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07/09/21

I Quattro Libri che Cesare Pavese regalò a Fernanda Pivano da studentessa e che le cambiarono la vita


Fernanda Pivano a vent'anni

Sono reduce dalla lettura di Olivia, l'unico romanzo scritto da Dorothy Strachey (1865-1960) completamente focalizzato sulla importanza deflagrante dell'imprinting educativo che scaturisce dalla lettura della grande poesia e della grande letteratura, in ambito scolastico-adolescenziale. 

Un esempio di questa folgorazione, destinata molto spesso a determinare le scelte e la vita successiva di un giovane che si affaccia alla vita è sicuramente data dalla vicenda di Fernanda Pivano, che nacque a Genova il 18 luglio 1917 da una famiglia alto borghese che lei stessa soleva definire vittoriana (come quella di Dorothy Strachey) secondogenita di Riccardo Newton Pivano (1881-1963), direttore dell'Istituto di Credito Marittimo, d'origini in parte scozzesi, e di Mary Smallwood (1891-1978) nata dal matrimonio tra Elisa Boggia e Francis Smallwood uno dei fondatori della Berlitz School italiana. 

Anche se genovese di nascita, la formazione della Pivano avvenne a Torino, dove si trasferì dodicenne  al seguito della famiglia, nel 1929. 

A Torino la Pivano fu iscritta al liceo classico Massimo d'Azeglio dove ebbe la fortuna di avere come compagno di classe in quarta e quinta ginnasio Primo Levi e come supplente di italiano Cesare Pavese, allora ventinovenne. 

La Pivano e Levi, dimostrandosi già mentalmente avanti, non vennero ammessi agli orali dell'esame di maturità nella scuola superiore già completamente fascistizzata, perché i loro temi per lo scritto furono  giudicati "non idonei".

Ma nel 1938 Pavese regalò alla giovane allieva quattro libri in inglese che segnarono il suo destino di scrittrice e traduttrice, facendo esplodere in  lei la passione per la Letteratura american: 

I quattro libri erano: Addio alle armi di Ernest Hemingway – che la giovane Fernanda tradusse clandestinamente in lingua italiana –, Foglie d'erba di Walt Whitman, Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters e l'autobiografia di Sherwood Anderson.

Sono in effetti quattro libri - soprattutto i primi tre - fondamentali per la Letteratura Americana del Novecento: libri sui quali si formarono le generazione future, anche nel dopoguerra, grazie anche all'opera di divulgazione e di traduzione di Fernanda Pivano.

Pavese avrebbe potuto sceglierne anche altri ovviamente.

Ma quelli li scopri da soli, Fernanda, se si pensa che qualche anno più tardi, il 17 giugno 1941, si laureò in Lettere, proprio con una tesi su Moby Dick di Herman Melville.

21/09/20

A proposito delle minigonne e della professoressa del Liceo Socrate


Sono, in totale controtendenza col plebiscito del pensiero conformista, dalla parte della professoressa del liceo Socrate di Roma che è stata linciata in nome della cancel culture e del politically correct: la quale professoressa ha detto, goffamente, quella che è una semplice verità.

Ovvero che nel rapporto insegnanti-alunni bisognerebbe fossero evitati inutili sovraesposizioni, abbigliamenti estremi, oltre che naturalmente atteggiamenti sconsiderati.
L'uso della minigonna rientra nella totale libertà della donna, ma è perfino ovvio - anche se l'ipocrisia al contrario oggi dominante vieta di dirlo - che essa viene indossata per essere belle, cioè attraenti. Comportamento che anche tutti i maschi fanno oggi in altri modi, evidenziando anche in modo esagerato i propri tratti attrattivi, in nome dell'unica religione oggi dominante: il narcisismo personale, che si impara da piccoli o da piccolissimi.
E pretendere che un uomo o una donna - solo perché (in)vestiti di un camice o di un ruolo - dimentichino o elidano i propri istinti erotici/sessuali è cosa che farebbe sorridere non soltanto il Dr. Freud, ma qualunque studioso della natura biologica umana.
E' per questo motivo che nelle università serie di tutto il mondo si usano norme molto severe preventive, come la regola che un professore NON PUO' MAI chiudere la stanza del suo ufficio quando riceve uno studente, oppure le rigide regole di dress-code che vengono imposte dai più prestigiosi istituti del mondo (pubblico qua sotto quelle di Stanford - cliccando su 'traduci' si possono leggere in italiano, per chi vuole).
Il rispetto insomma, viene richiesto da entrambe le parti e in senso biunivoco: i professori devono fare i professori e stare al loro posto, ma gli studenti devono fare gli studenti e non le pin-ups o i tronisti, quando entrano in luogo dove si studia.

29/10/19

"Contro i voti nella scuola di base" - un bellissimo articolo di Franco Lorenzoni



Pubblico questo bellissimo articolo di Franco Lorenzoni sulla valutazione nelle scuola primarie, contro i voti nella scuola di base. 

CONTRO I VOTI NELLA SCUOLA DI BASE 
Intorno alla valutazione si gioca una battaglia culturale su quale società vogliamo costruire 
di Franco Lorenzoni 

Ogni volta che a livello parlamentare o governativo si discute dei voti c’è sempre qualcuno che si oppone con forza alla loro abolizione e, soprattutto, all’abolizione delle bocciature nella scuola di base. 

Diversi opinionisti di peso ci ammorbano con regolarità, sostenendo che voti e bocciature costituiscono simboli necessari per rendere la scuola seria e rigorosa. Ho insegnato nella scuola elementare per 40 anni e continuo a domandarmi come sia concepibile affibbiare a un bambino un voto in geografia, italiano o matematica nei primi anni di scuola. 

A chi stiamo dando quel voto? Al grado di istruzione della sua famiglia? Al grado di ascolto che hanno avuto le sue prime parole a casa? Alle esperienze che ha avuto la fortuna di fare? Al destino che ha fatto giungere proprio qui la sua famiglia da campagne analfabete o dalle periferie di qualche megalopoli africana o asiatica? 

Sono convinto che quei voti non abbiano alcuna giustificazione e non contengano alcun valore pedagogico. 

Eppure un peso ce l’hanno, eccome! E’ a partire da quei primi voti, attesi da casa con sempre maggiore trepidazione, che la bambina o bambino comincerà a scivolare e collocarsi, come la pallina di una roulette, dentro alla casella data da una classifica arbitraria di presunti meriti, che aumenteranno o avviliranno grandemente la sua fiducia in se stesso. 

Due anni fa abbiamo celebrato i 50 anni della “Lettera a una professoressa”, scritta nel corso di un lavoro durato mesi da un gruppo di ragazzi contadini delle montagne del Mugello, guidati da don Lorenzo Milani nel suo ultimo anno di vita. 

“Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”, è scritto in quelle pagine. E ancora: “La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde. La vostra “scuola dell’obbligo” ne perde per strada 462.000 l’anno. A questo punto gli unici incompetenti di scuola siete voi (insegnanti) che li perdete e non tornate a cercarli”. 

A 50 anni di distanza da quell’accorata denuncia la nostra scuola perde ancora il 15% di ragazzi e, se si considerano separatamente i maschi, la cifra supera il 20%, anche se è leggermente calata negli ultimi anni. 

“Una scuola che seleziona distrugge la cultura - prosegue la Lettera -. Ai poveri toglie il mezzo d’espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose. (…) Voi dite d’aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. E’ più facile che i dispettosi siate voi.” 

Gran parte di questo articolo (con piccole variazioni) era stato pubblicato su Internazionale on line il 4 febbraio 2017 http://www.internazionale.it/…/2017/02/04/voti-bocciature-s…

10/12/14

Corpi nudi, lezione di umiltà, vita. Una iniziazione.



Nel 1973 frequentavo il Liceo Castelnuovo a Roma.  

Erano anni molto turbolenti.  Per me che uscivo da una scuola media molto severa, all'antica (il Ludovico Ariosto), con una professoressa di italiano molto brava, ma di destra, reazionaria, l'immersione nel rosso Castelnuovo di quegli anni, fu un improvviso bagno di vita: pure pulsioni emotive. Il mondo che fino ad allora avevo soltanto sfiorato timidamente, come molti ragazzi di 13 o 14 anni, ma imparato già a reprimere. 

Le giustificazioni per le assenze erano state abolite molti anni prima, la didattica faceva schifo, ma il Liceo, quel Liceo era, in quegli anni una palestra di creatività, una scuola molto diversa da quella che si intende solitamente. 

Quando entrai io, i ragazzi del quinto anno (entrati nel '68) erano pieni di pretese e di convinzioni, facevano anche un po' sorridere a ripensarci oggi, ma credevano sinceramente nella capacità per tutti, di cambiare un po' di mondo, di infondere fiducia, coraggio trasformativo. Di poter sciogliere le costrizioni delle finzioni, di svelare la nefandezza dei costrutti dati per assodati, di dare un senso diverso al mondo. 

Durante la settimana autogestita, furono proiettati filmati semi-clandestini sull'aborto (la legge sarebbe arrivata solo cinque anni dopo), si ascoltava musica in sale da musica approntate (King Crimson, Gentle Giant, ecc..), si tenevano interminabili lezioni sul Vietnam.
Vennero anche a danzare quelli del Living Theatre. 

I loro corpi nudi, totalmente nudi, si muovevano con l'evidenza grave e soave della carne, nella palestra dell'istituto. 

Noi eravamo seduti in terra, senza capire nulla.  

Ma i corpi erano vivi.  I nostri corpi. Questa assenza dei corpi, oggi addolora.  I ragazzi di adesso, incollati alle loro delizie digitali, sembrano privi di corpi, eterei ed essenziali come i loro meravigliosi strumenti tecnologici. 

La pesantezza del corpo è solo un accidente. La qualità di un corpo che pretende di muoversi sulla scena vuota del mondo, un incidente. 

L'umiltà di quella lezione, fu per me, mi rendo conto, totale e fatale. 

Anche quello contribuì a farmi innamorare della vita. Non sono più guarito, anche se oggi molti farmaci proclamano e soddisfano esiti miracolosi per curare senza effetti collaterali il rischio che comporta il vivere.

Fabrizio Falconi


16/04/14

L'assurdità della scuola media inferiore. Una lettera da diffondere e conservare.




Qualche giorno fa è apparso su un settimanale italiano nella rubrica delle lettere, un intervento che merita, a mio avviso di essere letto con molta attenzione.  Riguarda un aspetto che sembrerebbe sulle prime marginale, rispetto ai molti mali che affliggono il nostro paese. E che è invece centrale. Stiamo trasformando rapidamente i nostri figli, le nuove generazioni, in contenitori di informazioni che loro per primi non sanno gestire né valutare, né organizzare e che, soprattutto, non hanno nulla (o pochissimo) a che vedere con il loro mondo interiore, con la loro anima, con la responsabilità, con la costruzione della personalità e in definitiva con il senso dell'umano. Tutti i disastri ulteriori, di cui ogni giorno ci lamentiamo, partono in definitiva da qui. Credo quindi che si dovrebbe dare la massima diffusione a questo semplice scritto, di una volenterosa, anziana signora di Imola. 

Vorrei allacciarmi all'intervento del signor Mario Lorenzini su Sette del 21 marzo a proposito dei programmi della scuola media.  

Anch'io sono anziana e, non avendo né figli né nipoti, avevo un concetto della scuola fermo alla fine degli anni '50. 

Siccome a settembre dell'anno scorso mi è stato chiesto di seguire ogni giorno e in tutte le materie un ragazzino di seconda media, ho avuto modo in questi mesi di conoscere tutti i suoi libri di testo. 

Mi è sembrato di essere capitata su Marte ! Il programma di aritmetica e geometria comprende concetti ed esercizi che una volta si affrontavano solo al liceo scientifico.  Il libro di scienze presenta l'anatomia come per un esame della facoltà di Medicina, con le reazioni chimiche nell'apparato respiratorio o in quello digerente e con una terminologia non solo incomprensibile per i ragazzi ma addirittura impronunciabile. 

Non parliamo poi della parte relativa all'atomo e alla "configurazione elettrica degli elementi" con relative formule. In tecnologia si studiano i piani territoriali, i piani regolatori, le norme di legge per le licenze edilizie, le tecniche costruttive antisismiche.  Mi chiedo: cosa studieranno gli studenti di architettura ? 

In storia si disquisisce sugli illuministi e gli enciclopedisti francesi, distinguendo la teoria della divisione dei poteri di Montesquieu dal dispotismo illuminato di Voltaire, ma gli studenti non sanno chi è il nostro attuale presidente della Repubblica. 

In Italiano fanno storia della letteratura e storia dell'arte che una volta si iniziavano solo alle superiori mentre alla media inferiore ci si limitava ad una scelta di autori adeguati all'età degli studenti. 

Così analizzano la struttura, le tematiche e la simbologia della Divina Commedia e dell'Orlando Furioso, leggono (a 12 anni) Cecco Angiolieri e il Parini.  In compenso non sanno fare un riassunto, perché non c'è tempo da perdere per un'esercitazione così elementare. 

Mi piacerebbe parlare con gli alti funzionari ministeriali che stabiliscono i programmi e approvano i libri di testo per chiedere loro se si sono mai posti il problema dell'adeguatezza dei suddetti programmi e testi alle capacità intellettive dei preadolescenti. 

Nella classe del ragazzino che sto seguendo, la metà degli studenti ha più insufficienze che sufficienze e molti non fanno i compiti a casa perché non sono in grado di farli. 

A questo punto vorrei citare una sua frase nella risposta al signor Lorenzini: "...a patto che gli insegnanti e genitori dedichino loro tempo e sforzi di semplificazione per guidarli in una giungla di concetti piuttosto complicati."

Lei, riconoscendo che i ragazzi sono costretti a muoversi in una giungla di concetti complicati, affida agli insegnanti e ai genitori il compito di aiutarli a districarsi. Mentre sono d'accordo sugli insegnanti, visto che questo è il loro mestiere, le chiedo perché mai i genitori dovrebbero dedicare tempo ed energie ad integrare il lavoro della scuola, considerando che la maggior parte dei genitori non solo non ha il tempo, ma nemmeno la competenza per farlo (immagini una mamma musulmana a spiegare la simbologia della Divina Commedia o un padre operaio ad applicare il teorema di Pitagora a un triangolo inscritto in una circonferenza con le tangenti partenti da un punto P esterno).

Come il signor Lorenzin, anch'io penso che "questa scuola corra troppo dietro alle novità senza gettare le basi". 

Io mi sforzo di trasmettere i concetti base al ragazzino che sto aiutando, ma intanto il pomeriggio passa e ci sono ancora montagne di nozioni "inutili" da studiare per le interrogazioni e le verifiche di domani. 

Sono già le sei del pomeriggio  quando il ragazzino se ne va: ha fatto tre ore con me che, aggiunte alle sei fatte a scuola danno un totale di nove ore. Ormai ci sono solo i cinesi che lavorano più di otto ore al giorno !


Rosèlia Irti, Imola.


26/10/13

Il declino culturale in Italia. L'eloquenza dei numeri.





Parliamo spesso di declino, in Italia.

Credo che, senza nessuna nota apocalittica, ma con semplice realismo, molto si può dedurre da questi semplici numeri che riporto. 

Copie di libri stampate in Italia per abitante ogni anno: 3.5 
Percentuale di italiani che in un anno ha letto almeno un libro: 46%. 

Dal raffronto di questi due numeri è piuttosto semplice concludere che quasi DUE copie di libri per ogni abitante che vengono stampate in Italia (ovvero 120.000 MILIONI DI COPIE DI LIBRI = 2 libri per abitante x 60 milioni di abitanti), NON vengono lette da nessuno.

Il secondo dato riguarda la percentuale dei laureati sul totale della popolazione (compresa tra 25 e 64 anni nell'anno 2O11): 

Regno Unito 37%. 
Belgio 34.6%. 
Spagna 31.6%. 
Francia 29.8%. 
Germania 27.6%. 
Grecia 25.4%. 
Slovenia 25.1%. 
Italia: 14.9%.  

Credo che non ci sia bisogno di aggiungere altro, se non ricordarsi del famoso adagio che recita: più un popolo è privo di conoscenza, più è facile controllarlo.

Fabrizio Falconi

05/12/08

La questione del Crocefisso nei luoghi pubblici.



Nella cittadina spagnola di Valladolid un giudice ha riaperto le polemiche sui crocefissi nelle aule delle scuole. La vicenda si trascina già da più di tre anni quando alcuni genitori del centro educativo Macías Picavea portarono la controversia nelle aule dei tribunali. Lo scopo: continuare la battaglia contro il consiglio d’istituto della scuola e ottenere la rimozione dei simboli religiosi. E alla fine, il tribunale del contenzioso amministrativo n.2 di Valladolid gli ha dato ragione ignorando la volontà della maggioranza dei genitori del centro che il crocefisso, invece, lo volevano.

E' solo l'ultimo capitolo di una battaglia sul simbolo del crocefisso che sta velocemente investendo il mondo della critianità occidentale, e quindi anche l'Italia.

Pochi giorni fa a Terni un professore della classe terza A dell'istituto professionale per il commercio Alessandro Casagrande ha pensato bene all'arrivo per le lezioni, di togliere l'immagine del crocefisso dal muro e di riporla nel cassetto della cattedra per poi ricollocarla al termine della sua docenza.

Ciò, nonostante il fatto che gli studenti abbiano chiesto di lasciare quel crocefisso al suo posto e sono la maggioranza.

Insomma, sentiamo da tempo già nell'aria i sintomi dell'intolleranza 'a rovescio' che pretende - e ci riuscirà - di cancellare ogni traccia di simbolo religioso cattolico nella vita pubblica laica.

Il problema però non è questo: la scristianizzazione in Italia, come nel resto d'Occidente procede ormai da decenni, e non è questa novità a farci scoprire quel che dovrebbe essere ormai sotto gli occhi veramente tutti.

E' un male ?

Può non esserlo. Mi piacerebbe infatti che i cristiani cattolici in questa, come in altre circostanze, dessero prova di maturità spirituale, di nobiltà, di purezza, senza lasciarsi contaminare da quello spirito ebbro pagano che ormai sembra voler pervadere ogni cosa, ogni comune sentire.

Che senso ha infatti irrigidirsi di fronte a questo procedere del tempo, invocare rispetto per i simboli sacri, quando ormai questo rispetto è - nella sostanza più che nella forma - sentito come irrilevante ? Che senso avrebbe pretendere il mantenimento della forma esteriore di una verità/realtà non avvertita più - dai fatti della maggioranza - come vera e reale ?

Si dice: " la maggioranza degli uomini ormai vive come se il problema dell'esistenza di Dio non esistesse. "

Ma se allora le cose stanno così, che senso ha pretendere il mantenimento di uno statu quo simbolico, soltanto per acquietare qualche coscienza, e per buona pace comune ?

Sì, certo, la tolleranza è sempre una buona cosa. Ma nel momento in cui un crocefisso appeso alla parete di una aula scolastica viene vissuto come atto intollerante, bisogna - io credo - ritrarsi.

I cristiani non devono aver paura. Non dovrebbero. Dovrebbero ricordarsi dei tempi, dei lunghi tempi ai primordi della Cristianità in cui quel simbolo - il Cristo appeso al suo martirio - era massimamente in-tollerato.

Non si poteva mostrare, il crocefisso. Non si poteva raffigurare, esporre. Non se ne poteva neanche parlare. E si rischiava di morire, per questo.

E allora ? Il cristianesimo fu forse annichilito da questo ? Il cristianesimo di quei cristiani fu forse spento o sradicato per via di questo ? Nient'affatto. Il cristianesimo, semmai, si consolidò, divenne ancora più puro ed essenziale.

Nel buio della catacombe, in quegli umidi anfratti, negli sguardi di quegli uomini spaventati, ma fieri della loro fede, consapevoli, il cristianesimo nacque. Trovò le forze per comunicare al mondo - e convincere il mondo - della Lieta Novella.

E' una occasione, forse, per ritornare a quello spirito. Per ritrovare il senso di una fede originaria, che non va certo fondata, ma forse, rin-novata nello spirito, negli spiriti.

A quel crocefisso, penzolante dal collo delle rockstars, o esibito come gadget o come orpello di consumo, avevamo finito tutti quasi per abituarci, per assuefarci.

Dimenticandocene lo scandalo. Lo scandalo che da esso deriva.

Forse se tornerà ad essere considerato, da una maggioranza sorda, simbolo da non tollerare, quel simbolo - il crocefisso - tornerà ad essere veramente il simbolo vero della fede di tutti i cristiani.
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