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30/08/22

12 Settembre 1928: Muore Italo Svevo, gigante della letteratura italiana, "ebreo a metà"

 


Sta per avvicinarsi l'anniversario della morte di uno tra i più grandi scrittori italiani di sempre. 

Il 13 settembre 1928, infatti, Italo Svevo morì, alcuni giorni dopo essere rimasto ferito in un incidente stradale a Motta di Livenza, vicino alla natia Trieste. Aveva 68 anni.

Questo è il ricordo che ne fa il quotidiano israeliano Haaretz: 

Sebbene Svevo abbia scritto per la maggior parte della sua vita, è stato solo in tarda età che la critica si è accorta di lui e i lettori hanno iniziato a comprare i suoi libri. Questo piacevole cambiamento era avvenuto in gran parte grazie agli sforzi di James Joyce, che si era dato da fare per far tradurre dall'italiano e pubblicare all'estero le opere del suo vecchio amico.

Aron Ettore Schmitz, come era stato chiamato alla nascita, era nato il 19 dicembre 1861 a Trieste, allora parte dell'Austria. (Pochi anni dopo entrò a far parte dell'impero austro-ungarico; dopo la prima guerra mondiale fu annessa all'Italia). Era il sesto degli otto figli di Francesco Schmitz, un commerciante tedesco-ebraico di articoli in vetro, e della ex Allegra Moravia, un'ebrea originaria di Trieste.

Aron crebbe parlando il tedesco e il dialetto triestino dell'italiano. Come ha notato il suo biografo P.N. Furbank, il nome di penna "Italo Svevo" - che significa "Italus lo Svevo" - era un'indicazione dell'identità "ibrida" che Schmitz sentiva.

Frequentò la scuola elementare ebraica, dopodiché fu mandato in un collegio di lingua tedesca vicino a Wuerzburg, in Baviera. Dopo aver conseguito il diploma di scuola secondaria, nel 1880, voleva lavorare solo come scrittore. Il padre, però, si aspettava che entrasse nel mondo degli affari e lui tornò a Trieste per iniziare gli studi all'Istituto Superiore Revoltella, una scuola commerciale.

Francesco Schmitz, nel frattempo, investì tutto il suo capitale in un'azienda di soffiatura del vetro che, quando fallì, lo lasciò non solo in bancarotta ma anche a malapena in grado di funzionare.

Per mantenere la famiglia, Ettore lasciò la scuola e iniziò a lavorare nel reparto corrispondenza commerciale della Unionbank di Vienna, a Trieste, lavoro che mantenne per i successivi 18 anni. Tutto il tempo libero di Svevo, però, era dedicato alla lettura e alla scrittura, e iniziò a pubblicare racconti e saggi quasi nello stesso periodo in cui iniziò a lavorare in banca.

La sua esperienza in banca gli servì anche come materiale per il suo primo romanzo, "Una vita", completato nel 1888, che riguarda un impiegato di banca che insegue la figlia del suo capo, per poi fuggire da lei quando lei lo accetta. Come tutti gli altri suoi primi romanzi, "Una vita" fu autopubblicato.

Nel 1896, dopo la morte di entrambi i genitori, Svevo sposò Livia Veneziane, una cugina e una cattolica romana praticante. Egli stesso non era interessato alla vita religiosa - insistette per una cerimonia nuziale laica - ma dopo che Livia si ammalò gravemente, dopo la nascita del loro primo figlio, e immaginò che la sua malattia fosse una punizione per aver sposato un ebreo, Svevo si offrì di sottoporsi al battesimo.

Dopo aver pubblicato il suo secondo romanzo, "Senilità" (in inglese "As a Man Growser Older"), nel 1898, e aver visto che non aveva avuto successo, Svevo decise di smettere di pubblicare, pur continuando a scrivere. Come spiegò: "Scrivere si deve. Quello che non si deve fare è pubblicare".

L'anno successivo iniziò a lavorare per il suocero, proprietario di una fabbrica di vernici marine di grande successo. Per 25 anni non pubblicò nulla.

Avendo l'incarico di aprire una filiale dell'azienda di vernici in Inghilterra, Svevo iniziò a prendere lezioni di inglese alla scuola Berlitz di Trieste, dove il suo insegnante era un giovane James Joyce.

Joyce, che conosceva Ettore come "Hector", condivise con il suo studente alcune sezioni del suo "Dubliners" e Svevo ricambiò con alcuni dei suoi lavori. Joyce lo esortò a continuare a scrivere e Svevo autopubblicò in italiano quello che divenne il suo romanzo più famoso, "Le Confessioni di Zeno", nel 1923.

Nuovo tipo di romanzo, "Confessioni" è il libro di memorie di Zeno Cosini, scritto su richiesta del suo psicanalista, al quale si era rivolto per capire la sua dipendenza dal tabacco.

Joyce mostrò "Confessioni" a due critici francesi, che ne organizzarono la pubblicazione nel loro Paese. L'accoglienza entusiastica che ebbe in quel paese indusse la critica italiana a riconsiderare l'opera di Svevo, che finalmente, in quelli che finirono per essere gli ultimi anni di vita, cominciò a ricevere i riconoscimenti che prima gli erano sfuggiti.

Il 12 settembre 1928, mentre torna con la famiglia da un periodo di cure termali a Bormio, Svevo è coinvolto in un incidente stradale presso Motta di Livenza (provincia di Treviso), in cui rimane ferito apparentemente in maniera non grave

Nella vettura ci sono il nipote Paolo Fonda Savio, l'autista e la moglie Livia. 

Secondo la testimonianza della figlia Svevo si sarebbe fratturato solo il femore, ma mentre viene portato all'ospedale del paese ha un attacco di insufficienza cardiaca con crisi respiratoria, anche se non muore immediatamente. 

Raggiunto il nosocomio peggiora rapidamente: in preda all'asma, muore 24 ore dopo l'incidente, alle 14:30 del 13 settembre. La causa del decesso sono asma cardiaco sopraggiunto per l'enfisema polmonare di cui soffre da tempo e lo stress psicofisico dell'incidente.

Il quarto romanzo, Il vecchione o Le confessioni del vegliardo, una "continuazione" de La coscienza di Zeno, rimarrà incompiuto. 

11/08/22

Un grande romanzo italiano da riscoprire: "La dura spina" di Renzo Rosso


Ho appena finito di rileggere La Dura Spina, pubblicato da Renzo Rosso nell'aprile del 1963.

È stata una fatica trovarlo.
Il libraio di fiducia che trova tutto non riusciva a reperire copia alcuna.
Il romanzo, dopo la gloriosa edizione negli Elefanti di Garzanti, era caduto nell'oblio, risollevato solo per poco da una edizione Isbn, casa editrice oggi fallita, del 2010, ormai introvabile.
Nell'oblio come del resto tutta l'opera di Rosso, di cui oggi, sia in libreria, sia su Amazon et similia, non si trova più nulla di nulla.
Mentre se si cerca il nome dello scrittore su Google bisogna districarsi tra 8 milioni di occurrances dedicate al suo omonimo "fondatore della jeanseria Diesel" (O tempora o mores).
La Dura Spina è uno degli ultimi grandi romanzi italiani. Uscì lo stesso anno de Il male oscuro di Giuseppe Berto e come quello coniugava sperimentalismo (anche se qui ispirato alla grande tradizione mitteleuropea) con quella che in gergo letterario potrebbe chiamarsi "catastrofe dell'Io".
Triestino, Rosso si iscriveva sulla scia di Svevo e di Saba (a cui rubò il verso che dà il titolo al romanzo), modernizzandoli, raccontando il vuoto (e il pieno) esistenziale di un pianista acclamato, Ermanno Cornellis, e pieno di (troppe) donne, che torna a Trieste per un concerto e rimane invischiato in una imprevista storia sentimentale.
Il romanzo arrivò finalista allo Strega ma non vinse (tanto per cambiare). Nei decenni successivi divenne però vero libro di (ristretto) culto.
Nel frattempo Rosso, musicista anche nella vita, si era trasferito come tanti intellettuali friulani prima di lui, a Roma. Aveva vinto il concorso in RAI come assistente musicale e tra Via Asiago e viale Mazzini aveva lavorato per più di trent'anni continuando sempre a scrivere (e a pubblicare con sempre maggiore difficoltà), prima di finire i suoi giorni nel suo piccolo eremo a Tivoli, nel 2009.
Ora che anche La Dura Spina sta finendo nell'oblio, almeno dei libri cartacei pubblicati, non è inutile continuare almeno a parlarne (e a leggere se possibile) nella speranza che qualche editore lo ripubblichi ancora. Perché i libri che valgono davvero sono pochi e quelli che valgono dovrebbero poter continuare a procurare piacere a chi legge.

Fabrizio Falconi - 2022

Renzo Rosso
La Dura Spina
Isbn Edizioni - 2010
p. 347
ISBN-10 ‏ : ‎ 8876381686 ISBN-13 ‏ : ‎ 978-8876381683

25/03/21

Libro del Giorno: "Le quattro ragazze Wieselberger" di Fausta Cialente

 



Vincitore del Premio Strega nel 1976, questo romanzo, Le quattro ragazze Weiselberger, tornò in libreria tre anni fa meritatamente ristampato dall'editore La Tartaruga con una lunga prefazione di Melania G. Mazzucco.

E' così l'occasione di recuperare uno dei migliori romanzi del Novecento italiano, frutto del lavoro di una scrittrice italiana oggi dimenticata, tra le più originali, Fausta Cialente, nata a Cagliari nel 1898  e morta in Inghilterra a Pangbourne, Berkshire, nel 1994).

Sorella dell’attore Renato Cialente, Fausta firmò per parecchio tempo con il cognome da sposata, Terni Cialente. Nel corso della sua vita densa e avventurosa, si stabilì nel 1921 ad Alessandria d’Egitto, trasferendosi poi al Cairo nel 1940, dove svolse attività radiofonica e giornalistica in opposizione al regime fascista; tornò in Italia dopo la Liberazione nel 1947. Esordì nel 1930 con un romanzo, Natalia; cui seguirono: Pamela o la bella estate (1935); Cortile a Cleopatra (1936), Ballata levantina (1961), Un inverno freddissimo (1966).  Nell'ultimo periodo della sua vita si trasferì definitivamente in Inghilterra dove si occupò principalmente di grandi traduzioni.  E dove morì all'età di 96 anni. 

Il suo capolavoro, Le quattro ragazze Wieselberger racconta la suggestiva Trieste di fine Ottocento, vivificata dall’aria mitteleuropea e dalla bora dell’irredentismo, in cui si muovono, aggraziate e come consapevoli di un loro tragico destino, le quattro sorelle appartenenti a una “giudiziosa, benestante famiglia” della buona società: la madre è una tranquilla signora, che si divide tra la casa di città, odorosa di cera e pulito, e la grande casa di campagna, con giardino, orto e vigna; il padre è uno stimato musicista, che dirige con autorità affettuosa sia la famiglia sia l’orchestra dei “dilettanti filarmonici”, che fa le prove in casa sua. A una delle quattro ragazze può capitare di danzare, una sera, con il signor Ettore Schmitz, industriale in vernici sottomarine, non diventato il grande Italo Svevo. Narrando la loro storia, che è poi quella della sua ramificatissima e sempre un po’ imprevedibile famiglia, Fausta Cialente racconta mezzo secolo di storia italiana, in una prospettiva rivelatrice, gettando una luce nuova e inquietante su certi fautori “liberalmassoni di destra” dell’irredentismo triestino, che non solo liquidavano in termini razzisti la questione slovena, ma intendevano applicare analoghe discriminazioni nei confronti dei lavoratori, escludendoli dal governo della città, quando fosse “divenuta italiana”.


Fausta Cialente

02/11/18

La strana tribù degli Hemingway, segnata dalla depressione. Un libro.



"Quando mio nonno apri' la porta e vide suo figlio, cioe' mio padre, con i collant da donna, non disse nulla e richiuse la porta. Poi avrebbe detto soltanto 'noi Hemingway apparteniamo a una strana tribu''.

John Hemingway, nipote del grande scrittore, ricorda cosi' in modo toccante un momento difficile della sua famiglia, riportato nel libro "Unastrana tribu'" (Marlin), presentato giorni fa al Caffe' degli Specchi, 70 anni dopo la visita del nonno in quella città e in quel luogo.

Il libro, pubblicato nel 2007 negli Stati Uniti e da allora uscito in tanti Paesi e in Italia soltanto da pochi mesi, e' un ritratto affettuoso ma impietoso della famiglia Hemingway, segnata da un tratto depressivo che "avrebbe portato mio nonno a subire l'elettrochoc, cosi' come mio padre Gregory, piu' volte - racconta John - Mio padre era bipolare, poi all'eta' di 65 anni circa, ha cambiato sesso. Mia madre era schizofrenica, un mio bisnonno si e' suicidato", precisa ancora. 

Insomma, come scrive nell'introduzione del libro Roberto Vitale, "John riesce a mostrare il lato umano e vero di un uomo che ha usato la propria immagine come corazza per proteggersi dalle difficolta' e da quella quotidianita' difficile da affrontare".

Ha avuto il coraggio di "aprire l'armadio di famiglia", come ha detto alla presentazione. Hemingway, uno scrittore che, come ha indicato il docente di Letteratura angloamericana all'Universita' di Trieste Leonardo Buonomo, "con la sua modernita', lo stile monastico e la precisione" ha influenzato "non soltanto la letteratura alta ma anche quella popolare, si pensi ad esempio al noir americano, alla figura del detective di poche parole. E in Italia ancora di piu'".

John oggi vive a Montreal (Canada), ma e' stato a lungo a Milano e conosce bene i luoghi che contribuirono a fare di Ernest uno dei principali scrittori al mondo.

"La guerra combattuta in Italia dove rimase ferito rimanendo miracolosamente vivo, e l'Italia stessa hanno forgiato mio nonno", racconta oggi.

Fonte ANSA

06/03/17

Rivelazioni: il progetto Adelphi (grazie a Bazlen) avrebbe potuto realizzarsi a Trieste e non a Milano.





C'e' mancato poco che una casa editrice come la Adelphi nascesse, invece che a Milano nel 1962, a Trieste alla fine del 1949. 

Lo si evince dalla scoperta, fatta dalla Libreria antiquaria Drogheria 28 di Simone Volpato, del carteggio intercorso tra i triestini Bobi Bazlen, uno dei fondatori-ispiratori della Adelphi appunto, con Anita Pittoni che proprio nel 1949 crea la casa editrice Lo Zibaldone. 

Il carteggio e' composto di dieci lettere scritte tra la fine del 1949 e il 1953 e comincia con l'invito della Pittoni a Bazlen di entrare nello Zibaldone, editore da lei ideato con Giani Stuparich e Luciano Budigna. 

L'invito e' insistente: sotto qualsiasi forma "come mozzo, come timoniere, come conoscitore dei venti? aspettiamo consigli o silenzi, qualche scritto o un messaggio in bottiglia". 

Bazlen non si fa pregare: comincia col mandare messaggi e subito dopo orienta la casa editrice in direzione della Mitteleuropa, una zona mentale e linguistica che sara' fortemente rappresentata ovviamente proprio nel catalogo Adelphi tra gli anni 70-80 con autori come Kraus, Roth, Schnitzler, Canetti. 

Bazlen consiglia alla Pittoni di lasciar stare la letteratura triestina, che ha una vena stanca, per aprirsi "alla Mitteleuropa ... farei una casa editrice che viaggia mentalmente tra Trieste, Gorizia, Vienna, Budapest, Lubiana ... pubblicando scrittori di queste ampie zone tu entreresti in una mentalita' di ordine, di pulizia, di scrittura aurea e scopriresti il disordine, il decadimento progressivo che corrompe corpi, mente e sogni; una letteratura simile ad uno scheletro con una divisa impeccabile". 

Gli autori da pubblicare sono quelli: Schnitzler, Trakl, Daubler, Rilke, Heine, Grillparzer. La Pittoni riflette e si scontra con problemi pratici, come le traduzioni, espone i dubbi ma Bazlen non demorde e le consiglia di leggere le poesie di Holderlin curate da un giovane Gianfranco Contini e Kaethchen di Heilbronn di Von Kleist e Misteri di Knut Hamsun. 

Bazlen afferma che Svevo e' autore irrinunciabile per le generazioni future di scrittori (e si chiede se Svevo fosse nato ad Agrigento e Pirandello a Trieste) e consiglia alla Pittoni di pubblicare le poesie di Carlo Michelstaedter, mitteleuropeo, scrittore "giovane e' un po' acerbo che gia' contiene i fuochi della disperazione (Gorizia e' scenografia schizofrenica). 

Il piccolo ma ricco carteggio, dove compaiono anche giudizi acidi su Saba e sulla sua Libreria e amorevoli su Giotti (proprio a 60 anni dalla loro morte) e' stato acquistato da Giampiero Mughini; tuttavia sara' visibile alla Mostra Internazionale Libri Antichi e di pregio che si terra' a Milano tra il 24-26 marzo 2017. 

21/11/16

100 anni dalla morte di Jack London - Le celebrazioni in Italia.


La vita breve ma intensa, il vitalismo incontenibile, rivoluzionario, di Jack London rimangono, a cent'anni dalla morte dello scrittore, "un monito a non darsi mai per vinti o sconfitti"

E i suoi scritti, dei quali non c'e' ancora certezza sul numero esatto, da 'Zanna Bianca' a 'Il richiamo della foresta' a 'Martin Eden' a 'Il tallone di ferro' hanno ancora molto da dirci sul rapporto tra uomo e natura, sulle conseguenze del capitalismo e il futuro della società. 

 A tutto questo e molto di piu' rende omaggio il Jack LondonTribute, tre giornate, dal 22 al 24 novembre a Trieste, di racconti, aneddoti, omaggi e testimonianze, a cura del regista e autore Massimo Navone e dello scrittore Davide Sapienza, tra i principali esperti e traduttore italiano di London

E arrivano in libreria per Chiarelettere 'Il senso della vita (secondo me)', con introduzione di Mario Maffi e per Orecchio Acerbo tornano 'L'ombra e il bagliore' con le illustrazioni di Fabian Negrin, il racconto prediletto da Borges e 'Il richiamo della foresta' in grande formato con le illustrazioni di Maurizio A.C. Quarello. 

Nato il 12 giugno 1876 a San Francisco e morto il 22 novembre 1916 a Glen Ellen, London resta ancora una figura da esplorare

Figlio di un astrologo ambulante che si rifiuta di riconoscerlo, con un padre adottivo che passava da un fallimento commerciale all'altro, London e' cresciuto insieme a compagnie poco raccomandabili. 

Leggendario scrittore di inizio Novecento, si e' misurato in mille mestieri. "Prima che mi dessero tutti questi titoli, ho lavorato in una fabbrica di conserve, in una di sottaceti, sono stato marinaio, ho trascorso mesi fra le schiere di disoccupati a cercar lavoro; ed e' questo lato della mia vita che io venero di piu', e a cui voglio restare attaccato finche' vivo" spiega London ne 'Il senso della vita'. 

 Il tributo si apre il 22 novembre al Teatro Miele di Trieste all'insegna di "Jack London, l'uomo venuto dal futuro" dove e' atteso un intervento in video realizzato per l'occasione dall'attore Marco Paolini, che con il suo "Ballata di uomini e cani" ha portato in scena con grande successo in questi ultimi anni alcuni racconti brevi di London sul rapporto uomo-natura. 

Fra gli altri contributi quelli di Claudio Bisio, Marco D'Amore, Paolo Pierobon, Gigio Alberti, Antonio Catania, Massimo Cirri, Giampiero Solari, Matteo Caccia, Nuzzo Di Biase, Cristina Dona' ed Eleonora Giovanardi. 

Al centro della seconda serata invece lo spettacolo ideato e firmato da Massimo Navone, 'Come il cane sono anch'io un animale socievole', ispirato a 'La peste scarlatta' con cui nel 1912 London sperimenta uno dei primi prototipi di narrativa 'post-apocalittica' e 'La forza dei Forti'.

 Lo spettacolo coinvolge gli spettatori in una 'performance letteraria interattiva'. In chiusura del Jack London Tribute, l'affabulazione/spettacolo 'Il Richiamo di Zanna bianca' di e con Davide Sapienza per la regia di Umberto Zanoletti e le canzoni di Francesco Garolfi. 

 E, all'ora dell'aperitivo, ogni giorno il Jack London Drink, reading di brani da 'John Barleycorn, memorie alcoliche' e altri racconti sorseggiando alcuni dei cocktail preferiti da London. Come dice Maffi nell'introduzione a 'Il senso della vita': "In un panorama editoriale che sembra continuare a privilegiare il ripiegamento su se stessi, il narcisismo e l'individualismo, le piccole tempeste nella tazzina da te', il rifiuto dell'impegno e dello schierarsi, l'accettazione del 'come e" e l'ossessiva ricerca in esso d'una piccola (e illusoria) nicchia personale, ben venga l'aria pura, piena d'ossigeno e di vita, che spira ormai da cent'anni da questi testi, da queste parole". 

02/08/14

Il Castello Miramare a Trieste e la leggenda nera (Monumenti esoterici d'Italia)





Il Barone Bernard Cyril Freyberg è uno di quei personaggi che hanno attraversato pagine cruciali della storia da protagonisti, ma senza lasciare, per strani motivi, tracce memorabili. Pochi sanno che fu proprio questo generale, neozelandese, a guidare le operazioni,  dopo aver partecipato alle campagne di Creta e del Nord Africa, del controverso bombardamento dell’Abbazia di Montecassino, insieme al generale Clark,  nel febbraio del 1944. Il parziale fallimento di quella operazione – l’Abbazia non nascondeva truppe tedesche come si credeva – non compromise l’avanzata delle truppe alleate e la progressiva conquista dell’Italia da sud a nord.

I primi giorni di maggio del 1945, le truppe neozelandesi sono in Friuli. Passano il Tagliamento, poi all’alba del 2 maggio l’Isonzo, trovandosi di fronte le truppe dei partigiani jugoslavi del generale Tito, che provenendo da nord, sono già entrate a Trieste.  I neozelandesi formano due colonne, l’una prende la via interna attraversando il Carso, l’altra segue la strada costiera e raggiunge il Castello di Miramare a mezzogiorno.

Alle quattro del pomeriggio, anche le truppe neozelandesi sono a Trieste, accolte in strada dalla popolazione. I tedeschi si arrendono. A loro penseranno gli jugoslavi, con esecuzioni sommarie nelle famigerate foibe. Il comando neozelandese si installa all’Hotel de Ville, in pieno centro.  Ma, dopo aver parlato con il comandante jugoslavo Vodopivez, il generale Freyberg, che comanda le truppe neozelandesi, fa ritorno al Castello Miramare: in quel luogo, di cui ha sentito così tanto parlare, ha deciso di porre il suo quartiere generale. 

Quando però, la mattina dopo, gli attendenti jugoslavi lo vengono a cercare, per comunicargli che Vodopivez ha assunto il comando generale della città di Trieste, si trovano di fronte la scena del Barone Freyberg che anziché accogliergli nelle sale del Castello, li riceve fuori da una rudimentale tenda da campo, allestita nei giardini.

Dopo molti giorni di cammino e di battaglie, è piuttosto strano vedere questo generale, di alto lignaggio e di nobili natali, approdato in una residenza principesca, dormire in una tenda da campo.

Sarà lo stesso Freyberg a spiegare la scelta ai suoi luogotenenti: quel bellissimo luogo, il Castello Miramare, dice, ha una fama sinistra. Chiunque vi abiti, spiega il Barone, è destinato a morire prematuramente e in terra straniera.

E’ il motivo per cui, lui che tiene molto a tornare sano e salvo alla fine della guerra dalla sua famiglia che lo aspetta agli antipodi in Nuova Zelanda, preferisce evitare di soggiornare all’interno delle mura del Castello.

Ma come poteva, un generale neozelandese, nel pieno della guerra, essere al corrente di una storia come quella, così distante, così lontana nello spazio e nel tempo ?

Evidentemente, il Castello Miramare di Trieste aveva già molto fatto parlare di sé e non doveva essere estraneo a questo comportamento del generale Freyberg, il fatto che egli fosse un veterano della rivoluzione messicana. Era probabilmente proprio lì, in Messico, che aveva sentito nominare per la prima volta il Castello Miramare, la residenza fatta costruire dall’Imperatore Massimiliano d’Asburgo, che proprio al di là dell’Oceano, in Messico aveva trovato il suo Regno e la sua ignominiosa fine, fucilato come un qualsiasi traditore o rivoltoso, il 19 giugno del 1867 a Santiago de Querétaro.

In realtà la fama sfortunata del Castello non era legata soltanto a Massimiliano, ma anche ad altri principi che transitarono successivamente per quei luoghi.  

(segue) 

Tratto da Fabrizio Falconi, Monumenti esoterici d'Italia, Newton Compton, 2013

04/02/12

Riapre il "Caffè degli Specchi" a Trieste. I grandi caffè luoghi letterari per eccellenza.


Riapre a Trieste il Caffe' degliSpecchi. Lo storico locale frequentato da intellettuali e scrittori della Mitteleuropa, chiuso a ottobre dello scorso anno per il fallimento della vecchia gestione, riaprira' dopo il 1 marzo. 

Il caffe' letterario di Trieste, aperto dal 1839, e' stato frequentato non solo da Italo Svevo e Umberto Saba, ma anche da James Joyce durante i suoi soggiorni in Italia. 

Trieste, ma non solo: dalla brasserie Lipp e 'Les Deux Magots' di Parigi agli storici caffe' Greco di Roma e Gambrinus di Napoli, i locali frequentati da scrittori e intellettuali che hanno fatto la storia della letteratura sono disseminati in tutto il mondo. 

Il bar Richmond di Buenos Aires era lo storico caffe' prediletto da Jorge Louis Borges e frequentato, fra gli altri, da Antoine de Saint-Exupery, Julio Cortazar e Graham Greene. 'Les Deux Magots' a Parigi, 'A Brasileira' a Lisbona, il Caffe' Greco a Roma, il Caffe' dei Fratelli Fiorio a Torino e il Caffe' Gambrinus a Napoli, ad esempio, erano luoghi amati e frequentati da scrittori, artisti e letterati, abituati a ritrovarsi per lavorare nelle caffetterie della grandi capitali. Oggi sono spesso solo luoghi di 'culto' turistico. 

I grandi caffe' ospitavano discussioni filosofiche e artistiche, ai loro tavoli sono nati manifesti politici e letterari, sono stati organizzati complotti, tanto che "non si potrebbe scrivere una pagina di storia ne' letteraria ne' artistica dell'Ottocento senza citare il nome di un Caffe '", diceva Piero Bargellini, scrittore e politico italiano, sindaco di Firenze durante l'alluvione del 1966. Andre' Gide o Andre Malraux, Antoine St Exupery, Jean Genet, Balthus, Françoise Sagan, Jean Paul Sartre, Simone Signoret con Yves Montand e Albert Camus, erano accomunati dalla fedelta' alla Brasserie Lipp, storico locale in Boulevard Saint Germain, chiamato dai francesi "la succursale della Camera dei deputati". 

L'autore de 'La recerche', Proust, si faceva addirittura portare i boccali di birra alsaziana del Lipp dall'altra parte di Parigi. Dai tavolini della Brasserie (ora lussuoso ristorante) l'Hemingway giornalista scriveva i suoi dispacci pre-guerra. 

Dopo un periodo di crisi, la Brasserie Lipp e' gradualmente tornata ai suoi splendori, a partire dal 1990, grazie alla famiglia Bertrand, che si impegna a continuare la tradizione, profondamente influenzata dalle sue radici dell'Auvergne. A Parigi c'e' un altro luogo dove si possono ancora oggi incontrare artisti e letterati: e' il Cafe' 'Les Deux Magots', che ha sempre giocato un ruolo importante nella vita culturale della capitale francese. In origine era un negozio di tessuti che vendeva biancheria di seta, e che ha preso il nome 'Les Deux Magots Cina' da due statuine di personaggi cinesi, tuttora esistenti. Frequentato da molti artisti famosi tra cui Elsa Triolet, Jean Giraudoux, Picasso, Fernand Leger, Prevert, solo per citarne alcuni, per primo ha accolto i surrealisti sotto l'egida di Andre' Breton.

Dalle rive della Senna a quelle d'oceano. Al Cafe' 'A Brasileira' a Lisbona, invece, e' ancora possibile gustare il caffe' con Fernando Pessoa. In questo locale, infatti, una statua bronzea del poeta siede al tavolino che l'autore delle 'Odi di Ricardo Reis' occupava quotidianamente, in contemplazione del passeggio che si consuma, ancora oggi, sulle strade maiolicate del centro elegante di Lisbona. In tempi piu' recenti Joanne Kathleen Rowling ha scritto un bel pezzo del primo romanzo della saga del maghetto Harry Potter a Edimburgo, nella caffetteria 'The Elephant House', dove ora un grande cartello annuncia orgoglioso al passante casuale il suo ruolo di Casa natale di Harry Potter. 

Alla fine del 19esimo secolo, a Oslo, invece, il famoso drammaturgo Henrik Ibsen divenne un'attrazione turistica: ogni giorno, tra le 13,20 e le 14, e tra le 18 e le 19,30, poteva essere trovato presso il Cafe' del Grand Hotel di Oslo. Per ben nove anni riposo' e scrisse, seduto in una poltrona su cui c'era un cartellino: "Riservato Dr. Ibsen". Anche l'Italia e' ricca di belle sale da the' e da caffe' che hanno dato riparo a grandi artisti e intellettuali: allo storico Caffe' dei Fratelli Fiorio di Torino, Friedrich Wilhelm Nietzsche scrisse 'Ecce homo'. 

Aperto nel 1780, il Caffe' fu punto di incontro di artisti, aristocratici e uomini politici tra i quali Urbano Rattazzi, Massimo D'Azeglio, Giovanni Prati, Camillo Benso Conte di Cavour, Giacinto Provana di Collegno, Cesare Balbo. Era definito il "caffe' dei Machiavelli e dei Codini" perche' frequentato nell'Ottocento da aristocratici e alti ufficiali. Il luogo aveva assunto una reale rilevanza politica, al punto che il Re Carlo Alberto di Savoia era abituato a chiedere che cosa si dicesse al Caffe' Fioro. 

Ma il piu' famoso Caffe' letterario e' forseil Caffe' Greco di via Condotti a Roma, poco lontano da piazza di Spagna.

12/12/11

Italo Svevo - Trieste lo celebrerà per i 150 anni dalla nascita.



Mostre, convegni e spettacoli per celebrare il 150esimo anniversario della nascita dello scrittore triestino Ettore Schmitz, alias Italo Svevo (19 dicembre 1861).

Il Comune di Trieste ricorda questo speciale anniversario proponendo una serie di eventi che si realizzeranno tra la seconda meta' del mese dicembre e il marzo 2012. 

L'apertura delle celebrazioni avverra' lunedi' 19 dicembre, il giorno del compleanno dell'autore di La coscienza di Zeno, e sara' preceduta dal convegno internazione di studi ''Italo Svevo e la sua eredita''' che si svolgera' venerdi' 16 e sabato 17 dicembre al St. Hugh's College dell'Universita' di Oxford.

Lunedi' 19 dicembre, alle ore 17.45, a Trieste prendera' avvio l'happening ''Spegniamo l'Ultima Sigaretta'', nello spazio antistante l'ingresso di Palazzo Gopcevich. Alle ore 18 sara' inaugurata la mostra ''U.S. Ultima Sigaretta - Italo Svevo e il buon proposito'' a cura del Museo Sveviano, con l'intervento della professoressa Ginette Herry dell'Universita' di Strasburgo. Alle ore 21 presentazione del rinnovato spazio del Museo Revoltella ''Svevo e gli artisti'' del Museo Revoltella e alle ore 21.30 andra' in scena lo spettacolo teatrale ''Italo Svevo genero letterario'' di Tullio Kezich con Ariella Reggio mell'Auditorium del Museo Revoltella.

Il calendario celebrativo, promosso dall'Assessorato alla Cultura retto da Andrea Mariani e organizzato dal Servizio Bibliotecario Urbano-Museo Sveviano diretto da Adriano Dugulin, per la cura di Riccardo Cepach coordinatore del museo, oltre che festeggiare una ricorrenza molto significativa, vuole mettere in evidenza la vitalità di cui l'opera di Svevo gode tuttora. 

Le celebrazioni prevedono anche la mostra ''Die Geschichte stinkt/La storia puzza/Posta per Italo Svevo'', curata dal Museo Sveviano e dal Museo Postale e telegrafico della Mitteleuropa, dov'e' allestita fino al 21 gennaio 2012. Si tratta di una rassegna di lettere, con alcune rarita', cartoline, fotografie e una serie di documenti scoperti dallo studioso joyciano Erik Schneider presso il locale Archivio di Stato e provenienti dall'Archivio riservato della Polizia asburgica triestina che, durante il primo conflitto mondiale, teneva sotto osservazione la famiglia di Svevo per le sue simpatie irredentistiche.

 fonte Adnkronos