Visualizzazione post con etichetta tree of life. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta tree of life. Mostra tutti i post

01/04/14

La mia strada è restare . (Tree of life)







sai mia anima, sono stanco di mendicare. 


non devi mendicare, io sono qui.



ma non hai visto niente, io sono in viaggio da sempre e non sono ancora arrivato.


io invece non mi sono mai spostata e sono rimasta ad aspettarti. 


tornerò allora. 


ma non sei ancora nemmeno partito, da me. Io ero da sempre prima di te, dentro di te e non potrai più né partire, né tornare.


la mia strada è restare.






Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata 2014.



03/06/11

Tree of Life - Una bellezza che sussurra.



Ho visto il nuovo film di Terence Malick preparato dai pareri degli amici o conoscenti che l’avevano già visto, e che erano sostanzialmente spaccati in due fazioni: - capolavoro per gli uni; - polpettone intollerabile a base di melassa per gli altri.

Mi sono dimenticato di questi pareri quando il film è cominciato. E, come sempre mi accade di fronte ad un’opera, ho cercato di spegnere i pre-giudizi e lasciare aperti cuore e mente, per vedere cosa mi arrivava.

Tree of life è secondo me un film coraggioso e interessante, pieno di ‘anima’ se così si può dire, anche se non immune da pecche. Le pecche, in un film come questo, sono importanti quasi quanto le cose riuscite.

Tree of life è coraggioso e ambizioso perché iscrive una vicenda privata ordinaria – una famiglia media americana, padre madre e tre figli maschi – nel tutto della creazione.

Non c’è privato, dice Malick, perché è solo la nostra prospettiva molto limitata che ci porta a pensare di essere distinti dal resto del mondo, dalla storia intera del mondo.

E’ qualcosa che mi tocca molto da vicino. Quando sono diventato padre ho capito che io sono semplicemente un punto della linea. Ma il punto della linea – come è evidente anche dai fondamenti euclidei – E’ la linea stessa.

E’ la linea stessa, il punto, anche se ne è infinitesima porzione. E’ importante il punto. Perché ogni punto fa sì che la linea non sia spezzata. E sia, per l’appunto, una linea.

Il discorso religioso, secondo me, in questo film di Malick, non è centrale. Non lo è, nel senso che Tree of Life è un film di domande, e non di risposte.

Sono le domande che vengono recitate come un mantra in sottofondo durante il film – e che si rivolgono ad un Tu che non risponde – a fornire forse la cornice di una risposta possibile. Lo scopriremo alla fine.

Le domande della vita sono quelle di ognuno di noi. Sono quelle che riguardano i protagonisti di questa vicenda, dei quali scopriamo la storia, nonostante non vi siano che tre o quattro dialoghi in tutto il film. Eppure, è chiarissimo: la madre, figura bellissima, si immola, crede e contiene, è depositaria di ogni segreto e di ogni lutto. Il padre è il solito padre. Vuol bene, ma a un certo punto della vicenda, rovina tutto. Non è capace di controllare le sue ferite. Deve farsi schermo dell’autorità per imporsi. Deve farsi odiare, per essere. E i figli e la stessa moglie lo odieranno, come è giusto che sia.

Poi c’è l’imponderabile: uno dei figli muore a 19 anni. Lo sappiamo all’inizio del film, ma non sappiamo nemmeno perché. Sappiamo solo che succede e questo è l’importante.

Il vuoto inaccettabile di un dolore che non si può gestire, a cui non si può trovare posto, è il fardello che il fratello superstite – che da grande ha il volto di Sean Penn – si porterà dietro per sempre.

Come inscrivere ciò che è dato – e ingiusto, inaccettabile, come la morte di un figlio – in un contesto che abbia un senso, che non porti semplicemente alla conclusione più ovvia: ‘tutto è follia ?’

In questo senso il film di Malick non mi sembra né condito di melassa – non c’è, mi pare, nessuna consolazione preconfezionata – né volontaristico.

La domanda resta: a Malick non interessa dare risposte, interessa dire: ciò che ti turba NON è il tuo fardello, non è il tuo inciampo. Ciò che ti turba è la natura stessa del grande gioco in cui sei calato, in cui il tuo essere è heideggerianemente gettato.

Se non si capisce questo, dice Malick, se non si comprende l’esistenza di una storia e di un tutto, NULLA ha senso.

Il senso deriva dalla domanda che si ripete e nella stessa eco che produce, una eco che accompagna non solo l’uomo, ma il sorgere dei soli, la nascita del tempo, ogni cosa visibile e invisibile.

E’ solo grazie a questa eco – se le si permette di diffondersi – che la nostra crescita o maturità può trovare altre vie rispetto alla deriva nullista che sembrerebbe allora inevitabile. Il percorso di una Sapienza che questa eco contiene serve ad orizzontarsi. L’uomo non è mai stato del tutto solo con i suoi fantasmi. L’uomo è una storia. E nella storia ci sono gli uomini da cui ha imparato e quelli a cui imparerà. La vita è una meravigliosa e terribile prova che nessuno può vivere al posto nostro. La forza di una vibrazione finale ci impone di com-patire insieme agli altri. In questo – nei minuti finali del film è evidente, non è sogno, è cuore è realtà – nasce una nuova bellezza. Una bellezza che tutto contiene – anche il dolore, la perdita e la malinconia – una bellezza che sussurra: ‘nulla è perduto per sempre.’

Fabrizio Falconi