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27/09/22

Arriva il nuovo libro di Emmanuel Carrère sul processo del secolo, a Parigi, contro i terroristi del Bataclan


Parigi. V13. Il processo del secolo al terrorismo islamico. V come venerdì, 13 come 13 novembre 2015, il giorno in cui Parigi fu attaccata dal commando jihadista di Salah Abdeslam, l’unico terrorista sopravvissuto di quella notte maledetta: 130 morti e 350 feriti tra il Bataclan, lo Stade de France e alcuni bistrot della capitale. 

V13 “come tutti, magistrati, avvocati e giornalisti chiamiamo questo mostruoso processo del 13 novembre nel quale siamo imbarcati”, scrive Emmanuel Carrère nell’omonimo libro in uscita per le edizioni Pol, che riunisce, con l’aggiunta di nuovi contenuti, i reportage curati dallo scrittore francese nella sala bunker del Palazzo di giustizia di Parigi e pubblicati sull’Obs a cadenza settimanale dal settembre 2021 al giugno 2022, quando ci fu il verdetto, perpétuité réelle, ergastolo senza sconti di pena a Abdeslam

“Tra Violette Lazard, Mathieu Delahousse e Vincent Monnier, gli eccellenti specialisti del dossier V13 non mancavano certo all’Obs. Ma per aver uno sguardo un po’ diverso su questo evento di primo piano, che sarebbe stato estremamente mediatizzato, tutto nel cv di Carrère lasciava immaginare che questo freelance avrebbe completato bene la nostra squadra”, racconta Grégoire Leménager, vicedirettore del settimanale parigino e autore della postfazione di “V13”. 

“Aveva scritto con ‘L’avversario’ la storia di un assassino fuori dal comune, che già praticava una specie di taqiya dissimulando alla sua famiglia una parte considerevole della sua esistenza. Aveva saputo evocare il dolore della morte in ‘Vite che non sono la mia’. Aveva esaminato ne ‘Il regno’ alcune cause della radicalizzazione religiosa. Aveva appena adattato al cinema ‘Le quai de Ouistreham’ di Florence Aubenas che a sua volta racconta, se si riflette bene, una storia di taqiya”, scrive Grégoire Leménager, spiegando la scelta del romanziere che aveva già fatto diverse incursioni nel giornalismo (come il reportage in Russia nel 2012, una specie di post scriptum al suo “Limonov”)

Ogni lunedì, per nove mesi, Emmanuel Carrère ha mandato 7.800 battute alla redazione dell’Obs, raccontando il susseguirsi atroce delle testimonianze nel primo mese di processo, “l’immensa psicoterapia di queste cinque settimane che si sono appena concluse ha avuto la bellezza di un racconto collettivo e la crudeltà di un casting”; le vittime, anzi gli “eroi”, per “il coraggio di cui hanno avuto bisogno per ricostruirsi, per il modo di vivere questa esperienza, per la potenza del legame con i morti e i vivi”; i carnefici, a partire da Salah Abdeslam, “faccia da schiaffi” e “starlette capricciosa”; il rapporto tra il bene e il male citando Simone Weil: “Essere pronti a morire per uccidere, essere pronti a morire per salvare: qual è il più grande mistero?”

Il lungo racconto del processo, testimonianza letteraria di una tragedia collettiva, restituisce l’alternanza dei momenti di forte carica emotiva e i giorni pieni di rabbia e frustrazione da parte dei familiari delle vittime dinanzi al silenzio degli accusati. 

Una delle testimonianze più toccanti è quella di Aristide e Alice Barraud, fratello e sorella, gravemente feriti mentre erano seduti nel dehors del bistrot Le Petit Cambodge. “Ho cercato di capire perché dei giovani decidono di sparare contro altri giovani. Non l’ho ancora capito, forse non c’è nulla da capire”, testimonia Aristide in aula. Emmanuel Carrère osserva questi due ragazzi, in piedi, davanti ai giudici, nella loro immensa dignità. “Il nostro sguardo è rivolto verso di loro, Aristide e Alice – scrive Carrère – Le loro parole sono già un segno di giustizia”.

26/06/22

Qual è la più bella lettera sulla Guerra? Quella di Tiziano Terzani a Oriana Fallaci: "Il Sultano e San Francesco", da rileggere oggi

 


Sono state due grandi personalità italiane, Oriana Fallaci e Tiziano Terzani: condivisero un mestiere difficile: quello dell'inviato e dell'inviato di guerra. Parteciparono entrambi, come testimoni, ad alcuni tra gli eventi più distruttivi e violenti del Novecento, passarono indenni attraverso esperienze pericolose, rischi enormi, amori totalizzanti.  

Eppure se cercate su Google, non troverete mai nessuna foto che li ritrae insieme. Anche se erano tutti e due toscani e tutti due nati nella stessa città - Firenze - e a pochi anni di distanza una dall'altro (la Fallaci nel 1929, Terzani nel 1938). 
Pur avendo condiviso così tanto, avevano idee molto diverse, che si radicalizzarono dopo gli attentati alle Torri Gemelle di New York. La Fallaci, che viveva ormai negli USA, scrisse un violento libello, "La rabbia e l'orgoglio" che esprimeva duramente la condanna all'estremismo islamico e alle sue connivenze. E difendeva orgogliosamente le democrazie dell'Occidente, pur con tutte le sue distorsioni. Tiziano Terzani, neanche un mese dopo l'attentato, le scrisse questa lettera, una delle più alte testimonianze di quel periodo, ma più in generale una potente riflessione sulla guerra, sul "legno storto dell'umanità" e sulla pacificazione interiore e esteriore. Da rileggere interamente oggi.  

Il Sultano e San Francesco, la lettera di Tiziano Terzani a Oriana Fallaci

Oriana, dalla finestra di una casa poco lontana da quella in cui anche tu sei nata, guardo le lame austere ed eleganti dei cipressi contro il cielo e ti penso a guardare, dalle tue finestre a New York, il panorama dei grattacieli da cui ora mancano le Torri Gemelle. Mi torna in mente un pomeriggio di tanti, tantissimi anni fa quando assieme facemmo una lunga passeggiata per le stradine di questi nostri colli argentati dagli ulivi. Io mi affacciavo, piccolo, alla professione nella quale tu eri già grande e tu proponesti di scambiarci delle «Lettere da due mondi diversi»: io dalla Cina dell’ immediato dopo-Mao in cui andavo a vivere, tu dall’America. Per colpa mia non lo facemmo. Ma è in nome di quella tua generosa offerta di allora, e non certo per coinvolgerti ora in una corrispondenza che tutti e due vogliamo evitare, che mi permetto di scriverti. Davvero mai come ora, pur vivendo sullo stesso pianeta, ho l’ impressione di stare in un mondo assolutamente diverso dal tuo. Ti scrivo anche – e pubblicamente per questo – per non far sentire troppo soli quei lettori che forse, come me, sono rimasti sbigottiti dalle tue invettive, quasi come dal crollo delle due Torri. Là morivano migliaia di persone e con loro il nostro senso di sicurezza; nelle tue parole sembra morire il meglio della testa umana – la ragione; il meglio del cuore – la compassione. Il tuo sfogo mi ha colpito, ferito e mi ha fatto pensare a Karl Kraus. «Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia», scrisse, disperato dal fatto che, dinanzi all’ indicibile orrore della Prima Guerra Mondiale, alla gente non si fosse paralizzata la lingua. Al contrario, gli si era sciolta, creando tutto attorno un assurdo e confondente chiacchierio. Tacere per Kraus significava riprendere fiato, cercare le parole giuste, riflettere prima di esprimersi. Lui usò di quel consapevole silenzio per scrivere Gli ultimi giorni dell’ umanità, un’ opera che sembra essere ancora di un’ inquietante attualità. Pensare quel che pensi e scriverlo è un tuo diritto. Il problema è però che, grazie alla tua notorietà, la tua brillante lezione di intolleranza arriva ora anche nelle scuole, influenza tanti giovani e questo mi inquieta. Il nostro di ora è un momento di straordinaria importanza.

L’ orrore indicibile è appena cominciato, ma è ancora possibile fermarlo facendo di questo momento una grande occasione di ripensamento. È un momento anche di enorme responsabilità perché certe concitate parole, pronunciate dalle lingue sciolte, servono solo a risvegliare i nostri istinti più bassi, ad aizzare la bestia dell’ odio che dorme in ognuno di noi ed a provocare quella cecità delle passioni che rende pensabile ogni misfatto e permette, a noi come ai nostri nemici, il suicidarsi e l’ uccidere. «Conquistare le passioni mi pare di gran lunga più difficile che conquistare il mondo con la forza delle armi. Ho ancora un difficile cammino dinanzi a me», scriveva nel 1925 quella bell’anima di Gandhi. Ed aggiungeva: «Finché l’ uomo non si metterà di sua volontà all’ultimo posto fra le altre creature sulla terra, non ci sarà per lui alcuna salvezza». E tu, Oriana, mettendoti al primo posto di questa crociata contro tutti quelli che non sono come te o che ti sono antipatici, credi davvero di offrirci salvezza? La salvezza non è nella tua rabbia accalorata, né nella calcolata campagna militare chiamata, tanto per rendercela più accettabile, «Libertà duratura». O tu pensi davvero che la violenza sia il miglior modo per sconfiggere la violenza? Da che mondo è mondo non c’ è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo sarà nemmeno questa. Quel che ci sta succedendo è nuovo. Il mondo ci sta cambiando attorno. Cambiamo allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di stare al mondo. È una grande occasione. Non perdiamola: rimettiamo in discussione tutto, immaginiamoci un futuro diverso da quello che ci illudevamo d’ aver davanti prima dell’11 settembre e soprattutto non arrendiamoci alla inevitabilità di nulla, tanto meno all’ inevitabilità della guerra come strumento di giustizia o semplicemente di vendetta. Le guerre sono tutte terribili. Il moderno affinarsi delle tecniche di distruzione e di morte le rendono sempre più tali. Pensiamoci bene: se noi siamo disposti a combattere la guerra attuale con ogni arma a nostra disposizione, compresa quella atomica, come propone il Segretario alla Difesa americano, allora dobbiamo aspettarci che anche i nostri nemici, chiunque essi siano, saranno ancor più determinati di prima a fare lo stesso, ad agire senza regole, senza il rispetto di nessun principio. Se alla violenza del loro attacco alle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor più terribile violenza – ora in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa dove -, alla nostra ne seguirà necessariamente una loro ancora più orribile e poi un’ altra nostra e così via. Perché non fermarsi prima? Abbiamo perso la misura di chi siamo, il senso di quanto fragile ed interconnesso sia il mondo in cui viviamo, e ci illudiamo di poter usare una dose, magari «intelligente», di violenza per mettere fine alla terribile violenza altrui. Cambiamo illusione e, tanto per cominciare, chiediamo a chi fra di noi dispone di armi nucleari, armi chimiche e armi batteriologiche – Stati Uniti in testa – d’ impegnarsi solennemente con tutta l’ umanità a non usarle mai per primo, invece di ricordarcene minacciosamente la disponibilità. Sarebbe un primo passo in una nuova direzione. Non solo questo darebbe a chi lo fa un vantaggio morale – di per sé un’ arma importante per il futuro -, ma potrebbe anche disinnescare l’ orrore indicibile ora attivato dalla reazione a catena della vendetta.

In questi giorni ho ripreso in mano un bellissimo libro (peccato che non sia ancora in italiano) di un vecchio amico, uscito due anni fa in Germania. Il libro si intitola Die Kunst, nicht regiert zu werden: ethische Politik von Sokrates bis Mozart (L’ arte di non essere governati: l’ etica politica da Socrate a Mozart). L’ autore è Ekkehart Krippendorff, che ha insegnato per anni a Bologna prima di tornare all’Università di Berlino. La affascinante tesi di Krippendorff è che la politica, nella sua espressione più nobile, nasce dal superamento della vendetta e che la cultura occidentale ha le sue radici più profonde in alcuni miti, come quello di Caino e quello delle Erinni, intesi da sempre a ricordare all’uomo la necessità di rompere il circolo vizioso della vendetta per dare origine alla civiltà. Caino uccide il fratello, ma Dio impedisce agli uomini di vendicare Abele e, dopo aver marchiato Caino – un marchio che è anche una protezione -, lo condanna all’esilio dove quello fonda la prima città. La vendetta non è degli uomini, spetta a Dio. Secondo Krippendorff il teatro, da Eschilo a Shakespeare, ha avuto una funzione determinante nella formazione dell’ uomo occidentale perché col suo mettere sulla scena tutti i protagonisti di un conflitto, ognuno col suo punto di vista, i suoi ripensamenti e le sue possibili scelte di azione, il teatro è servito a far riflettere sul senso delle passioni e sulla inutilità della violenza che non raggiunge mai il suo fine. Purtroppo, oggi, sul palcoscenico del mondo noi occidentali siamo insieme i soli protagonisti ed i soli spettatori, e così, attraverso le nostre televisioni ed i nostri giornali, non ascoltiamo che le nostre ragioni, non proviamo che il nostro dolore. A te, Oriana, i kamikaze non interessano. A me tanto invece. Ho passato giorni in Sri Lanka con alcuni giovani delle «Tigri Tamil», votati al suicidio. Mi interessano i giovani palestinesi di «Hamas» che si fanno saltare in aria nelle pizzerie israeliane. Un po’ di pietà sarebbe forse venuta anche a te se in Giappone, sull’isola di Kyushu, tu avessi visitato Chiran, il centro dove i primi kamikaze vennero addestrati e tu avessi letto le parole, a volte poetiche e tristissime, scritte segretamente prima di andare, riluttanti, a morire per la bandiera e per l’ Imperatore. I kamikaze mi interessano perché vorrei capire che cosa li rende così disposti a quell’innaturale atto che è il suicidio e che cosa potrebbe fermarli. Quelli di noi a cui i figli – fortunatamente – sono nati, si preoccupano oggi moltissimo di vederli bruciare nella fiammata di questo nuovo, dilagante tipo di violenza di cui l’ecatombe nelle Torri Gemelle potrebbe essere solo un episodio. Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire, perché io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali. Niente nella storia umana è semplice da spiegare e fra un fatto ed un altro c’è raramente una correlazione diretta e precisa. Ogni evento, anche della nostra vita, è il risultato di migliaia di cause che producono, assieme a quell’evento, altre migliaia di effetti, che a loro volta sono le cause di altre migliaia di effetti.

L’attacco alle Torri Gemelle è uno di questi eventi: il risultato di tanti e complessi fatti antecedenti. Certo non è l’atto di «una guerra di religione» degli estremisti musulmani per la conquista delle nostre anime, una Crociata alla rovescia, come la chiami tu, Oriana. Non è neppure «un attacco alla libertà ed alla democrazia occidentale», come vorrebbe la semplicistica formula ora usata dai politici. Un vecchio accademico dell’ Università di Berkeley, un uomo certo non sospetto di anti-americanismo o di simpatie sinistrorse dà di questa storia una interpretazione completamente diversa. «Gli assassini suicidi dell’11 settembre non hanno attaccato l’America: hanno attaccato la politica estera americana», scrive Chalmers Johnson nel numero di The Nation del 15 ottobre. Per lui, autore di vari libri – l’ultimo, Blowback, contraccolpo, uscito l’ anno scorso (in Italia edito da Garzanti ndr) ha del profetico – si tratterebbe appunto di un ennesimo «contraccolpo» al fatto che, nonostante la fine della Guerra Fredda e lo sfasciarsi dell’ Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno mantenuto intatta la loro rete imperiale di circa 800 installazioni militari nel mondo. Con una analisi che al tempo della Guerra Fredda sarebbe parsa il prodotto della disinformazione del Kgb, Chalmers Johnson fa l’ elenco di tutti gli imbrogli, complotti, colpi di Stato, delle persecuzioni, degli assassinii e degli interventi a favore di regimi dittatoriali e corrotti nei quali gli Stati Uniti sono stati apertamente o clandestinamente coinvolti in America Latina, in Africa, in Asia e nel Medio Oriente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi. Il «contraccolpo» dell’ attacco alle Torri Gemelle ed al Pentagono avrebbe a che fare con tutta una serie di fatti di questo tipo: fatti che vanno dal colpo di Stato ispirato dalla Cia contro Mossadeq nel 1953, seguito dall’installazione dello Shah in Iran, alla Guerra del Golfo, con la conseguente permanenza delle truppe americane nella penisola araba, in particolare l’ Arabia Saudita dove sono i luoghi sacri dell’ Islam. Secondo Johnson sarebbe stata questa politica americana «a convincere tanta brava gente in tutto il mondo islamico che gli Stati Uniti sono un implacabile nemico». Così si spiegherebbe il virulento anti-americanismo diffuso nel mondo musulmano e che oggi tanto sorprende gli Stati Uniti ed i loro alleati. Esatta o meno che sia l’ analisi di Chalmers Johnson, è evidente che al fondo di tutti i problemi odierni degli americani e nostri nel Medio Oriente c’ è, a parte la questione israeliano-palestinese, la ossessiva preoccupazione occidentale di far restare nelle mani di regimi «amici», qualunque essi fossero, le riserve petrolifere della regione. Questa è stata la trappola. L’ occasione per uscirne è ora. Perché non rivediamo la nostra dipendenza economica dal petrolio? Perché non studiamo davvero, come avremmo potuto già fare da una ventina d’ anni, tutte le possibili fonti alternative di energia? Ci eviteremmo così d’ essere coinvolti nel Golfo con regimi non meno repressivi ed odiosi dei talebani; ci eviteremmo i sempre più disastrosi «contraccolpi» che ci verranno sferrati dagli oppositori a quei regimi, e potremmo comunque contribuire a mantenere un migliore equilibrio ecologico sul pianeta. Magari salviamo così anche l’ Alaska che proprio un paio di mesi fa è stata aperta ai trivellatori, guarda caso dal presidente Bush, le cui radici politiche – tutti lo sanno – sono fra i petrolieri.di Khaled Hosseini.

A proposito del petrolio, Oriana, sono certo che anche tu avrai notato come, con tutto quel che si sta scrivendo e dicendo sull’Afghanistan, pochissimi fanno notare che il grande interesse per questo paese è legato al fatto d’ essere il passaggio obbligato di qualsiasi conduttura intesa a portare le immense risorse di metano e petrolio dell’ Asia Centrale (vale a dire di quelle repubbliche ex-sovietiche ora tutte, improvvisamente, alleate con gli Stati Uniti) verso il Pakistan, l’ India e da lì nei paesi del Sud Est Asiatico. Il tutto senza dover passare dall’Iran. Nessuno in questi giorni ha ricordato che, ancora nel 1997, due delegazioni degli «orribili» talebani sono state ricevute a Washington (anche al Dipartimento di Stato) per trattare di questa faccenda e che una grande azienda petrolifera americana, la Unocal, con la consulenza niente di meno che di Henry Kissinger, si è impegnata col Turkmenistan a costruire quell’oleodotto attraverso l’ Afghanistan. È dunque possibile che, dietro i discorsi sulla necessità di proteggere la libertà e la democrazia, l’ imminente attacco contro l’ Afghanistan nasconda anche altre considerazioni meno altisonanti, ma non meno determinanti. È per questo che nell’America stessa alcuni intellettuali cominciano a preoccuparsi che la combinazione fra gli interessi dell’ industria petrolifera con quelli dell’ industria bellica – combinazione ora prominentemente rappresentata nella compagine al potere a Washington – finisca per determinare in un unico senso le future scelte politiche americane nel mondo e per limitare all’interno del paese, in ragione dell’ emergenza anti-terrorismo, i margini di quelle straordinarie libertà che rendono l’ America così particolare. Il fatto che un giornalista televisivo americano sia stato redarguito dal pulpito della Casa Bianca per essersi chiesto se l’ aggettivo «codardi», usato da Bush, fosse appropriato per i terroristi-suicidi, così come la censura di certi programmi e l’ allontanamento da alcuni giornali, di collaboratori giudicati non ortodossi, hanno aumentato queste preoccupazioni. L’ aver diviso il mondo in maniera – mi pare – «talebana», fra «quelli che stanno con noi e quelli contro di noi», crea ovviamente i presupposti per quel clima da caccia alle streghe di cui l’ America ha già sofferto negli anni Cinquanta col maccartismo, quando tanti intellettuali, funzionari di Stato ed accademici, ingiustamente accusati di essere comunisti o loro simpatizzanti, vennero perseguitati, processati e in moltissimi casi lasciati senza lavoro.

Il tuo attacco, Oriana – anche a colpi di sputo – alle «cicale» ed agli intellettuali «del dubbio» va in quello stesso senso. Dubitare è una funzione essenziale del pensiero; il dubbio è il fondo della nostra cultura. Voler togliere il dubbio dalle nostre teste è come volere togliere l’ aria ai nostri polmoni. Io non pretendo affatto d’ aver risposte chiare e precise ai problemi del mondo (per questo non faccio il politico), ma penso sia utile che mi si lasci dubitare delle risposte altrui e mi si lasci porre delle oneste domande. In questi tempi di guerra non deve essere un crimine parlare di pace. Purtroppo anche qui da noi, specie nel mondo «ufficiale» della politica e dell’ establishment mediatico, c’ è stata una disperante corsa alla ortodossia. È come se l’ America ci mettesse già paura. Capita così di sentir dire in televisione a un post-comunista in odore di una qualche carica nel suo partito, che il soldato Ryan è un importante simbolo di quell’America che per due volte ci ha salvato. Ma non c’ era anche lui nelle marce contro la guerra americana in Vietnam? Per i politici – me ne rendo conto – è un momento difficilissimo. Li capisco e capisco ancor più l’ angoscia di qualcuno che, avendo preso la via del potere come una scorciatoia per risolvere un piccolo conflitto di interessi terreni si ritrova ora alle prese con un enorme conflitto di interessi divini, una guerra di civiltà combattuta in nome di Iddio e di Allah. No. Non li invidio, i politici. Siamo fortunati noi, Oriana. Abbiamo poco da decidere e non trovandoci in mezzo ai flutti del fiume, abbiamo il privilegio di poter stare sulla riva a guardare la corrente. Ma questo ci impone anche grandi responsabilità come quella, non facile, di andare dietro alla verità e di dedicarci soprattutto «a creare campi di comprensione, invece che campi di battaglia», come ha scritto Edward Said, professore di origine palestinese ora alla Columbia University, in un saggio sul ruolo degli intellettuali uscito proprio una settimana prima degli attentati in America. Il nostro mestiere consiste anche nel semplificare quel che è complicato. Ma non si può esagerare, Oriana, presentando Arafat come la quintessenza della doppiezza e del terrorismo ed indicando le comunità di immigrati musulmani da noi come incubatrici di terroristi. Le tue argomentazioni verranno ora usate nelle scuole contro quelle buoniste, da libro Cuore, ma tu credi che gli italiani di domani, educati a questo semplicismo intollerante, saranno migliori? Non sarebbe invece meglio che imparassero, a lezione di religione, anche che cosa è l’ Islam? Che a lezione di letteratura leggessero anche Rumi o il da te disprezzato Omar Kayan? Non sarebbe meglio che ci fossero quelli che studiano l’ arabo, oltre ai tanti che già studiano l’ inglese e magari il giapponese? Lo sai che al ministero degli Esteri di questo nostro paese affacciato sul Mediterraneo e sul mondo musulmano, ci sono solo due funzionari che parlano arabo? Uno attualmente è, come capita da noi, console ad Adelaide in Australia. Mi frulla in testa una frase di Toynbee: «Le opere di artisti e letterati hanno vita più lunga delle gesta di soldati, di statisti e mercanti. I poeti ed i filosofi vanno più in là degli storici. Ma i santi e i profeti valgono di più di tutti gli altri messi assieme». Dove sono oggi i santi ed i profeti? Davvero, ce ne vorrebbe almeno uno! Ci rivorrebbe un San Francesco. Anche i suoi erano tempi di crociate, ma il suo interesse era per «gli altri», per quelli contro i quali combattevano i crociati. Fece di tutto per andarli a trovare. Ci provò una prima volta, ma la nave su cui viaggiava naufragò e lui si salvò a malapena. Ci provò una seconda volta, ma si ammalò prima di arrivare e tornò indietro. Finalmente, nel corso della quinta crociata, durante l’ assedio di Damietta in Egitto, amareggiato dal comportamento dei crociati («vide il male ed il peccato»), sconvolto da una spaventosa battaglia di cui aveva visto le vittime, San Francesco attraversò le linee del fronte. Venne catturato, incatenato e portato al cospetto del Sultano. Peccato che non c’ era ancora la Cnn – era il 1219 – perché sarebbe interessantissimo rivedere oggi il filmato di quell’incontro. Certo fu particolarissimo perché, dopo una chiacchierata che probabilmente andò avanti nella notte, al mattino il Sultano lasciò che San Francesco tornasse, incolume, all’accampamento dei crociati. Mi diverte pensare che l’ uno disse all’altro le sue ragioni, che San Francesco parlò di Cristo, che il Sultano lesse passi del Corano e che alla fine si trovarono d’ accordo sul messaggio che il poverello di Assisi ripeteva ovunque: «Ama il prossimo tuo come te stesso». Mi diverte anche immaginare che, siccome il frate sapeva ridere come predicare, fra i due non ci fu aggressività e che si lasciarono di buon umore sapendo che comunque non potevano fermare la storia. Ma oggi? Non fermarla può voler dire farla finire. Ti ricordi, Oriana, Padre Balducci che predicava a Firenze quando noi eravamo ragazzi? Riguardo all’orrore dell’ olocausto atomico pose una bella domanda: «La sindrome da fine del mondo, l’ alternativa fra essere e non essere, hanno fatto diventare l’ uomo più umano?». A guardarsi intorno la risposta mi pare debba essere «No». Ma non possiamo rinunciare alla speranza. «Mi dica, che cosa spinge l’ uomo alla guerra?», chiedeva Albert Einstein nel 1932 in una lettera a Sigmund Freud. «È possibile dirigere l’ evoluzione psichica dell’ uomo in modo che egli diventi più capace di resistere alla psicosi dell’ odio e della distruzione?» Freud si prese due mesi per rispondergli. La sua conclusione fu che c’ era da sperare: l’ influsso di due fattori – un atteggiamento più civile, ed il giustificato timore degli effetti di una guerra futura – avrebbe dovuto mettere fine alle guerre in un prossimo avvenire. Giusto in tempo la morte risparmiò a Freud gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Non li risparmiò invece ad Einstein, che divenne però sempre più convinto della necessità del pacifismo. Nel 1955, poco prima di morire, dalla sua casetta di Princeton in America dove aveva trovato rifugio, rivolse all’ umanità un ultimo appello per la sua sopravvivenza: «Ricordatevi che siete uomini e dimenticatevi tutto il resto».

Per difendersi, Oriana, non c’ è bisogno di offendere (penso ai tuoi sputi ed ai tuoi calci). Per proteggersi non c’ è bisogno d’ ammazzare. Ed anche in questo possono esserci delle giuste eccezioni. M’ è sempre piaciuta nei Jataka, le storie delle vite precedenti di Buddha, quella in cui persino lui, epitome della non violenza, in una incarnazione anteriore uccide. Viaggia su una barca assieme ad altre 500 persone. Lui, che ha già i poteri della preveggenza, «vede» che uno dei passeggeri, un brigante, sta per ammazzare tutti e derubarli e lui lo previene buttandolo nell’acqua ad affogare per salvare gli altri. Essere contro la pena di morte non vuol dire essere contro la pena in genere ed in favore della libertà di tutti i delinquenti. Ma per punire con giustizia occorre il rispetto di certe regole che sono il frutto dell’ incivilimento, occorre il convincimento della ragione, occorrono delle prove. I gerarchi nazisti furono portati dinanzi al Tribunale di Norimberga; quelli giapponesi responsabili di tutte le atrocità commesse in Asia, furono portati dinanzi al Tribunale di Tokio prima di essere, gli uni e gli altri, dovutamente impiccati. Le prove contro ognuno di loro erano schiaccianti. Ma quelle contro Osama Bin Laden? «Noi abbiamo tutte le prove contro Warren Anderson, presidente della Union Carbide. Aspettiamo che ce lo estradiate», scrive in questi giorni dall’India agli americani, ovviamente a mo’ di provocazione, Arundhati Roy, la scrittrice de Il Dio delle piccole cose: una come te, Oriana, famosa e contestata, amata ed odiata. Come te, sempre pronta a cominciare una rissa, la Roy ha usato della discussione mondiale su Osama Bin Laden per chiedere che venga portato dinanzi ad un tribunale indiano il presidente americano della Union Carbide responsabile dell’ esplosione nel 1984 nella fabbrica chimica di Bhopal in India che fece 16.000 morti. Un terrorista anche lui? Dal punto di vista di quei morti forse sì. L’ immagine del terrorista che ora ci viene additata come quella del «nemico» da abbattere è il miliardario saudita che, da una tana nelle montagne dell’ Afghanistan, ordina l’ attacco alle Torri Gemelle; è l’ ingegnere-pilota, islamista fanatico, che in nome di Allah uccide se stesso e migliaia di innocenti; è il ragazzo palestinese che con una borsetta imbottita di dinamite si fa esplodere in mezzo ad una folla. Dobbiamo però accettare che per altri il «terrorista» possa essere l’ uomo d’ affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta non una bomba, ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa di rischi di esplosione ed inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco del Primo Mondo.

E la centrale nucleare che fa ammalare di cancro la gente che ci vive vicino? E la diga che disloca decine di migliaia di famiglie? O semplicemente la costruzione di tante piccole industrie che cementificano risaie secolari, trasformando migliaia di contadini in operai per produrre scarpe da ginnastica o radioline, fino al giorno in cui è più conveniente portare quelle lavorazioni altrove e le fabbriche chiudono, gli operai restano senza lavoro e non essendoci più i campi per far crescere il riso, muoiono di fame? Questo non è relativismo. Voglio solo dire che il terrorismo, come modo di usare la violenza, può esprimersi in varie forme, a volte anche economiche, e che sarà difficile arrivare ad una definizione comune del nemico da debellare. I governi occidentali oggi sono uniti nell’essere a fianco degli Stati Uniti; pretendono di sapere esattamente chi sono i terroristi e come vanno combattuti. Molto meno convinti però sembrano i cittadini dei vari paesi. Per il momento non ci sono state in Europa dimostrazioni di massa per la pace; ma il senso del disagio è diffuso così come è diffusa la confusione su quel che si debba volere al posto della guerra. «Dateci qualcosa di più carino del capitalismo», diceva il cartello di un dimostrante in Germania. «Un mondo giusto non è mai NATO», c’ era scritto sullo striscione di alcuni giovani che marciavano giorni fa a Bologna. Già. Un mondo «più giusto» è forse quel che noi tutti, ora più che mai, potremmo pretendere. Un mondo in cui chi ha tanto si preoccupa di chi non ha nulla; un mondo retto da principi di legalità ed ispirato ad un po’ più di moralità.

La vastissima, composita alleanza che Washington sta mettendo in piedi, rovesciando vecchi schieramenti e riavvicinando paesi e personaggi che erano stati messi alla gogna, solo perché ora tornano comodi, è solo l’ ennesimo esempio di quel cinismo politico che oggi alimenta il terrorismo in certe aree del mondo e scoraggia tanta brava gente nei nostri paesi. Gli Stati Uniti, per avere la maggiore copertura possibile e per dare alla guerra contro il terrorismo un crisma di legalità internazionale, hanno coinvolto le Nazioni Unite, eppure gli Stati Uniti stessi rimangono il paese più reticente a pagare le proprie quote al Palazzo di Vetro, sono il paese che non ha ancora ratificato né il trattato costitutivo della Corte Internazionale di Giustizia, né il trattato per la messa al bando delle mine anti-uomo e tanto meno quello di Kyoto sulle mutazioni climatiche. L’ interesse nazionale americano ha la meglio su qualsiasi altro principio. Per questo ora Washington riscopre l’ utilità del Pakistan, prima tenuto a distanza per il suo regime militare e punito con sanzioni economiche a causa dei suoi esperimenti nucleari; per questo la Cia sarà presto autorizzata di nuovo ad assoldare mafiosi e gangster cui affidare i «lavoretti sporchi» di liquidare qua e là nel mondo le persone che la Cia stessa metterà sulla sua lista nera. Eppure un giorno la politica dovrà ricongiungersi con l’ etica se vorremo vivere in un mondo migliore: migliore in Asia come in Africa, a Timbuctu come a Firenze. A proposito, Oriana. Anche a me ogni volta che, come ora, ci passo, questa città mi fa male e mi intristisce. Tutto è cambiato, tutto è involgarito. Ma la colpa non è dell’ Islam o degli immigrati che ci si sono installati. Non son loro che han fatto di Firenze una città bottegaia, prostituita al turismo! È successo dappertutto. Firenze era bella quando era più piccola e più povera. Ora è un obbrobrio, ma non perché i musulmani si attendano in Piazza del Duomo, perché i filippini si riuniscono il giovedì in Piazza Santa Maria Novella e gli albanesi ogni giorno attorno alla stazione. È così perché anche Firenze s’ è «globalizzata», perché non ha resistito all’ assalto di quella forza che, fino ad ieri, pareva irresistibile: la forza del mercato.

Nel giro di due anni da una bella strada del centro in cui mi piaceva andare a spasso è scomparsa una libreria storica, un vecchio bar, una tradizionalissima farmacia ed un negozio di musica. Per far posto a che? A tanti negozi di moda. Credimi, anch’ io non mi ci ritrovo più. Per questo sto, anch’ io ritirato, in una sorta di baita nell’ Himalaya indiana dinanzi alle più divine montagne del mondo. Passo ore, da solo, a guardarle, lì maestose ed immobili, simbolo della più grande stabilità, eppure anche loro, col passare delle ore, continuamente diverse e impermanenti come tutto in questo mondo. La natura è una grande maestra, Oriana, e bisogna ogni tanto tornarci a prendere lezione. Tornaci anche tu. Chiusa nella scatola di un appartamento dentro la scatola di un grattacielo, con dinanzi altri grattacieli pieni di gente inscatolata, finirai per sentirti sola davvero; sentirai la tua esistenza come un accidente e non come parte di un tutto molto, molto più grande di tutte le torri che hai davanti e di quelle che non ci sono più. Guarda un filo d’ erba al vento e sentiti come lui. Ti passerà anche la rabbia. Ti saluto, Oriana e ti auguro di tutto cuore di trovare pace. Perché se quella non è dentro di noi non sarà mai da nessuna parte.

Tiziano Terzani

8 ottobre 2001

11/03/22

E' vero che Robert De Niro finì in carcere in Italia negli anni '80?

 


Alla domanda del titolo, dovremmo rispondere - per scrupolo dei particolari - che no, Robert de Niro non fu propriamente arrestato all'inizio degli anni '80, mentre si trovava a Roma. Però dovremmo aggiungere che in quella giornata il grande attore americano - in compagnia del collega Keith Carradine - si prese certamente uno spavento e che comunque finì recluso per qualche ora in una caserma dei carabinieri, col sospetto, grottesco di appartenere alle Brigate Rosse, in una vicenda che merita comunque di essere raccontata, e della quale restano le sorprendenti foto che vedete sopra e sotto il post. 

Chi li ha vissuti, ricorda quegli anni: giorni di paura e violenza, in tutto il Paese. Dopo il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro, le Brigate Rosse sono in difficoltà: arresti (anche se il super-latitante Mario Moretti è ancora libero) e dissociazioni ne hanno minato la forza militare, ma organizzazioni armate di estrema destra e di estrema sinistra sono ancora assai attive in diverse città italiane e a Roma, ovviamente. 

È in questa angosciosa atmosfera che De Niro, il quale aveva appena girato con Scorsere «Toro scatenato» atterra in Italia per presentare il suo nuovo film. 

Assieme a lui nella capitale c'è anche il collega e amico Keith Carradine. Ospiti in un albergo a Trinità dei Monti, gli attori americani non vogliono rinunciare ad un po' di svago nella «Roma by night», ignari degli insoliti risvolti che riserverà loro la serata. 

A bordo di un'Alfetta due «paparazzi» attendono i divi all'uscita dell'hotel, pronti a pedinarli. È proprio quel veicolo ad insospettire l'autista del taxi che porta De Niro e Carradine in giro per la città. «C'è un'Alfetta che mi segue, mi sembra sospetta» comunica il tassista ad una pattuglia di carabinieri in Piazza del Popolo. 

Quando il taxi riparte, l'auto dei fotografi viene immediatamente bloccata dai militari. «In quel taxi ci sono due terroristi, volevamo fotografarli!» afferma uno dei reporter. A quel punto i carabinieri ripartono a sirene spiegate verso il tassì. Una volta raggiunto il veicolo, De Niro e Carradine vengono prelevati con la forza e perquisiti spalle al muro. 

Nel frattempo sono giunti di corsa anche i fotografi per poter immortalare quella ghiotta situazione. I militari hanno intenzione di chiarire ogni dettaglio e conducono presso la caserma di via In Selci sia gli attori che i paparazzi. Il bizzarro equivoco avrà fine soltanto dopo un'ora di accertamenti. 

E non si sa bene come sia finita: se poi, gli spavaldi (e incoscienti) paparazzi abbiano pagato per lo scherzo procurato ai due divi o, com'è probabile, l'abbiano fatta franca. 




Fonte: Spazio '70

12/12/19

50 anni dalla strage di Piazza Fontana - Esce il libro "definitivo" di Enrico Deaglio


"La fronte della persona con cui stavo conversando improvvisamente si illumino' come una lampadina, o come un raggio che veniva dal cielo. Io rimasi a bocca aperta, e il mio interlocutore capi' subito quello che era successo: 'Sono frammenti di vetro sottopelle. Quando il sole li colpisce con un certo angolo, si illuminano, ma dura poco'. Mi disse che era 'un sopravvissuto' della strage di Piazza Fontana del 1969, allora ventinovenne impiegato di banca. Rimase ferito a una gamba, penso' di perdere il lavoro. Ando' ai funerali con la stampella, si ricordava il cielo nero, i passi della gente e uno sgomento, come se ci stessimo tutti avviando a una 'fucilazione'". 


Vediamo Valpreda in taxi verso il luogo del delitto, con la testimonianza del tassista Rolandi che lo accusa di averlo accompagnato proprio qualche minuto prima dello scoppio della bomba.

Fin dalle prime pagine l'autore sottolinea gli eventi, utili per districarsi nella marea di avvenimenti, nomi, trame, che costellano questa storia. 

Deaglio, inoltre, collega la vicenda di Piazza Fontana ai luoghi che tocca. Poi ci sono i dubbi sulla morte del ferroviere anarchico Pinelli 'volato' dalla finestra della questura (in apertura una dedica alla sua famiglia e a tutti i loro amici ndr), le parole di alcuni testimoni

Sullo sfondo c'e' un Paese che cambia e si trasforma. Sono passati cinquant'anni, ma ci sono domande che ancora non hanno una risposta

Perche', per esempio, venne scelta la Banca nazionale dell'agricoltura? L'anno piu' tetro della storia italiana continua a essere pieno di misteri irrisolti

Forse proprio per le trasformazioni in corso, accadde quello che sconvolse Milano. 

Il giudice Salvini, che ha scoperto i veri autori della bomba, accusa la magistratura milanese di aver taciuto colpevolmente per decenni. 


E la storia comincia dalle cicatrici, dalle premonizioni, dalle coincidenze, dai luoghi da cui la Storia e' passata. L'angosciante Veneto profondo in cui la bomba venne concepita, le manovre finanziarie intorno alla banca della strage, la sublime arte del depistaggio che da allora ci ha sempre accompagnato. 

La ricerca diventa cosi' uno "studio in rosso" sulla struttura del potere in Italia e sulle nobili forme di resistenza che lo hanno contrastato, con le armi dell'amicizia, della parola, della musica, del coraggio civile.

In mezzo campeggia, senza tempo, il grande quadro di Enrico Baj - la nostra Guernica -, che venne bendato perche' troppo vero. 

Questo e' un viaggio nella memoria, che ha l'andamento di un giallo e racconta l'ultimo mezzo secolo di storia italiana, come non l'abbiamo mai sentita. Chi non c'era potrà respirare l'aria pesante di quei giorni, quando sembrava che fosse buio a mezzogiorno. Chi c'era ritroverà la ferocia della bomba che scoppia, e poi si ritira, e poi si riproduce, e continua a scoppiare per decenni, con il potere di assoggettare tutti - tutti? - alla sua ferocia e al suo ricatto. 

Con lo sguardo di chi ha vissuto questa storia dall'inizio, Enrico Deaglio ricompone l'intrigo mettendo insieme le scoperte degli ultimi dieci anni e nuovi spunti di ricerca con la speranza che una verità si possa raggiungere e, soprattutto, rendere nota. 



21/02/18

Al MAXXI di Roma dal 16 marzo una Installazione per ricordare il rapimento e la morte di Aldo Moro.



In occasione del quarantennale della strage di via Fani, il MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXIsecolo rende onore alla memoria di Aldo Moro

 E lo fa attraverso lo sguardo di un artista, Francesco Arena: la sua opera 3,24 mq, che riproduce in dimensioni reali l'angusto spazio nel quale Moro fu tenuto prigioniero per 55 giorni, sara' esposta dal 16 marzo al 9 maggio (date del rapimento e del ritrovamento del corpo) nel cuore del museo, nella galleria che ospita la collezione permanente con ingresso libero dal martedi' al venerdi'. 

Durante i 55 giorni di esposizione - lo stesso del tempo della prigionia (tanti quanti furono quelli in cui lo statista democristiano rimase prigioniero delle Brigate Rosse prima che venisse ucciso e che il suo corpo venisse fatto ritrovare nel bagagliaio di una Renault Rossa parcheggiata nella capitale in pieno centro storico) - saranno organizzati incontri con storici, studiosi, giornalisti, scrittori: per non dimenticare.



Un'iniziativa particolarmente importante oggi, con la grave notizia che e' stata imbrattata da ignoti, con svastiche, la lapide commemorativa, in Via Mario Fani.

"Avevamo gia' in programma questa celebrazione, ma oggi piu' che mai ci sembra necessaria- spiega Giovanna Melandri, presidente della Fondazione che gestisce il museo delle arti e dell'architettura del XXI secolo - Anche un'istituzione come il MAXXI deve fare la sua parte per contrastare ogni segnale di imbarbarimento del clima culturale e sociale del nostro Paese. Ci auguriamo che vengano in tanti, soprattutto giovani, ad assistere agli incontri e a vedere con i propri occhi un'opera d'arte che ci fa rivivere in modo profondamente toccante uno dei momenti piu' tragici della nostra storia recente". 

fonte askanews e ansa

15/09/17

"Viviamo nell'età della rabbia" - dal 29 settembre al 1 ottobre il Festival di Internazionale a Ferrara.





Oltre 250 ospiti provenienti da 40 paesi e da 4 continenti per 250 ore di programmazione e 130 incontri. 

Questi i numeri del programma di Internazionale a Ferrara che e' stato presentato nella sede della Rappresentanza in Italia della Commissione europea. Filo conduttore di questa edizione e' la prospettiva intesa come lungimiranza e opportunita', una risposta ai moti xenofobi, ai populismi e ai nuovi protezionismi, sintomi di un affanno della politica a fare fronte ai grandi mutamenti sociali

Per tendere verso un`informazione corretta; per leggere gli eventi in corso senza paura, immaginando soluzioni rispettose dei diritti umani; per individuare modelli economici piu' inclusivi, serve la giusta distanza. 

"Anche quest`anno la citta' di Ferrara si trasformera' per un fine settimana nella piu' grande redazione al mondo - ha dichiarato Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale - Il mondo del nostro logo quest`anno ha un cannocchiale, per cercare una direzione, mettere in prospettiva le cose, guardarle dalla giusta distanza per vedere non solo crisi ma anche le possibili soluzioni". "

Grandi ospiti da tutto il mondo: da Angela Davis, femminista ed ex militante del partito comunista statunitense a John Lewis che nel 1963, insieme a Martin Luther King organizzo' la grande marcia su Washington al termine della quale fu pronunciato il celebre discorso "I have a dream". Appuntamento, come ogni anno, con giornalisti, scrittori e fotoreporter da ogni continente: dallo scrittore siriano Khaled Khalifa alla reporter colombiana Marta Ruiz, dall`inviato iracheno Gaith Abdul-Ahad all`attivista di origine eritrea Meron Estefanos, fino a Shane Bauer che, nell`anno del risveglio dei nazionalismi e del razzismo istituzionalizzato, sotto copertura si e' infiltrato nei movimenti paramilitari di estrema destra americani. 

Emblematico l`incontro conclusivo del festival, intitolato "L`Eta' della rabbia" dal libro dello scrittore indiano Pankaj Mishra che dialoghera' con lo statunitense Adam Shatz e lo studioso francese Olivier Roy. 

28/03/16

Palmira è libera ! Una mostra a Mantova "Salvare la Memoria" con i reperti di Palmira e di altre zone di guerra.



Le notizie della liberazione di Palmira da parte delle forze governative di Damasco, hanno riacceso la speranza, in quei luoghi flagellati dalla guerra e dalla occupazione dell'Isis. 

Assume ancora più rilevanza la splendida mostra organizzata a Mantova

È una mostra idealmente dedicata al Direttore del sito archeologico di Palmira Khaled Asaad, quella che si può ammirare al Museo Nazionale Archeologico di Mantova fino al 5 giugno, con il titolo “Salvare la Memoria”. Ma anche al non meno prezioso, e spesso anonimo, esercito di “Monuments Men” che ovunque nel mondo si vota al recupero di un patrimonio di arte che è storia di tutti. 

Un patrimonio violentato da guerre, come quella in Siria appunto, ma anche da terremoti, alluvioni e da tutti quegli eventi che, ferocemente e improvvisamente, si sovrappongono al fisiologico effetto del tempo su ciò che è testimonianza del nostro passato. 

Una grande storia raccontata, nei tre piani dell’Archeologico di Mantova, da immagini originali, documenti, filmati, reperti (simbolicamente preziosi quelli provenienti da Palmira), testimonianze dirette. 

Un laboratorio, aperto al pubblico, mostrerà dei restauratori all’opera su testimonianze di una villa distrutta dal terremoto del 2012 nel mantovano. 

Protagonisti di vicende di salvaguardia e difesa del patrimonio artistico mondiale incontreranno il pubblico nel corso di incontri calendarizzati nel periodo della mostra. Il progetto “Salvare la Memoria” è un’iniziativa del Polo Museale della Lombardia, a cui si affiancano il Comune di Mantova, l’ISCR, l’ICCROM, l’Università degli Studi di Milano, l’Università IULM, Monuments Men Foundation, Palazzo Ducale- Mantova, Diocesi di Mantova, Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. Ad affiancare Elena Maria Menotti e Sandrina Bandera, che ne sono curatrici, è un ampio e qualificatissimo Comitato Scientifico.

A contrapporsi alla violenza della distruzione c’è la forza della restituzione. Come racconta questa affascinante mostra e come ricorda, non a caso, il suo sottotitolo. Non caso ad accoglierla è Mantova, città devastata dal terremoto del 2012. Quell’evento causò, tra l’altro, il crollo del cupolino della Basilica di Santa Barbara e produsse seri danni ad uno dei luoghi simbolo della città, la Camera degli Sposi in Palazzo Ducale, rendendolo a lungo non visitabile. E con quello di Mantova, altri terremoti, dal Friuli ad Assisi, a Bam, L’Aquila, sino al Nepal. Come dimenticare poi l’alluvione del 1966 a Firenze e l’esercito degli “Angeli del fango”? O, su altro fronte, l’attentato all’Accademia dei Georgofili?

Le distruzioni scientemente provocate dagli uomini non si sono rivelate meno catastrofiche di quelle naturali. 

Distruzioni ereditate da guerre del passato recuperate molto tempo dopo, come è accaduto per Vilnius dove le distruzioni perpetrate dalle truppe di Pietro il Grande, sono state sanate solo dopo il 1989. 

 Rievocando la Prima Guerra Mondiale, l’attenzione è proposta su Mantova, Milano, il Veneto. Ancora Mantova, nella Seconda Guerra Mondiale, insieme a Milano - con focus sulla sala delle Cariatidi a Palazzo Reale, e su Cenacolo, Brera e Poldi Pezzoli - , le figure e l’azione di Pasquale Rotondi e di Modigliani e Pacchioni per la messa in sicurezza delle grandi opere d’arte italiane. 

Ma anche le vicende dell’obelisco di Axum, con le immagini della traslazione a Roma dall’Etiopia e della sua restituzione. A questa sezione della grande mostra ha collaborato, tra gli altri, la Monuments Men Foundation di Dallas

Tra i troppi conflitti recenti, la mostra propone quelli in Kosovo e in Afghanistan, evidenziando gli interventi di restauro dell’ISCR e la ricostruzione del ponte di Mostar. Le cronache quotidiane documentano le distruzioni in Iraq e Siria.

Le immagini delle distruzioni di Palmira hanno colpito l’opinione pubblica mondiale. Da ricordare che in quell’area archeologica era attivo il progetto “Pal.M.A.I.S.” dell’Università degli Studi di Milano, così come ed Ebla l’Italia era presente con una propria missione archeologica. Per scelta delle curatrici, in questa sezione le immagini saranno esclusivamente “positive”: proporranno le attività di ricerca archeologica svolta. Nessuna immagine di distruzione, ma un puro segnale grafico a simboleggiare la temporanea, forzata interruzione di un percorso di ricerca, recupero e valorizzazione. La grandezza di Palmira sarà testimoniata da reperti originali concessi dai Musei Vaticani. La mostra, inoltre, suggerirà di approfondire la grande storia della Mezzaluna Fertile visitando la Collezione Mesopotamica custodita in Palazzo Te. L’attenzione del visitatore viene attratta anche su altri fenomeni presenti durante i conflitti, quali gli scavi clandestini, evidenziando i casi di Apamea, Umma e Zabalam, con l’utilizzo di foto satellitari.

Mentre scorrono le immagini della “Giornata Unesco di lutto per la distruzione dei beni culturali”, la mostra porta l’attenzione sul farsi strada di una nuova consapevolezza. Citando come esempio la salvaguardia dei monumenti anche nel caso di grandi opere di ingegneria: emblematico è stato l’innalzamento dei templi di Abu Simbel per consentire l’invaso della diga di Assuan. Questa è una mostra che vuole ostinarsi a guardare avanti, a valorizzare il bello dell’uomo: ed ecco l’attenzione sui “blue shields”, il Comitato Internazionale dello Scudo Blu (ICBS) fondato nel 1996, "per lavorare per proteggere il patrimonio culturale mondiale minacciato da guerre e disastri naturali". E sull’attività davvero fondamentale del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, soprattutto in Iraq, i nostri “Caschi blu della cultura”.
Una mostra per non smarrire la memoria e condividere con i nostri cari, con le famiglie, con gli amici, con i compagni di classe significative e potenti immagini da non dimenticare e un patrimonio di cui essere fieri.

Orari: martedì, giovedì e sabato dalle ore 14 alle ore 19 mercoledì, venerdì e domenica dalle ore 8.30 alle ore 13.30

Per informazioni: museoarcheologico.mantova@beniculturali.it 

 Tel. 0376.320003

18/11/15

La grandezza della Letteratura Francese, a Roma. Il calendario degli eventi delle Biblioteche romane.




un modo per reagire ai terribili fatti di Parigi è anche riscoprire la grandezza della letteratura francese. In questa lodevole iniziativa del circuito delle Biblioteche di Roma. 
Qui di sotto l'elenco completo anche degli altri appuntamenti. 


Parigi, 13 novembre 2015

"Il terrorismo e la menzogna sono le armi del debole, non del forte"
 Mahatma Gandhi



Festival della narrativa francese, VI EDIZIONE
le voci della narrativa francese incontrano il pubblico italiano  22 ottobre -  26 novembre
Prosegue la kermesse dedicata alla letteratura francese fino al 25 novembre presso l'Institut français - Centre Saint-Louis in Largo Toniolo 22, con: Alessandro Tota e Pierre Van Hove "Il ladro di libri", Coconino Press (19 novembre ore 19);
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Estate assassina di Gilda Piersanti, Bompiani
Presentazione libro con l'autriceGuglielmo Marconi - martedì 24 novembre, h. 18:30
Nell'ambito del Festival della Narrativa francese, organizzato dall'Institut français Italia/Ambasciata di Francia in Italia, Teresa Ciabatti presenta  Gilda Piersanti.
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Colonia Italia
Presentazione libroEuropea - venerdì 20 novembre, h. 17:30
Prima presentazione romana del libro Colonia Italia, di  Mario Josè Cereghino e Giovanni Fasanella, edito da Chiarelettere. Sulla base di un lavoro di ricerca su documenti del governo, della diplomazia e dell’intelligence inglese, desecretati
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Mostra del nuovo cinema europeo
Rassegna cinematograficaEuropea -  23 - 29 novembre
EUNIC, il partenariato tra Istituti di Cultura, Accademie e Ambasciate Nazionali dell‘Unione europea a Roma, lancia la prima edizione della Mostra del nuovo cinema europeo.
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Pasolini - il cinema in venti tavole
 Inaugurazione mostraElsa Morante - mercoledì 18 novembre, h. 17:00
Inaugurazione della mostra "Pasolini - Il Cinema in 20 Tavole", a cura della Fondazio Cinema per Roma. L'evento fa parte delle iniziative per il 40° anniversario della morte del grande intellettuale, scrittore, regista e poeta.
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Biblioring. Ultimo round!
Partecipa on line al Biblioring: prendi in prestito, acquista, commenta, vota  14 luglio -  30 novembre
Vuoi  che il tuo libro sia il “testo più letto e amato” del BiblioRing? Inserisci un commento e indica con una stellina da 1 a 5 la tua preferenza su www.bibliotu.it.

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La vita è in gioco
Presentazione libro
 Centrale per Ragazzi - giovedì 19 novembre, h. 17:00
In occasione del 26° anniversario della Giornata Mondiale per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, un incontro a cura di Amnesty International.
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Luce, Gravità e Musica
 Conferenza e concertoVaccheria Nardi - sabato 21 novembre, h. 11:00
Ancora un sabato mattina dedicato alla musica nella sala della Vaccheria Nardi, con una conferenza concerto organizzata dall’Associazione Suono Immagine Onlus, che celebra il centenario della formulazione della Relatività Generale di Albert Einstein.
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Roma dei misteri di  Vittorio Di Giacomo
Presentazione libro Nelson Mandela - giovedì 19 novembre, h. 16:30
Il Centro Culturale G.G. Belli presenta il libro "Roma dei misteri": la magia, l’alchimia, la stregoneria come provocazione, sfida o difesa contro la “potenza”.
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Donne in giallo
Incontro-conferenzaRispoli - lunedì 23 novembre, h. 17:00
Agatha Christie, Dorothy Sayers e il merito delle scrittrici nella nascita del mystery. Incontro-conferenza a cura di Valeria Palumbo. Tra gli Anni Venti e gli Anni Quaranta fiorì il cosiddetto giallo deduttivo.
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Flautissimo 2015. Il viaggio segreto della musica. 17a edizione
Parco della Musica , Centrale Preneste , Biblioteca Villa Leopardi e Vaccheria Nardi  27 novembre -  22 dicembre
Prende il via la XVII edizione di Flautissimo, il Festival Italiano del Flauto, organizzato dall’Accademia Italiana del Flauto. Il programma di quest'anno presenta inquadrature e angolazioni per un’offerta di spettacolo innovativa e multidisciplinare
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Lunetta Savino in Grand Guignol all’italiana
 Teatro Eliseo SPECIALE PROMOZIONE Biglietto € 20 (anziché € 34) 17 - 29 novembre
Grossolanità, cinismo, squartamenti e lacrime da cronaca nera, eros e bordello a infarcire un drammone popolare senza lieto fine. Nella Francia di fine ‘800, il “Grand Guignol” era tutto questo; un miscuglio non molto amalgamato di tinte fortissime,
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Quartetto di Cremona in Esplorando Beethoven
Sabato 21 novembre 2015 ore 17.30 Aula Magna Sapienza Università di Roma
P.le Aldo Moro 5 Romasabato 21 novembre
Il ciclo completo dei Quartetti di Ludwig van Beethoven – diciassette geniali e straordinari capolavori, che costituiscono uno di più grandi monumenti della musica di tutti tempi – è da anni l’obiettivo cui lavora il Quartetto di Cremona, che li sta
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Concerto per Odysseo. Cronache dall’Iliade di Omero
Teatro di Documenti Via Nicola Zabaglia 42  PROMOZIONE SPECIALE SOLO 8 €URO 20 - 22 novembre
L'Iliade come non è mai stata raccontata finora. Continua ad affascinare e ad interessare anche le giovani generazioni. Raccontiamo ancora una volta di uomini ed eroi, della guerra e della assoluta necessità della pace, di vendetta ma soprattutto di
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Sandro Veronesi in "Non dirlo. Il Vangelo di Marco"
 22/11/2015 Auditorium Parco della Musica  Sala Petrassi  ore 21domenica 22 novembre
Questa non è una storia classica, non è composta né scritta in modo classico: qui si sta parlando di un rivoluzionario, un personaggio che è venuto a rivoltare il mondo, e Marco capisce che deve rivoluzionare anche il racconto.
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Dino Zoff: la storia di un mito
Teatro Golden  Via Taranto, 36 domenica 22 novembre ore 21domenica 22 novembre
Dino Zoff: portiere nato, recordman nato, titolare fisso. E’ la storia di un mito, di un bambino che non sognava di fare gol ma di pararlo. Unico giocatore di calcio celebrato con un francobollo, il portiere più grande di tutti i tempi, a 40 anni da
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Alla scoperta delle Basiliche Maggiori di Roma con Artefacto
S.Giovanni in Laterano, S.Maria Maggiore, S.Nicola in Carcere 21 - 25 novembre
Gli archeologi di Artefacto vi propongono, per il prossimo weekend, una visita guidata alla scoperta di due importanti Basiliche romane e della Chiesa di S.Nicola in Carcere con i sotterranei.
(continua a leggere...)
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GIOVANNI E PAOLO al di là di Falcone e Borsellino
Teatro Sala Umberto 25  novembre 2015 ore 21.30mercoledì 25 novembre
Lo spettacolo, nella sua drammaturgia di testo, musica e azione, mette in scena un Falcone e Borsellino inediti; crea le condizioni per cui, nonostante la loro/nostra storia sia conosciuta a tutti, si possa ancora scuotere la testa e dire:
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La versione di Tristano. Giovanni Scifoni voce narrante e Quartetto Roma Tre
Accademia Filarmonica Romana Sala Casella giovedì 26 Novembre 2015 ore 21  giovedì 26 novembre
La vicenda di Tristano e Isotta è una delle più celebri storie a noi pervenuta dalla tradizione medievale. Il racconto, con il trascorrere dei secoli, si è trasformato, arricchito, diversificato: la storia è diventata leggenda, la leggenda mito;
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Giorgio Albertazzi protagonista de La Tempesta di William Shakespeare
Teatro Ghione  19 novembre -  13 dicembre
L’uomo di oggi è confuso, disorientato, frastornato da persuasori occulti, anaffettivo, comprato da una società che lo ha divorato, digerito, trasformato in cieco consumatore e prodotto di mercato. A capo chino bruchiamo la porzione d’erba a noi
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