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29/09/09

La cura e il poco. Due antidoti (cristiani) alla mancanza di Senso.


Essere uomini, però non è semplice.

Tanto più oggi. Il senso dell’orientamento è smarrito. Le vecchie società patriarcali, pur nell’abisso di palesi ingiustizie, e di inferni quotidiani e familiari, fornivano sicuri appoggi: per essere uomini occorreva il rispetto di poche e semplici, lineari regole. Nascita, obbedienza, iniziazione, coraggio, destino, onorabilità, consolazione, pietà.

Parole che sembrano oggi difficili da ritrovare, nel pullulare infinito di ‘bit’ dentro il quale sembra essersi parcellizzata la nostra ricerca di senso. Essere felici è diventato più importante che essere umani. Ma, come appare chiaro, nessuno può essere veramente felice, se non è prima di tutto umano.

Quindi, bisogna ripartire dall’origine.

E, ne sono convinto, non è semplice compiere oggi un percorso di umanizzazione, o di ri-umanizzazione. Gli ostacoli sono tanti, e appaiono spesso insormontabili.

Eppure, è l’esempio di Cristo stesso che ci indica la via, come sempre. L’aiuto cristiano – il tanto decantato ( e spesso vuoto, nelle affermazioni di principio) “amore per il prossimo “ - dovrebbe essere null’altro che aiutare gli altri ad eliminare quegli ostacoli (interiori ed esteriori) che si frappongono al raggiungimento dello "stato di uomini fatti, all'altezza della statura perfetta di Cristo" (Efesini 4:13).

Sono parole su cui bisognerebbe meditare a lungo.

Se si vuole ritrovare la via di un Senso, bisogna, mai come in questi tempi, nuotare controcorrente.


La corrente porta attualmente verso: la dispersione e il troppo. Ciascuno di noi è diviso tra troppe opportunità (spesso del tutto velleitarie), che ci rendono come pazzi, invasati. Fare mille cose per non farne, di vera, nessuna. E’ la civiltà del ‘troppo’: troppi consumi, troppe informazioni, troppe possibilità (uguale: immobilità paralizzante), troppo di tutto.
Ed è anche la civiltà della dispersione: perdiamo qualità umana, come se fosse acqua nello scarico delle fogne. Perché viviamo come dentro un flusso, e non riusciamo a trovare contenitori che contengano le nostre azioni.

Il rimedio mi appare dunque in due sole parole, che sono anche un intero programma di vita: cura e poco.

Primo: rifuggire dal troppo: accontentarsi del poco. Valorizzare il poco. Selezionare, rifiutare il superfluo, esercitarsi sulla lunghezza d’onda di un risparmio, di una austerità, di una sobrietà, così in controtendenza rispetto al messaggio imperante e dilagante.

Secondo: esercitare la cura. La cura vuol dire non soltanto la cura cristiana. Più in generale dedicarsi alla cura, all’attenzione. Concentrare le forze buone su un progetto di crescita che sia, possibilmente, altro da noi.

L’uomo ha inscritto nel suo destino queste due qualità: il poco e la cura. L’uomo ha saputo costruirsi dal nulla, con poco, dalla semplice terra. Ha saputo sopravvivere ad ogni necessità, e questa è stata – anche biologicamente – la sua forza evolutiva. L’uomo ha saputo applicarsi alla cura, con risultati straordinari.

Senza la cultura del poco, senza la cura in quello che facciamo, noi non siamo fino in fondo uomini, e quindi, non siamo niente.

in testa Il Giardiniere di Vincent Van Gogh.