Visualizzazione post con etichetta tiziano. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta tiziano. Mostra tutti i post

21/12/19

Sabato d'Arte: "Autoritratto" di Tiziano Vecellio




Autoritratto Intorno al 1562. Olio su tela, 86 x 65 cm. Museo del Prado di Madrid, Stanza 041 

Tiziano dipinse il suo primo autoritratto prima di partire per Roma nel 1545. Fu, tuttavia, dopo il soggiorno romano quando mostrò un maggiore interesse a diffondere la sua immagine per stabilire la sua posizione in un contesto di forte rivalità con Michelangelo

Di tutti quelli che ha realizzato, solo due si sono conservati. Il primo (Berlino, Gemäldegalerie) sarebbe datato intorno al 1546-1547, mentre quello conservato al Prado si identificherebbe con quello che Vasari vide nel 1566 nella casa del pittore, dove Tiziano si raffigura con un aspetto secondo la sua età, che nel 1562 sarebbe intorno tra settantatré e settantacinque anni.

L'aspetto più sorprendente dell'autoritratto di Prado è la sua tipologia

A metà del XVI secolo, il ritratto del profilo era insolito (Tiziano lo usava solo per le persone decedute: Francisco I e Sisto IV ), quindi l'autoritratto di profilo era eccezionale, in parte a causa della difficoltà che comportava, che richiedeva diversi specchi o un modello per la sua realizzazione. 

La scelta non fu quindi casuale e risponderebbe all'associazione con la fama di questa tipologia, derivata dalla numismatica romana e che Tiziano conosceva bene.

Sembra plausibile che Tiziano, già nella sua vecchiaia, volesse definire la sua immagine da tramandare ai posteri, ignorando il particolare spettatore a beneficio di uno universale. 

Ciò non è incompatibile con il destino di un autoritratto di famiglia, poiché sembra che, quattro anni dopo la pittura, fosse ancora di proprietà del suo autore. 

Come nell'autoritratto di Berlino, Tiziano ha anche messo in evidenza la sua nobiltà attraverso la catena d'oro che lo accredita come cavaliere dello Sperone d'oro e il suo vestito nero - colore raccomandato per i signori da Baldassare Castiglione in Il cortigiano, libro II, 27 (1527-), ma tenendo nella mano il pennello, voleva affermare che doveva la sua ascesa alla sua esperienza di pittore. 

Come tale, l' Autoritratto visualizza sia la leggenda che accompagnava la medaglia Leoni : PICTOR ET EQUES, sia le parole di Vasari quando lo visitò nel 1566: e lo trovò, anchorè vecchissimo fusse; con i penelli in mano per dipingere

L'immagine che Tiziano proiettava di se stesso nei suoi autoritratti non era casuale. Come ha sottolineato Jaffe (2003), presentandosi con una lunga barba, il berretto e una fronte chiara, Tiziano si assimilava alle immagini contemporanee di intellettuali derivati ​​da una certa iconografia di Aristotele molto popolare in Italia dalla fine del XV secolo . 


Tiziano Vecellio
Autoritratto
olio su tela, 1562
Museo del Prado, Madrid


15/09/15

La Venere di Urbino di Tiziano, un celebre quadro misterioso.





Cosa piangi, donna ?   Cosa rovisti in quella cassapanca sotto la finestra, inginocchiata ? Cosa vuole da te la donna in piedi che aspetta ?  Cosa ostenta la meravigliosa donna in primo piano che mi osserva ?

La pretesa di spiegare tutto dei grandi quadri, si mortifica davanti alla Venere di Urbino, dipinta da Tiziano Vecellio nel 1538 su incarico di Guidobaldo II Della Rovere, quasi venti anni dopo la Venere dormiente del Giorgione. 

Tiziano aggiorna la versione dell'altro maestro, e apre gli occhi alla Venere (che non è più dormiente come in quella di Giorgione), le assegna una posa ancor più seducente, indirizza il suo sguardo direttamente negli occhi dell'osservatore, conserva il particolare della mano pudica proprio a coprire il pube, anche le gambe incrociate, adorna la donna di preziosi monili (un anello al dito mignolo della mano sinistra, un bel bracciale d'oro al polso destro, un orecchino di perla a goccia al lobo sinistro), sistema la sua capigliatura in una meravigliosa treccia, porge alla mano un mazzetto di rose rosse scarlatto, come la trama dei due materassi che sporgono sotto i cuscini. 

Ma è l'ambiente a rendere questo quadro davvero magico.  Saranno sicuramente due fantesche quelle che si vedono sullo sfondo - intente a scegliere i vestiti per ricoprire la nudità della padrona dea, ma che impressione produce sulla scena, la luce proveniente dalla finestra, dolcemente in penombra, con le sfumature di arancio del tramonto appena concluso, le prime stelle nel cielo indaco, l'ombra proiettata all'interno della casa. 

Tutto sembra sospeso e immobile.  Tutto è concentrato, nella forma del triangolo e delle diagonali che attraversano il quadro, verso l'inguine di Venere, con lo sguardo ipnotico da una parte e l'ombra delle donne dall'altra, che suggellano l'offerta vitale. 

Tiziano Vecellio, Venere di Urbino (119 x 165 cm), 1538, Galleria degli Uffizi, Firenze. 

Fabrizio Falconi


25/10/13

'Il giorno più bello per incontrarti" di Fabrizio Falconi - L'e-book e la storia del libro.






Da poco tempo è disponibile on line la versione e-book de Il giorno più bello per incontrarti. (scaricabile su Kindle

Ho scritto questo romanzo nel 2000 (pubblicato con l'editore Fazi), dopo che per la radio mi ero interessato della storia di un ragazzo veneto - si chiamava Tiziano - il quale, sofferente per disturbi della personalità - s'era più volte allontanato da casa e alla fine era stato creduto morto.  Abitava infatti con la sua famiglia, poverissima, sull'isola di Pellestrina, nella laguna veneta.   Un giorno, dopo molte settimane che Tiziano era sparito nel nulla, la risacca portò sulla riva dell'isolotto un corpo in decomposizione.  L'autopsia, frettolosamente concluse che si trattava del ragazzo e furono celebrati i funerali. 
Ben cinque anni più tardi, però, la madre di Tiziano ricevette una cartolina da un ospedale di Padova, dove il figlio risultava ricoverato.  
Si scoprì così che il ragazzo si era allontanato e in stato di confusione mentale aveva vagato per lunghi mesi nell'entroterra veneto, fino ad essere accolto nell'istituto di salute mentale.
La madre recuperò il figlio risorto, lo riportò a Pellestrina, ma senza restituirlo alla vita.  Tiziano si ammalò gravemente, rifiutando il cibo e morendo pochi mesi dopo. 

Questa tragica storia ispirò il libro. Il vagabondo diventò il padre di Giovanni, il protagonista del libro.  
Per tutto il tempo nel quale scrissi il romanzo e anche dopo, non pensai mai a Il fu Mattia Pascal, che pure avevo letto molti anni prima.  E fu il mio amico Robert P. Harrison, quando lesse il libro, a sottolinearmene la vicinanza di temi e di storia. 

Anche il titolo del romanzo ha una radice molto personale: è una frase, l'ultima, pronunciata da mio padre, prima di morire. Ed è veramente singolare che in sede di editing finale, questa frase finì per essere prescelta come titolo ideale del romanzo (in effetti lo era). 

Come sempre finzione e realtà hanno scelto un modo (e moto) proprio per dialogare nella forma di questa storia, che ad un certo punto della mia vicenda, ha chiesto di essere raccontata. 

(Versione e-book scaricabile QUI)