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01/03/19

"Ends of poetry" - 40 poeti italiani si interrogano sul senso della Fine e del Fine in Poesia.


E' appena uscito l'8o volume della rivista Californian Italian Studies  numero monografico dedicato alla poesia italiana.  40 poeti italiani si interrogano sul tema della Fine e del Fine della Poesia. 

Sono felicissimo di far parte di questo progetto e di aver contribuito. 


ENDS OF POETRY California Italian Studies Volume 8, Issue 1, 2018 Gian Maria Annovi and Thomas Harrison, Editors, Leslie Elwell, Managing Editor

https://escholarship.org/uc/ismrg_cisj/8/1

Questo il mio testo, all'interno, che accompagna i quattro testi poetici. 


Limite, separazione, con-fine. Tutto quello che oggi (si) vive, sembra portare all’estremo; ad un punto di non-ritorno. Anche la poesia, il suo significato, la sua profonda essenza, sembrano ormai senza-parole di fronte all’arrembare di un ambiente-mondo sempre più vociante, sempre più confuso, popolato babelicamente da milioni di voci che si inseguono senza ascoltarsi.  Una sensazione di fine apocalittica percorre la poesia, chiedendole forse di farsi profezia, di illuminare di senso – con una luce seppure mormorante appena, di passaggio – quest’epoca che sembra per molti versi profilarsi come finale. Come nei giorni della fine dell’impero romano, l’ignoto si profila all’orizzonte, e l’unico fine stesso della poesia sembra essere diventato quello di raccontare questa fine. Tutto chiede di essere ri-pensato, ri-pronunciato, ri-fondato a partire dalla parola stessa.  L’alone di morte che spazza via i resti di vecchie civiltà e di un nuovo ordine forse mai nato, chiede di essere vissuto e attraversato, come la forte morte di Paula Modersohn-Becker, la giovane e tenera amica che Rilke non riesce a lasciar andare, pur avendo professato incessantemente nella sua vita e nella sua poesia la necessità del distacco nella prova più difficile ed evidente dell’amore.
Questo lutto, questa morte, questo confine, questo limite, questo distacco va pienamente attraversato, con tutto il dolore e la sofferenza che comporta: e soltanto la poesia, proprio perché la poesia non si vanta e non si presume, può piegarsi, può farsi materia malleabile, rinunciando alla durezza, alla ostinazione, all’opposizione. Può farsi capace, essendo il fine della poesia quello di tramutarsi nell’ interno di uno sguardo, di diventare essa stessa la fine.
I poeti, come i pazzi nelle catacombe, porteranno in mano la fiaccola in questi tempi oscuri e definitivi.
Per amore della vita la forza deve cedere - scrive Carl Gustav Jung nel Liber Novus - dovrà essere ridotto il raggio della vita esteriore. Molta più intimità, fuochi solitari, caverne, grandi foreste oscure, piccoli insediamenti di pochi individui, fiumi dal pigro corso, silenti notti invernali ed estive, poche navi e pochi carri, e tener nascosto in casa ciò che è raro e prezioso.
Da lontano i viandanti si mettono in cammino su strade solitarie e vedono le cose più varie.
La fretta diventa impossibile, cresce la pazienza
.
Con pazienza, dunque, e con la fede dei folli – si potrebbe aggiungere – i poeti cercheranno la via, cercheranno quel meraviglioso e leggendario serpente, l’Uroboro, la bestia che si mangia la coda, che forma un circolo perfetto, e che dalla sua coda, dalla sua fine e dal suo limite, rinasce sempre e sempre, splendente ogni volta.


Fabrizio Falconi -2019.



25/09/17

"Le parole e le cose" - 1910, L'emancipazione della dissonanza, un importante libro di Thomas Harrison.



Il bellissimo blog Le parole e le cose dedica un post all'uscita del libro di Thomas Harrison: 1910, L'emancipazione della Dissonanza (Castelvecchi, 2017) Questo è un brano della postfazione al libro scritto dall'autore, che si può leggere nella sua interezza nel blog citato QUI.

[È uscito per Castelvecchi L’emancipazione della dissonanzatraduzione italiana di 1910: The Emancipation of Dissonance (1996) di Thomas Harrisonuno dei saggi di storia della cultura più interessanti usciti negli ultimi decenni negli Stati Uniti. Il tema è la rivoluzione artistica e culturale che si compie in Europa attorno alla data allegorica del 1910, l’anno nel quale “la natura umana cambiò”, secondo una frase celebre e provocatoria di Virginia Woolf, e l’arte perse la propria ovvietà, come si legge nell’incipit della Teoria estetica di Adorno. Le pagine che seguono sono tratte dalla postfazione del libro. LPLC ha pubblicato anche un’intervista a Thomas Harrison].
Mentre gli artisti nel 1910 speravano che la propria opera scoprisse una “realtà autenticamente vivente”, oggi vediamo l’arte come un business tra i tanti, una redditizia produzione dell’industria dello spettacolo. Anche quando l’arte ha ambizioni più alte, difficilmente riesce a evitare la parodia, la satira o un moralismo didattico. Oggi è perfino difficile pensare la differenza tra persuasione e retorica. Il “pathos della verità” è stato sostituito dalla sete di lieto fine. Vogliamo le risposte senza le domande e immaginiamo di sopprimere gli ostacoli al desiderio attraverso una consonanza di volontà o una balcanizzazione di interessi e gruppi. Il materialismo, come gli espressionisti temevano, è diventato il metro di misura più sicuro della conoscenza e il pragmatismo il più affidabile criterio per la determinazione del valore. Non è proprio un’epoca per filosofi.
Per quanto riguarda la ricerca del Sé promossa nella prima decade del secolo, membri scelti della nostra società ricevono piccole fortune per istruirci su come comportarci, promettendoci in cambio miglioramenti morali ed emotivi. Il più delle volte, tuttavia, raccomandiamo simili analisi agli altri, invitandoli a riflettere su come loro possano essere responsabili delle nostre manchevolezze […]. In Europa la situazione è in qualche modo diversa, sebbene anche lì troviamo la stessa paura della paura, le stesse congiunzioni chimeriche tra compiacenza morale e intolleranza sociale, la stessa miscela di omogeneizzazione culturale e crisi dell’autonomia locale. In ultima analisi, la dissonanza caratterizza i nostri tempi tanto quanto gli anni che precedettero la Grande Guerra, anche se non è sempre altrettanto cosciente di sé. L’inizio del nostro secolo non è semplicemente l’antitesi dei primi anni del Novecento; ne è un’immagine specchio, un riflesso invertito […]. Si può solo sperare che, decenni dopo la caduta del Muro di Berlino, gli eventi non si limiteranno a parodiare quelli che portarono alla Grande Guerra, quando l’insicurezza sulla collocazione dell’individuo tra i suoi simili condusse a nuove tattiche di auto-affermazione. La mobilità, l’interdipendenza e la rapida trasformazione delle classi, delle etnie e delle nazioni nel ventunesimo secolo dà al discorso identitario dei primi del Novecento un sapore di falsità. Fa sembrare la dissonanza che vorremmo emancipare oggi (o rendere consonante a una regola?) qualcosa di ricreato artificialmente.
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Il bellissimo blog Le parole e le cose dedica un post all'uscita del libro di Thomas Harrison: 1910, L'emancipazione della Dissonanza (Castelvecchi, 2017) Questo è un brano della postfazione al libro scritto dall'autore, che si può leggere nella sua interezza nel blog citato QUI.

09/07/17

Poesia della Domenica: "Vaticinio" di Nanni Cagnone.




Questa notte
duramente senza lingua
sembra degna di un pianto.
Anche il sonno
fa cadere le armi, il sonno
così munito di vittorie
che nell'atrio del mondo
sta sicuro. Potesse
il puntiglio delle palpebre
scoprire il tramestìo
dei dormienti, come un intonaco
di nubi che cade dal cielo.

La sera chiude la torre
i battenti girano tardi,
Mnemòsyne allora senza strada
si unisce ai viventi.
Torre, tempio geloso
come un cerchio, specola
di fissità: ti è stato chiesto
di compiere con riguardo
sulla superficie della terra,
di rubare poco al respiro.
Occorre curvarsi
più profondamente
sull'aratro dello scriba
per sentire il suono
delle parole dove
si circonda di antenati e
mette unghie in qualcosa,
come un primogenito
alla fine della ruota
eredita con sforzo
e insonnia
un palcoscenico echeggiante.

Sgranato molto tempo, lo possiede
la dismisura che chiama
in basso le forze, come un'erma.
Ostacolo del mondo, che ha
i suoi fini e non lascia
uomini agire, da sovrano
- li precede: essi così
rivivono passando in sfere
già misurate.
Nonostante, dovrà il suo auriga
essere molti e correre su tutto
senza avvicinarsi né distinguere
- auriga di volto oscuro
viaggio non vittorioso
interminabile, aria mossa
dei crocicchi che nessuno coltiva.
E Imène, vigilia che deve
solamente perire.

Legamento sottile tiene in volo
ma agitato e dormiente
come sei, privo d'intesa,
dovendo con l'occhio
solo assistere al ventre,
il volteggiante seguito del giorno
incustodisci ed ami.
Vana avversità la tua distanza,
falsa membrana che ti fa
splendere lontano, come un celibe,
tirando i fili della stoffa
a un mutamento inutile.
Nel colmo delle notti
non si scava, e anche lontano
dispiacere dei luoghi
è l'orizzonte.

Egli nel proprio biasimo
disfaceva così
tardi i suoi rotoli,
lungo interpolato desiderio
nella palude grave dei papiri.
Psyche, logos che cambia
secondo gli esseri,
e ha il potere di non mostrarsi,
ed è il dio per il quale si giura.



Nanni Cagnone, tratto da Vaticinio, libro quarto, 1984.

(pubblicato in The Favourite Malice, Thomas J. Harrison, Out of London Press, 1983).

28/01/14

Esce domani in libreria '1910' di Thomas Harrison. Un anno cruciale per l'Occidente.






Esce domani in tutte le librerie 1910, L'emancipazione della dissonanza, per Editori Riuniti. Finalmente tradotto in Italia un libro originalissimo che affronta i dilemmi della contemporaneità da una prospettiva completamente nuova, muovendo i passi dalle vicende di un secolo fa. 

Il 1910 non è un anno come gli altri per il mondo occidentale. 

Manca meno di un quinquennio allo scoppio della prima guerra mondiale e l’apparizione nei cieli d’Europa della cometa di Halley sembra preannunciare la tragedia che decreterà la crisi di un’intera cultura. 

In quegli anni arte, filosofia, musica e letteratura rivelano con nuova crudezza le ossessioni e le paure dell’uomo contemporaneo, di cui Thomas Harrison mostra la traumatica gestazione attraverso le vicende esemplari di intellettuali e artisti come Kandinsky, Schiele, Kokoschka, Lukács, Rilke e Schönberg. 

Spostandosi tra Germania, Italia e impero asburgico, l’autore si sofferma sulla complessa figura di Carlo Michelstaedter, poeta, pittore e filosofo di Gorizia che si toglie la vita proprio nel 1910, a soli ventitré anni. 

La tesi di laurea La persuasione e la rettorica, lascito filosofico cui il saggio rivolge particolare attenzione, fu terminata il giorno stesso del suicidio e costituisce un’emblematica dichiarazione di morte della vecchia Europa. 

La percezione di una metafisica conflittuale e l’ossessione universale per la malattia e la morte, la ricerca di un’espressione autentica dell’anima e il perseguimento di un’etica del sacrificio sono temi che accomunano tutti i pensatori e gli artisti del 1910: una ricerca intellettuale brutalmente messa a tacere dalla guerra ma con cui, cento anni dopo, ci troviamo ancora a dover fare i conti.  




Thomas Harrison è professore ordinario alla University of California di Los Angeles, dove dirige il dipartimento di italianistica. 
Insegna e scrive di argomenti di cultura e filosofia moderna, musica, comparatistica e storia intellettuale. 
Oltre a numerosi articoli, ha pubblicato The Favorite Malice: Ontology and Reference in Contemporary Italian Poetry (Out of London Press, 1984), Nietzsche in Italy (Anma Libri, 1988) ed Essayism: Conrad, Musil and Pirandello (The Johns Hopkins University Press, 1991).