanti la Fontana dei Fiumi di Piazza Navona, e che per molto tempo fu scambiato per un coccodrillo.

L'armadillo-drago fa la sua comparsa ed è uno degli anelli-chiave per risolvere il mistero contenuto nel romanzo "Porpora e Nero" di Fabrizio Falconi, frutto di molti anni di appassionante ricerche. 

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