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13/01/16

Guénon, Altheim, Evola: La vera rinascita è in inverno, non in primavera. Significato Alchemico del Solstizio d'Inverno.

Athanasius Kircher, Sciaterium Selenorum

Ricorderete la citazione del Vangelo di Giovanni, là dove Cristo dice se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto (Gv.12-23).  E' solo dalla morte, dice, che la vita nasce o rinasce.  Per questo motivo, per la tradizione dei miti, ripresa dalla tradizione alchemica, forse oggi dimenticata, la vera rinascita personale e del mondo comincia non in primavera, come si ritiene comunemente, ma in pieno inverno.
Questo bellissimo articolo di Visonealchemica.com lo spiega in modo comprensibile ed esauriente. 

Il periodo natalizio nasconde un significato arcano ai più, ma profondamente sentito nell’antichità. Per gli iniziati è una porta, l’ingresso simbolico, rappresentato dal solstizio d’Inverno, a uno stato superiore di consapevolezza. Pochi sanno, che, intorno alla data del 25 dicembre quasi tutti i popoli hanno sempre celebrato la nascita dei loro esseri divini o soprannaturali: in Egitto si festeggiava la nascita del dio Horus, e il padre Osiride si credeva fosse nato nello stesso periodo; nel Messico pre-colombiano nasceva il dio Quetzalcoatl e l’azteco Huitzilopochtli; Bacab nello Yucatan; il dio Bacco in Grecia, nonché Ercole e Adone o Adonis; il dio Freyr, figlio di Odino e di Freya, era festeggiato dalle genti del Nord; Zaratustra in Azerbaigian; Buddha, in Oriente; Krishna, in India; Scing-Shin in Cina; in Persia, si celebrava il dio guerriero Mithra, detto il Salvatore ed a Babilonia vedeva la luce il dio Tammuz, “Unico Figlio” della dea Ishtar, rappresentata col figlio divino fra le braccia e con intorno al capo, un’aureola di dodici stelle, proprio come la Vergine della cristianità.

Creare e ricreare:

Nel giorno di Natale, il Sole nel suo moto annuo lungo l’eclittica – il cerchio massimo sulla sfera celeste che corrisponde al percorso apparente del Sole durante l’anno – viene a trovarsi alla sua minima declinazione nel punto più meridionale dell’orizzonte Est della Terra, che culmina a mezzogiorno alla sua altezza minima (a quell’ora, cioè, è allo Zenit del tropico del Capricorno) e manifesta la sua durata minima di luce (all’incirca, 8 ore e 50-55 minuti). Raggiunto il punto più meridionale della sua orbita e facendo registrare il giorno più corto dell’anno, riprende, da questo momento, il suo cammino ascendente.

Nella Romanità, in una data compresa tra il 21 e il 25 dicembre, si celebrava solennemente la rinascita del Sole, il Dies Natalis Solis Invicti (il giorno del Natale del Sole Invitto). Ciò avvenne dopo l’introduzione, sotto l’Imperatore Aureliano, del culto del dio indo-iraniano Mithra nelle tradizioni religiose romane, e l’edificazione del suo tempio nel campus Agrippae, l’attuale piazza San Silvestro a Roma.

Il tempio era praticamente incluso all’interno di un più vasto ciclo di festività che i Romani chiamavano Saturnalia, festività dedicate a Saturno, Re dell’Età dell’Oro, che, a partire dal 217 a.C. e dopo le successive riforme introdotte da Cesare e da Caligola, si prolungavano dal 17 al 25 Dicembre e finivano con le Larentalia o festa dei Lari, le divinità tutelari incaricate di proteggere i raccolti, le strade, le città, la famiglia.

Il mito romano narra che il misterioso Giano, il dio italico, regnava sul Lazio quando dal mare vi giunse Saturno, che potrebbe essere inteso come la manifestazione divina che crea e ricrea il cosmo a ogni ciclo, colui che attraversa le acque, ovvero la notte e la confusione-caos successiva alla dissoluzione del vecchio cosmo, per approdare alla nuova sponda, ovvero alla luce del nuovo cosmo, del nuovo creato.

Come sostiene René Guénon (1), vi è una qualche analogia fra il dio romano e il vedico Satyavrata, testimoniata dalla comune radice “sat”, che in sanscrito significa l’Uno. Nel Lazio, inoltre, nel corso del mese di dicembre, il dio Conso era festeggiato il 15 dicembre, nel corso delle Consualia, le feste dedicate alla “conclusione sacrale del vecchio anno”.

Segnaliamo come dal latino, “condere”, indica l’azione del “nascondere” e/o del “concludere”. Il già citato Giano, associato a Conso, poi, era l’antica divinità latina dalle “due facce”, “dio del tempo” e, specificamente, “dell’anno”, e il cui tempietto, a Roma, consisteva in un corridoio con due porte, chiuse in tempo di pace e aperte in tempo di guerra, corridoio che, sulla base della sua ancestrale accezione, designa “l’andare” e, più particolarmente, la “fase iniziale del camminare” e del “mettersi in marcia”.

Giano regolava e coordinava l’inizio del nuovo anno, da cui lanuarius, il mese di Gennaio. Come ci conferma Franz Altheim (2), “Ianus e Consus, nella realtà religiosa romana, si riferivano all’inizio ed alla fine di un’azione” e facevano ugualmente riferimento «ad eventi fissati nel tempo, ma che si ripetevano periodicamente», quelli dell’eterno ritorno della luce a discapito delle tenebre.

Non dimentichiamo, quindi, che come la tradizione romana della festa del dies solis novi affondava le sue radici sia nel passato preistorico delle genti indoeuropee, a cui i Romani e la maggior parte delle genti Italiche appartenevano, che in quello delle sue stesse basi cultuali. Julius Evola ci ricorda come “Sol, la divinità solare, appare già fra i dii indigetes, cioè fra le divinità delle origini romane, ricevute da ancor più lontani cicli di civiltà” (3)

Continua a leggere qui.

28/10/13

Il distacco (e il Senso).





Ieri sera ho sentito in televisione Eugenio Scalfari, che ormai da parecchio tempo, ama rivestire i panni del teologo (disquisisce di questioni cattoliche con la competenza di un vescovo), parlare della morte e del senso della vita.  Senza molti problemi ha affermato che "il senso della vita è la vita".  E che l'unica difficoltà, in fondo, è il distacco.

Anni fa ho letto uno straordinario libretto di Michel Serres, intitolato Distacco.

Cosa è esattamente il distacco ? E perché le diverse tradizioni mistiche fanno riferimento a questo ?

Il termine mistico deriva dal greco myo. Che significa letteralmente chiudere (le labbra, gli occhi, lo stesso chiudersi, ad esempio, delle ferite).

Dalla stessa radice my , d’altronde, provengono sia il greco mysterion , sia il latino mutus

La mistica nasce dunque dalla necessità – per l’uomo – di convivere con il chiudere, cioè con il finire, che è connaturale alla vita stessa.

La cosa più difficile per un uomo, per ogni uomo è accettare il distacco

Il distacco che è al termine di ogni vita. Distacco dalle cose che abbiamo amato su questa terra: beni, cose, immagini, ma soprattutto persone amate, sentimenti, emozioni, ricordi. 

Le religioni propongono approcci diversi per governare questo distacco, che all’uomo risulta doloroso, inaccettabile: una specie di dittatura della morte, che porta a privarsi di tutto ciò che si è sperimentato in vita. 

Se l’uomo religioso, soprattutto in ambito cristiano, tenta di  abbandonarsi al distacco rispetto al mondo, al fine di giungere a un rapporto più puro con quel Dio con il quale, in realtà, egli si sente o si vuol sentire già in rapporto, il buddhista, invece, si distacca dalle cose, dalla sfera dell’apparenza, per trovare il vero sé: per giungere, in altre parole, all’illuminazione.

In un certo senso, il buddhista si esercita – nella vita – si prepara al grande distacco della morte, sperimentandolo qui in vita.

Ma anche molte delle parole pronunciate da Cristo nei Vangeli spingono assai chiaramente nella direzione del non attaccamento: 

In verità, in verità vi dico: Se il grano di frumento caduto per terra non muore esso resta solo. Ma se muore, porta molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde, e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. (Gv,12,24) 

 Più esplicito (o più duro) di così.. 

Tutto quello che passiamo in questa vita (anche il sorriso dei nostri figli, anche i nostri amori, le nostre albe, e i nostri tramonti) dovrebbe dunque avere una prospettiva diversa da quella che noi immaginiamo qui. 

Che non può essere goduta appieno, se non distaccandosene. 


30/01/11

Sperare contro ogni speranza.


“La resurrezione dei morti per la vita del mondo che verrà” è il fondamento dell’essere cristiani. Eppure ognuno, nella vita, sperimenta come questa semplice affermazione – espressa nel Credo dei cristiani e nel Symbolum Apostolorum - carnis resurrectionem et vitam aeternam – sia quanto di più lontano dall’esperienza comune, quanto di più distante dalle ragionevoli aspettative umane, da apparire, probabilmente oggi ancor più che nel passato, bizzarria o superstizione.

Eppure i racconti evangelici parlano chiaro. E anche se non siamo obbligati a pensare alla Resurrezione nei termini in cui la descrive il Nuovo Testamento – Gesù mangia, parla, cammina insieme ai suoi discepoli, dopo essere morto – è perfino ovvio che quel che si chiede a un cristiano è di “avere fede sperando contro ogni speranza” (Rm, 4,18).

Come scrive Sergio Quinzio, “il cristiano è tale perché fa della propria fede il criterio per giudicare il mondo, mentre non v’è dubbio che se volesse giudicare la fede secondo i criteri del mondo, non potrebbe far altro che respingerla.”

Ma per l’appunto: cosa è il mondo ? Cosa è quello che chiamiamo mondo ? Potremmo davvero dire che la nostra concezione di mondo è assai limitata. E’ celebre e folgorante l’aforisma di Lao-tse: Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla.

E’ un modo illuminante per comprendere come quello che noi chiamiamo ‘mondo’ dipende soltanto ed esclusivamente da quello che siamo noi. E la domanda allora si sposta: chi siamo noi ?

Noi, potremmo rispondere, siamo nella posizione più scomoda: come ha detto un celebre astrofisico recentemente, noi siamo esseri sospesi esattamente a metà strada tra il nulla e il mondo.

I cristiani, però, credono – perché lo hanno ascoltato – che proprio in questa sospensione esista un Senso, che è precisamente il Senso divino: siamo sospesi, e cioè a metà strada tra il nulla (la possibilità di essere nulla) e il mondo, cioè il tutto. Siamo creati, e quindi esistenti e siamo in un mondo creato ed esistente. Ma la nostra vera Vita – è quello che ci è stato detto – NON è di questo mondo.

Non si tratta qui, di rifiutare il mondo. Ma di ribaltarlo sulla base di quell’unica asse in sospeso che è Cristo, uomo – e quindi anche lui ‘a metà tra nulla e mondo, tra nulla e tutto’ – e Dio. La differenza tra Lui e noi, è che, come scrive Giovanni, Gesù Cristo “ha detto di essere la verità” (e lo ha manifestato con la sua resurrezione) - "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Gv.14,6) - mentre ai credenti è richiesto di “fare la verità” - Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio (Gv.3,21) - esercitare cioè la conformità a Cristo e alla sua promessa, vissuta nella manifestazione della sua giustizia. Qui sta l’evangelica contrapposizione tra Dio e il mondo. Che forse, mai come in questi tempi dissolutivi, è così evidente.

Fabrizio Falconi

11/04/10

Il perdono, l'auto-assoluzione, le parole di Cristo.


Le parole di Gesù Cristo sono sempre di fuoco, sono sempre nette, e sempre precise, e sempre chiare e vanno dritte ai cuori, e a quelle bisogna ritornare, sempre.

Ed è così che mi hanno fatto molto riflettere quelle parole che Gesù appena risorto indirizza ai suoi apostoli che sono sconcertati dalla sua presenza viva. Gesù, dopo aver detto 'Pace a voi' e dopo aver mostrato le mani e il fianco con le piaghe ancora fresche, impone quel famoso e tremendo mandato (in base al quale molti di loro andranno dritti incontro al martirio): "come il Padre ha mandato me, io ho mando voi."

Ma subito dopo aggiunge: " Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati." (Giovanni 20,19-31).

Sono parole che fanno molto riflettere, e che non ammettono equivoci. Ci dicono che il perdono - il vero perdono - non è mai scontato, non è mai gratuito, non è mai incondizionato, non è mai per tutti, sempre.

E' una cosa che nella mentalità del cattolicesimo moderno sembra del tutto dimenticata. L'introduzione del sacramento della confessione ha fatto ritenere, fa ritenere, che TUTTO possa/debba essere perdonato.

Non è così. Il facile perdono è più dannoso del male originario, a quanto pare. Perdonare troppo facilmente - senza che vi sia un vero, autentico pentimento - o peggio ancora auto-perdonarsi, auto-assolversi è qualcosa che è molto difficile giustificare nell'ottica del Cristo.

Bisognerebbe ricordarlo, ricordarselo sempre, quando - in presenza di omissioni e peccati, anche molto gravi - la prima cosa che si fa è scaricare la colpa sugli altri, su presunti o veri nemici, e pretendere o, peggio ancora, concedersi un facile e immediato perdono auto-assolutorio.


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17/12/08

Il Vangelo della Domenica - Il Battista.


VANGELO (Gv 1,6-8.19-28)
In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete.


+ Dal Vangelo secondo Giovanni

Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Parola del Signore

Preghiera dei fedeli

11/11/08

Il Vangelo della Domenica - I mercanti del Tempio.


Gv 2, 13-22
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Ho notato che spesso i commenti su questa pagina di Giovanni si soffermano sulla meravigliosa parte finale, metaforica, nella quale Gesù identifica se stesso come il Tempio, lasciando ovviamente i suoi in uno stato di totale in-comprensione, che supereranno soltanto dopo la Resurrezione, intendendo il significato di quelle parole.

Su questo brano, naturalmente si potrebbe dissertare a lungo. Ma a me risulta oggi ancor più interessante riflettere sulla prima parte di questo racconto, e cioè sul celebre episodio della cacciata dei mercanti dal Tempio. Mi piacerebbe riflettere - e spero che anche la Chiesa di oggi non smetta di rifletterci ( che pesantezza e che rudezza inequivocabile hanno quelle parole: "non fate della casa del Padre mio un mercato" ! ) - sul fatto che, a quanto io ne sappia, questa è l'unica scena in tutti i Vangeli, in cui si vede Gesù Cristo preda di un istinto iroso. Che quasi si trasforma in violenza, rovesciando i banchi dei mercanti, mettendo tutto a soqquadro, usando addirittura una frusta di cordicelle.

Insomma: è l'unica volta in tutti i Vangeli in cui vediamo Gesù alzare le mani, scagliarsi contro qualcuno, usare, potremmo dire come si dice oggi, 'la forza'.

Gesù non alza le mani nemmeno quando vengono a prenderlo, nemmeno quando dicono di lui le cose peggiori, quando lo insultano, quando lo umiliano in ogni modo.

Cos'è dunque che genera questa reazione inaspettata, in Lui ?

E', a quanto ne sappiamo, a quanto vediamo, dal racconto evangelico, il commercio, il mercimonio che si fanno sfruttando la fede. Sono addirittura i discepoli a rimproverargli un eccesso di zelo, ma Gesù, con questa risposta a doppia chiave, non sembra preoccuparsi, sembra quasi che dica: "se il Tempio è diventato questo, tanto vale distruggerlo e ricostruirlo dalle fondamenta. "

Per questo seguo con molto interesse in questo periodo, l'operato di molte persone, fuori e dentro la Chiesa (e quelle 'fuori' in questo momento sono forse anche più importanti) che si adoperano per 'rifondare' la nostra fede. La nostra fede non va fondata. E' stata già fondata da Gesù Cristo. Dalla sua persona. Ma oggi quella costruzione - proprio come esemplifica questo racconto evangelico - sembra essersi 'sfaldata' a causa anche di valori non consoni introdotti nei secoli, a errori, a omissioni e peccati e passi falsi di chi - umanamente, con tutti i difetti degli umani - l'ha costruita. E' per questo che non bisogna aver paura, con la guida e il riferimento unico del Fondatore, di ri-fondare la fede, di darle nuovo impulso, nuova linfa, nuova vita, scacciando anche - se occorre - tutti i mercanti dal Tempio, coloro che dovessero sfruttare la fede per i propri umani profitti.

04/08/08

Perchè Maria Maddalena resta davanti al Sepolcro Vuoto ?




Come è noto, Maria di Magdala, è secondo il racconto di Giovanni (20,1-18) la prima persona alla quale Gesù Cristo risorto appare, e anche la prima a ricevere da Lui la missione formale di annunciarne la Resurrezione, l'ascesa al Padre, il termine del suo cammino, del suo esodo nel Regno dei Cieli.

Maria, come sappiamo, si reca al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio fuori. Arriva al Sepolcro, si accorge che la pietra è stata ribaltata, poi corre da Simon Pietro e dall'altro discepolo (Giovanni ?) per riferire che "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'abbiano posto ! "

L'evangelo racconta poi della corsa di Pietro e di Giovanni al Sepolcro. Il racconto su Maria riprende al v.11.

"Maria invece stava all'esterno vicino al Sepolcro e piangeva".

Maria, dunque, è l'unica che nell'ora della dis-illusione (il Corpo non c'è più, e ancora nessuno crede che sia Risorto, ma solo che sia stato 'rubato') resta lì, non si muove, come paralizzata.

Ed è qui che si presentano i due angeli in bianche vesti. E poi, dopo essersi 'voltata', Gesù, che sta lì in piedi, e lei "non lo riconosce".

E avviene quel meraviglioso dialogo che sappiamo ("Donna, perchè piangi, chi cerchi?") al termine del quale Maria riceve quell'incarico importantissimo e gravoso ( "Non mi trattenere, perchè non sono ancora di salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e dì loro: "Io salgo al Padre mio e Padre Vostro, Dio mio e Dio vostro").

Ed è una missione che Maria adempie, come descritto nel versetto 18: " Andò subito ad annunciare ai discepoli: "Ho visto il Signore" e anche ciò che le aveva detto.

Ora: leggendo questi brani risulta - almeno per me - davvero sconcertante ammettere che per molto tempo in Teologia - soprattutto Sant'Ambrogio - questo atteggiamento di Maria è stato duramente rimproverato !

A Maria, frotte di teologi hanno rimproverato un atteggiamento riduttivo, mondano, quel suo restare vicino al Sepolcro come un 'non credere', come se fosse morto tra i morti, e dunque cercarlo ancora nell'ambito di questo mondo.

Ma cosa avrebbe dovuto fare Maria di Magdala ???

Cosa avremmo fatto noi al suo posto ? Non avremmo fatto esattamente lo stesso ???

Non è invece, quel suo restare accanto al Sepolcro vuoto, disperata e piangente, proprio una dimostrazione di fede vera, totale, di abnegazione quasi, che infatti - non a caso - verrà premiata dal Signore, essendo il primo essere umano a cui appare Egli risorto ???

Mi sembra che a volte la Teologia, nello spaccare il capello in quattro, dimentichi la grandezza dei semplici comportamenti umani - perfino istintivi - che fanno grande l'Uomo (e in esso includo, anzi intendo soprattutto le donne!).