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20/04/17

La fine di ogni prospettiva ultramondana - La vita come "gara" individuale.




Qualcosa è successo, nel breve volgere di decenni, alla vita.

Eliminata, tolta di mezzo ogni prospettiva ultramondana (Dio è morto) - anche se dal punto di vista delle pure acquisizioni scientifiche nulla conforta per ora questa ipotesi, ma gli uomini hanno deciso o sentono comunque, che è la stessa cosa, così - gli esseri umani sono rimasti soli con la loro terrestritudine

Se la vita è un orizzonte finito, circoscritto dalla pura morte biologica, l'unico possibile senso dell'esistenza è allora il godimento, cioè l'appagamento dei desideri, quelli del corpo e quelli psichici, che non sempre coincidono, fin tanto che si è in vita. 

Perché se è vero che la vita occupa una porzione di tempo finito - e forse a maggior ragione - è sperabile riempire questo tempo di sensazioni ed esperienze positive, confortanti, soddisfacenti piuttosto che spenderla in fatiche o sacrifici, i quali per definizione estendono il loro significato, il loro senso, in una prospettiva futura

Ecco allora che la vita contemporanea sembra esser diventata una gara individuale - giacché l'ottica dei consumi ci vuole sostanzialmente individuali e individualisti - ad accumulare godimenti personali, i quali oggi possono essere assicurati dal progresso tecnologico, dalla libertà dei costumi, dal principio di autodeterminazione, solennemente sancito da ogni carta dei diritti evoluta. 

Il contrappasso di questo possibile eden, è però sotto gli occhi di tutti: la gara a cui ciascuno di noi è chiamato, non è una gara aperta a tutti. I meccanismi economici, le sperequazioni tra parti di mondo ricche e parti di mondo povere (spesso convivono queste porzioni braccio a braccio, porta a porta, in microrealtà urbane e non urbane), non rendono la gara uguale per tutti

Anzi, mano a mano che il progresso si espande e che le promesse degli slogan blandiscono i sogni di tutti, le condizioni diventano sempre più diseguali

Per godere dei beni terreni, per appagare i desideri, occorrono condizioni che non tutti hanno e che non tutti hanno nello stesso modo.  

La maggior parte delle persone, nel mondo della terrestritudine, sostanzialmente guarda gli altri, guarda qualcun altro godere.  Cercando di accontentarsi di ciò che può riservargli la sua scala di valori. 

Ma il confronto, in un mondo dove tutto è (sempre) in mostra, è sempre meno sopportabile.

Per questo la cifra contemporanea più eloquente sembra essere quella della frustrazione.

La frustrazione infatti è un desiderio non esaudito. Che non può essere esaudito perché mancano le condizioni oggettive e soggettive per farlo. 

Il mondo della terrestritudine appare sempre di più come un popolo di frustrati (chiamati ad esibire piccoli godimenti che non possono stare al passo con la concorrenza alta e con l'asticella continuamente alzata dalle necessità dei consumi). 

Nel gioco delle perle di vetro del soddisfacimento individuale è sempre più ardua la scelta dell'unica via di fuga che garantirebbe orizzonti diversi: l'autocentratura, il rifiuto della gara, l'estraneamento, la ricerca di nuovi e più profondi e ancestrali godimenti, che sono quelli della vita vera, del contatto con la natura (biofilia), del riconoscimento delle sofferenze autentiche (e non delle nevrosi), della priorità dei rapporti, dell'ascolto di se stessi (in funzione anche di multi-dimensionalità, oggi del tutto aborrite). 

Fabrizio Falconi

29/03/16

"Scenari" - lo scritto di Pasqua di Fabrizio Centofanti



Si cominciava a parlare di scenari. Ormai era chiaro che le profezie non riguardavano solo il Vaticano, l'attacco tremendo alla Chiesa che l'avrebbe costretta a rinnovarsi, ma un'area molto più vasta, e forse il mondo intero

I cento anni di dominio di satana sarebbero finiti coi fuochi d'artificio di una guerra totale, che avrebbe seminato la morte e innescato un meccanismo di autodistruzione che solo il Pantokrator, il Signore che tiene i fili e le trame della storia, avrebbe frenato al tempo giusto. 

Già parlavamo di ritorno all'essenziale, di valori che sarebbero riemersi, dopo la grande parentesi di confusione e di non senso, in cui ogni capriccio era un diritto, ogni voglia dell'io una legge da imporre con la forza o con la persuasione occulta. 

Stavamo toccando il fondo del liberismo e del libertinismo, la democrazia era ormai diventata una facciata che nascondeva il governo assoluto di pochi potentati e lo sfruttamento di una massa inconscia di obbedienti manichini manovrati dall'alto. 

La cultura procedeva con parole d'ordine cui tutti dovevano piegarsi; lobby intoccabili proclamavano del tutto indisturbate il loro verbo lascivo, viscido, sfuggente, e nello stesso tempo categorico e rigido, intollerante riguardo al pur minimo accenno di dibattito

Un'idea valeva l'altra, perché tutte finivano nel grande calderone di una dittatura invisibile e implacabile, fondata sull'apparente libertà dei social network, degli squallidi spettacoli dei media, proni alla ferrea volontà delle multinazionali del pensiero unico

Persino la fede era gestita da un'industria sofisticata e aggiornata del politically correct, dell'adeguamento al mondo. 

Era sempre più chiaro che la corsa verso il nulla sarebbe sfociata in un esito al contempo sorprendente e prevedibile: si sarebbe compreso, finalmente, che il male è male, e fa male. 

Da questa coscienza elementare si sarebbe generata la nuova civiltà; una bella mattina, ci saremmo guardati negli occhi dal fondale di un mondo totalmente rinnovato.

Qui il suo blog La poesia e lo spirito. 

foto in testa di Fabrizio Falconi

18/02/12

Rémi Brague - "Amo dunque sono"



Qualche giorno fa il supplemento del Corriere della Sera, La Lettura, ha dedicato spazio ad una ampia intervista realizzata al filosofo Rémi Brague, intitolata "Amo dunque sono."

Scrittore, specialista di filosofia medievale, araba ed ebraica, Rémi Brague insegna Filosofia greca, romana ed araba all'Università Paris I Panthéon-Sorbonne dove dirige il centro di ricerca sulla tradizione nel pensiero classico. Ma Brague, come scrive Maria Antonietta Calabrò che ha realizzato l'intervista, è anche uno studioso che "ha sviluppato una riflessione sull’uomo e sulla sua autoconsapevolezza che sembra ormai essere giunta a un punto drammatico di non ritorno e che chiede, quindi, un nuovo inizio, a cominciare dal Vecchio Continente”

Quando si parla di 'radici cristiane', o di qualunque tipo di radici, Brague, storce il naso:  "Le radici sono una immagine strana.. Perché considerarci come una pianta ? In francese 'piantarsi' vuol dire sbagliarsi, fare un errore... Se si vogliono a ogni costo delle radici Un riferimento a Platone, che scrisse “noi siamo degli alberi piantati al contrario, le nostre radici non sono sulla terra, ma in cielo. Noi siamo radicati in ciò che, come il cielo, sfugge a ogni possesso”.

Un nuovo inizio è insomma, un uomo piantato al contrario che in qualche misura, e per approssimazione, possa poter dire quello che solo Dio dice compiutamente di sé: Amo dunque sono.

Brague nella intervista fornisce anche una interpretazione molto interessante del relativismo, fornendo un'analisi originale:
“ciò che genera il relativismo non è l’equivalenza dei valori, ma l’idea stessa di valore; ciò che è bene (la libertà, la giustizia…) è bene perchè sono io che gli dò valore, perchè come si dice, io lo “stimo”. Allora il gesto che dà valore è più forte che il valore in se stesso. Questo valore, allora, posso sempre ritirarlo. Quando un bene viene chiamato “valore”, lo si devalorizza. …… 

Da dove ricominciare ? Bisognerebbe farla finita con i valori, e riscoprire i beni: quelli materiali, molto concreti, dietro i loro simboli finanziari, le virtù morali dietro le tendenze alla moda…

Per essere chicchessia,  ragionevole oppure pazzo bisogna prima di tutto Esistere. Cio’ che è nuovo al giorno d’oggi è che l’esistenza stessa dell’uomo dipende sempre più dalla sua libera decisione. Noi abbiamo la possibilità tecnica di distruggerci, rapidamente (armi nucleari) o lentamente (inquinamento). E possiamo distruggere la specie umana, pacificamente, senza rumore, senza nemmeno rendercene conto, semplicemente cessando di riprodurci. Possiamo dire che per continuare ad esistere l’umanità ha bisogno di buone ragioni."

E' molto interessante il passo poi nel quale alla domanda della intervistatrice: "Può essere amata la verità ?" Brague risponde:

"Noi non possiamo amare che ciò che è bello. Se la verità è brutta, noi possiamo tutt’al più accettarla, a motivo di quella 'probità' (Redlichkeit) intellettuale che Nietzsche diceva essere “la nostra ultima virtù”. E' una forma di coraggio , virtù molto rispettabile. Soltanto che essa è incapace di far vivere, di suscitare la vita.

...Il bello ci strappa a noi stessi: come si dice, ci rapisce. Oppure perché per la modernità si tratta di massimizzare il sentimento che il soggetto ha di se stesso aumentando le sensazioni. “Sensazione” in greco: àisthesis."

Forse bisognerebbe cominciare con il riscoprire il bello.  Far dialogare gli uomini sulla base della ragione comune. Tutte le persone intelligenti, credenti o non, hanno in comune l’essere in bilico tra quello che sono e quello che dovrebbero essere. I fanatici, religiosi o scientifici, sono sicuri di loro stessi. Ma un dubbio che si compiacesse di se stesso senza cercare la verità sarebbe a sua volta fortemente un dubbio…"

La conclusione è allora: Amo dunque sono ?  

"L’amore resta ciò che si muove. Ma non si ama perchè ci motiva o aumenta il nostro giro di affari. Allora non è più Amore…

Chi può dire di Amare? Amare per noi è sempre rendersi conto che non si ama abbastanza o male, o più se stessi che l’altro.

E chi può vantarsi di essere? Solo Dio può dire “Io sono colui che sono”. E solo di Dio si può dire che è Amore. "

13/12/11

Elogio del pensiero lento - intervista a Daniel Kahnemann, premio Nobel per l'economia.


NEW YORK — «Studio da mezzo secolo i meccanismi decisionali della mente umana, ma non pretendo di saper spiegare alla gente come fare scelte migliori. Io stesso non credo di aver raffinato, in tutti questi decenni di lavoro scientifico, la mia capacità di prendere decisioni immediate ed efficaci, usando i meccanismi dell’intuito. L’unico consiglio che mi sento di dare è quello di rallentare: quando si teme di sbagliare, meglio prendere tempo e analizzare di più, anziché agire d’impulso. Discutendo, poi, delle scelte fatte con qualcuno di cui ci si fida: la gente nella maggioranza dei casi prende le decisioni giuste, ma quando sbaglia è talmente impegnata nel commettere l’errore da non accorgersene. Lo vede più facilmente qualcuno dall’esterno».

Strano personaggio Daniel Kahneman. Nel 2002 ha vinto il Nobel per l’economia. Ma non è un economista. È uno psicologo che, dimostrando coi suoi esperimenti scientifici che non esiste l’homo oeconomicus dai comportamenti perfettamente razionali che è alla base della teoria economica classica, ha aperto la strada alla nuova economia comportamentale.

28/11/11

Luigi Ciotti e il "coma etico" italiano.


Credo che oggi che si torna a parlare molto di un impegno dei cattolici in politica - dopo un lungo periodo di ibernazione -  sia utile riproporre le riflessioni di un uomo come Don Luigi Ciotti.

Nel video che vedete qui sopra, la famosa intervista rilasciata a suo tempo a Enzo Biagi. Don Ciotti è l'esempio illuminante di cosa, nel concreto, si può fare. Della forza che servirebbe, per far ripartire - per davvero, non solo dal punto di vista del PIL - questo paese dalle sue melme attuali. 

Come disse una volta Don Ciotti: 

"E' vero ci sono troppi politici che non si occupano del bene comune. E' vero anche che i politici "cattolici" non dovrebbero appoggiare leggi contrarie ai diritti umani e al Vangelo. Ma ormai tutto il Paese giace in coma etico profondo. La crisi morale si esprime nel pensiero sbrigativo di chi trova normale prevaricare, arrendersi alle disuguaglianze, e soprattutto chiamarsi fuori dalla politica. Troppo comodo, il disgusto." 

07/11/11

Ricominciare. 12 cose da cui ripartire. (testo completo).



RI-COMINCIARE.  Da dove ?
(12 cose da cui ripartire)

Di Fabrizio Falconi


1  UMILTA'.

Ripetersi ogni giorno, almeno 1 volta al giorno che non si è speciali, non si è indispensabili, non si è migliori.

Anche se l’intera nostra vita sembra costruita sulla presunzione - o  sulla rassicurante certezza -  che noi siamo speciali, che il nostro amore è speciale, che il nostro lavoro è speciale, che quello che noi diciamo, pensiamo o facciamo, è speciale. E implicitamente, migliore.

Ripetersi che la storia umana è il procedere di miliardi di esseri umani come me. Che la loro traccia lasciata nella storia esteriore dell’umanità è praticamente nulla, nella stra-grandissima maggioranza dei casi.

Ripetersi che – se anche abbiamo un disperato bisogno che qualcuno ci dica che noi siamo speciali – in realtà speciali non lo siamo affatto.

Se il cammino del mondo ha un senso, lo ha solo nella VERA umiltà, che è quello di una profondaconsapevolezza che noi siamo ‘humus’, (da cui ‘humilis’).

L’umiltà è quando non pensi a ciò che ti verrà riconosciuto, ma a ciò che tu potrai riconoscere ad un altro, anche semplicemente per il suo ‘grazie’.

L’umiltà è per questo la virtù umana più difficile, rara e preziosa.

L’umilità, come scrisse Mario Soldati, è quella virtù che, quando la si ha, si crede di non averla.

(C) Fabrizio Falconi - 2011 (continua).

19/02/11

La caccia ai moralisti stravolge perfino il Vangelo. Roberta de Monticelli.


Mi capita in questo periodo - ma non credo di essere il solo - di provare sgomento.

Di fronte alla evidenza e alla rilevanza di quella che viene chiamata 'questione morale' nel nostro paese, resto sbigottito dalla mancanza di serietà delle argomentazioni, dalla malafede, e dal puro stravolgimento strumentale che viene fatto di quei valori condivisi - se non altro 'teoricamente' - che dovrebbero far parte di una tradizione millenaria del nostro paese.

Sembra che abbiamo smarrito, tutti, anche le più semplici coordinate. Così, il pensiero comune sembra ora aver trovato una nuova bandiera sotto la quale riunirsi, che è quella della "caccia al moralista", laddove 'moralista' è ormai usato come un insulto per definire una persona 'morale'.

Ma non è tanto l'equiparazione - interessata e subdola - tra moralista e morale ad indignarmi. Mi indigna, come detto, la lettura distorta, meschina, proterva, che si fa perfino dei fondamenti della vita cristiana, di quei 'valori' discendenti direttamente dai detti di Gesù Cristo nei Vangeli.

Così, con un certo sollievo, ho trovato nell'ultimo libro di Roberta De Monticelli - 'La Questione Morale', edito da Raffaello Cortina Editore, ed uscito da pochi giorni - un passo che riassume perfettamente questo mio sconcerto (e quello di molti altri, credo) e i termini del problema, riguardo a peccato e peccatore, a giudizio e morale, al celebre episodio dell'adultera, e all'uso davvero sconfortante, vorrei dire abietto, che per fini autogiustificativi (cioè giustificativi dei propri comportamenti e delle proprie scelte e opzioni politiche) si fa perfino di un detto evangelico. Ecco il passo, che riporto nella sua interezza.

"Da noi il 'precetto evangelico "chi è senza peccato scagli la prima pietra" è inteso come chiamata di correo, e la chiamata di correo come giustificazione del reo. Insomma vuol dire: "Così fan tutti." Ma vuol dire anche - conclusione assurda - "e perciò va bene così".

Interpretare a questo modo il detto evangelico, vuol dir, né più né meno, richiamare il contraddittore alla legge dell'omertà. Se faccio schifo io, fai schifo anche tu, e dunque ti conviene stare zitto.

L'omertà sta al servilismo come la viltà sta alla prepotenza, e queste quattro belle virtù qualificano precisamente l'esistenza gregaria, che si potenzia nel 'noi' e rifugge certamente da ogni presa di posizione personale, da ogni assunzione di responsabilità, delle proprie opinioni o delle proprie azioni."


21/05/09

La Compassione - Il primo valore cristiano.


Sto leggendo un bellissimo saggio di un tedesco, Henning Ritter, dal titolo sottilmente inquietante: ' Sventura Lontana'.

Ritter è uno dei più importanti filosofi tedeschi, oggi.

Si tratta di una serie di riflessioni sulla compassione.

Un tema che apparirebbe oggi, a prima vista, quasi desueto. Eppure di una stringente attualità, specie per noi cristiani.

Compassione, è bene dirlo subito, non vuol dire 'pena' come oggi va di moda pensare : 'ho compassione di qualcuno = mi fa pena'.

Tutt'altro.

Compassione ha radici ben più profonde e deriva direttamente dal latino: cum patire: soffrire insieme.

Soffrire insieme con qualcuno.

Parlando dell'Evgenij Onegin di Puskin, Dostoevskij si fece questa domanda: se un uomo può fondare la propria felicità sulla infelicità altrui.

In che modo placare lo spirito "se dietro a una persona vi è un gesto indegno, privo di compassione, quasi disumano ", che tipo di felicità è mai quella che si basa sull'infelicità altrui ?

Saresti disposto ad essere felice, poniamo il caso, veramente felice a scapito della sofferenza di un povero vecchio, causata (anche per necessità) da te, e sapendo che nessun altro al mondo saprà mai il tuo segreto ?

Dostoevskij allora si figura quello che avrebbe risposto Tatjana, nell'Onegin di Puskin, una pura anima russa, a quella domanda:

" fossi anche la sola a non conoscere la felicità e fosse la mia infelicità incomparabilmente più grande dell'infelicità di quel vecchio uomo, e nessuno, nessuno mio marito venisse a conoscenza del mio sacrificio o lo apprezzasse, ebbene NON VORREI ESSERE FELICE A SPESE DI UN ALTRO. "

Bene.

Ma quanti di noi, nel mondo di oggi condividono il principio, il valore che NESSUNA felicità (anche la più piccola) può essere costruita sull'infelicità (anche la più piccola) di un altro uomo ?

La compassione è proprio l'antidoto a questo principio: io NON posso essere felice, se la mia felicità dipende dall'infelicità altrui, perchè L'INFELICITA' ALTRUI E' LA MIA STESSA INFELICITA'.

Ma già Dostoevskij intravedeva nella MANCANZA di compassione il segno del proprio tempo, nel quale ciascuno rifugge dalla compassione per evitare ulteriori sofferenze personali.

Oggi, potremmo dire, questa sembra essere la regola.

Il mondo sembra dominato dall'interesse. E in nome dell'interesse personale (politico, economico, monetario, sociale, ecc..) la compassione viene sacrificata.

Se posso essere ricco costruendo una fabbrica che produce diossina e rende infelice migliaia di persone, cosa importa ?

Se posso guadagnarmi il posto in ospedale, all'università, al lavoro, a scapito di un altro al quale spetterebbe forse più di me, cosa importa ?

Se posso divertirmi sapendo che il mio divertimento causerà la sofferenza di altre persone, cosa importa ?

Ovviamente la mancanza di compassione non è estinta. Però è gravemente minacciata.

E chi ce l'ha nel sangue, chi ce l'ha professata nel proprio credo religioso, perchè la compassione E' un grande valore cristiano (anzi, forse il principale ?? Ama il prossimo tuo come te stesso..), oggi fa fatica.

Ma non bisogna stancarsi.

Bisogna fare il piccolo, bisogna essere umili, bisogna ascoltare il nostro cuore.

E se lo ascoltiamo davvero sentiamo che lui ci dice sempre la stessa cosa, e cioè che la nostra felicità slegata da quella degli altri non è felicità, e che noi siamo uomini, veramente, solo insieme agli altri uomini.

03/04/09

Ultime dal pianeta cronaca - L'innocenza e il vuoto.


Devo dire che certe volte la cronaca, i casi di cronaca, ci dicono del nostro mondo, molto di più di quanto potrebbero decine e decine di trattati di sociologia. La cronaca ci parla con una immediatezza, con una risolutezza brutale, di quello che è diventato il nostro mondo, la nostra società, ci apre gli occhi su quello che non vogliamo vedere e ci illudiamo sia molto diverso.

Quanti discorsi sentiamo sulla gioventù, sull'isolamento, sulla disperazione, sulla mancanza di ideali, o di speranza, sulla pochezza di vite che dovrebbero avere quella genuinità, quella forza potenziale di scardinare il mondo. Eppure per riassumerli tutti in un secondo, basta poco. Sono rimasto come molti - immagino - basito leggendo oggi le rivelazioni della stampa a proposito del 'Delitto di Garlasco'.

C'è sempre una feroce banalizzazione nel modo in cui media propongono alla curiosità morbosa dei lettori o dei telespettatori vicende come questa. E nella banalizzazione di turno, questa volta, ad Alberto, il fidanzato imputato spettava il ruolo del perverso e probabilmente del cinico corruttore che porta la sua 'innocente' fidanzata di fronte all'evidenza dei propri fantasmi, e una volta scoperto, si scopre perfino omicida. Mentre alla fidanzata uccisa spettava il ruolo di vittima innocente, sacrificale.

Ora apprendiamo dai verbali de-secretati (ad arte dalla difesa di Alberto, nel tentativo di ottenere una assoluzione dal rito abbreviato ) , che la realtà è - come sempre - ben più complessa, e si scopre un lato d'ombra della vittima, Chiara, davvero ingombrante, al punto tale che dietro la maschera della 'brava ragazza', studiosa e innocente, ella appare fatta di una pasta non molto diversa di quella del suo fidanzato (ma di quanti altri giovani in circolazione oggi nel nostro paese ??).


Come sempre questa rivelazione può essere scioccante, ma anche salutare.


Che immagine abbiamo noi dei ventenni ? Cos'è che li spinge a cercare, anche dentro vite apparentemente normali, borghesi, tranquille, perfino torpide, emozioni sempre più forti, estreme come tanto si usa dire oggi ? Qual è il vuoto che hanno dentro ? Dove è andata la loro anima ? Che cosa è successo alla loro anima ? All'anima di chi li ha educati, a quella dei loro genitori ? Davvero il compiacimento sessuale, il vouayerismo, la perversione, la ferocia del sangue sembrano essere i nuovi idoli di queste vite ?
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16/02/09

Ancora su Eluana: " L'etica di fronte alla vita vegetale " di Vito Mancuso.


Cari amici, a ulteriore integrazione di commenti illuminati sulla vicenda Eluana - che, come da copione, nel panorama schizofrenico del mondo dei media italiano è già stata metabolizzata e cancellata nel grande inceneritore delle notizie - ecco quanto ha scritto Vito Mancuso, su La Repubblica del 13 febbraio scorso, in un articolo in prima pagina intitolato: "L'etica di fronte alla vita vegetale. "


Se le circostanze non fossero tragiche, si potrebbe dire alla Chiesa gerarchica dei nostri giorni, con una leggera ironia e una pacca sulla spalla: "Dio esiste ma non sei tu, rilassati". Il problema infatti è anzitutto nervoso. Riguarda il controllo dei sentimenti e delle passioni. Un controllo che la direzione spirituale sapeva insegnare agli uomini di Chiesa di un tempo, e che invece oggi sembra smarrito. Assistiamo allo spettacolo di una Chiesa isterica: che non è amareggiata ma arrabbiata, che non parla ma grida, anzi talora insulta, che non suggerisce ma ordina, che non critica ma impone alzando la voce, o facendo pressioni su chi tiene il bastone del comando.

Non discuto la buona intenzione di combattere per la giusta causa, mi permetto però di dubitare sullo stile e più ancora sull' efficacia evangelizzatrice di tale battaglia. L' unico "cardinale" che ha pronunciato parole sagge e coraggiose è stato Giulio Andreotti, quando ha giudicato il decreto governativo un' indebita invasione nella sfera privata delle persone. Andreotti è uno dei rari cattolici che ancora ricorda e pratica la capitale distinzione tra etica e diritto, che è, a mio avviso, il punto decisivo di tutta la questione. Personalmente ero contrario all' interruzione dell' idratazione di Eluana.

Se mi trovassi io a vivere una condizione del genere (o peggio ancora uno dei miei figli) vorrei che mi si lasciasse al mio posto di combattimento nel grande ventre della vita anche con la sola vita vegetale: nessun accanimento terapeutico, ma vivere fino in fondo la vita lasciandomi portare dall' immenso respiro dell' essere, secondo la tradizionale visione della morale della vita fisica non solo del cattolicesimo ma anche delle altre grandi tradizioni spirituali.

Chissà poi che cosa significa "vita vegetale": da precisi esperimenti è risaputo che anche le piante provano emozioni, e reagiscono con fastidio a un certo tipo di musica e con favore a un altro (dicono che la preferita sia la musica sacra indù della tradizione vedica). La vita vegetale è una cosa seria, ognuno di noi la sta vivendo in questo momento, basta considerare la circolazione del sangue, il metabolismo, il sistema linfatico. Il fatto, però, è che non si trattava di me, ma di Eluana, e che ciò che è un valore per me, non lo era per lei. Una diversa concezione della vita produce una diversa etica, e da una diversa etica discende una diversa modalità di percepire e di vivere le situazioni concrete, così che ciò che per uno può essere edificazione, per un altro si può trasformare in tortura. Si pensi alla castità, alla clausura, al martirio e ad altri valori religiosi, che per alcuni non sono per nulla valori ma un incubo spaventoso solo a pensarli.

Il padre di Eluana ha lottato per liberarla da ciò che per lei era una tortura, ed è probabile che la conoscesse un po' meglio del ministro Sacconi e del cardinal Barragan. Grazie allo stato di diritto, alla fine l' ha liberata. Io non sono d' accordo? È un problema mio, non si trattava di me, ma di lei. Tutto molto semplice, come sempre è semplice la verità. Ora aspettiamo una legge sul testamento biologico, e io penso che il compito dello Stato sia precisamente quello di produrre, a partire dalle diverse etiche dei cittadini, una legge ove tutti vedano riconosciuta la possibilità di vivere e di morire secondo la propria concezione del mondo.

Se lo Stato fa questo, realizza la giustizia, che, com' è noto, consiste nel dare a ciascuno il suo. La distinzione tra etica e diritto è decisiva. A questo punto però sento la voce di Benedetto XVI che rimprovera questa mia prospettiva di "relativismo" in quanto privilegia la libertà del singolo a scapito della verità oggettiva. È mio dovere cercare di rispondere e lo faccio ponendo una domanda: Dio ha voluto oppure no l' incidente stradale del 18 gennaio 1992 che ha coinvolto Eluana? A seconda della risposta discende una particolare teologia e una particolare etica. Io rispondo che Dio non ha voluto l' incidente. L' incidente, però, è avvenuto. In che modo allora il mio negare che Dio abbia voluto l' incidente non contraddice il principio dell' onnipotenza divina? Solo pensando che Dio voglia sopra ogni cosa la libertà del mondo, e precisamente questa è la mia profonda convinzione.

Il fine della creazione è la libertà, perché solo dalla libertà può nascere il frutto più alto dell' essere che è l' amore. Ne viene che la libertà è la logica della creazione e che la più alta dignità dell' uomo è l' esercizio della libertà consapevole deliberando anche su di sé e sul proprio corpo. È verissimo che la vita è un dono di Dio, ma è un dono totale, non un dono a metà, e Dio non è come quelli che ti regalano una cosa o ti fanno un favore per poi rinfacciartelo in ogni momento a mo' di sottile ricatto.

Vi sono uomini di Chiesa che negano al singolo il potere di autodeterminazione. Perché lo fanno? Perché ospitano nella mente una visione del mondo all' insegna non della libertà ma dell' obbedienza a Dio, e quindi sono necessariamente costretti se vogliono ragionare (cosa che non sempre avviene, però) a ricondurre alla volontà di Dio anche l' incidente stradale di Eluana. Delle due infatti l' una: o il principio di autodeterminazione è legittimo perché conforme alla logica del mondo che è la libertà (e quindi l' incidente di Eluana non è stato voluto da Dio); oppure il principio di autodeterminazione non è legittimo perché la logica del mondo è l' obbedienza a Dio (e quindi l' incidente è stato voluto da Dio). Tertium non datur.

Per questo io ritengo che la deliberazione della libertà sulla propria vita non solo non sia relativismo, ma sia la condizione per essere conformi al volere di Dio. Il senso dell' esistenza umana è una continua ripetizione dell' esercizio della libertà, a partire da quando abbiamo mosso i primi passi, con nostra madre dietro, incerta se sorreggerci o lasciarci, e nostro padre davanti, pronto a prenderci tra le sue braccia. In questa prospettiva ricordo alcune parole del cardinal Martini: «È importante riconoscere che la prosecuzione della vita umana fisica non è di per sé il principio primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignità umana, dignità che nella visione cristiana e di molte religioni comporta una apertura alla vita eterna che Dio promette all' uomo. Possiamo dire che sta qui la definitiva dignità della persona... La vita fisica va dunque rispettata e difesa, ma non è il valore supremo e assoluto».

Il valore assoluto è la dignità della vita umana che si compie come libertà. Sarebbe un immenso regalo a questa nazione lacerata se qualche esponente della gerarchia ecclesiastica seguisse l' esempio della saggia scuola democristiana di un tempo esortando gli smemorati politici cattolici dei nostri giorni al senso della laicità dello stato. Li aiuterebbe tra l' altro a essere davvero quanto dicono di essere, il partito "della libertà". Che lo siano davvero e la garantiscano a tutti, così che ognuno possa vivere la sua morte nel modo più conforme all' intera sua vita.

VITO MANCUSO

03/10/08

Razzismo in Italia ? Non è IL problema, ma un sintomo.


Ormai gli episodi cominciano ad essere un po' troppi. Quasi ogni giorno, ormai le cronache dei giornali ci riferiscono di episodi di aggressioni a sfondo razziale che si verificano nel nostro paese - per non parlare della terribile carneficina di Castel Volturno.

Che succede: l'Italia è diventata un Paese di Razzisti ?

Come sempre, credo che le cose vadano guardate con calma, e senza lasciarsi trasportare dagli inevitabili stati d'animo.

Io credo, sono convinto, che alla base di motivazioni razziste, vi sia in definitiva, SEMPRE una profonda ignoranza. Questo lo dico senza nessun intinto giustificatorio, sia bene inteso.

Ma se non si comprende che IL problema NON è che quei determinati quattro ragazzi dicano 'sporco negro' a qualcuno, ma IL VERO PROBLEMA è quello che c'è dietro la vita di questi ragazzi, non si va da nessuna parte.

Il problema poi non riguarda solo i ragazzi. Ma tutti. Il problema è il veloce disfacimento di ogni conoscenza vera, e di ogni cultura, che sembra stia coinvolgendo l'intero Paese ( su questo fra l'altro pesa, secondo me, eccome, anche la scristianizzazione, cioè la perdita dell'identità e della conoscenza delle fonti cristiane, che per molto tempo hanno 'salvato' questo Paese).

Insomma, se l'ignoranza avanza, è perchè la conoscenza arretra.

E sul fatto del perchè arretra, potremmo discutere a lungo.

Il fenomeno, fra l'altro, coinvolge l'intero Occidente.

Ho letto ieri i risultati di una ricerca secondo la quale:

- i due terzi dell'elettorato americano (circa il 65%) si formano una opinione sui candidati in base ai loro spot in TV
- Oltre un terzo dell'elettorato (36%) ignora che differenza ci sia tra democratici e repubblicani.
- Solo due quinti ( 21%) sanno che esistono tre poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario.
- Meno della metà (45%) sanno chi era Karl Marx, e che l'America è l'unica potenza ad aver usato la Bomba Atomica.
- Più della metà (52%) ancora nel 2005 si dichiarava convinto che le Torri Gemelle siano state abbattute da Saddam Hussein.


Sono convinto - ahimè - che in Italia non andremmo molto meglio.

Di fronte a dati come questi, come meravigliarsi se il Razzismo attecchisce ?